L'Heartland, il "Cuore della Terra" secondo Mackinder. |
Nel
1943 Mackinder giunge comunque ad una definizione più specifica
della "Terra del cuore", che viene a coincidere
sostanzialmente con l'Unione Sovietica,
ad esclusione dei territori ad est del fiume Lena (non facilmente
percorribili, e vulnerabili essendo aperti all'oceano) e della Cina
delle pianure costiere. L'Heartland risulta così fisicamente
protetto a nord dal Mare Artico, ad est dalla inospitale "Terra
di Lena" e a sud dalle catene montuose dall'Hindu Kush
all'Himalaya, mentre l'unica via d'ingresso è costituita
dall'Europa, che
strategicamente
diventa così importantissima.
Fiume Lena da https://it.lucia fontaine.com/obrazovanie/84798 -gde-na-karte-nahoditsya-reka-lena -reka-lena-na-karte-rossii- kuda-vpadaet-reka-lena.html |
Sinonimo di
presenza di vaste popolazioni, di elevate risorse economiche ed
industriali e di grandi possibilità di manovra per linee interne,
l'Heartland assume perciò, nell'ottica geopolitica, i caratteri di
una fortezza naturale inespugnabile, cinta da due aree marginali:
- il
"perimetro marginale interno" o Rimlands,
le terre del bordo, a cui appartengono, oltre all'Europa, il Nord
Africa, il Vicino Oriente, il subcontinente indiano, la Malaysia, le
pianure cinesi ed il Giappone,
- ed il "perimetro
insulare esterno" che comprende l'intero continente americano,
l'Africa a sud del Sahara e l'Australia.
L'importanza
strategica dell'Heartland viene
ribadita da Mackinder sul finire dell'ultima guerra mondiale, con
questa sola aggiunta: che, nel momento in cui la terra del cuore
arrivasse a raggiungere e controllare
anche solo una parte del perimetro marginale interno, le
Rimlands, si troverebbe in
condizione di poter dominare il mondo intero,
avendo finalmente via libera ai mari caldi e quindi al controllo
degli oceani. Così, è la sua conclusione "inevitabile","se
l'Unione Sovietica emerge da questa guerra come conquistatrice della
Germania, essa dovrà essere considerata la più grande potenza
terrestre del globo".
L'Heartland e le Rimlands di Mahan. |
Infatti a
contrastare la tendenza egemonica dell'Heartland non è necessario
che la potenza avversaria occupi tutto il perimetro interno, essendo
sufficiente che essa possegga un discreto numero di basi, disposte in
posizioni geografiche strategiche, per controllarne la circonferenza
e con essa il mondo. È innegabile che la mobilità strategica e le
possibilità d'intervento consentite dalle linee di comunicazione
navali, unite alla flessibilità della manovra per linee esterne,
assicurano alle potenze marittime una capacità di controllo dei
perimetri interno ed esterno superiore a quelle continentali.
Se
ora alla Gran Bretagna sostituiamo gli Stati Uniti,
entriamo nella considerazione dell'analisi dell'ultimo geopolitico
americano, Nicholas Spykman. In linea con Mackinder e Mahan, Spykman
sintetizza così quanto detto finora: "Chi controlla le Rimlands
(il perimetro interno di Mackinder) regna sull'Eurasia; chi
regna sull'Eurasia controlla i destini del mondo".
E qui sono gli Stati Uniti ad avere buon gioco perché, mentre
l'Heartland è separato, per ragioni politiche e topografiche, dagli
oceani e dalle Rimlands, l'emisfero occidentale può di fatto
controllare queste ultime in virtù del proprio potere marittimo. In
conclusione, chi può dominare il mondo, secondo Spykman, non è
tanto l'Heartland, quanto l'emisfero occidentale - gli Stati Uniti -
in possesso delle stesse potenzialità dell'emisfero orientale, ma
con in più il libero sbocco agli oceani.
Da
qualsiasi emisfero si parta, comunque, l'analisi geopolitica
evidenzia che una potenza
intenzionata a porsi come egemone
deve garantirsi il controllo delle Rimlands,
in quanto solo attraverso di esse può accerchiare l'emisfero
avversario e assoggettare il mondo.
La
linea che prima separava il vecchio continente in occidentale ed
orientale e soffocava l'identità dell'Europa centrale - cancellata
come zona geopolitica dell'esito del conflitto mondiale - assume,
dopo il crollo del muro di Berlino e dell'URSS,
grande importanza non più come confine tra le due potenze in
conflitto, bensì come epicentro di un nuovo aggregato
geopolitico ancora eterogeneo,
perché composto da territori prima divisi tra Est ed Ovest, ma di
portata strategica mondiale.
Se l'abbandono
della pressione da parte dei due blocchi, sovietico ed americano
sulle Rimlands ha provocato ripercussioni un po' dovunque, è stato
soprattutto nell'ambito della ricostituzione di un'identità
dell'Europa centrale che ha mostrato i suoi frutti più evidenti.
La rinascita di
tale zona, ad elevatissima valenza strategica, ha posto non
pochi quesiti all'analisi geopolitica: anche se "rimossa"
da tutta la dottrina dell'ultimo dopoguerra, la prospettiva di un
processo di movimento dalle Rimlands all'Heartland è ritornata di
attualità.
È
ritornata perché già presente nella tradizione geopolitica
dell'Europa nell'arco di tempo compreso tra le due grandi
rivoluzioni - francese e sovietica - almeno nelle strategie di
Napoleone e di Hitler (per rimanere all'esempio più recente basti
pensare alle mire espansionistiche naziste verso la Terra del Cuore,
la Russia, da unificare alle coste europee occidentali così da
ottenere quelle condizioni geopolitiche che - per dirla con
Mackinder, Mahan e Spykman - avrebbero permesso ai tedeschi il
dominio sul mondo).
PROLOGO STORICO
Mappa di riferimento ancestrale del
censimento del 2000 negli USA.
|
Il massimo
centro finanziario mondiale era la City di Londra, (e
ancora nel 2008 è primo nell'indice dei centri del commercio
mondiale pubblicato da MasterCard) la moneta più ambita la sterlina
e gli USA erano debitori nei confronti dei paesi
europei (fra cui la Germania, che per produzione industriale aveva
sorpassato l'UK) per 5 miliardi di dollari.
All'inizio del
secolo scorso alcune nazioni europee investivano negli USA per il 10%
del suo mercato in: armamenti, nelle industrie telegrafiche,
telefoniche e tranviarie oltre a gas, acqua ed elettricità... tutti
asset collegati alle urbanizzazioni.
Negli Stati
Uniti (nei pressi di Titusville, Pennsylvania) negli anni '50
dell'800 è nata l'industria petrolifera per l'iniziativa di
Edwin Drake. Il 27 agosto 1859 è stato aperto il primo pozzo
petrolifero redditizio del mondo. L'industria crebbe lentamente
durante l'800 e non diventò di interesse nazionale USA fino agli
inizi del ventesimo secolo; l'introduzione del motore a combustione
interna fornì la domanda che ha poi largamente sostenuto questa
industria. I primi piccoli giacimenti "locali" in
Pennsylvania e in Ontario sono stati velocemente esauriti, portando i
"boom petroliferi" in Texas, Oklahoma, e California. Alcune
nazioni europee avevano considerevoli riserve petrolifere nei loro
possedimenti coloniali, e incominciarono ad utilizzarli a livello
industriale.
Negli USA, già
dal 1.911, si erano applicate, nelle industrie automobilistiche
di Henri Ford, le teorie dell'ing. Frederick Winslow Taylor,
pubblicate in “L'organizzazione scientifica del lavoro”: la
catena di montaggio, immortalata in “Tempi moderni” da
Charlie Chaplin. Ford, inoltre, mise al centro della sua politica
aziendale l'idea che solo un'elevata capacità di consumo
avrebbe assorbito una massiccia produzione industriale ed
iniziò quindi a retribuire lautamente i propri dipendenti
(cinque dollari al giorno, una cifra considerevole all'epoca)
trasformandoli così in sicuri consumatori delle proprie automobili.
Decretò fra l'altro in 8 ore la giornata di lavoro, richiesta che i
socialisti europei avevano vanamente avanzato in precedenza.
Le guerre
condotte prima della Grande Guerra avevano obiettivi limitati, non
furono condotte fino all'annientamento del nemico. Nella precedente
età degli imperi, gli obiettivi della politica e dell'economia si
erano fusi e la competizione bellica aveva come posta
la crescita economica.
La guerra totale
illimitata invece, coinvolgeva l'intera società. Tutte le strutture
sociali, politiche, economiche e culturali subirono delle
trasformazioni a ritmo fortemente accelerato: lo sviluppo
industriale ed economico metteva a disposizione dei belligeranti
mezzi di distruzione estremamente potenti. Per la prima volta
la fitta rete delle comunicazioni ferroviarie e stradali, i
collegamenti telefonici e telegrafici furono utilizzati sull'intera
rete continentale, per scopi bellici. Le più recenti invenzioni
tecniche e scientifiche furono rapidamente riconvertite in strumenti
di morte. In primo luogo la chimica, con l'uso di gas asfissianti,
con l'invenzione del motore a scoppio si semplificava il trasporto
delle truppe e si costruì una nuova e potente arma, la cui efficacia
fu riconosciuta alla fine del conflitto: il carro armato.
Altra nuova invenzione fu l'arma aerea, sia per la
ricognizione che per i bombardamenti dall'alto (e i primi furono gli
italiani in Libia durante la guerra italo-turca del 1911/12). Tutti
gli apparati interni furono utilizzati: gli scienziati, furono
impegnati fino allo spasimo nelle ricerche, le tecniche di
organizzazione furono perfezionate e tutto l'apparato industriale
fu sconvolto dalla pressione di una domanda di prodotti bellici
travolgente.
La produzione
industriale divenne un interesse diretto dello Stato, un elemento
decisivo della sua sicurezza e in quanto tale fu assoggettata al
controllo pubblico. Requisizioni, ripartizioni pubbliche delle
materie prime, militarizzazione dei lavoratori, furono gli aspetti
più evidenti della nuova situazione.
Nasce così
l'economia moderna: programmata, centralizzata,
pianificata e organizzata dallo Stato, quindi un colpo
mortale al modello liberale e liberista.
L'accordo
Sykes-Picot, ufficialmente "Accordo sull'Asia Minore", è
un accordo segreto stipulato fra i governi del Regno Unito
e della Francia, che definiva le rispettive sfere di influenza
nel Medio Oriente dopo che si fosse sconfitto l'impero ottomano nella
prima guerra mondiale. I negoziati, condotti dal francese François
Georges-Picot e dal britannico Mark Sykes, ebbero luogo tra novembre
1915 e marzo 1916, con l'assenso della Russia. L'accordo venne poi
definitivamente firmato il 16 maggio 1916.
I termini
dell'accordo furono pubblicati dal Manchester Guardian il 26 novembre
1917.
Questo accordo,
che permise alle due potenze coloniali una supremazia
nel Vicino Oriente petrolifero e avvierà l'istituzione
di uno Stato sionista ebraico causerà conflitti,
dovuti fra l'altro a confini arbitrari tracciati col righello,
che continuano ai nostri giorni.
Nel febbraio 1917
a Mosca scoppia la rivolta e in tutto l'impero zarista
dilaga la rivoluzione russa, che rovescia il governo dell'impero
zarista. All'inizio del 1917 l'Impero russo, che da tre anni
combatteva nella prima guerra mondiale come membro della triplice
intesa, era stremato: le perdite ammontavano a più di sei milioni
tra morti, feriti e prigionieri e tranne alcune vittorie sul fronte
austriaco, ormai vanificate dagli eventi, la Russia aveva subito una
grave serie di sconfitte che avevano comportato la perdita della
Polonia, di una parte di Paesi Baltici e dell'Ucraina, portando così
il fronte all'interno dei suoi stessi confini, mentre le condizioni
del popolo si aggravavano fortemente. Il regime zarista, chiuso a
riccio nella difesa del principio dell'autocrazia, aveva ormai
perso del tutto il contatto con la realtà della Russia, al punto che
anche molti degli elementi conservatori delle classi tradizionalmente
alleate del regime, stavano prendendo coscienza che solo un'uscita di
scena di Nicola II, e forse dello stesso zarismo, avrebbero loro
permesso di mantenere il controllo dello Stato.
Il 2 marzo Duma
(il parlamento) e Soviet (comitati) di operai e soldati si
accordarono per la deposizione dello zar, e l'istituzione di
un governo provvisorio formato da cadetti, menscevichi e socialisti
rivoluzionari. Si formò il governo provvisorio di L'vov, che indusse
Nicola II ad abdicare.
Mentre lo zar e la
sua famiglia venivano arrestati, nel paese si formarono due
poteri: quello del governo provvisorio, e quello dei Soviet,
formato da delegati eletti, compresi i bolscevichi.
Contemporaneamente
si diffuse in tutto il paese il disfattismo nazionale, segno della
crescente stanchezza verso la guerra.
Il 6 aprile 1917
gli USA dichiarano guerra alla Germania. L'enorme entità
delle risorse americane garantisce un'iniezione di fiducia ai
paesi dell'Intesa. Nel corso del '17, l'Intesa godrà inoltre
dell'appoggio del Brasile e della Cina. E' in questo anno che la
guerra civile europea assume l'aspetto di conflitto mondiale.
Il leader
bolscevico Lenin, tornato dall'esilio, sostenne la necessità di
trasformare la rivoluzione borghese di febbraio in Rivoluzione
Proletaria, guidata dai Soviet, che mirasse all'instaurazione di una
società comunista. In ottobre i bolscevichi occuparono i punti
nevralgici della capitale istituendo il Consiglio dei Commissari del
Popolo, dando vita alla rivoluzione d'ottobre.
La vittoria dei
bolscevichi portò al rovesciamento del Governo Provvisorio Russo e
alla nascita della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
Dal 1917 al 1921
esploderà la Guerra civile russa che vedrà la vittoria
dell'Armata Rossa (dei bolscevichi, il cui comandante era l'ebreo
comunista Lev Trotzky, poi fatto assassinare da Stalin nel 1940)
sull'Armata Bianca (dei contro-rivoluzionari).
A seguito di ciò,
nel 1922, verrà istituita l'Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche (URSS) dove, formalmente, Lenin applicherà le teorie
sociali ed economiche di Karl Marx e Friedrich Engels, messe nel
cassetto poi dall'imperialismo di Stalin.
Dalla Rivoluzione
russa nascerà una nuova frattura nel continente; al sistema
capitalistico degli stati occidentali si contrapporrà il nuovo
sistema comunista sovietico, che nel biennio 1919-21 ispirerà in
tutta l’Europa la nascita dei partiti comunisti e, in alcuni paesi
(Germania, Ungheria, Italia), tentativi rivoluzionari, tutti peraltro
falliti.
La Russia
esce così dal sistema degli stati europei proprio
mentre una potenza extra-continentale, gli USA, interviene
nel conflitto europeo in maniera determinante per l'esito del
conflitto.
Durante le guerre
d’Italia dell'inizio del '500 infatti, era maturata la nascita di
un nuovo sistema di Stati, in cui emergevano i due assi
portanti, costituiti dal Regno di Francia e da quello spagnolo,
entrambi insediati nella penisola italiana, attorno ai quali, oltre
all’Impero tedesco, formalmente al di sopra ma nella realtà
sottoposto ad almeno uno dei due potentati, c’era l’Inghilterra,
anch’essa in una condizione di subalternità, nonché gli altri
Stati regionali italiani.
Così, come afferma Giuseppe Galasso,
si determinava un’interdipendenza obiettiva della
politica degli Stati che hanno agito nell’Europa durante le
guerre d’Italia, pertanto essi si trovavano condizionati nel
loro comportamento e nelle loro iniziative dalla presenza di una
rete di rapporti internazionali.
Sono state queste condizioni a
germinare il nuovo sistema: la stabilità e la regolarità delle
relazioni; la dinamica spontanea dei pesi e dei contrappesi
per l’esistenza di un gruppo di potenze reciprocamente
interferenti; l’inevitabilità delle sfide e delle risposte
provocata da questo genere di relazioni.
Non era ancora sviluppata la coscienza
del principio di equilibrio delle potenze di livello europeo, ma
gli avvenimenti militari e diplomatici che, dalla calata di Carlo
VIII fino alla pace di Noyon, si sono svolte su vari scenari
(soprattutto italiani) contribuirono a definire gli interessi e le
possibilità delle potenze europee le une rispetto alle altre.
Emerse, così, una chiara concezione dell’interdipendenza del
sistema politico europeo che aveva ormai unificato i sistemi
regionali precedenti. Si sviluppò la convinzione che la
libertà di ciascuna delle potenze e la sicurezza di
tutte coloro che operavano nel sistema dipendesse da un’azione
comune contro ogni potenza che sembrasse acquistare una preponderanza
eccessiva. Uno dei fenomeni più interessanti verificatosi
nell’Italia di Lorenzo il Magnifico, la nascita di un sistema
diplomatico permanente, testimonia, con l’allargamento agli Stati
europei delle ambasciate permanenti, come la coscienza dell’esistenza
di un sistema di Stati fosse divenuta una realtà dell’Europa
moderna.
(Da: https://library.weschool.com/lezione/le-guerre-ditalia-e-il-sistema-degli-stati-europei-20094.html)
(Da: https://library.weschool.com/lezione/le-guerre-ditalia-e-il-sistema-degli-stati-europei-20094.html)
Il vero vincitore
della Grande Guerra sarà una potenza extraeuropea, gli
Stati Uniti d'America, che possedeva il sistema industriale
più solido e produttivo del mondo, e che con i crediti vantati
verso le potenze belligeranti negli anni di guerra oltre ai
finanziamenti per la ricostruzione, iniziarono ad esercitarono un
forte controllo sull’economia degli stati europei. Ciò
permise a Woodrow Wilson, il presidente degli Stati Uniti, un deciso
controllo delle spartizioni dei territori occupati dai paesi
vincitori, soprattutto nei confronti dell'Italia, per via degli
accordi governativi segreti del Patto di Londra che, secondo Wilson,
nessuno avrebbero mai più dovuto stipulare. Mentre nel 1.914 il
massimo centro finanziario mondiale era Londra, la moneta di
riferimento internazionale era la sterlina e gli USA erano debitori
nei confronti dei paesi europei (fra cui la Germania, che per
produzione industriale aveva sorpassato l'UK) per 5 miliardi di
dollari, grazie alla sua produzione e vendita di armamenti ai paesi
belligeranti, gli USA vantavano nel 1.919 un credito di 10
miliardi di dollari dagli stessi, divenendo così il primo
centro finanziario mondiale, mentre il dollaro si sostituiva
al pound-sterlina come valuta di riferimento mondiale. Da
qui si scatenerà il circolo vizioso per cui i paesi debitori europei
non potevano pagare i loro debiti agli Stati Uniti finché la
Germania non li avesse indennizzati a sua volta, scatenando una crisi
economica e una disoccupazione generalizzata che, sommatasi alla
crisi del '29, genererà, un'ulteriore guerra. Il lavoro è una
garanzia di pace e probabilmente per questo motivo la nostra
Costituzione è fondata sul lavoro.
E' la fine
dell'Europa come fulcro mondiale, mentre il nuovo sistema
comunista sovietico nel biennio 1919-21 ispirerà in tutta l’Europa
la nascita di partiti comunisti e in alcuni paesi (Germania,
Ungheria, Italia), tentativi rivoluzionari, tutti peraltro falliti.
Di fronte al pericolo rosso le potenze europee favorirono
l’affermazione di regimi autoritari di destra, soprattutto negli
stati confinanti con l’Unione Sovietica, secondo la politica del
“cordone sanitario”.
Il 28 giugno
1919, nella Galleria degli Specchi del Palazzo di Versailles, non
lontano da Parigi, in Francia, viene firmato il trattato di
Versailles, uno dei trattati di pace che pone ufficialmente fine alla
prima guerra mondiale. Stipulato nell'ambito della Conferenza di pace
di Parigi del 1919/1920, è firmato da 44 Stati ed è suddiviso in 16
parti e composto da 440 articoli. A Versailles, i paesi vincitori
impongono ai vinti le loro condizioni, attribuendo loro l'esclusiva
responsabilità di aggressori. In particolare, l'articolo 231 del
Trattato di Versailles, riconosce la Germania come
"responsabile, per esserne stata la causa, di tutte le
perdite e di tutti i danni subiti dai governi alleati e associati e
dai loro nazionali in conseguenza della guerra loro imposta dalla
aggressione della Germania e dei suoi alleati". Le potenze
alleate, dunque, attribuiscono ogni responsabilità alle mire
espansionistiche e alla politica tedesca degli ultimi decenni.
Nonostante la questione abbia generato numerosi dibattiti tra gli
studiosi, è indubbio che la sconsiderata diplomazia condotta dal
Kaiser Guglielmo II e dai suoi funzionari abbia rapidamente sconvolto
l'equilibrio che il cancelliere Otto von Bismarck aveva cercato di
instaurare tra le potenze europee, contribuendo in tal modo alla
creazione delle due fazioni contrapposte degli Alleati e degli Imperi
centrali. La Conferenza di Parigi produrrà comunque una pace
“cartaginese”, simile a quella che, millenni prima, Roma
aveva imposto a Cartagine. Soprattutto la Francia, si
attribuisce il ruolo di giudice severo verso la Germania, che
subisce i suoi diktat ma che stata piegata solo dal blocco navale
interno e dal cedimento dei suoi alleati e che quindi è subito presa
dall'ossessione della “Revanche” = “Rivincita”, come
lo fu il movimento caratterizzato da acceso nazionalismo
manifestatosi in Francia dopo il 1871, nei confronti della Germania
imperiale. La Germania si impegnò così a pagare 132 miliardi di
marchi oro (6.600.000.000 di sterline), anche se l'ammontare delle
riparazioni venne in seguito ridimensionato, con l'accordo sui debiti
esteri germanici del 27 febbraio 1953. In data 3 ottobre 2.010,
la Germania ha finito di onorare i debiti imposti da quel
trattato, con il pagamento dell'ultimo importo di 69,9 milioni di
euro.
La durezza dei
trattati impressionò alcuni: «Questa non è una pace, è un
armistizio per vent'anni » commenterà, nel 1920, Ferdinand Foch,
l'ufficiale francese al comando delle forze alleate. In particolare
l'economista John Maynard Keynes, che partecipava ai
trattati in qualità di rappresentante del ministero del tesoro
britannico e in Italia il presidente del consiglio, Francesco
Saverio Nitti, misero in luce come le condizioni dei trattati,
per la Germania, fossero di una tale durezza che non si sarebbero
potuto rispettarli, se non con la dissoluzione complessiva
dell'economia e dello stato che sarebbe emerso dalle ceneri del Reich
tedesco. Keynes scrisse un libro intitolato “Le conseguenze
economiche e la pace” che trattava dell'ovvio spirito revanscista
dei tedeschi che ne sarebbe nato e che avrebbe inevitabilmente
portato ad una seconda guerra mondiale.
Dal 1919 e fino al
1933, in Germania ha governato la fragile repubblica di Weimar, che
vacillava sotto il peso degli indennizzi di guerra richiesti dai
vincitori nel trattato di Versailles. La Germania si impegnò a
pagare 132 miliardi di marchi oro (6.600.000.000 di sterline) ma
l'ammontare delle riparazioni venne in seguito ridimensionato con
l'accordo sui debiti esteri germanici del 27 febbraio 1953. In data 3
ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti
dal trattato con il pagamento dell'ultimo debito per un importo di
69,9 milioni di euro. L'effetto congiunto di quei debiti con la
grande depressione del '29 che provocò una generalizzazione
della disoccupazione, porterà la così Germania nazista ad
essere responsabile anche della seconda guerra mondiale.
Durante la seconda guerra mondiale,
l'inizio della disfatta della Germania nazista fu segnata
dalla battaglia di Stalingrado, svoltasi tra l'estate del 1942
ed il 2 febbraio 1943, che oppose i soldati dell'Armata Rossa
sovietica alle forze tedesche,
italiane, rumene
ed ungheresi per il controllo della regione strategica tra il Don
e il Volga e dell'importante centro politico ed economico di
Stalingrado (oggi Volgograd), sul fronte orientale.
La battaglia, iniziata nell'estate 1942
con l'avanzata delle truppe dell'Asse (tedeschi, italiani, rumeni ed
ungheresi) fino al Don e al Volga, ebbe termine nell'inverno 1943,
dopo una serie di fasi drammatiche e sanguinose, con l'annientamento
della 6ª Armata tedesca rimasta circondata a Stalingrado e con la
distruzione di gran parte delle altre forze germaniche e dell'Asse
impegnate nell'area strategica meridionale del fronte orientale. Le
truppe italiane furono massacrate e i pochi che tornarono, dovettero
farlo a piedi, fra i ghiacci della steppa russa. Questa lunga e
gigantesca battaglia, definita da alcuni storici come "la più
importante di tutta la Seconda guerra mondiale", segnò la prima
grande sconfitta politico-militare della Germania nazista e dei suoi
alleati e satelliti, nonché l'inizio dell'avanzata sovietica verso
ovest che sarebbe terminata due anni dopo con la conquista del
palazzo del Reichstag e il suicidio di Hitler nel bunker della
Cancelleria durante la battaglia di Berlino. Quindi furono i
sovietici i primi a vincere decisamente sui tedeschi e furono loro a
prendere Berlino.
Nel
1944, nella
conferenza di Bretton Woods, gli Alleati atlantici, in procinto di
vincere la II guerra mondiale, sebbene la sconfitta della Germania
fosse iniziata nel 1942 grazie alla disfatta nazi-fascista
inflitta dai Sovietici a Stalingrado, si erano sostanzialmente
stabiliti due primati:
1. Il dollaro, moneta della
prima potenza industriale mondiale, era la valuta usata negli scambi
internazionali,
2. Nella Borsa di Londra
venivano gestiti la maggioranza di tali scambi.
John Maynard Keynes aveva comunque
appurato che la povertà (dovuta alla disoccupazione e al
risarcimento di eccessivi danni di guerra nel caso della Germania)
aveva favorito la proliferazione di Stati autoritari e l'influenza
del pensiero keynesiano aveva guidato il dibattito.
Il sistema di regole partorito
nell'incontro (dal quale si disse che Keynes uscì ad ogni modo
sconfitto), pur consentendo la libera circolazione dei capitali,
attribuiva ai paesi la possibilità di un controllo in via
amministrativa dei flussi e favoriva la gestione autonoma della
politica monetaria (attraverso il rialzo o la riduzione dei tassi di
interesse), pur lasciando ancorate le monete alla valuta di
riferimento del dollaro (a sua volta legato all'oro, con l'obbligo
per la Federal Reserve di convertire i dollari in oro al
rapporto fisso di 35 dollari l'oncia ), puntando al
raggiungimento della piena occupazione da parte degli
stati aderenti.
Nel
1945, dal 4
all'11 febbraio, alla Conferenza di Jalta, in Crimea,
Churchill (primo Ministro britannico), Roosevelt (presidente degli
USA) e Stalin (capo dello Stato Sovietico) definiscono il nuovo
assetto europeo. L'alleanza in tempo di guerra tra Stati Uniti
ed Unione Sovietica fu un'eccezione del normale tenore delle
relazioni tra i due paesi. La rivalità strategica tra le due
vaste nazioni, future superpotenze, risale al 1890 quando,
dopo un secolo di amicizia, durante il quale, fra l'altro, la Russia
vendette agli USA l'Alaska, americani e russi divennero rivali nello
sviluppo della Manciuria.
La Russia zarista, incapace di
competere industrialmente, cercò di chiudere e colonizzare parti
dell'Asia Orientale, mentre gli americani richiedevano la
competizione aperta per i mercati. Nel 1917, la rivalità divenne
intensamente ideologica. Gli americani non dimenticarono mai che
l'appena costituito governo sovietico, a causa della situazione
interna, negoziò una pace separata con la Germania nella Prima
guerra mondiale, lasciando gli Alleati soli a combattere le Potenze
Centrali. D'altra parte la sfiducia sovietica nei confronti degli USA
derivava dallo sbarco di truppe statunitensi in Russia nel 1918, le
quali furono coinvolte, direttamente o indirettamente, nell'assistere
i Bianchi zaristi anti-bolscevichi nella guerra civile russa. Da
parte degli Alleati, la rottura da parte dell'URSS del Patto di
Monaco del 1938 e la successiva firma del Patto Molotov-Ribbentrop
con il terzo Reich del 1939, contribuirono ad alimentare un clima di
sfiducia nei confronti dei sovietici.
Durante il secondo conflitto mondiale,
i sovietici non dimenticarono le ripetute assicurazioni, a lungo
disattese, di Franklin D. Roosevelt, che USA e Regno Unito avrebbero
aperto un secondo fronte sul continente europeo. Infatti, mentre gli
USA combattevano nel Mediterraneo e in Italia, prestavano aiuto ai
sovietici solo bombardando pesantemente l'Europa Continentale e
un'invasione Alleata su vasta scala del continente avvenne solo nel
D-Day del giugno 1944, più di due anni dopo la richiesta dei
sovietici e alla fine della guerra, l'URSS aveva sofferto perdite
tremende, fino a venti milioni di morti.
Ma nonostante questi precedenti, a
Jalta, Franklin Delano Roosevelt doveva essere sinceramente convinto
dell'esigenza di una pace duratura e probabilmente non pensava di
aprire le ostilità contro Stalin, come invece avrebbe fatto Winston
Churchill... ma morì il 12 Aprile 1945.
Gli successe Harry S. Truman,
che diventò presidente degli USA dall'aprile 1945, ed era
determinato ad aprire i mercati mondiali al capitalismo e a
modellare il mondo del dopoguerra secondo i principi stilati poi
nella Carta Atlantica: autodeterminazione, pari accesso economico, e
un ricostruito capitalismo in Europa, che potesse servire nuovamente
come centro degli affari mondiali. Ma non solo: Truman, e Eisenhower
dopo di lui, si impegnarono soprattutto in una competizione
internazionale con l'URSS e il blocco comunista. La lotta al
comunismo ebbe risvolti anche all'interno degli USA, dando luogo ad
una vera e propria “caccia al comunista”, il Maccartismo.
L' 8 maggio 1945 la Germania
si arrende mentre il Giappone si arrenderà in agosto, dopo lo
sgancio di due bombe atomiche americane. Le truppe sovietiche e
quelle degli Alleati occidentali (USA, Regno Unito e Francia), erano
dispiegate in determinate posizioni, essenzialmente lungo una linea
al centro dell'Europa che venne chiamata Linea Oder-Neisse. Secondo
lo spirito di Jalta, i vincitori potevano stare dove si trovavano e
nessuno avrebbe usato la forza diretta per cacciar via gli altri. A
parte alcuni aggiustamenti minori, questa sarebbe diventata la
"Cortina di ferro" della Guerra Fredda.
La Germania fu suddivisa nella
Repubblica Federale Tedesca (RFT) a ovest, con capitale Bonn e nella
Repubblica Democratica Tedesca (RDT) a est, in tedesco Deutsche
Demokratische Republik, abbreviato in DDR, con capitale Berlino-est.
Tale prospettiva si applicava anche all'Asia, come evidenziato
dall'occupazione statunitense del Giappone e dalla divisione della
Corea. Così Berlino, simbolo del nazismo e capitale della
Germania hitleriana, venne a trovarsi nel territorio della Germania
Est, ossia sotto l'influenza sovietica, benché suddivisa fra i
vincitori del conflitto in 4 zone, tre delle quali, a Berlino ovest,
controllate dagli Alleati democratici, con un corridoio via terra,
all'interno della Germania dell'est, per poterla raggiungere. La
quarta zona, Berlino est (la parte orientale della città) rimase
appannaggio dell'Unione Sovietica, divenendo la capitale della
Germania orientale, la RDT.
Nel 1947 scatta
in aiuto dell'Europa distrutta, il Piano Marshall. Il piano
Marshall servì a dissuadere le simpatie verso il mondo comunista e a
ricostruire il capitalismo in Europa da una parte, e a finanziare una
ricostruzione dai danni provocati in larga parte dai bombardamenti
angloamericani stessi dall'altra.
Nel marzo 1947 l’Italia aderisce
agli accordi monetari di Bretton Woods ed entra a far parte
nel Fmi.
Il 24 giugno 1948 si verifica il
blocco di Berlino. Dopo mesi durante i quali i sovietici
avevano iniziato a manifestare disagio e dissenso sulla situazione
territoriale e logistica "anomala" di Berlino (con
un'enclave occidentale in territorio filo-sovietico), che permetteva
alle genti sottoposte al regime socialista di transitare facilmente
all'ovest trovandovi rifugio, il 24 giugno decisero di chiudere il
corridoio terrestre attraverso il quale Berlino ovest era connessa al
mondo occidentale impedendo, di fatto, il suo approvvigionamento
logistico: il successivo ponte aereo, organizzato dal mondo
occidentale per assicurare la sopravvivenza della popolazione di
Berlino Ovest, è entrato nella storia. Questa vicenda impressionò
le popolazioni occidentali e, di fatto, fornì la motivazione
per istituire un'Alleanza militare del mondo occidentale
contro la minaccia sovietica, inaugurando la Guerra Fredda,
una guerra fra paesi democratici e comunisti che non poteva essere
combattuta con le armi poiché con l'uso delle armi nucleari non
ci sarebbero stati vincitori ma solo morte e distruzione.
I paesi occidentali concretizzarono
così le mire del presidente degli USA, Harry S. Truman, costituendo
la NATO, (in inglese North Atlantic Treaty Organization, in
sigla NATO e in francese Organisation du Traité de l'Atlantique du
Nord, in sigla OTAN) il patto atlantico di alleanza militare in
funzione anti-sovietica. Il trattato istitutivo della NATO, fu
firmato a Washington D.C. il 4 aprile 1949 ed entrò in
vigore il 24 agosto dello stesso anno. Attualmente, fanno parte della
NATO 28 stati del mondo. Il Patto Atlantico traeva origine dalla
percezione che il cosiddetto mondo occidentale (costituito da Stati
Uniti d'America, Canada, Regno Unito, Francia, Norvegia, Italia ed
altri Paesi dell'Europa occidentale), dopo la seconda guerra
mondiale, stesse cominciando ad accusare tensioni nei confronti
dell'altro paese vincitore della guerra, ossia l'Unione Sovietica,
con i suoi Stati satellite. Iniziava infatti a svilupparsi, nelle
opinioni pubbliche occidentali, il timore che il regime sovietico
potesse "non accontentarsi" della propria influenza nei
territori che aveva occupato al termine della seconda guerra mondiale
ma, radicalizzando i contenuti ideologici nelle società
democratiche, ambisse ad espandersi per l'affermazione globale
dell'ideologia comunista. Ciò generò un movimento di opinione che -
anche grazie alle varie attività in tal senso organizzate dagli
Stati Uniti d'America - iniziò a svilupparsi in modo generalizzato
nei paesi occidentali e che richiedeva la sicurezza del mondo
occidentale dalla minaccia comunista; la NATO, quindi, rispondeva
all'esigenza di allearsi e di mettere a fattor comune i propri
dispositivi di difesa, per reagire "come un sol uomo" ad un
eventuale attacco da parte dei comunisti.
Il 18 aprile 1951 gli Stati
europei filo-atlantici, per facilitare una reciproca ripresa
industriale, firmano, con l'ennesimo Trattato di Parigi, la
CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio), su
iniziativa dei politici francesi Jean Monnet e Robert Schuman (il
cosiddetto Piano Schuman o dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950),
con lo scopo di mettere in comune le produzioni di queste due materie
prime in sei paesi europei: Belgio, Francia, Germania Occidentale,
Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.
La CECA fu l'istituzione che precorse
la strada del Trattato di Roma, con il quale venne costituita la
Comunità economica europea, divenuta Unione europea nel 1992.
L'istituzione della NATO convinse
l'URSS ad istituire, nel 1955, il "Patto di
Varsavia", l'alleanza militare fra URSS e i paesi dell'est
europeo, che aveva occupato in tempo di guerra e in cui erano stati
instaurati governi filo-sovietici.
Nel 1957, con i Trattati di
Roma del 25 marzo, i sei
Stati europei della CECA fondano la Comunità Economica Europea (CEE
o MEC, Mercato Comune Europeo), un'organizzazione che ha
costituito il "Primo pilastro" della successiva Unione
europea e la CEEA (Comunità Europea dell'Energia Atomica,
istituita allo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli stati
membri relativi all'energia nucleare ed assicurare un uso pacifico
della stessa.
Considerata la più importante delle
Comunità europee, appena nata, CEE
stava per "comitato economico europeo". I trattati di Roma
entrarono in vigore il 1º gennaio 1958, dando così vita effettiva
alla Comunità economica europea che aveva nei suoi obiettivi
l'unione economica dei suoi membri, fino a portare ad
un'eventuale unione politica. Lavorò per il libero movimento dei
beni, dei servizi, dei lavoratori e dei capitali,
per l'abolizione dei cartelli e per lo sviluppo di politiche
congiunte e reciproche nel campo del lavoro, dello stato sociale,
dell'agricoltura, dei trasporti, del commercio estero.
La Comunità Europea sarà guidata dal
punto di vista monetario dal «serpente
monetario» nel 1972 e dal Sistema Monetario Europeo (SME) dal
1979. Con l'adozione del Trattato di Lisbona il 1º dicembre 2009
essa, formalmente, non esiste più (è stata assorbita dall'Unione
europea).
Nel 1956 il Regno Unito aveva
proposto che il Mercato Europeo Comune (MEC) fosse esteso in una più
ampia area di libero scambio rispetto a quella dei sei Stati della
CECA, ma nel novembre 1958 la Francia pose il veto sulla creazione
della nuova area, così il Regno Unito insieme alla Svezia si fecero
promotori dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA),
concretizzatosi nel 1960, insieme ad altri paesi non membri CEE
(Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno
Unito).
Tra il 1949 e il 1961, circa 2,7
milioni di persone avevano lasciato la Germania orientale, la RDT e
Berlino Est: il flusso di fuggiaschi era costituito per circa la metà
da persone giovani, sotto i 25 anni, e poneva la dirigenza della RDT
davanti a difficoltà sempre maggiori. Quotidianamente circa mezzo
milione di persone passava i confini dei settori di Berlino in
entrambe le direzioni e quindi potevano confrontare le differenze
della qualità della vita fra un settore e l'altro. Solo nel 1960,
circa 200.000 persone si trasferirono stabilmente nell’Ovest e la
RDT si avvicinava al collasso sociale ed economico.
Nelle prime ore del 13 agosto 1961, le
maestranze di Berlino Est fecero erigere sbarramenti provvisori nei
confini con Berlino Ovest e furono tolti tratti di pavimentazione
sulle strade di collegamento fra i due settori. La scelta di una
domenica di ferie in piena estate aveva un senso preciso. Nelle
settimane e nei giorni successivi, gli sbarramenti di filo spinato
sui confini fra Berlino Ovest ed Est furono sostituiti da un muro
di lastre di cemento e blocchi forati, costruito da lavoratori
edili di Berlino Est controllati pesantemente da sentinelle di
frontiera della RDT. Gli edifici sul confine furono trasformati in
fortificazioni. In Bernauer Straße, in cui i marciapiedi
appartenevano al distretto di Wedding (Berlino Ovest), mentre la fila
di edifici a sud apparteneva al distretto di Mitte (Berlino Est), il
governo della RDT fece murare le entrate delle case e le finestre al
piano terradel lato ovest e gli abitanti potevano accedere alle loro
abitazioni solo passando dalla parte dei cortili che si trovavano
dalla parte di Berlino Est.
Già prima del 1961 si erano verificati
numerosi sfratti forzati, non solo in Bernauer Straße, ma anche in
altre zone di confine. Attraverso la costruzione del Muro, da un
giorno all’altro furono tagliate e separate strade, piazze, case e
i collegamenti del traffico urbano furono interrotti. La sera del 13
agosto il borgomastro Willy Brandt disse davanti al parlamento di
Berlino: "L’amministrazione (il Senat) di Berlino denuncia
davanti a tutto il mondo le misure illegali e inumane di chi divide
la Germania, opprime Berlino Est e minaccia Berlino Ovest". Il
25 ottobre 1961 carri armati americani e sovietici si fronteggiarono
al "passaggio per stranieri", il Checkpoint Charlie:
soldati delle truppe di frontiera della RDT avevano appena tentato di
controllare rappresentanti degli alleati occidentali che stavano
entrando nel settore sovietico. Agli occhi degli americani questo
comportamento infrangeva il diritto vigente alla libertà di
movimento illimitata in tutta la città. Per 16 ore si fronteggiarono
così, a solo pochi metri di distanza, entrambe le potenze nucleari.
Per i contemporanei fu un momento di altissimo pericolo, ma
all'indomani tutte e due le parti si ritirarono; un’iniziativa
diplomatica di J. F. Kennedy, il presidente degli Stati Uniti, favorì
infatti la dichiarazione del capo del PCUS e dello stato sovietico,
Cruschow, che confermava lo status di divisione di Berlino fra le
quattro potenze di Francia, Gran Bretagna, USA e URSS.
Tra Berlino Ovest e Berlino Est la
frontiera fu fortificata da due muri paralleli di cemento
armato, separati da una cosiddetta "striscia della morte",
larga alcune decine di metri. Durante quegli anni, furono uccise
dalla polizia di frontiera della DDR almeno 133 persone, mentre
cercavano di superare il muro verso Berlino Ovest.
Alcuni studiosi sostengono che furono
più di 200 le persone uccise mentre cercavano di raggiungere Berlino
Ovest o catturate ed in seguito assassinate. Il muro divise in due la
città di Berlino per 28 anni, dal 13 agosto del 1961 fino al 9
novembre 1989.
Nel
1971 collassa il Sistema di Bretton Woods e
viene stipulato lo Smithsonian Agreement (Accordo
smithsoniano), raggiunto dai membri del G10 nel 1971 per rimediare al
caos monetario seguito alla fine del Sistema di Bretton Woods
provocato dagli USA.
Nell'agosto 1971, infatti, il
presidente statunitense Richard Nixon aveva approvato la legge
che sospendeva l'obbligo per la Federal Reserve di
convertire i dollari in oro al rapporto fisso di 35 dollari
l'oncia, stabilito nel 1944 a Bretton Woods. Al contempo, fu
introdotta una tassa del 10% sulle importazioni negli Stati Uniti.
Finiva così l'epoca dello standard oro-dollaro.
Tale decisione rischiava però di
provocare il caos nell'economia mondiale, che si trovava
improvvisamente senza un sistema monetario internazionale. Fu così
che nel dicembre dello stesso anno, i rappresentanti del Gruppo dei
Dieci si riunirono a Washington, presso lo Smithsonian Institute. Ne
nacque il cosiddetto Smithsonian Agreement, con il quale si decise
una svalutazione del dollaro del 7,9% fissando un cambio di 38
dollari per oncia d'oro.
Tuttavia, non fu ripristinato l'obbligo
per gli Stati Uniti di scambiare dollari con oro. Furono anche
modificati i tassi di cambio tra le altre monete e si stabilì una
banda di oscillazione del 2,25% attorno alle nuove parità. Infine,
fu abolita la nuova tassa americana sulle importazioni.
Nello stesso 1971, una scoperta
scientifica fornirà una nuova arma al sistema finanziario
liberista occidentale per la conquista globale, attraverso
l'informatizzazione degli scambi finanziari e la creazione di
capitali virtuali.
Intel - con sede a Santa Clara, in
California - all'inizio produceva componenti per memorie e durante
gli anni settanta era divenuta leader nella produzione di memorie
DRAM, SRAM e ROM. Da quando però nel 1971 Marcian Hoff, Federico
Faggin, Stanley Mazor e Masatoshi Shima costruirono il primo
microprocessore, l'Intel 4004, la produzione si spostò verso quella
dei microprocessori facendo diventare Intel una dei colossi in questo
settore.
A metà del 1969 un gruppo di ingegneri
della ditta giapponese Busicom, fra cui Masatoshi Shima, si recò in
California a visitare la Intel, che allora era una “startup”,
cioè una ditta da poco avviata. Il loro obiettivo era negoziare lo
sviluppo di sette circuiti integrati, necessari per realizzare il
loro progetto di una serie di calcolatrici da tavolo.
Il capo del dipartimento di
"Application Research", Ted Hoff, dopo aver esaminato
l'architettura Busicom, inizialmente ripartita su sette chip, di cui
3 erano dedicati a fare la funzione di una CPU specializzata, ebbe
l'idea di semplificarla in soli quattro chip, implementando la CPU in
un unico chip. La proposta di Hoff consisteva in un'architettura a
blocchi ed un set di istruzioni formulate con l'aiuto del suo
assistente Stanley Mazor; l'idea fu proposta a Busicom, che accettò
e il gruppo rientrò in Giappone nel mese di ottobre del 1969. Ted
Hoff a questo punto considerava finito il suo lavoro ed il progetto
fu trasferito ad un altro dipartimento, il dipartimento MOS di cui
era a capo Les Vadasz. Né Hoff né Mazor dettero ulteriori
contributi nelle critiche fasi di design e sviluppo del progetto in
quanto non erano progettisti di chip e non avrebbero potuto
progettare un chip della complessità del 4004. Il progetto languì
per molti mesi accumulando un grande ritardo rispetto ai tempi
pattuiti con la Busicom, finché Federico Faggin fu assunto da Vadasz
alla Intel come capo-progetto e designer dei chip agli inizi di
aprile del 1970. Faggin preparò una nuova tabella di marcia che
richiedeva l'aiuto di un secondo ingegnere per ridurre il ritardo. La
Busicom accettò la nuova tempistica e Shima rimase in California per
sei mesi ad aiutare Faggin. Shima era un software e logic designer, e
non aveva alcuna esperienza di chip design, però aveva molta voglia
di imparare ed affiancò Faggin, per sei mesi, collaborando con lui
soprattutto nella delicata fase di controllo dei circuiti e della
logica. Tornato in Giappone Shima si occupò poi di sviluppare il
software per la calcolatrice, il primo prodotto commerciale che usò
il 4004.
Lavorando con grande accanimento Faggin
riuscirà a completare il primo microchip digitale con successo
nel tempo record di nove mesi. Il 4004 fu completamente funzionale
verso la metà di marzo 1971. Faggin in seguito convinse i
manager della Intel a introdurre il chip sul mercato anche se il
progetto originale era un progetto esclusivo per il cliente Busicom.
Busicom aveva infatti richiesto un abbassamento del costo dei chip
della famiglia MCS-4, ed Intel accettò a patto di poter usare la
nuova CPU in sistemi che non fossero calcolatrici elettroniche.
Busicom accettò e nel novembre del 1971 Intel annunciò al pubblico
il 4004 con lo slogan "Annuncing a new era of integrated
electronics". L'Intel 4004 fu messo in commercio con un
formato a 16 piedini dual in-line il 15 novembre del 1971 ed
era costituito da circa 2.300 transistor.
Nel
1972 i paesi della Comunità Economica Europea (CEE)
si accordano per mantenere stabili i tassi di cambio attraverso
operazioni finanziarie, dando vita al cosiddetto «serpente
monetario», che si scioglie due anni dopo con l'uscita di
Francia e Italia.
Nell'ottobre 1972 è creato il
fondo europeo per la cooperazione monetaria, che stanziava gli
ECU (o Unità di conto europea: un paniere di monete, che
fluttuavano entro il 2.25% - 6% per la lira, a causa del suo elevato
tasso di inflazione - attorno alla parità nei tassi di cambio
bilaterali con altri paesi membri.alle banche centrali dei paesi
membri in cambio di depositi in oro e dollari USA.
Gli aggiustamenti periodici
incrementavano i valori delle monete forti e diminuivano quelli delle
monete più deboli, ma dopo il 1986 i cambi nei tassi nazionali di
interesse erano soliti mantenere le valute entro un intervallo
ristretto.
Dal 1973 con l'ingresso di Regno
Unito, Irlanda e Danimarca nella CEE, EFTA e
CEEA (Comunità Europea dell'Energia Atomica, istituita
contemporaneamente alla CEE con i trattati di Roma del 25 marzo 1957
allo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli stati membri
relativi all'energia nucleare ed assicurare un uso pacifico della
stessa) negoziarono una serie di accordi per assicurare uniformità
nelle politiche economiche delle due organizzazioni, sfociata infine
nell'accordo per lo Spazio economico europeo (SEE). Nel 1995,
di membri che non siano poi entrati nell'UE, rimanevano
nell'organizzazione solo Islanda, Liechtenstein, Norvegia e
temporaneamente la Svizzera, poi uscita dopo l'esito di un referendum
popolare.
Il 13
marzo 1979 entra in vigore il sistema monetario
europeo, detto anche SME, sottoscritto dai paesi membri
dell'allora Comunità Europea (ad eccezione della Gran Bretagna,
entrata nel 1990), costituì un accordo per il mantenimento di una
parità di cambio prefissata (stabilita dagli Accordi di cambio
europei), che poteva oscillare entro una fluttuazione del ±2,25%
(del ±6% per Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo), avendo a
riferimento una unità di conto comune (l'ECU), determinata in
rapporto al valore medio dei cambi del paniere delle divise dei paesi
aderenti.
Nel caso di eccessiva rivalutazione o
svalutazione di una moneta rispetto a quelle del paniere, il governo
nazionale doveva adottare le necessarie politiche monetarie che
ristabilissero l'equilibrio di cambio entro la banda. Il sistema
prescriveva inoltre che ogni Stato membro conferisse a un fondo
comune il 20% delle riserve in valuta e in oro. Lo SME fu istituito
su impulso del presidente francese Giscard d'Estaing e dal
cancelliere tedesco Helmut Schmidt; venne concepito alla luce del
decennio precedente caratterizzato da una forte inflazione in Europa
e nei paesi occidentali, con la volontà di garantire la stabilità
dei cambi. Cessò di esistere il 31 dicembre 1998, con la creazione
dell'Unione economica e monetaria.
Lo SME, in seguito alle turbolenze che
nel 1992 avevano colpito il meccanismo di cambi (e avevano portato
all'uscita di Gran Bretagna e Italia), fu revisionato nel 1993 con
l'allargamento degli Accordi europei di cambio, che portarono ad un
innalzamento dei margini di oscillazione della valuta fino al ±15%,
un maggiore coordinamento delle politiche monetarie, e l'ulteriore
liberalizzazione dei movimenti di capitale. Fu inoltre costituito nel
1994 l'Istituto monetario europeo, con sede a Francoforte, antenato
della Banca centrale europea.
Il sistema monetario voleva,
contrariamente al pensiero keinesiano, realizzare un mercato
finanziario unico, con libera circolazione di capitali (nel 1990
l'Italia dichiara la libera circolazione dei capitali), e creare uno
spazio finanziario al cui interno fosse stabilito un tasso di cambio
rigido (nominale, mentre quello reale, legato all'inflazione,
rimaneva profondamente squilibrato tra i vari paesi). Non era più
possibile quindi sostenere la domanda globale da parte degli stati
(attraverso politiche monetarie espansive), venendo anche accantonato
l'obiettivo del pieno impiego. Gli stati erano obbligati a recepire
il saggio di cambio dai vincoli esterni e l'equilibrio finanziario
prevaleva sul progetto keynesiano del perseguimento delle politiche
fiscali espansive ai fini dell'abbattimento della disoccupazione. In
questa situazione sebbene le importazioni di capitali consentissero
di bilanciare il conto della partite correnti, ciò avveniva a costo
di un forte rialzo dei tassi di interesse, sia sul debito pubblico,
sia sul debito contratto dai soggetti privati, deprimendo gli
investimenti e di conseguenza l'occupazione.
Il Sistema monetario europeo era un
progetto in cui la maggior parte delle nazioni della Comunità
economica europea vincolavano le loro monete onde prevenire
troppo ampie fluttuazioni reciproche.
Gli elementi basilari dello SME erano:
- L'ECU o Unità di conto europea: un
paniere di monete, che fluttuavano entro il 2.25% (6% per la lira, a
causa del suo elevato tasso di inflazione) attorno alla parità nei
tassi di cambio bilaterali con altri paesi membri.
- Un meccanismo di tasso di cambio.
Il destino del sistema monetario italiano passa
dalle mani dello Stato a quelle della finanza speculativa
attraverso una sequenza di eventi:
Nel
1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta
e il Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azelio Ciampi,
decretano il divorzio tra il ministero del Tesoro e
Banca d'Italia, con una lettera di Andreatta a Ciampi del
12-02-1981. Cessa quindi l'obbligo di Banca d'Italia di acquistare
tutti i titoli di stato che venivano emessi dal ministero del Tesoro
per finanziare il deficit dello stato stesso. Questo porterà
all'acquisto di titoli di stato da parte delle grandi banche
commerciali che, comprando i titoli, costringerà lo stato a pagare
loro interessi, generando così un debito vero che passerà dai 142
miliardi dell'81 (falso debito, in quanto alla Banca d'Italia bastava
stampare il denaro per ripianarlo) a ben 850 miliardi nel 1992
(debito vero, in quanto contratto con banche commerciali private, che
lo stato e quindi il popolo dovrà ripagare sotto forma di tassazione
forzata). (Da https://www.investireoggi.it/forums/threads/nel-1981-il-ministro-del-tesoro-andreatta-e-il-governatore-della-banca-ditalia-azeli.79186/)
Beniamino Andreatta, detto Nino (Trento, 11 agosto 1928 - Bologna, 26 marzo 2007), è stato un economista, politico e accademico italiano. La vicinanza con Moro favorì la sua ascesa politica all'interno della Democrazia Cristiana, e dal 1976 al 1992 fu ininterrottamente parlamentare della DC. Ricoprì numerosi incarichi ministeriali di rilievo: nel 1979 fu Ministro del bilancio e della programmazione economica nel primo governo di Francesco Cossiga e senza portafoglio "con incarichi speciali" nel secondo governo Cossiga (agosto 1979 - ottobre 1980). Fu Ministro del tesoro dall'ottobre 1980 al dicembre 1982 nel governo di Arnaldo Forlani e nei governi di Giovanni Spadolini I e II. Nel luglio del 1982 provocò la cosiddetta "lite delle comari" con il ministro delle Finanze socialista Rino Formica, che fece cadere il governo Spadolini II. Non partecipò ai successivi governi di Bettino Craxi e di Giulio Andreotti, soprattutto perché scettico nei confronti dell'indirizzo economico adottato da quest'ultimo.
Beniamino Andreatta |
Lettera di Andreatta a Ciampi. |
Carlo Azeglio Ciampi |
Risposta di Ciampi. |
L'avventura di Carlo De Benedetti in
Olivetti come presidente si è conclusa nel 1996 quando, a causa di
una grave crisi dell'azienda, decise di lasciare la guida dopo 18
anni e tuttavia rimase il principale azionista, pur mantenendo il
ruolo di presidente onorario. Olivetti allora, insieme a Bell
Atlantic fondò Infostrada S.p.A., operatore di rete fissa. Tuttavia
questa operazione non riuscì a risollevare Olivetti da una grave
crisi che la colpì a metà degli anni novanta a causa
dell'intensificarsi della competizione globale, della caduta dei
prezzi e dei margini in tutta l'industria informatica mondiale, della
debolezza del mercato europeo e in particolare di quello italiano.
Per tutti questi motivi Olivetti a partire dal 1996 iniziò una lunga
e onerosa ristrutturazione delle attività. Nel 1997 il gruppo
Olivetti vendette l'Olivetti Personal Computers (OPC) di Scarmagno
alla Piedmont International (successivamente questa parte di azienda
Olivetti passò nelle nuove mani della ICS e in un successivo crac
finanziario, nell'ultima incarnazione si chiamò Oliit, fallita in
ultimo nel 2004).
Nel
1985, con
l'elezione di Michail Gorbačëv quale segretario generale del
Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS) inizia una nuova fase
nella storia dell'U.R.S.S.
Gorbaciov fu sostenitore di una
innovativa politica per l'Unione Sovietica fondata sui concetti
chiave di perestrojka (ristrutturazione del sistema economico
nazionale) e alla glasnost (trasparenza) volta al superamento
dei problemi socio-economici della superpotenza sovietica.
Questa politica di riforme, se da un lato portò alla fine della
Guerra fredda e alla fine dell'isolamento internazionale
dell'U.R.S.S., dall'altro lato portò all'emersione dei problemi
economici dello Stato che fino ad allora erano stati
caparbiamente nascosti. La fine della rigida politica di repressione
interna, la recessione economica e l'ammissione della fragilità del
sistema politico fecero emergere ben presto i contrasti, gli odi
razziali e le spinte indipendentistiche dei numerosi popoli
che erano stanziati nello sterminato territorio dell'impero sovietico
e che fino a quel momento erano state tenute sotto controllo
dall'apparato centrale.
Nel 1988 si stipulano gli
Accordi di Basilea, linee
guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche,
redatte dal Comitato di Basilea, costituito dagli enti regolatori
del G10 più il Lussemburgo, allo scopo di perseguire la
stabilità monetaria e finanziaria.
Gli accordi (assieme alle linee guida,
agli standard e alle raccomandazioni) sono una particolare forma
operativa attraverso cui il Comitato agisce e sono stabiliti
nell'aspettativa che le singole autorità nazionali possano redigere
disposizioni operative che tengano conto delle realtà dei singoli
stati. Infatti il Comitato, pur non avendo capacità regolamentare
autonoma, riesce a conferire efficacia all'attività svolta, in
quanto i paesi che vi aderiscono sono implicitamente vincolati e
quelli che non aderiscono si adeguano a quello che, di fatto,
diventa uno standard regolamentare. In questo modo il Comitato
incoraggia la convergenza verso approcci e standard comuni.
Essendo centrale la solidità
patrimoniale degli istituti di credito, diviene priorità dell'ente
regolatore concentrarsi sul rischio. Questo approccio introduce alle
principali innovazioni del settore creditizio: sviluppo di una
nuova cultura sui rischi, standardizzazione delle tecniche ed
individuazione delle best practices, appostamenti in funzione
dell'esposizione corretta per il rischio.
Basilea I (il primo Accordo di
Basilea del 1988) contiene la prima definizione e la prima misura
(standard) del capitale minimo bancario accettate a livello
internazionale. L'assunto di fondo è che a ciascuna operazione di
prestito deve corrispondere una quota di capitale regolamentare da
detenere a scopo precauzionale (cd. onere di capitale). Il capitale
obbligatorio si determina confrontando l'entità del capitale o
patrimonio di vigilanza (detto anche capitale eligibile) e
l'ammontare delle attività bancarie impiegate nella concessione di
prestiti (banking book) ponderato per il rischio di credito (ossia di
mancato o tardivo rimborso da parte dei prenditori). Per un gruppo
bancario, il patrimonio di vigilanza bancario deve essere pari ad
almeno l'8% delle attività creditizie ponderate per il rischio
di credito (Coefficiente di solvibilità). L'Accordo di Basilea
obbligava le banche ad accantonare l'8% del capitale erogato, non
investibile in attività creditizia tipica, né in attività
para-assicurative, né in operazioni finanziarie sui mercati
mobiliari, al fine di garantire solidità e fiducia nel sistema
creditizio.
Col tempo, l'Accordo si è rivelato
inadatto a fronteggiare le nuove sfide poste in essere dalle nuove
tecnologie di comunicazione, prodotti finanziari, mercati bancari e
dalle tecniche di gestione dei rischi (risk management). In
particolar modo, non vengono presi in considerazione i rischi
derivanti dalle operazioni sui mercati immobiliari e non sono
accuratamente misurati i rischi di credito, che vengono piuttosto
sottostimati. La principale conseguenza di ciò è l'arbitraggio,
ossia una certa elusione del vincolo di capitale minimo imposto nel
1988. In pratica, a fronte del rispetto apparente della formula di
Basilea I, il management bancario è incentivato a:
- concedere i tradizionali
prestiti alle controparti relativamente più rischiose;
- intraprendere operazioni
finanziarie innovative sempre più sofisticate e con un basso
o nullo onere di capitale corrispondente.
Per far fronte a queste nuove
problematiche si è provveduto ad una revisione dell'Accordo,
culminata con il cosiddetto Basilea II.
Basilea II (Il Nuovo Accordo di
Basilea del 2004, operativo nel 2007) si rende necessario dato che
l'accordo del 1988 presentava il limite evidente che
l'accantonamento era indifferente al rischio della controparte
(essendo troppo per una controparte poco rischiosa e troppo poco per
una controparte giudicata rischiosa) e finiva con il penalizzare le
banche con portafogli con un merito di credito più elevato. Nel
gennaio 2001 il Comitato di Basilea diffuse il New Basel Capital
Accord (in Italia noto come Nuovo Accordo di Basilea o più
semplicemente Basilea II), un documento di consultazione (da definire
entro fine 2003 e a cui dare efficacia per la fine del 2006) per
definire la nuova regolamentazione in materia di requisiti
patrimoniali delle banche ed ovviare agli inconvenienti suddetti.
L'11 maggio 1989 in Italia
si svolge un Referendum di indirizzo sul seguente quesito:
"Ritenete voi che si
debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una
effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al
Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di
redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre
direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri
della Comunità?" e l'88 %
degli italiani vota entusiasticamente SÌ,
ma io NO.
Il 9 novembre 1989 il governo
tedesco-orientale decreta l'apertura delle frontiere con la
repubblica federale tedesca. Già l'Ungheria aveva aperto le proprie
frontiere con l'Austria il 23 agosto 1989, dando così la possibilità
di espatriare in occidente a coloro che in quel momento si trovavano
lì in vacanza.
Quelli che nel giro di pochissimo tempo
portarono alla riunificazione tedesca, furono due fattori
decisivi:
- l'arrivo di Gorbaciov come
leader dell'Unione Sovietica,
- le crescenti difficoltà politiche
ed economiche dei paesi dell'est, specialmente della DDR.
Gorbaciov istituì la "Perestroika", cioè la radicale
ristrutturazione della politica e dell'economia sovietiche e la
"Glasnost", che esigeva la trasparenza nella gestione della
politica. Decisivo per gli eventi che portarono infine alla caduta
del muro fu anche la decisione di Gorbaciov di lasciare libertà
nelle scelte agli altri paesi del Patto di Varsavia,
promettendo che l'URSS non si sarebbe più intromessa nei loro affari
interni.
Il 9 novembre 1989, nella
Germania orientale, il Comitato centrale del partito comunista
si riunisce in sessione. Principale punto all'ordine del giorno, la
discussione di una proposta del Consiglio dei ministri per un
allentamento delle restrizioni sui viaggi all'estero. Guenther
Schabowski, capo della sezione del partito comunista a Berlino e
responsabile per i rapporti con la stampa del Comitato centrale della
Sed, è assente poiché impegnato in una conferenza stampa. Concluso
questo impegno, torna al Comitato centrale dove gli viene consegnato
il testo del provvedimento adottato, compresa la parte riguardante le
nuove norme sui viaggi. Mezz'ora più tardi lo attende una conferenza
stampa internazionale. Schabowski non ha avuto il tempo di leggere i
documenti, che ha semplicemente sfogliato, ed annuncia, rispondendo
ad una domanda, che la gente potrà recarsi per viaggi privati
all'ovest senza restrizioni. Gli chiedono a partire da quando, lui
sfoglia l'incartamento e dice: "Per quanto mi risulta, da
subito, senza rinvii". Schabowski non si accorge che sullo
stesso documento che consulta frettolosamente per rispondere alle
domande, viene precisato che i nuovi regolamenti dovranno essere
annunciati pubblicamente solo l'indomani 10 novembre, per dare tempo
all'esercito, alla polizia e alla Stasi di dispiegare le forze
necessarie a tenere sotto controllo la situazione.
Ma ormai è tardi. A dissipare i dubbi
che restano e la confusione che regna tra i tedeschi dell'est in
seguito all'annuncio di Schabowski è l'emittente ufficiale
tedesco-orientale "Aktuelle Kamera" che nel notiziario
delle 19.30 annuncia: "Potrà essere presentata immediatamente
domanda per recarsi in viaggio privato all'estero senza motivi
particolari". I berlinesi cominciano ad affluire davanti
ai checkpoint che regolano il passaggio da est a ovest attraverso il
Muro. Si cerca - inutilmente - di convincere la gente a ripresentarsi
l'indomani mattina. Alle 23 davanti ad un solo checkpoint si contano
ventimila persone in fila. Temendo che la situazione esploda, due
ufficiali della Stasi in servizio a Bornholmerstrasse, danno ordine
di togliere la barriera.
Alle 23.20 una marea umana si rovescia
dall'altra parte.
La notizia raggiunge il Bundestag a
Bonn, la Camera bassa del parlamento tedesco, riunita in sessione. I
parlamentari si alzano in piedi e cantano l'inno nazionale
tedesco, lo cantano tutti, tutto, compresa quella prima strofa
che la Germania del dopoguerra ha messo fuorilegge:
"Deutschland, Deutschland uber alles...", "Germania
sopra tutto"...
Tra le 23.30 e la mezzanotte, le
barriere si aprono in altri chekpoint. Migliaia di tedeschi dell'est
raggungono il centro di Berlino ovest. In tre giorni, saranno due
milioni i tedeschi orientali passati a Berlino ovest, mentre altri
tre milioni di cittadini della Rdt attraversano il confine tra i due
stati in altre zone del paese. (Da http://
www1.adnkronos.com/IGN/Speciali/Muro_Berlino/9-novembre-1989-Berlino-dice-addio-al-Muro_3930548099.html)
www1.adnkronos.com/IGN/Speciali/Muro_Berlino/9-novembre-1989-Berlino-dice-addio-al-Muro_3930548099.html)
Il Muro è il segno tangibile di
una ferita il cui dolore si avverte ancora... A Berlino
ovest si poteva rivestirlo di scritte, colori e graffiti, ma non si
poteva nascondere la "divisione", conseguenza di una
disfatta bellica inflitta dai nuovi padroni del mondo: gli Alleati
atlantici e l'Unione Sovietica, le cui truppe avevano preso Berlino.
Alcuni tedeschi dell'ovest, ancora
oggi, ritengono che chi è cresciuto nella Germania dell'est
ai tempi della DDR manchi di iniziativa e deleghi tutto allo
stato... anche se Angela Merkel, figlia di un pastore
protestante della Germania ovest, è cresciuta proprio nella DDR; ma
poi entrò nella CDU, conobbe Khol e intraprese la carriera politica.
Nel contesto del
completamento del mercato unico (da ultimarsi entro il 1993),
dell'istituzione dell'UME (unità Monetaria Europea) e della prevista
introduzione dell'euro, come primo passo è stata pienamente
liberalizzata la circolazione dei capitali mediante una direttiva
del Consiglio (Europeo) del 1988, che ha abolito tutte le rimanenti
restrizioni relative ai movimenti di capitali tra residenti degli
Stati membri a decorrere dal 1° luglio 1990.
Tra il 1° luglio
ed il 3 ottobre 1990 si raggiunge la riunificazione economica
e monetaria delle due Germanie, quella occidentale,
fino ad allora sotto il controllo atlantico e quella orientale, testa
di ponte sovietica verso l'Europa, riunificazione che non si dimostra
indolore e priva di traumi viste le reali difficoltà economiche
della Germania orientale, gli ostacoli incontrati dalle imprese
intenzionate ad investire nei nuovi Lander e la disparità abissale
di prodotto interno lordo (193 miliardi di marchi a fronte dei 2600
della parte occidentale, in una fase di crisi economica presente in
tutti i maggiori paesi industrializzati, dagli Stati Uniti al
Giappone.
Mentre
l'Italia recepisce e
applica la norma sulla
libera circolazione dei capitali,
il 30 luglio 1990 è
varata la legge 30 luglio 1990, n. 218 concernente
disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione
patrimoniale degli Istituti di credito di diritto pubblico, con
la quale venne avviato un processo di privatizzazioni nel
sistema bancario italiano.
La legge è comunemente conosciuta come
legge Amato, dal nome del precedente Ministro del tesoro Giuliano
Amato (1987-1989), promotore e relatore della suddetta norma, durante
il successivo Governo Andreotti VI.
Fino al 1990 il sistema bancario era
largamente influenzato dal settore pubblico, infatti esistevano da
una parte gli istituti di credito di diritto pubblico e dall'altro
tre Banche di interesse nazionale (B.I.N.) che facevano capo all'IRI
e quindi indirettamente allo Stato italiano: Banca Commerciale
Italiana, Banco di Roma, Credito Italiano.
La legge, anche in vista della
normativa Basilea I entrata in vigore nel 1990, era tesa a dare
maggiore competitività alle banche italiane sui mercati nazionali e
internazionali in una visione europea e globale. Il modello
di riferimento era quello della società per azioni, anche se le
banche potevano scegliere la propria forma giuridica.
La legge abolisce di fatto la riforma
bancaria voluta durante il fascismo, con il Decreto Legge n.375 del
12 marzo 1936 diventato Legge n.141 del 7 marzo 1938, in cui si
riformava il sistema bancario introducendo la specializzazione degli
enti di credito, che dovevano scegliere se essere o commerciali o
di investimento, e che separava le banche dalla imprese non
bancarie: le banche non potevano assumere partecipazioni in imprese
industriali e commerciali.
Tale legge ha permesso alle banche
italiane che erano istituti di credito di diritto pubblico (Banco di
Napoli, Monte dei Paschi di Siena, Istituto Bancario San Paolo di
Torino, Banco di Sicilia, Banco di Sardegna, Banca Nazionale del
Lavoro, Sicilcassa) di trasformarsi da una parte in società
per azioni e dall'altra di generare delle fondazioni a cui sono
state trasferite tutte quelle attività non tipiche dell'impresa.
La legge ha previsto per gli istituti
bancari meridionali uno stanziamento di fondi in quanto la loro
rivalutazione patrimoniale determinava un gap fra patrimonio
contabile e patrimonio liquido; tale rifinanziamento è avvenuto solo
in parte con modalità temporali diverse da quelle programmate
inizialmente. Le fondazioni generate dalla legge Amato,
contrariamente alle previsioni, hanno assunto nel tempo un notevole
rilievo e restano in termini relativi i principali azionisti di
molte banche italiane.
La legge, nell'art.2, permette alle
banche di superare il divieto, di cui alla riforma bancaria del
Decreto Legge n.375 del 12 marzo 1936 e Legge n.141 del 7 marzo 1938,
di operare contemporaneamente come imprese commerciali e di
investimento e permette la partecipazione in imprese industriali e
commerciali. Sostanzialmente dalla legge Amato nasce la banca
mista.
Il cambio tra marco orientale e
federale risulta stabilito, in chiave politica, ad un livello
di parità di 1 a 1 per il contante e di 2 a 1 per i depositi a
medio termine a fronte di un reale rapporto tra i valori delle due
monete di 10 a 1. A prima vista ciò appare davvero un miracolo per
l'economia dell'ex Repubblica Democratica: niente creazione sofferta
di un nuovo sistema monetario, niente inflazione irrefrenabile,
nessun obbligo di aggiustamento, ma all'opposto aumento dei salari e
delle pensioni, assistenza sanitaria e sussidi di disoccupazione. E,
come se non bastasse, l'entrata di diritto nel mercato interno
tedesco e quindi nel mercato comune europeo.
Il sistema produttivo dell'Est si
trova così a scontrarsi, da un giorno all'altro, con una delle
macchine produttive più avanzate del mondo, quella
tedesco-occidentale, uscendone distrutto, non potendo
sostenere da una parte le spese, decuplicate con il nuovo marco e
dall'altra la concorrenza delle nuove imprese tedesco-occidentali,
che disponevano di capitali enormi rispetto a quelli orientali.
E quanto avrebbe potuto costare alla
Germania sovvenzionare l'economia del settore orientale? Le
stime più attendibili prevedevano un impegno finanziario
calcolabile intorno ai tre mila miliardi di marchi da spendere
nei prossimi dieci anni, a fronte (per lo stesso periodo) di un
prodotto interno lordo valutabile in non oltre 40 mila miliardi di
marchi. Come sostenere una simile spesa che impegnerebbe quasi il 10%
del PIL? - si sono chiesti i tedeschi.
Quando un sistema economico si trova a
dover fronteggiare un impegno d'investimento in quantità
superiore all'ammontare del risparmio disponibile, non ha che due
possibili opzioni per accumulare i capitali sufficienti:
- la prima si basa sull'assunzione
di prestiti finanziari presso istituti bancari. Tale ipotesi
esige ovviamente l'abbassamento del costo del denaro, cioè dei tassi
d'interesse da pagare ai creditori, e comporta l'aumento della massa
monetaria in circolazione, premessa a sua volta dell'innalzamento dei
prezzi (inflazione). Per i tedeschi tuttavia, reduci dagli
effetti inflattivi colossali del primo dopoguerra, parlare di
inflazione equivale a bestemmiare.
- la seconda alternativa consiste,
all'opposto, in un aumento dei tassi d'interesse capaci di
attrarre il risparmio straniero. Un innalzamento unilaterale
del tasso d'interesse, soprattutto se sostenuto e supportato da
un'economia forte (in grado di fronteggiare qualsiasi pressione
esterna), rende infatti inclinato il piano, prima in equilibrio, di
circolazione dei capitali tra i diversi sistemi-paese e
infatti, il primo passo dell'UME (unità
Monetaria Europea) è stata la piena liberalizzazione della
circolazione dei capitali, mediante una direttiva del Consiglio
(Europeo) del 1988, che ha abolito tutte le rimanenti restrizioni a
decorrere dal 1° luglio 1990.
LA STAGIONE DELLE PRIVATIZZAZIONI IN ITALIA
Italia politica. |
In effetti vi erano dirigenti d'azienda
di Stato che si arricchivano esternando servizi a privati (con cui
erano coinvolti personalmente) a spese dei contribuenti.
Un esempio calzante è quello del prof.
Romano Prodi e della "Nomisma".
Dall’inchiesta portata avanti negli
anni ottanta dal giudice istruttore, dottor Mario Antonio Casavola,
"Nomisma"
spa è stata costituita il 21 marzo 1981 dal presidente della Banca
nazionale del lavoro (BNL), dottor Nerio Nesi, e dal professor
Romano Prodi, per la promozione di ricerche sull’economia
reale del Paese nell’interesse della banca patrocinatrice e di
committenti pubblici o privati. Il capitale sociale iniziale è di
lire 500 milioni: 495 milioni sottoscritti dalla BNL e 5 milioni da
Prodi, che il giorno dopo, però, cederà la sua quota alla prima.
All’epoca il professor Prodi, oltre
che titolare di cattedra presso l’Università di Bologna, è anche
consulente economico della BNL ed assume subito la carica di
presidente del comitato scientifico di "Nomisma" (che terrà
ininterrottamente dal 1981 al 1995). Direttore generale viene
nominato il dottor Ponzellini che funge anche da “procacciatore
d’affari” per la società.
Il bilancio del primo anno di attività
è positivo: il fatturato supera infatti i 2 miliardi di lire con un
utile di 26 milioni. Principali clienti sono l‘Italsider
(gruppo IRI), la Fiera di Bologna e diversi costruttori.
L’anno successivo, quando Prodi è
già un manager pubblico (nel 1982 il governo gli affida la
presidenza dell'IRI).
La nomina di un economista, seppur sempre politicamente di area
democristiana come il predecessore Pietro Sette, alla guida dell'IRI,
costituiva in effetti un segno di discontinuità rispetto al
passato), il capitale sociale viene aumentato a lire 2 miliardi, il
fatturato raddoppia (4 miliardi), l’utile sale a 32 milioni. Tra i
committenti fanno il loro ingresso importanti società, come la SIP,
ed enti pubblici come il Ministero degli Affari Esteri.
Vicenda ancora più scottante e
sospetta è quella relativa al rapporto Prodi-Nomisma-Ferrovie
dello Stato. Nel gennaio del 1992 l’allora amministratore
straordinario delle Ferrovie dello Stato, Lorenzo Necci, costituisce
due società. La prima è la TAV cui fa capo la costruzione del
sistema alta velocità; la seconda è Metropolis, incaricata di
gestire il patrimonio immobiliare delle Ferrovie dello Stato. Necci,
inoltre, istituisce un Comitato per le aree urbane, presieduto dalla
senatrice Susanna Agnelli, e nomina Prodi Garante per l’Alta
Velocità con il compito di valutare le conseguenze della sua
realizzazione. Incarico che il professore riveste per quasi un anno e
mezzo, sino al maggio 1993, quando ritorna alla guida dell’IRI.
Nel 1992, su segnalazione di Prodi,
come gli interessati hanno ammesso, Nomisma ottiene dalla
Italferr-Sistav Spa, una società di ingegneria controllata per
il 95 per cento dalle Ferrovie dello Stato e per il restante 5 per
cento dal Banco San Paolo di Torino, una commessa per
l’elaborazione di ventiquattro ricerche sull’impatto
ambientale relativo alla realizzazione dell’Alta velocità. Per
questo lavoro, e per altri quattro commissionati da diverse società
delle Ferrovie dello Stato, l’istituto bolognese riceve 9
miliardi e 700 milioni di lire in sei anni, che rappresentano il
20 per cento del fatturato di Nomisma in quel periodo. La ricerca,
divisa in 39 volumi (5200 pagine), secondo calcoli de "Il
Giornale di Feltri" è costata quasi 2 milioni di lire a
pagina, praticamente 5.500 lire a parola. Un costo
esorbitante soprattutto se confrontato con il contenuto.
Esaminandolo, infatti, capita spesso di
imbattersi in banalità del tipo: «Occorre realizzare l’Alta
Velocità perché il treno così è più veloce», oppure: «La zona
della stazione Termini era un tempo linda e simpatica e poi si è
degradata» e ancora (sempre su Termini): «La zona è principalmente
frequentata da immigrati, in particolare extracomunitari, e vi sono
localizzate in misura prevalente piccole pensioni molto degradate».
Per queste “argute analisi” il contribuente ha sborsato 10
miliardi di lire. Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta dalla
Procura di Roma che ha disposto la perquisizione della sede bolognese
di Nomisma ed il sequestro di una voluminosa documentazione. (Da http://www.secoloditalia.it/2015/01/verso-quirinale-cosi-tatarella-svelo-gli-affari-prodi-nomisma/)
Il risultato della presidenza Prodi
dell'IRI fu che
nel 1987, per la prima volta da più di un decennio, l'IRI riportò
il bilancio in utile, e di questo Prodi fece sempre un vanto, anche
se a proposito di ciò Enrico Cuccia affermò: «(Prodi) nel 1988 ha
solo imputato a riserve le perdite sulla siderurgia, perdendo come
negli anni precedenti.» (S.Bocconi, I ricordi di Cuccia. E quella
sfiducia sugli italiani, Corriere della Sera, 12 novembre 2007).
È comunque indubbio che in quegli anni
l'IRI aveva per lo meno cessato di crescere e di allargare il proprio
campo di attività, come invece aveva fatto nel decennio precedente e
per la prima volta i governi cominciarono a parlare
di "privatizzazioni".
Apparve in questo spirito l'istituzione
di Enimont del 1988 in seguito alla decisione dei due colossi
chimici del paese, uno pubblico e l'altro privato, grazie
all'intervento di Raul Gardini, di unire le proprie attività
chimiche in un'unica società. Enimont non è altro infatti che
l'abbreviazione delle sigle Eni e Montedison. Era, in pratica, una
joint venture di proprietà paritaria delle due società (40%
a testa), con il rimanente 20% nelle mani del mercato azionario.
La società ebbe però breve durata;
nel 1990 Gardini cercò di acquistare il 20% delle azioni sul mercato
ma ciò portò alla rottura dei rapporti con l'Eni. Seguì quindi la
sua decisione di vendere il 40% di proprietà Montedison all'Eni, che
privò il colosso privato di quasi tutto il settore chimico che
deteneva prima dell'accordo. Lo scandalo seguito a questa decisione
di Gardini, conosciuto come scandalo Enimont, trovò
veridicità nel fatto che lo stesso Gardini pagò tangenti ai partiti
politici dell'epoca in modo da risparmiare sulle tasse sulla vendita
delle attività chimiche della Montedison. Le principali attività
Montedison furono cedute ad EniChem, che si ritrovò così nuovi
stabilimenti da gestire e nuove linee di produzione che erano state
della Montedison (es. la Vinavil), mentre Montedison era diventata
una holding di partecipazioni che controllava diverse aziende del
settore alimentare e la nuova Edison, legata alle attività
energetiche.
Con il processo Enimont fu svelato
l'ntreccio inquietante e malato fra pubblico e privato mentre dopo la
trasformazione dell'IRI in società per azioni nel 1992, il
consiglio d'amministrazione dell'Istituto fu ridotto a tre soli
membri e l'influenza della DC e degli altri partiti, in un periodo in
cui molti loro esponenti furono coinvolti nelle indagini di
Tangentopoli, fu di molto ridotta.
Negli anni delle privatizzazioni, la
gestione dell'IRI fu accentrata nelle mani del Ministero del Tesoro.
Per le sorti dell'IRI fu decisiva
l'accelerazione del processo di unificazione europea, che
prevedeva l'unione doganale nel 1992 ed il successivo passaggio alla
moneta unica sotto i vincoli del Trattato di Maastricht. Per
garantire il principio della libera concorrenza, la Commissione
Europea negli anni ottanta aveva incominciato a contestare
alcune pratiche messe in atto dai governi italiani, come la
garanzia dello Stato sui debiti delle aziende siderurgiche e la
pratica di affidare i lavori pubblici all'interno del gruppo IRI
senza indire gara d'appalto europea. Le ricapitalizzazioni delle
aziende pubbliche e la garanzia dello Stato sui loro debiti furono da
allora considerati aiuti di stato, in contrasto con i principi su cui
si basava la Comunità Europea; l'Italia si trovò quindi nella
necessità di riformare, secondo criteri di gestione più vicini a
quelli delle aziende private, il suo settore pubblico, incentrato su
IRI, ENI ed EFIM. Nel luglio 1992 l'IRI e gli altri enti pubblici
furono convertiti in Società per azioni. Nel luglio dell'anno
successivo il commissario europeo alla Concorrenza Karel Van Miert
contestò all'Italia la concessione di fondi pubblici all'EFIM, che
non era più in grado di ripagare i propri debiti.
Per evitare una grave crisi
d'insolvenza, Van Miert concluse, alla fine del 1993, con
l'allora ministro degli Esteri Beniamino Andreatta un accordo,
che consentiva allo Stato italiano di pagare i debiti dell'EFIM, ma a
condizione dell'impegno incondizionato a stabilizzare i debiti di
IRI, ENI ed ENEL e poi a ridurli progressivamente ad un livello
comparabile con quello delle aziende private entro il 1996. Per
ridurre in modo così sostanzioso i debiti degli ex-enti
pubblici, l'Italia non poteva che privatizzare gran parte
delle aziende partecipate dall'IRI.
L'accordo Andreatta-Van Miert impresse
una forte accelerazione alle privatizzazioni, iniziate già nel 1993
con la vendita del Credito Italiano. Nonostante alcuni pareri
contrari, il ministero del Tesoro scelse di non privatizzare l'IRI
S.p.A., ma di smembrarla e di vendere le sue aziende operative; tale
linea politica fu inaugurata sotto il primo governo di
Giuliano Amato e non fu mai messa realmente in discussione dai
governi successivi. Raggiunti nel 1997 i livelli di indebitamento
fissati dall'accordo Andreatta-Van Miert, le dismissioni dell'IRI
proseguirono comunque e l'Istituto aveva perso qualsiasi funzione, se
non quella di vendere le sue attività e di avviarsi verso la
liquidazione.
Tra il 1992 ed il 2000 l'IRI vendette
partecipazioni e rami d'azienda, che determinarono un incasso per il
ministero del Tesoro, suo unico azionista, di 56.051 miliardi di
lire, cui vanno aggiunti i debiti trasferiti. Hanno suscitato
critiche le cessioni ai privati, tra le altre, di aziende in
posizione pressoché monopolistica, come Telecom Italia ed
Autostrade S.p.A.; cessioni che hanno garantito agli
acquirenti posizioni di rendita.
Con un documento pubblicato il 10
febbraio 2010, ormai ultimata la stagione delle privatizzazioni che
aveva preso il via quasi 20 anni prima, la Corte dei Conti ha
reso pubblico uno studio nel quale elabora la propria analisi
sull'efficacia dei provvedimenti adottati. Il giudizio, che rimane
neutrale, segnala, sì, un recupero di redditività da parte delle
aziende passate sotto il controllo privato; un recupero che,
tuttavia, non è dovuto alla ricerca di maggiore efficienza, quanto
piuttosto all'incremento delle tariffe di energia, autostrade,
banche, ecc., ben al di sopra dei livelli di altri paesi Europei. A
questo aumento, inoltre, non avrebbe fatto seguito alcun progetto di
investimento, volto a migliorare i servizi offerti. Più secco è
invece il giudizio sulle procedure di privatizzazione, che:
«evidenzia una serie di importanti criticità, le quali vanno
dall'elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto
monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle
procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa
chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra
amministrazione, contractors ed organismi di consulenza, al non
sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito».
Le poche aziende (Finmeccanica,
Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in mano all'IRI furono
trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro. Nonostante alcune
proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio
precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno 2000
l'IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in
Fintecna, scomparendo definitivamente. Prima di essere
incorporato dalla sua controllata ha però pagato un assegno al
Ministero del Tesoro di oltre 5.000 miliardi di lire, naturalmente
dopo aver saldato ogni suo debito.
In Italia,
con la Legge 30.7.1990 n. 218 e il d.lg. 20.11.1990 n.
356, si intende determinare una profonda trasformazione nel sistema
delle banche pubbliche italiane, perseguendo lo scopo di affidare
la gestione bancaria non più a enti pubblici con capitale o
fondo di dotazione detenuto totalmente, o a maggioranza, dallo Stato,
ma a società per azioni di diritto privato,
favorendo la concentrazione degli istituti bancari, con la
costituzione di gruppi ispirati al modello del gruppo creditizio
polifunzionale.
Fondamentalmente la Legge Amato/Carli
avvia la privatizzazione delle Banche pubbliche con la
trasformazione degli istituti di Diritto Pubblico e delle Casse di
Risparmio in Società per Azioni
aventi come principale azionista le
Fondazioni di origine bancaria.
Ad oggi, tutti gli azionisti di
Banca d'Italia sono s.p.a. e non necessariamente italiane.
Giuliano Amato (Torino, 13
maggio 1938) è un politico, giurista e accademico italiano,
Presidente del
Consiglio dei ministri dal 1992 al 1993 e dal 2000 al
2001, giudice costituzionale dal 2013. Giurista costituzionalista,
membro dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti e docente
universitario, inizialmente è stato un esponente del Partito
Socialista Italiano, aderendo poi all'Ulivo e infine al Partito
Democratico. Negli anni ottanta, il giornalista Eugenio Scalfari
trovò per lui il soprannome Dottor Sottile, con doppio riferimento
al suo acume politico e alla gracilità fisica.
Giuliano Amato |
Guido Carli |
Resta in carica fino al 18 agosto 1975,
quando rassegna le dimissioni. A sostituirlo è chiamato Paolo Baffi,
suo principale collaboratore - benché non sempre le vedute fossero
coincidenti - in quanto direttore generale dell'istituto di emissione
dal 1960. I motivi per cui Carli si dimette da governatore non sono
mai stati completamente chiariti. È stato presidente di
Confindustria dal 1976 al 1980.
È eletto senatore come indipendente
della Democrazia Cristiana nel 1983 e nel 1987, e non è stato
rieletto nel 1992. È stato presidente dell'Assonime (Associazione
fra le Società Italiane per Azioni) dal 1989 al 1991. È stato
Ministro del tesoro nel sesto e nel settimo governo Andreotti, dal 22
luglio 1989 al 24 aprile 1992. In tale veste è uno dei firmatari per
l'Italia del trattato di Maastricht.
Il 9 gennaio 1992 in Italia
viene emanata la Legge 35/92 Amato-Carli che prevede la
privatizzazione di istituti di credito e di enti pubblici.
Banca d'Italia viene privatizzata in palese violazione con
l'art. 3 del suo statuto che recita: “In ogni caso dovrà essere
assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al
capitale della banca da parte di enti pubblici o di società la cui
maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti
pubblici”. Si è quindi ceduta la sovranità monetaria, violando
due articoli fondamentali della costituzione: l'art. 1 (“La
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della costituzione”) e l'art. 11 (“L'Italia […] consente
in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra le nazioni”).
Il 7 febbraio 1992 viene varata
dal Parlamento italiano la Legge n. 82/92 con cui il ministro del
Tesoro Guido Carli (ex governatore di Banca d'Italia) attribuisce
alla Banca d'Italia privatizzata la “facoltà di variare
il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con
il Tesoro”, cosicché, da questo momento, è Banca d'Italia a
decidere per il nostro stato il costo del denaro, ovvero gli
interessi con cui ripagare la stampa del denaro. (Da https://www.investireoggi.it/forums/threads/nel-1981-il-ministro-del-tesoro-andreatta-e-il-governatore-della-banca-ditalia-azeli.79186/)
Lo stesso giorno, il presidente del
Consiglio Giulio Andreotti, il ministro degli Esteri Gianni De
Michelis e il ministro del Tesoro Guido Carli firmano per
l'Italia il trattato di Maastricht, con cui viene istituito il
sistema europeo delle banche centrali (SEBC) e della banca
centrale europea (BCE), che ha il compito di emettere la
moneta unica (Euro) e di gestire la politica monetaria.
Il 2 giugno del 1992
verso le 8.30, la banchina 12 del porto di Civitavecchia
veniva invasa da molte macchine “ministeriali” quali Lancia
Thema, Fiat Croma, usate da importanti manager pubblici. Attraccato
in banchina c’era il panfilo Britannia appartenente alla
Corona inglese, ed affittato ad una società inglese la “British
Invisibiles”, che aveva organizzato un seminario sulle
privatizzazioni. La società “British Invisibles” conosciuta
come International Financial Services, London nacque nel 1968
all’interno della Bank of England e rimase in vita fino al 2010 per
poi passare nella TheCityUK. La “British Invisibiles”, che
vendeva servizi finanziari, ha organizzato questo seminario per
economisti, politici nostrani e non, con l’intento di far capire
che le banche inglesi qualora l’Italia avesse deciso di
privatizzare le proprie imprese avrebbero prestato in materia
un’ottima consulenza legale e commerciale, visto le recenti
privatizzazioni thatcheriane. In italia c’erano colossi industriali
molto appetibili al mercato come l’ENI, ENEL, EFIM, EGAM, IRI, IMI.
Il seminario organizzato dagli
“invisibili” era di dominio pubblico, tant’è che il
giornalista Massimo Gaggi sulle pagine del Corriere della Sera
scriverà il 2 giugno del 1992 che a bordo del panfilo Britannia era
vietato portare macchine fotografiche, vietato portare costumi, ma
gli invitati dovevano partecipare sottocoperta a questo seminario
sulle privatizzazioni mentre il panfilo faceva rotta sull’Argentario.
Il tutto preceduto dall’esibizione della fregata della Royal Navy
“HMS Battleaxe”.
In rete gira l'informazione che Enrico Mentana era al porto di
Civitavecchia con la troupe del TG5, e intervistò per qualche minuto
Beppe Grillo che era sbarcato dal tender del panfilo Britannia.
Grillo al microfono disse che a bordo del Britannia erano state
discusse cose molto interessanti (https://pianetax.wordpress.com/2016/04/02/mentana-beppe-grillo-era-a-bordo-del-famoso-britannia-nel-1992-emma-bonino-non-so-a-che-titolo-fosse-li/). Mentana nega che sia successo veramente e si arrabbia per quella che definisce una bufala, in ogni caso erano presenti Mario Draghi, Mario
Monti, Emma Bonino, Giuliano Amato, vari esponenti
della famiglia Agnelli, il presidente della Banca Warburg,
Herman van der Wyck, il presidente dell’ Ina, Lorenzo Pallesi,
Jeremy Seddon, direttore esecutivo della Barclays de Zoete Wedd, il
direttore generale della Confindustria Innocenzo Cipolletta e
decine di altri manager ed economisti internazionali, invitati dalla
Regina Elisabetta in persona. (Da http://www.dailyworditalia.com/anno-1992-il-britannia-al-porto-di-civitavecchia-tra-invisibili-e-uomini-daffari/)
L'INIZIO DELLO SFALDAMENTO DELLA 1°
REPUBBLICA
1943, gli americani sbarcano in Sicilia, foto di Robert Capa. |
I servizi segreti
americani, come é pacificamente documentato dai dispacci dell’Oss,
l'antenata della CIA, durante la II guerra mondiale, per risolvere la
questione del fronte sud italiano e riuscire finalmente a sbarcare in
Italia, avevano preso accordi con Cosa Nostra. Nel ‘42 avevano
trattano con Lucky Luciano organizzando uno sbarco di agenti prima e
di truppe alleate poi, nella Sicilia occupata dai nazisti. I primi
mafiosi e i primi 007 americani arriveranno nell’isola nel gennaio
e nel febbraio del ‘43. Dopo la liberazione, gli amministratori
locali legati al vecchio regime saranno sostituiti da uomini d’onore.
A guerra finita molti di loro diventeranno democristiani e formeranno
la base elettorale dei Dc seguaci di Bernardo Mattarella, padre del
nostro attuale Capo di Stato. La vicenda è fondamentale per
comprendere i fenomeni successivi rappresentati da Vito Ciancimino e
Salvo Lima (pupillo proprio di Mattarella e in seguito uomo di
Andreotti).
Inoltre, Enrico De
Nicola, politico di area liberale giolittiana e avvocato che sarà il
primo presidente della Repubblica Italiana, è eletto dall'Assemblea
Costituente come capo provvisorio dello Stato al primo scrutinio, il
28 giugno 1946, con 396 voti su 501 votanti e 573 aventi diritto (il
69,1%), e assume la carica il 1º luglio 1946 come frutto di un lungo
lavoro "diplomatico" fra i vertici dei principali partiti
politici, i quali avevano convenuto che si dovesse eleggere un
presidente capace di riscuotere il maggior gradimento possibile
presso la popolazione affinché il trapasso al nuovo sistema fosse il
meno traumatico possibile. Si convenne perciò che si dovesse
scegliere un meridionale, a compensazione della provenienza
settentrionale della maggioranza dei leader politici e che (stante il
risicato - e da parte monarchica contestato - scarto dei risultati
del referendum istituzionale) dovesse trattarsi di un monarchico.
Tangentopoli cominciò il 17
febbraio 1992, causando una
crepa nel sistema corruttivo
partiti-economia che avrebbe poi travolto la prima
repubblica, ma non il sistema stesso.
Il pubblico ministero Antonio Di
Pietro chiese e ottenne dal GIP Italo Ghitti un ordine di cattura
per l'ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo
Trivulzio e membro di primo piano del PSI milanese.
Chiesa era stato colto in flagrante
mentre intascava una tangente dall'imprenditore monzese Luca Magni
che, stanco di pagare, lo aveva denunciato chiedendo aiuto alle forze
dell'ordine. Magni, d'accordo coi carabinieri e con Di Pietro, fece
ingresso alle 17:30 nell'ufficio di Mario Chiesa, portando con sé 7
milioni di lire, corrispondenti alla metà di una tangente
richiestagli da quest'ultimo; l'appalto ottenuto dall'azienda di
Magni era infatti di 140 milioni e Chiesa aveva preteso per sé il
10%, quindi una tangente da 14 milioni. Magni aveva un microfono e
una telecamera nascosti e, appena Chiesa ripose i soldi in un
cassetto della scrivania, dicendosi disponibile a rateizzare la
transazione, nella stanza irruppero i militari, che notificarono
l'arresto. Chiesa, a quel punto, afferrò il frutto di un'altra
tangente, stavolta di 37 milioni, e si rifugiò nel bagno attiguo,
dove tentò invano di liberarsi del maltolto buttando le banconote
nel water[3].
La notizia fece scalpore e finì
sulle prime pagine dei quotidiani e venne ripresa dai telegiornali.
Il segretario socialista Bettino Craxi, allora impegnato nella
campagna elettorale per le elezioni politiche di primavera, con
l'obiettivo di ritornare alla presidenza del Consiglio, in
un'intervista rilasciata a Daniela Vergara per il TG3, negò
l'esistenza della corruzione a livello nazionale, definendo Mario
Chiesa un «mariuolo isolato», una scheggia impazzita
dell'altrimenti integro PSI, e affermando:
«In questa vicenda, purtroppo, una
delle vittime sono proprio io. Mi preoccupo di creare le condizioni
perché il Paese abbia un Governo che affronti gli anni difficili che
abbiamo davanti e mi trovo un mariuolo che getta un'ombra su tutta
l'immagine di un partito che a Milano in cinquant'anni,
nell'amministrazione del Comune di Milano, nell'amministrazione degli
enti cittadini - non in cinque anni, in cinquanta - non ha mai avuto
un amministratore condannato per reati gravi commessi contro la
pubblica amministrazione.»
Il 23 maggio 1992 si consuma la
strage di Capaci, un
attentato esplosivo compiuto da Cosa Nostra nei pressi di
Capaci (PA) per uccidere il magistrato antimafia Giovanni
Falcone.
Il 19 luglio 1992, con la strage
di via D'Amelio, a Palermo, è assassinato da Cosa
Nostra, assieme a cinque agenti di scorta, il magistrato Paolo
Borsellino, considerato uno dei personaggi più importanti e
prestigiosi nella lotta contro la mafia in Italia, insieme al collega
e amico Giovanni Falcone.
PROLOGO ALLA CALDA ESTATE DEL 1992
Estate del '92 da https://www.expartib us.it/unestate-radio-amore-napoli- 1992/ |
Il
progetto in questione tuttavia non può che scontrarsi con
l'opposizione dei paesi europei di ispirazione atlantica i quali,
attanagliati tra l'altro dalla maggiore recessione
economica degli ultimi 50 anni,
verrebbero strangolati dalla fuoriuscita dei propri
capitali, la cui presenza è
invece assolutamente necessaria per una ripresa dei loro
investimenti. A ciò favorirebbero anche bassi saggi d'interesse, che
sono però resi impossibili dall'innalzamento del costo del denaro
attuato in Germania, sicché, pur non volendolo, gli altri
stati europei si vedono
costretti ad una
politica monetaria similare a quella tedesca
per evitare una esagerata fuoriuscita dei capitali verso il paese
dove i rendimenti sono migliori. Ne segue che dovrebbe essere
il resto d'Europa, di fronte
alla decisione unilaterale della Germania di "drogare" i
tassi d'interesse, a pagare il costo dell'unificazione
tedesca o con l'invio dei
propri capitali oppure con l'arresto a tempo indeterminato del
proprio sviluppo economico.
Lo
scenario militare di riferimento internazionale viene definito nel
corso del "summit"
della Nato tenutosi
ai primi di novembre 1991 a
Roma. In questo
ambito lo scontro si pone subito con particolare durezza. A pochi
mesi dal fallito putsch moscovita d'agosto - stabilita
incontrovertibilmente la direzione filo-europea del processo di
rinnovamento sovietico e quindi la necessità di creare un nuovo
ordine per la sicurezza del vecchio continente - i paesi
della comunità europea si ritrovano divisi tra loro sul tema della
propria difesa.
Da un
lato la Germania e la
Francia (presente
alla riunione anche se non inquadrata nel Patto atlantico), con
l'appoggio "esterno"
del presidente del consiglio italiano Giulio Andreotti,
favorevoli alla strutturazione di un "polo europeo"
non vincolato al
potere di controllo americano.
Dall'altro
la "nemica storica" dell'Europa unita, la Gran
Bretagna, legata a doppio filo
agli Stati Uniti e quindi decisa sostenitrice della
continuità della politica
europea all'interno
della tradizionale organizzazione della Nato.
Lo
scontro viene messo in luce proprio da George Bush
che, richiamando all'ordine gli alleati, ribatte alle spinte
franco-tedesche per la definizione di "una nuova identità di
difesa europea", ammonendo
che qualsiasi nuovo riordino sarebbe accettato solo se "complementare
e compatibile alla Nato".
Di
fronte all'offensiva americana
(e britannica),
francesi e tedeschi rifiutano per il momento lo scontro diretto,
limitandosi a sostenere - per dirla con François Mitterrand - che la
Nato "non è una Santa Alleanza" e che la sede per
discutere della difesa europea è quella degli accordi di Maastricht
e non del Patto atlantico. Il che equivale però ad una sorta di
presa di distanza dall'America.
"La
nuova unità - scrivevano Kohl e Mitterrand al presidente della CEE,
Ruud Lubbers, nel novembre 1991 - potrebbe divenire il
nocciolo di una forza europea di difesa,
in cui potranno confluire le forze di altri stati membri della URO.
Questa nuova struttura potrebbe ugualmente proporsi come modello
precursore di una cooperazione più stretta fra stati membri della
UEO"
In
questo contesto l'Italia
assume una posizione contraddittoria:
se il ministro degli esteri Gianni de Michelis si schiera subito con
i filo-atlantici, il presidente del consiglio, Giulio Andreotti,
continua a mostrarsi una "pedina inaffidabile"
per gli Stati Uniti (vista la sua politica da tempo filo-araba e
troppo accondiscendente verso Germania e Francia). Ed ecco allora le
ultime parole di Bush
rivolte - o meglio urlate
- allo stesso Andreotti al termine di un incontro bilaterale tenutosi
nella cornice del summit: "Se qualcuno di voi ha in testa altre
idee, se volete andare per la vostra strada, se ritenete di non aver
più bisogno di noi, ditelo apertamente!".
L'"International
Herald Tribune" pubblica, il 9 marzo
1992, un documento militare sul "nuovo ordine mondiale
unipolare", preparato dal
Pentagono ed
opportunamente fatto filtrare alla stampa (salvo poi comunicare che
si trattava di un'"esercitazione teorica").
Secondo i militari
statunitensi, l'obbiettivo da raggiungere da parte del loro governo è
quello di una "benevola dominazione" di un solo stato
(ovviamente gli USA), rifiutando categoricamente ogni
"internazionalismo collettivo". Basilare diviene quindi
impedire - anche a costo di "ricorrere, se necessario, all'uso
preventivo della forza" - che stati irresponsabili (come l'Iraq)
oppure disgregati (come quelli nati dalla frantumazione dell'Unione
Sovietica), ma pure alleati (come Giappone e Germania) possano
entrare in possesso di armi nucleari.
Di
fronte poi all'alzata di capo della Germania, gli Stati Uniti
intendono difendere
ad ogni costo i meccanismi già esistenti di controllo della regione,
e la Nato è il
principale di questi meccanismi per assicurare "sia una
sostanziale presenza americana in Europa, sia una continua coesione
all'interno dell'alleanza occidentale". Per questo si dovrà
"cercare d'impedire l'apparizione di accordi
esclusivamente europei nel campo della sicurezza,
che metterebbero in pericolo la Nato".
Ma se
qualche nazione "ribelle" allargasse effettivamente più
del dovuto le proprie aspirazioni, magari con la formazione di un
esercito autonomo, oppure con la stipula di accordi economici
bilaterali antagonisti agli interessi americani? Di fronte ad
eventuali prese di posizione in tal senso da parte di qualunque
stato, anche alleato, gli Stati Uniti, afferma sempre il documento
del Pentagono, non possono dare adito ad incertezze: essi "per
proteggere i propri interessi vitali,... debbono essere pronti ad
agire da soli quando un'azione collettiva non può essere
orchestrata", perché "l'ordine mondiale ha come
fondamento ultimo gli Stati Uniti",
ed essi soltanto.
Sembra
poi che un minaccioso avvertimento
venga successivamente ripetuto al presidente del consiglio italiano,
Giulio Andreotti, anche da Kissinger
in un difficile incontro avvenuto a New York l'11 marzo 1992.
Ventiquattr'ore dopo viene ucciso Salvo Lima (uomo
di Andreotti in Sicilia collocato al confine fra DC e mafia)
e la strana coincidenza
inquieterà talmente il braccio destro di Andreotti, Vittorio
Sbardella, da spingerlo ad accusare direttamente dell'omicidio "gli
americani... [che] non vogliono l'Europa" (ma poco dopo
Sbardella lascerà cadere l'accusa, e contemporaneamente abbandonerà
Andreotti).
Il 5 aprile
1992 si svolgono in Italia le ultime elezioni politiche
con il sistema proporzionale e le ultime della cosiddetta Prima
Repubblica. La Lega Nord esplode, conquistando l'8,65% dei voti e
portando a Roma 55 deputati e 25 senatori - cinque anni prima i
parlamentari in camicia verde erano solo due, il senatùr Umberto
Bossi e l'onorevole Giuseppe Leoni -.
Le elezioni del
'92 si svolsero in un clima arroventato per gli scandali di
Tangentopoli, l'inchiesta iniziata nel febbraio dello stesso anno con
l'arresto di Mario Chiesa. Eppure, nonostante quel primo pesante
scricchiolio, il quadripartito che sosteneva il governo ottenne il
48,85% dei voti - 331 seggi alla Camera e 163 al Senato - ma era
iniziata comunque la grave crisi che nel giro di due anni
avrebbe spazzato via i partiti che per 45 anni avevano retto le
sorti del Paese: per la prima volta la Dc scese sotto il 30%,
fermandosi al 29,65%, il Psi prese il 13,62%. Fu anche la prima volta
senza il Pci, con la falce e martello che si divise in due: il Pds
che prese il 16,10% e Rifondazione comunista il 5,61%.
Economicamente,
intanto, gli Stati Uniti non stanno affatto bene e vivacchiano
nella recessione. La guerra contro l'Iraq ha solamente sancito -
per dirla con Henry Kissinger - "il glorioso tramonto della
guerra fredda, non la nuova alba di un periodo di dominio americano".
Ancora nella riunione dei "G7", tenutasi a
Washington tra il 25 ed il 26 aprile 1992, gli Stati Uniti
inviteranno gli altri due grandi partners economici, il
Giappone e la Germania, ad allineare le rispettive
strategie a quella americana a prò della ripresa dello sviluppo
internazionale. Ma il gioco a tre si riduce subito alla disputa
monetaria tra le banche centrali: se Alan Greenspan, presidente della
Federai Reserve, viene immediatamente ad implorare un abbassamento
degli alti tassi d'interesse applicati dalla Bundesbank, che
garantirebbe la riapertura del mercato europeo ridando così fiato
alla macchina industriale statunitense (e a pochi mesi dalle
elezioni presidenziali americane uno stimolo alla crescita
fornirebbe un valido sostegno alla riconferma di George Bush), la
risposta del presidente della Bundesbank, Helmut Schlesinger,
è negativa: la Germania ha scelto la via di finanziare il
proprio deficit attingendo al risparmio altrui e ciò implica tassi
d'interesse alti, a dispetto di qualsiasi protesta esterna.
Il risultato sarà
una grande carica vendicativa che il governo americano,
alle prese con i rischi della campagna elettorale, non può ancora
permettersi di palesare, ma che nelle opportune sedi politiche e
militari ha però già trovato i propri "esternatori".
Giunge la risposta
di Francia e Germania al documento unipolare del Pentagono di due
mesi prima. Di fronte all'aggressiva presa di posizione americana, il
21 maggio 1992 il presidente francese Mitterrand ed il cancelliere
tedesco Kohl si riuniscono a La Rochelle, sulle coste dell'Atlantico,
per rilanciare in grande stile il progetto di una difesa comune
europea, in qualche modo autonoma, dal Patto atlantico. Il 22
maggio viene sancita formalmente la nascita di questo
"Eurocorpo", un corpo d'armata in comune tra
Germania e Francia, composto di 35-40 mila unità, dotato di
armamenti all'avanguardia e destinato a diventare operativo nel 1995.
Nel progetto franco-tedesco la nuova struttura militare dovrebbe
costituire l'embrione ed il nucleo attorno al quale poi aggregare il
futuro esercito unificato d'Europa.
Mitterrand mostra
di contare sull'adesione dell'Italia quando, in conclusione del
vertice bilaterale di La Rochelle, espone la lista delle nazioni
propense all'iniziativa: "Belgio, Lussemburgo, Spagna e Italia
sono gli stati che hanno mostrato il maggior interesse". Ma
dall'ordine decrescente proposto da Mitterrand è facile dedurre che,
se la zona del Benelux offre un'adesione scontata al progetto
(peraltro con il "problema" dell'Olanda che riteneva come
la NATO restasse la pietra angolare della politica di sicurezza
europea), l'ultima posizione è quella italiana mentre di Gran
Bretagna e Danimarca non si fa nemmeno menzione
"Guardate -
dichiara subito il segretario di stato americano James Baker
in un colloquio con il ministro degli esteri tedesco Klaus Kinkel,
avvenuto il 24 maggio in margine agli incontri tra i ministri
degli esteri della CEE - che la vostra iniziativa non ci piace.
Ne siamo anzi allarmati, perché compromette l'efficienza e la
tenuta della Nato".
Determinante
a questo punto, si rivela la presa di posizione dell'Italia,
sia per la sua attuale instabilità politica che per la crisi
istituzionale successiva alle elezioni del Il risultato delle
elezioni, negativo per i partiti della maggioranza, ha infatti aperto
il campo ad una lotta senza quartiere, la cui posta in gioco è
rappresentata dalle poltrone di presidente delle repubblica e di capo
del governo, e che vede gli Stati Uniti puntare decisamente
all'allontanamento dai centri di potere di Andreotti e
dei suoi uomini. In risposta all'Eurocorpo il ministro
della difesa italiano, Rognoni, ribadisce che la direzione
seguita dal governo italiano resta quella di puntare ad una difesa
continentale incentrata sulla struttura della UEO, ma nell'ambito
della conferma dei legami con la Nato, perché gli
risulterebbe "difficile pensare di arrivare ad un esercito
europeo partendo da un corpo d'armata franco-tedesco".
Col che lo
schieramento di battaglia è ormai definito: un asse
franco-tedesco con velleità autonomistiche, supportato dai paesi
satelliti del Benelux, si assesta saldamente al centro
dell'Europa, accerchiato però dalle basi americane
poste per ora nelle sole nazioni esterne Gran Bretagna e Italia
(alle quali vanno aggiunti "porti sicuri" come Grecia e
Turchia). A questo punto si tratta soltanto di appurare la posizione
di altri c
Il 2 giugno 1992,
mentre il panfilo "Britannia" attracca a Civitavecchia, si
svolge in Danimarca un Referendum sulla ratifica del
Trattato di Maastricht in cui i NO sono in maggioranza
col 50,7 %.
Non appena il
popolo di Danimarca sancisce il proprio "no" a
Maastricht, la fiducia nella convergenza delle economie
europee crolla di colpo. Il pericolo che l'Unione monetaria venga
ostacolata induce il mercato finanziario a puntare sulle valute più
forti, a scapito delle economie fragili che non possono impedire la
svalutazione delle proprie deboli monete. In poche ore la
speculazione sceglie le sue vittime (lira, sterlina e
peseta) a prò del fortissimo marco che, sostenuto da
tassi d'interesse "impossibili", a partire dai primi di
giugno intraprende la sua irresistibile ascesa anche nei
confronti del dollaro.
La manovra sembra
una punizione per i paesi colpevoli di aver rifiutato
l'adesione all'esercito unificato. Ed in questo senso il "no"
danese a Maastricht potrebbe apparire in qualche modo ambiguo:
- in accordo con
la Bundesbank per dar esca all'offensiva monetaria contro gli stati
europei più restii a separarsi dalla Nato,
- oppure in
opposizione all'asse franco-tedesco, ma oggettivamente sulla stessa
direttiva d'azione? Se qui è difficile dare una risposta sicura, è
invece certamente mirato contro gli avversari atlantici
l'annuncio di Mitterrand di affidare ad un referendum popolare
l'approvazione francese al Trattato di Maastricht. La
speculazione trova così nell'incertezza del risultato di Parigi e
nell'orizzonte temporale limitato (fino al 20 settembre) il terreno
ideale per manovrare "per linee interne" al fine di
separare il "nocciolo duro" dell'Europa di Maastricht dalle
nazioni "inaffidabili" che vanno poste in quarantena. Si
può quasi dire che, attraverso la speculazione finanziaria,
l'Eurocorpo franco-tedesco intenda mostrare i muscoli e
farla pagare cara ai "traditori".
LA CALDA ESTATE DEL 1992
Da http://www.meteoweb.eu/2014/09 /clima-in-liguria-92-giorni-destate- 30-sole/326926/ |
Al nostro paese non rimane così che
tentare una mediazione nell'incontro dei "G7"
di Monaco di Baviera (dal 6 all'8 luglio), ma con
scarso successo. La Bundesbank ribadisce ancora una volta
l'intenzione di proseguire sulla propria strada senza
accettare pressioni (soprattutto se queste giungono da chi ha
ostacolato l'Eurocorpo), ma neppure questo le basta e Schlesinger, da
Francoforte, gira il coltello nella piaga alzando ulteriormente il
proprio tasso di sconto fino a raggiungere l'8,75% (due settimane
prima la FED l'aveva ridotto al minimo storico del 3%). Il divario
tra i due tassi di riferimento si fa sempre più profondo, come la
trincea che separa l'asse franco-tedesco da quello atlantico. Il
marco è padrone assoluto dei mercati finanziari e la povera
Banca d'Italia non può far altro che rispondere al rialzo dei tassi
tedeschi con un ulteriore aumento dei propri, sperando che la
speculazione si fermi. Ed invece la speculazione vola e impazza (poi
Ciampi confesserà di non aver nemmeno immaginato che la massa
monetaria "a piede libero" fosse così imponente).
Di fronte all'abbandono della lira
da parte degli investitori stranieri ed all'esportazione di
capitali italiani verso la Germania, la nostra Banca centrale non
può che mantenere i tassi di interesse più appetibili di quelli
tedeschi, mentre la situazione si riverbera sulla scena politica
interna perché la manovra economica di risanamento del debito
pubblico, stante un tale costo del denaro, deve
necessariamente scaricarsi sul costo del lavoro. Così il 31
luglio i sindacati confederali capitolano di fronte ai ricatti di
Amato: gli alti tassi costringono a limitare i salari ed "il
sindacato deve fare la sua parte". Trentin (a malincuore)
sottoscrive la fine della scala mobile ed il giorno dopo
Ciampi offre in cambio la riduzione di mezzo punto del tasso di
sconto.
Ma si tratta appena di una pausa perché
ad agosto, a poco più di un mese dal referendum francese, a
favore della speculazione prendono a giocare i sondaggi su quel voto.
Le prime stime, che riportano il vantaggio dei "no" sopra i
"sì", tornano a fare alzare la tensione e chi ci
rimette le penne sono ancora lira, sterlina e peseta. Le
banche centrali tentano comunque il tutto per tutto: il 3
settembre Londra ricorre ad un prestito in valuta di 10 miliardi
di ECU;
il 4 settembre Roma, con la lira
al limite della banda di oscillazione nei confronti del marco, rialza
il tasso di sconto al 15% (il sacrificio "sindacale"
diventa così del tutto gratuito, ma la colpa è forse di Ciampi?).
La situazione è ormai insostenibile, ma sabato 5 settembre, al
vertice della CEE di Bath in Gran Bretagna, l'unica concessione
che si ottiene dalla Bundesbank è la promessa che i tassi non
aumenteranno. L'Italia propone almeno una svalutazione
contemporanea delle valute dei tre paesi filo-atlantici, vero
obbiettivo della tempesta d'estate, ma Londra e Madrid rispondono
picche: forse credono di non essere anch'esse nel mirino!
La speculazione intanto
scorrazza tra le monete europee fino a coinvolgere anche i paesi
nordici. Nella seconda settimana di settembre la Finlandia
è la prima vittima, costretta a sganciarsi dal Sistema monetario
europeo mentre il suo marco viene svalutato del 15%; altra strada
sceglie invece la Svezia, che resta legata al marco tedesco al
prezzo di un innalzamento del tasso d'interesse a breve termine al
500%! Ma ormai ogni resistenza è impossibile e la Bundesbank,
dopo aver finto di sostenere la lira in base agli accordi interni
allo SME (spendendo, nella "sola" seconda settimana di
settembre, "ben" 24 miliardi di marchi), non intende più
gonfiare le proprie riserve di ulteriori lire in pericolo di
svalutazione e così costringe la Banca centrale italiana alla
definitiva resa solitaria. È domenica 13 settembre, ad una
settimana dal referendum francese. A pochi giorni dalla meta, la lira
svaluta unilateralmente del 7% in cambio del bel gesto tedesco di
una riduzione dei tassi d'interesse dello 0,5% per lo sconto e dello
0,25% per il Lombard. Ma sono tagli che finiscono per rivelarsi una
nuova manovra a favore della speculazione, perché se quello che
concede la Bundesbank è così poco, allora per nessun'altra valuta
sotto tiro può esserci speranza.
Il governo italiano dunque,
retto da Amato, il 13 settembre decide di svalutare
il cambio di riferimento della valuta nazionale complessivamente
del 7%; in particolare la lira in sé fu svalutata del 3,5%, mentre
le altre valute furono rivalutate del 3,5%.
Nei pochi giorni che rimangono al
referendum la speculazione riversa tutta la propria violenza su
sterlina e peseta, sicché il 16 settembre Londra
dichiara di ritirarsi dallo SME mentre nella notte, al
termine del Comitato monetario della CEE, anche la lira ne
approfitta, autosospendendosi dal Sistema monetario e la
peseta viene svalutata del 5%.
Il 16 settembre 1992,
giorno che sarebbe poi divenuto noto come "mercoledì
nero", la lira italiana e la sterlina inglese furono costrette
ad uscire dallo SME a seguito di una speculazione finanziaria,
soprattutto ad opera di George Soros, che vendette sterline
allo scoperto per un equivalente di più di 10 miliardi di dollari e
causò una perdita di valore della lira sul dollaro del 30%,
guadagnando una cifra stimata attorno agli 1,1 miliardi di dollari.
Poiché il cambio ufficiale era
definito a meno di piccole oscillazioni, lo speculatore avrebbe
venduto allo scoperto valuta debole acquistando valuta forte, avendo
la certezza che le banche centrali sarebbero obbligate a mantenere il
cambio accordato attraverso lo SME.
Gli speculatori approfittarono della
riluttanza da parte della Banca d'Inghilterra sia ad aumentare i
propri tassi di interesse a livelli confrontabili con quelli degli
altri paesi del Sistema Monetario Europeo, sia a lasciare fluttuante
il tasso di cambio della moneta. Alla fine, la Banca d'Inghilterra fu
costretta a far uscire la propria moneta dallo SME e a svalutare la
sterlina. "The Times", lunedì 26 ottobre 1992, riportò il
commento di Soros: "La nostra esposizione durante il Mercoledì
Nero doveva essere di quasi 10 miliardi di dollari, ma avevamo
previsto un guadagno maggiore. Infatti, quando Norman Lamont, appena
prima della svalutazione, disse che avrebbe avuto bisogno di un
prestito vicino ai 15 miliardi di dollari per difendere la sterlina,
fummo contenti poiché era all'incirca la cifra che noi volevamo
vendere".
Per quanto riguardò la lira italiana,
vendendo lire allo scoperto, Soros contribuì una perdita valutaria
pari a 48 miliardi di dollari che causò una perdita di valore del
30% e l'uscita dal Sistema Monetario Europeo. In un'intervista a
Francesco Spini disse: “Ai tempi presi una posizione sulla lira
perché avevo sentito dichiarazioni della Bundesbank [...] Si
trattava di dichiarazioni pubbliche, non ho avuto contatti personali.
Quella fu una buona speculazione”.
Il risultato è raggiunto.
Adesso si tratta soltanto di fermare la speculazione, che nel
frattempo ha preso la mano rivolgendosi anche verso il franco, fino
allora rimasto relativamente in disparte. Ma siamo alla vigilia del
referendum su Maastricht, la cui importanza risiede non tanto
nell'esito a favore o contro l'Unità monetaria europea (di
fatto ormai saltata), ma piuttosto nella sanzione dell'alleanza
franco-tedesca.
L'unico problema che resta per Kohl e
Mitterrand è quella speculazione che ancora non si ferma.
Così, all'indomani del referendum, il cancelliere tedesco vola a
Parigi per dare un chiaro segnale ai mercati: l'attuale parità
tra franco e marco rispecchia l'effettivo equilibrio presente tra
le due economie, che si opporranno con tutti i mezzi a loro
disposizione a qualsiasi ulteriore attacco finanziario. La settimana
successiva i mercati sono ancora in fermento, ma le Banche centrali
di Francoforte e Parigi non lasciano più spazio agli "avventurieri",
mostrando che a questo punto scherzare con le monete è diventato
pericoloso perché la Germania ha detto "basta".
Nel referendum francese del
20 settembre 1992 ,
il risultato per l'asse "eurocorpista" è
solo il 51,05% di "SÌ"
contro il 48,95% di "NO".
Una vittoria talmente minima da lasciare inalterata la situazione a
scapito delle altre monete europee, ma che permette a Francia e
Germania di sancire definitivamente il loro accordo
economico, oltre che politico e militare. Lo SME
per ora rimane, se non altro come discrimine nei confronti di lira e
sterlina (le vere sconfitte per la loro eccessiva fedeltà verso
gli Stati Uniti), e rimane anche il progetto di Maastricht, al
quale però si allineeranno solamente quelle nazioni in grado di
rispettarne le condizioni (e francamente è difficile credere che
Gran Bretagna e Italia ne siano in grado).
Il presidente
François
Mitterrand, all'indomani del referendum francese sulla
ratifica del trattato di Maastricht sull'Unione Europea, accoglie il
cancelliere Helmut Kohl per sancire un asse franco-tedesco,
cuore della nuova dimensione europea. Sono solo coincidenze
oppure un ciclo storico geopolitico sta tornando a ripetersi? Non è
che la spinta geopolitica tedesca, estinta "manu militari"
al termine dell'ultima guerra mondiale, sia riaffiorata, ovviamente
con una caratterizzazione molto più complessa, ma con le medesime
linee direttrici che passano attraverso la formazione di un'alleanza
strategica franco-tedesca per la conquista del "Cuore della
Terra"?
Alla fine di settembre la lunga
estate di brivido è conclusa. A questo punto l'Unione
europea, se mai si farà, avrà come unico asse di riferimento
il "patto d'acciaio" franco-tedesco, e vi
potranno rientrare soltanto le nazioni che intendono gravitare
nell'area del marco. Paradossalmente - ma perché mai? - la Croazia
sembra avere più possibilità di procedere verso Maastricht che non
l'Italia.
Nell'estate del '92 comunque, lo SME
è stato messo a dura prova dalle diverse politiche
economiche e dalle differenti condizioni dei suoi membri,
specialmente la Germania riunificata e la Gran Bretagna,
permanentemente ritiratasi dal sistema.
Tutto ciò condurrà al cosiddetto
Compromesso di Bruxelles dell'agosto 1993, che stabilirà una
nuova banda di fluttuazione del 15%.
LA REAZIONE DEGLI STATI UNITI
Zio Sam. |
Il fatto è che gli Stati Uniti
si sono trovati alle prese con l'impasse delle elezioni
presidenziali e che nessuno dei candidati ha inteso di correre il
rischio di minacciare pericolose campagne valutarie o guerre
commerciali foriere di ripercussioni negative interne. Questo non
significa però che gli USA non intendano intervenire, ma che essi
attendono il momento giusto dettato dalla loro politica interna,
temporaneamente separata da quella estera.
Infatti, appena messe da parte le
elezioni, l'America scende in campo per la resa dei conti
con la Germania: gli Stati Uniti sono più che mai
intenzionati a sostenere il loro primato economico nei confronti
della sfida d'ogni capitalismo concorrente, e ciò che fa da
discrimine fra l'estate e l'inverno 1992 è proprio che, risolta la
questione presidenziale, essi passano dalle parole, dai moniti, dalle
minacce, direttamente ai fatti, allo scontro fisico e duro. A
tal proposito l'ex "sessantottino" Bill Clinton non
esprime incertezze: "Chiedo agli amici dell'America di
continuare a lavorare con me verso una nuova pace - dice il 4
novembre 1992, il giorno successivo alla sua elezione - Ma
avverto i nemici dell'America, dovunque essi siano, che
commetterebbero un errore fatale per loro se pensassero di
approfittare della transizione che separa la mia elezione dalla
presidenza o di mettere in futuro alla prova la mia determinazione.
Ricordatelo tutti: i presidenti cambiano,
ma gli interessi degli Stati Uniti restano immutati.".
Né il monito di Clinton appare privo
di fondamento dal momento che la nuova "Rimland a guida
germanica" ha ormai svelato i propri esatti confini: attorno
all'asse franco-tedesco si ritrovano per ora uniti: Benelux,
Svizzera, Svezia, Norvegia, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria,
Slovenia e Croazia. Nel 1990 si erano tenute le prime elezioni libere
in Croazia, vinte dall'Unione Democratica Croata guidata da
Franjo Tuđman e finanziata in gran parte dalle tesorerie
della NATO. In seguito alla dichiarazione di indipendenza
del 25 giugno 1991 inizia l'offensiva militare
dell'esercito nazionale jugoslavo appoggiato da gruppi paramilitari:
numerose città croate tra cui Vukovar e Ragusa vengono attaccate,
così come viene attaccato il palazzo presidenziale a Zagabria, e l'8
ottobre 1991 il Parlamento croato rescinde ogni legame con la
Jugoslavia. Il 25 giugno 1991anche la Slovenia dichiara la
propria indipendenza dalla Jugoslavia e vince la successiva
guerra dei dieci giorni riuscendo così ad ottenere il riconoscimento
della propria sovranità. Il Paese riuscirà poi a non essere
coinvolto nella guerra civile jugoslava e con l'indipendenza inizia
un riavvicinamento della nazione al contesto storico-politico
dell'Europa Centrale, nel quale si era svolta gran parte della sua
storia.
Geopoliticamente questo "Cuore
d'Europa" esprime la massima minaccia, tendendo a fare avanzare
il proprio baricentro politico ed economico verso l'Heartland dell'ex
Unione Sovietica lungo due direttrici:
- da un lato la discesa per la
penisola balcanica fino a raggiungere le nazioni affacciate sul
Mar Nero, come Romania e Bulgaria,
- dall'altro l'avanzamento
attraverso la Polonia ed i paesi baltici.
Ipotizzando la fedeltà della Francia a
ovest ed il successo dell'operazione "a tenaglia" a est, la
Germania realizzerebbe la messa in pratica del teorema di Mackinder
di congiungere la "Terra del Cuore", che possiede le grandi
pianure euro-asiatiche, col centro d'Europa e gli sbocchi ai mari
caldi coronando così il sogno tedesco di sempre di dominare il
mondo.
Tuttavia il pianificato movimento verso
la Russia, allo stato attuale degli schieramenti, manca ancora di
alcuni pilastri fondamentali. Lasciando da parte paesi come Romania e
Bulgaria, la cui collocazione riveste a caratteri contraddittori,
sono comunque individuabili inopinabili resistenze all'avanzamento
tedesco. Intanto i tedeschi dovrebbero superare grandissime
difficoltà per giungere al controllo di quella Polonia (dove gli
americani stanno investendo fior di dollari) che impedisce la
contiguità fisica della Germania con le repubbliche baltiche e la
Russia, mentre la Cecoslovacchia, che sembrava ormai prossima
a cadere nell'orbita germanica, si trova dal 1° gennaio 1993
divisa, per decisione del suo parlamento, in una Boemia
tedesca ed una Slovacchia no. Inoltre lungo la direttrice
balcanica la Serbia rappresenta un ostacolo difficile
all'espansione di una nazione, la Croazia, che, sostenuta
dalla Germania economicamente, militarmente (i nuovi "ustascia",
fra i quali si trovano arruolati non pochi neo-nazisti tedeschi,
dispongono di armi provenienti dagli arsenali dell'ex Germania
dell'Est) e politicamente (si pensi al riconoscimento unilaterale
che Bonn, non disposta ad attendere i tempi della CEE, ha
concesso alla Croazia dopo appena pochi giorni dalla dichiarazione
d'indipendenza di quest'ultima), intende far passare come "guerra
di liberazione" l'annessione truffaldina di un altro stato, la
Bosnia dei musulmani. Così il fronte della "guerra incivile"
che sta tagliando a fette la Bosnia costituisce in verità la linea
di demarcazione più evidente dello scontro geopolitico tra Stati
Uniti e Germania, anche se sotto forme mascherate e troppo spesso
confuse (forse per caso?) dai mass-media.
Ogni freno all'intraprendenza
degli Stati Uniti viene comunque a cadere all'indomani
della vittoria di Clinton. L'offensiva americana, attesa per
tutta l'estate, si configura di colpo poche ore dopo la designazione
del nuovo presidente statunitense, e paradossalmente ad opera ancora
di Bush.
Dopo una lunga ed infruttuosa estate di
trattative in seno agli accordi internazionali del Gatt (General
Agreement on Tarifs and Trade), il 5 novembre gli Stati Uniti
annunciano, per bocca della rappresentante commerciale americana
Carla Hills, l'intenzione, a partire dal 5 dicembre successivo, di
applicare sanzioni (del 200%) sulle importazioni agricole
dei prodotti europei per un ammontare iniziale di 300 milioni di
dollari, i quali però potrebbero in breve salire anche ad un
miliardo, come Washington aveva già ammonito a giugno ricordando ai
"separatisti" europei quali fossero i rischi a cui andavano
incontro. Allora Kohl e Mitterrand non vollero sentire ragioni,
rinviando di fatto la resa dei conti al dopo-elezioni. E così
accade, essendo immediatamente evidente che la nazione al
momento maggiormente colpita dai dazi americani è proprio
la Francia, cioè uno dei due paesi del nuovo asse europeo.
Ma la Francia non intende fare
da agnello sacrificale, sicché promette battaglia. Purtroppo
però per i parigini il fronte dei falchi, che tanto vola in alto
quel 5 novembre minacciando guerre e rappresaglie a destra e a manca
("stiamo schierando gli eserciti per prepararci alla guerra",
dichiara un portavoce della Commissione CEE, e "risponderemo con
rappresaglie proporzionali a quelle degli Stati Uniti",
ammonisce Frans Andriessen, capo della delegazione comunitaria ai
negoziati con gli americani), dopo nemmeno quattro giorni è già in
frantumi. Infatti, mentre preparano la lista delle contromisure, i
francesi paiono dimenticarsi che i provvedimenti della Commissione
CEE devono essere approvati a maggioranza dal Consiglio dei ministri
dei Dodici, e perché mai i paesi più "strizzati"
dall'aggressione speculativa dovrebbero adesso difendere la Francia,
coresponsabile delle loro disavventure estive?
E tuttavia, se si trattasse solo di
questo, l'asse franco-tedesco potrebbe avere ancora buon gioco contro
Italia e Gran Bretagna. La vera questione che spacca la Comunità
europea risiede nel timore di Bonn (N.d.R. storica
capitale germanica occidentale del secondo dopoguerra N.d.R.) che
gli Stati Uniti allarghino i dazi anche ai prodotti industriali.
Infatti, mentre la CEE tentenna, Carla Hills muove nuovamente
all'attacco ammonendo che, nel caso in cui si dimostrasse impossibile
giungere ad una "soluzione soddisfacente" in materia
agricola con Bruxelles, gli Stati Uniti avrebbero in serbo misure ben
più pesanti, questa volta però destinate a colpire 1,7 miliardi di
dollari di importazioni industriali.
L'America non può scendere in campo in
maniera più esplicita, e francesi e tedeschi, fraternamente
uniti all'indomani del referendum di settembre, finiscono
inevitabilmente per scontrarsi visto che in rotta di
collisione si rivelano i loro interessi commerciali. I tempi d'oro
della speculazione pro-marco stanno per passare e la Germania
non può più sacrificarsi per difendere i paesi fedeli. Ora contano
soltanto i conti della bilancia con l'estero e Bonn non può
rinunciare alle proprie esportazioni in USA, sicché è meglio che
le restrizioni ricadano solo sull'economia francese, la quale
d'altro canto appare, sotto il profilo dei parametri di Maastricht,
anche più in salute di quella tedesca.
Così alla prima riunione di Bruxelles
per decidere le contromisure europee la Francia si trova talmente
isolata che l'adozione di rappresaglie contro l'America non viene
nemmeno messa ai voti, evidentemente per non rendere ancora più
palese e lacerante l'opposizione interna alla CEE. Ma l'aspetto più
sorprendente della situazione sta nella presa di posizione di
Germania, Danimarca e Benelux, buttatesi a fianco della "gran
nemica" Gran
Bretagna, ovviamente contraria ad una guerra commerciale con gli
Stati Uniti e favorevole ad un accordo tra le parti. Alla Francia non
resta che sperare nell'Italia, a detta dei francesi favorevole alla
rappresaglia perché pure essa direttamente colpita dall'aumento dei
dazi agricoli, ma nessuna dichiarazione pubblica dei ministri
italiani presenti all'incontro giunge ad avallare il pio
desiderio di Parigi.
La sconfitta viene così quando, fra
gli echi delle dimostrazioni anti-americane
in Francia, con
i MacDonald devastati e le bandiere a stelle e strisce bruciate
dai contadini francesi, sull'altra sponda dell'Atlantico, a
Washington, il 20 novembre Carla Hills e i commissari della CEE
giungono al sospirato accordo per evitare i dazi sui prodotti
agricoli: la Comunità europea si impegna a ridurre le
superfici coltivate e in più accetta di diminuire del 21%,
prodotto per prodotto, l'export agricolo sovvenzionato. In
effetti si tratta di un cedimento pressoché su tutti i fronti della
trattativa, e lo sa bene il governo di Parigi per il quale, sul
momento, "l'accordo è inaccettabile", come sentenzia il
ministro dell'agricoltura Jean Pierre Soisson. Ma c'è ormai ben poco
da fare, se non richiedere che almeno la CEE indennizzi gli
agricoltori francesi colpiti dai tagli alla produzione.
La Francia si sacrifica dunque
economicamente, e la sconfitta si riverbera immediatamente anche sul
piano militare perché Mitterrand, capendo che la Germania
non è affatto un partner affidabile quando lo scontro si fa
duro, decide di abbandonarla anche a proposito del famigerato
"Eurocorpo". Con la lettera congiunta, a firma dei
governi francese e tedesco, inviata il 30 novembre al Consiglio
atlantico, si annuncia infatti (ed è quasi una dichiarazione di
resa) che quel corpo d'armata in allestimento che aveva scatenato la
"guerra fredda" del 1992 potrà operare sotto comando Nato
in tempo di guerra, ma anche e soprattutto in missioni straordinarie
di pace fuori dal territorio dell'Alleanza. La Francia riconosce
in tal modo la superiorità del Patto atlantico in ordine al
controllo della sicurezza occidentale, consegnando agli
Stati Uniti quello che nei progetti sarebbe dovuto divenire il
"braccio armato" dell'Europa di Maastricht. Ma non
solo: essa infatti si impegna a partecipare con il futuro
Eurocorpo ad interventi "ad hoc" che, su incarico
dell'ONU o della CSCE, la Nato si trovasse a sostenere per
garantire gli equilibri internazionali.
E gli americani prendono
talmente in parola i francesi da chiamarli, pochi giorni dopo,
alle loro dipendenze nell'operazione-occupazione militare in
Somalia. È il primo banco di prova (subito seguito dai nuovi
bombardamenti sull'Iraq) della "ritrovata" fedeltà
francese, ma non è detto che altri non ne vengano richiesti in
futuro in zone ben più calde militarmente, come ad esempio in quella
Bosnia musulmana aggredita dai "comunisti" serbi
ma pure dagli "ustascia" croati in odore di
nazismo.
Piegato il "braccio militare"
dell'alleanza franco-tedesca, agli Stati Uniti rimane da sostenere il
confronto - in verità più difficile - con l'apparato economico
germanico. È la seconda fase dell'attacco americano, che si
sviluppa, contemporaneamente allo scontro sui dazi, quando il 19
novembre, il giorno precedente la firma dell'accordo USA-CEE,
torna in scena la speculazione. Ma questa volta si tratta di
un fenomeno valutario del tutto diverso da quello osservato
nel corso dell'estate.
Dopo l'accordo ratificato
in settembre tra Parigi e Bonn a garanzia degli impegni di
reciproca difesa della parità monetaria, la bufera finanziaria era
sembrata sparire d'incanto, lasciando sul terreno appena marco
finlandese, lira italiana e sterlina britannica costrette ad
uscire dallo SME. Eppure la Bundesbank ha potuto dormire sonni
tranquilli per solo poco più di un mese, svegliata di soprassalto
dagli esiti delle elezioni americane.
Paradossalmente, infatti, la corsa
contro il tempo affrontata durante l'estate da Bush al fine di
destare segni di vitalità nell'economia americana, dà i suoi frutti
subito dopo l'elezione di Clinton, allorché la moneta americana
manifesta di risentire efficacemente degli stimoli positivi
provenienti sia dal campo politico che da quello economico,
configurandosi nuovamente come il segnale della ripresa economica
occidentale in via di identificazione con la promessa
"clintonomics". Il biglietto verde torna in tal modo
a rivestire il ruolo di "porto sicuro", di "bene
rifugio" capace di attirare quei capitali erratici
messi pericolosamente in movimento dalla politica monetaria
dissennata della Bundesbank.
Ed i primi risultati della nuova
fiducia riposta nel futuro dell'economia americana giungono in campo
finanziario per l'appunto giovedì 19 novembre, quando gli
attacchi della speculazione costringono una nuova valuta, la
corona svedese, a ritirarsi a sorpresa dallo SME.
Eppure nei drastici provvedimenti adottati dalle autorità monetarie
svedesi vi è qualcosa di radicalmente diverso rispetto alle
motivazioni che nell'estate precedente avevano costretto ad una resa
simile sia Helsinki che Londra e poi Roma, perché se da un lato
allora la corona era riuscita a resistere all'offensiva speculativa,
che pur l'aveva coinvolta, scegliendo di rimanere ancorata al marco
tedesco a costo di misure monetarie eccezionali, dall'altro non si
comprende cosa possa aver spinto adesso la Riksbanken di Stoccolma a
gettare la spugna dopo nemmeno una settimana di attacchi alla propria
valuta. Cosa fa sì che la Svezia, capace di resistere alla
speculazione d'estate, ceda di colpo di fronte a quella di novembre?
In altri termini, chi c'è ora di tanto forte dietro la nuova
offensiva valutaria? A rispondere è Olev Tryg della Swedbank di
Stoccolma: è il "super-dollaro" - denuncia -,
gettatosi sulla corona svedese "come su una preda da cui
succhiare il sangue e poi abbandonare al suo destino.
E continuerà così anche con le altre
valute europee". Ma quali "altre valute europee"?.
Nella stessa giornata del 19 novembre
la Banca di Norvegia annuncia l'intenzione di limitare i
prestiti alle banche per frenare la fuoriuscita dei capitali,
mentre d'urgenza si tiene un vertice delle autorità monetarie in
Finlandia. È allora la fascia delle monete del Nord ad essere
investita dalla nuova bufera valutaria, che ha di mira le monete
satelliti del marco partendo da quelle scandinave meno difese, ma
per arrivare al franco francese, al cui sostegno i tedeschi
hanno legato l'esistenza stessa dell'asse politico-militare europeo.
Ed è proprio la difesa del franco, vero obbiettivo della nuova
offensiva speculativa, a far quadrare i conti in casa franco-tedesca:
se la Francia ha sacrificato i suoi contadini nella guerra dei dazi,
in cambio la Germania deve impegnarsi con tutte le sue forze a
sostenere la moneta di Parigi, ormai in odore di svalutazione. E
così è: mentre svalutano peseta spagnola ed escudo portoghese
e rialzano a difesa i tassi d'interesse Olanda e Danimarca senza che
la Bundesbank muova un dito (perché "è errato ed inefficace
che le banche centrali siano obbligate a difendere sul mercato le
monete più deboli", dichiara il suo presidente il 1°
dicembre), la Germania non risparmia munizioni per proteggere la
parità franco-marco, asse portante di quell'Europa
di "serie A" monetariamente però ridottasi a
solo un pugno di nazioni. E proprio tutte disposte a "morire per
Dresda" ?
Intanto la recessione sta colpendo
pesantemente l'Europa. La strada dell'innalzamento dei
tassi d'interesse, imboccata decisamente dalla Germania nel 1990,
si è ormai trasformata in un vicolo cieco in cui l'elevato
costo del denaro - visto inizialmente come garanzia di controllo
sull'inflazione e soprattutto come magnete nei confronti dei capitali
internazionali - ha avuto il solo effetto di rallentare ovunque
gli investimenti, e quindi lo sviluppo, in una congiuntura
complessiva di per sé già allarmante. Così le speranze di una
ripresa in Europa sono tutte legate all'abbassamento di quei saggi
d'interesse richiesto da più parti (anche dai francesi e dalla CEE
all'inizio di dicembre), ma che fino ad oggi ha incontrato la più
decisa opposizione da parte di Schlesinger: finché riuscirà la
banca tedesca non toccherà nemmeno di mezzo punto l'interesse,
sebbene ciò vada ad evidente scapito della ripresa economica di
tutti. Ma perché mai tanta ostinazione? Il fatto è che la morsa
che attanaglia la Germania non lascia altra alternativa poiché i
capitali stranieri, che il super-marco ha saputo attirare nel 1992,
si sono rivelati alla prova dei fatti soltanto investimenti
finanziari di breve periodo. Il saldo positivo di 59 miliardi di
marchi registrato nel primo semestre è costituito infatti da
prestiti esteri a breve scadenza, mentre sul fronte dei capitali a
lungo termine, sempre per quel primo semestre, si palesa addirittura
un disavanzo a scapito della Germania di 27 miliardi di marchi.
Stando così le cose, è comprensibile la resistenza offerta dalla
Bundesbank verso ogni esortazione alla riduzione del costo del
denaro: abbassare i tassi d'interesse significherebbe vedere
quei capitali fuggire in brevissimo tempo verso altri lidi, e
provocare in Germania un vero e proprio collasso finanziario
interno, chiamandola finalmente a fare i conti da sola
con il costo spropositato dell'unificazione. Perciò
"abbassare i tassi d'interesse non aiuta a risolvere i problemi
né della Germania né dell'Europa", spiega il 1° dicembre
il presidente della Bundesbank mirando a rafforzare il fronte europeo
di resistenza alla pressione esercitata dalla bufera valutaria
invernale, la quale presenta nuovamente le caratteristiche di una
battaglia fra colossi geopolitici che muovono il giro
vorticoso dei capitali speculativi.
Ora però, se ben si comprendono le
motivazioni germaniche, quale vantaggio avrebbe mai l'Europa a non
vedere abbassarsi i tassi d'interesse tedeschi? Abbiamo visto che, se
questi si riducessero, i capitali defluirebbero immediatamente dalla
Germania, ma... resterebbero nel vecchio continente? Come si è
detto, la novità della fine del 1992 è una ritrovata aggressività
del dollaro, stimolato dalla prospettiva della "clintonomics".
Ma per portarla a compimento i capitali interni non bastano; così
anche gli Stati Uniti hanno bisogno di attrarre denaro straniero
per dotarsi di quella politica industriale capace di rilanciare la
propria economia e farne una locomotiva planetaria dello sviluppo. Di
conseguenza due sono i poli, con interessi concorrenti, impegnati a
contendersi la liquidità speculativa internazionale, ed a fare
subito le spese del confronto è il povero franco francese,
ormai vaso di coccio fra marco e "super-dollaro" nonostante
abbia alle spalle un'economia dai "fondamentali" talmente
in ordine da essere l'unica a potere entrare a vele spiegate
nell'Europa di Maastricht.
La Bundesbank ha però ben capito
chi sta manovrando per far saltare l'ultimo rapporto di cambio fisso
che tiene ancora in piedi lo SME. Perché è di questo che, a
partire da dicembre, si tratta: buttate fuori in estate lira e
sterlina ad opera del marco, il Sistema monetario, divenuto la
linea di discrimine tra i paesi dell'area germanica e quelli
filo-atlantici, si trova adesso a fronteggiare un'offensiva
valutaria di ben altro colore, intenzionata a spazzare via lo stesso
"Cuore d'Europa" (il nucleo dell'"Europa a cerchi
concentrici", ormai divenuto tutt'uno col "Cuore dello
SME").
E l'unico modo per tagliare la testa
del Serpente monetario è fare saltare la parità fra marco e
franco, suo asse residuo.
Ecco allora i moniti di Kohl e
Mitterrand affinché l'attuale sistema di cambi venga riformato
attraverso la creazione di uno "SME a geometria variabile",
con nucleo centrale di monete a parità stabile, attorno al quale
strutturare due centri concentrici: uno per le valute degli altri
paesi della CEE e l'altro per le restanti nazioni europee. E quali
sarebbero gli stati ad entrare adesso di diritto nel "nocciolo
duro" dello SME? Appena Germania, Francia, Benelux e Danimarca,
poiché solo a questi esso si è ridotto dopo che il 10 dicembre
anche la Norvegia, seguendo l'esempio di Svezia e
Finlandia, è uscita dal Sistema monetario.
L'Europa "marco-centrica"
rinuncia così anche ai paesi satelliti, chiudendosi a
riccio nella difesa di ciò che resta dei grandiosi propositi
d'egemonia ed avanzamento verso l'Heartland: impeditagli la strada
verso la Russia, circondata da paesi o filo-atlantici oppure ormai
allo sbando, attaccata direttamente da un dollaro rampante, la
"Grande Germania" non può fare altro che arroccarsi nella
"Stalingrado" degli alti tassi d'interesse, pur di
conservare il gruzzoletto di capitali racimolato durante l'estate a
spese dei restanti paesi europei.
Ma fino a quando Schlesinger potrà
resistere? L'ostinazione "teutonica" ha un prezzo sempre
più elevato, in termini d'investimenti ed occupazione, che perfino i
suoi alleati più fedeli sembrano ormai restii a pagare: è del 7
gennaio 1993 la notizia della "ribellione"
alla dittatura monetaria della Bundesbank, dei fino ad allora
fedelissimi Belgio ed Olanda, passati decisamente ad
una politica ufficiale di riduzione del tasso di sconto,
immediatamente adottata pure da Austria e Svizzera,
quest'ultima anche protagonista di una presa di posizione clamorosa
contro il "pericolo tedesco" in occasione del
referendum del 6 dicembre 1992 sull'adesione svizzera allo Spazio
economico europeo (SEE), che con una partecipazione al voto del
78.73% degli aventi diritto ha registrato il 49,7 % di SÌ
e il 50,3 % di NO e, dopo il referendum del 6 dicembre 1992, il
Consiglio federale svizzero non ha più perseguito l'adesione del
paese all'UE e al SEE.
RIEPILOGO DELLO STRANGOLAMENTO DELLA
SOVRANITÀ ECONOMICO-MONETARIA ITALIANA
Da sinistra: Fabio Tamburini, Romano Prodi e Beniamino Andreatta. |
esecutivi,
Rimaneva comunque la possibilità di
tenere sotto controllo il debito pubblico per la possibilità
di stampare la propria valuta, di cui lo Stato era sovrano, in
un'epoca in cui le monete nazionali non dovevano più avere una
contropartita in oro (Nell'agosto 1971, infatti, il presidente
statunitense Richard Nixon aveva approvato la legge che
sospendeva l'obbligo per la Federal Reserve di convertire i
dollari in oro al rapporto fisso di 35 dollari l'oncia, stabilito
nel 1944 a Bretton Woods)
Nel
1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta
e il Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azelio Ciampi,
decretando il divorzio tra il ministero del Tesoro e la
Banca d'Italia,
liberano quest'ultima dall'obbligo di
acquistare tutti i titoli di stato emessi dal ministero del Tesoro
per finanziare il deficit dello Stato stesso, e questo porterà
all'acquisto di titoli di stato da parte delle grandi banche
commerciali e dei "mercati", per non dire degli speculatori
ordoliberisti che, comprando i titoli, costringerà lo stato a pagare
loro interessi, generando così un debito vero che passerà dai 142
miliardi dell'81 (falso debito, in quanto alla Banca d'Italia bastava
stampare il denaro per ripianarlo) a ben 850 miliardi nel 1992
(debito vero, in quanto contratto con banche commerciali private (i
"mercati") che lo stato e quindi il popolo dovrà ripagare
sotto forma di tassazione forzata).
Il 30 luglio 1990 con
la Legge n. 218 (e il 20 novembre seguente con il d.lg. n. 356), in
Italia si intende determinare una profonda trasformazione nel sistema
delle banche pubbliche italiane, perseguendo lo scopo di affidare
la gestione bancaria non più a enti pubblici con
capitale o fondo di dotazione detenuto totalmente, o a maggioranza,
dallo Stato, ma a società per azioni di diritto privato,
favorendo la concentrazione degli istituti bancari, con la
costituzione di gruppi ispirati al modello del gruppo creditizio
polifunzionale.
Fondamentalmente la Legge Amato/Carli
avvia la privatizzazione delle Banche pubbliche con la
trasformazione degli istituti di Diritto Pubblico e delle Casse di
Risparmio in Società per Azioni
aventi come principale azionista le
Fondazioni di origine bancaria.
Ad oggi, tutti gli azionisti di
Banca d'Italia sono s.p.a. e non necessariamente italiane.
Il 9 gennaio 1992 viene emanata
la Legge 35/92 Amato-Carli che prevede la privatizzazione di
istituti di credito e di enti pubblici. Banca d'Italia viene
privatizzata in palese violazione con l'art. 3 del suo statuto
che recita: “In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza
della partecipazione maggioritaria al capitale della banca da parte
di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con
diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”. Si è quindi
ceduta la sovranità monetaria, violando due articoli
fondamentali della costituzione: l'art. 1 (“La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
costituzione”) e l'art. 11 (“L'Italia […] consente in
condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la
giustizia fra le nazioni”).
E invece i nostri politici hanno ceduto
un potere indipendente e sovrano del nostro stato (la Banca
d'Italia) ad un organismo privato ed anche esterno allo
Stato stesso.
Il 7 febbraio 1992 viene varata
dal Parlamento italiano la Legge n. 82/92 con cui il ministro del
Tesoro Guido Carli (ex governatore di Banca d'Italia) attribuisce
alla Banca d'Italia privatizzata la “facoltà di variare
il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con
il Tesoro”, cosicché, da questo momento, è una Banca d'Italia
privata, di proprietà non solo italiana, a decidere per il
nostro Stato il costo del denaro, ovvero gli interessi con cui
ripagare i Buoni del Tesoro relativi alla stampa del denaro.
Nel maggio del 1998 lo SME, non
essendo sempre funzionale, costringe i paesi membri
a fissare irrevocabilmente e definitivamente tassi
di cambio reciproci in vista della partecipazione all'Euro e il
31 dicembre 1998, con la creazione dell'Unione economica e
monetaria, cessa di esistere.
Nel 1999 viene inaugurato lo
SME2, successore dello SME. In esso il paniere ECU è
abbandonato e la nuova moneta unica, l'Euro, diventa un'ancora per le
altre monete che partecipano allo SME 2. La Partecipazione al
Meccanismo è volontaria e le bande di fluttuazione restano le stesse
che nel primo meccanismo di tassi di cambio, cioè ±15% (tranne per
la Corona danese che mantiene la sua banda originaria di ±2,25%),
con la possibilità di collocazioni individuali più ristrette nei
riguardi dell'Euro. Alla sua istituzione comprende due membri, la
Danimarca e la Grecia.
Gli Accordi europei di cambio (AEC)
prevedono la fissazione di una parità centrale per i cambi
bilaterali dei paesi membri (griglia di parità): se il cambio
raggiunge i margini della banda di oscillazione, le banche centrali
dei paesi interessati sono obbligate a intervenire acquistando o
vendendo valuta.
Gli AEC 2, talvolta descritti come
"sala d'aspetto" per arrivare all'Unione economica e
monetaria dell'Unione europea, ha riguardato i nuovi paesi aderenti
all'eurozona dopo il 1999. In questo stadio le monete dei paesi
partecipanti sono legate all'euro con una parità fissa ed hanno una
banda di oscillazione di al massimo ± 15%. Dal 2015 soltanto la
Danimarca partecipa a questi accordi, con un cambio centrale di 7,46
corone per un euro e una banda di oscillazione del ± 2.25%.
L’IRI, acronimo di Istituto
per la Ricostruzione Industriale, è stato un ente pubblico italiano
istituito nel 1933 durante il fascismo, che nel dopoguerra allargò
progressivamente i suoi settori di intervento e divenne il fulcro
dell'intervento pubblico nell'economia italiana.
Dopo la trasformazione dell'IRI in
società per azioni nel 1992, il consiglio d'amministrazione
dell'Istituto fu ridotto a tre soli membri e l'influenza della DC e
degli altri partiti, in un periodo in cui molti loro esponenti furono
coinvolti nelle indagini di Tangentopoli, fu di molto ridotta.
Negli anni delle privatizzazioni, la
gestione dell'IRI fu accentrata nelle mani del Ministero del Tesoro.
Per le sorti dell'IRI fu decisiva
l'accelerazione del processo di unificazione europea, che
prevedeva l'unione doganale nel 1992 ed il successivo passaggio alla
moneta unica sotto i vincoli del Trattato di Maastricht.
Per garantire il principio della libera
concorrenza, la Commissione Europea negli anni ottanta aveva
incominciato a contestare alcune pratiche messe in atto dai
governi italiani, come la garanzia dello Stato sui debiti delle
aziende siderurgiche e la pratica di affidare i lavori
pubblici all'interno del gruppo IRI senza indire gara d'appalto
europea.
Le ricapitalizzazioni delle aziende
pubbliche e la garanzia dello Stato sui loro debiti furono da allora
considerati aiuti di stato, in contrasto con i principi su cui si
basava la Comunità Europea; l'Italia si trovò quindi nella
necessità di riformare, secondo criteri di gestione più vicini a
quelli delle aziende private, il suo settore pubblico, incentrato su
IRI, ENI ed EFIM. Nel luglio 1992 l'IRI e gli altri enti pubblici
furono convertiti in Società per azioni. Nel luglio dell'anno
successivo il commissario europeo alla Concorrenza Karel Van Miert
contestò all'Italia la concessione di fondi pubblici all'EFIM, che
non era più in grado di ripagare i propri debiti.
Per evitare una grave crisi
d'insolvenza, Van Miert concluse, alla fine del 1993, con
l'allora ministro degli Esteri Beniamino Andreatta un accordo,
che consentiva allo Stato italiano di pagare i debiti dell'EFIM, ma a
condizione dell'impegno incondizionato a stabilizzare i debiti di
IRI, ENI ed ENEL e poi a ridurli progressivamente ad un livello
comparabile con quello delle aziende private entro il 1996. Per
ridurre in modo così sostanzioso i debiti degli ex-enti
pubblici, l'Italia non poteva che privatizzare gran parte
delle aziende partecipate dall'IRI.
L'accordo Andreatta-Van Miert impresse
una forte accelerazione alle privatizzazioni, iniziate già
nel 1993 con la vendita del Credito Italiano.
Nonostante alcuni pareri contrari, il ministero del Tesoro scelse di
non privatizzare l'IRI S.p.A., ma di smembrarla e di vendere le sue
aziende operative; tale linea politica fu inaugurata sotto
il primo governo di Giuliano Amato e non fu mai messa realmente
in discussione dai governi successivi. Raggiunti nel 1997 i livelli
di indebitamento fissati dall'accordo Andreatta-Van Miert, le
dismissioni dell'IRI proseguirono comunque e l'Istituto aveva perso
qualsiasi funzione, se non quella di vendere le sue attività e di
avviarsi verso la liquidazione.
Tra il 1992 ed il 2000 l'IRI vendette
partecipazioni e rami d'azienda, che determinarono un incasso per il
ministero del Tesoro, suo unico azionista, di 56.051 miliardi di
lire, cui vanno aggiunti i debiti trasferiti. Hanno suscitato
critiche le cessioni ai privati, tra le altre, di aziende in
posizione pressoché monopolistica, come Telecom Italia ed
Autostrade S.p.A.; cessioni che hanno garantito agli
acquirenti posizioni di rendita.
Con un documento pubblicato il 10
febbraio 2010, ormai ultimata la stagione delle privatizzazioni che
aveva preso il via quasi 20 anni prima, la Corte dei Conti ha
reso pubblico uno studio nel quale elabora la propria analisi
sull'efficacia dei provvedimenti adottati. Il giudizio, che rimane
neutrale, segnala, sì, un recupero di redditività da parte delle
aziende passate sotto il controllo privato; un recupero che,
tuttavia, non è dovuto alla ricerca di maggiore efficienza, quanto
piuttosto all'incremento delle tariffe di energia, autostrade,
banche, ecc., ben al di sopra dei livelli di altri paesi Europei. A
questo aumento, inoltre, non avrebbe fatto seguito alcun progetto di
investimento, volto a migliorare i servizi offerti. Più secco è
invece il giudizio sulle procedure di privatizzazione, che:
«evidenzia una serie di importanti criticità, le quali vanno
dall'elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto
monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle
procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa
chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra
amministrazione, contractors ed organismi di consulenza, al non
sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito».
Le poche aziende (Finmeccanica,
Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in mano all'IRI furono
trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro. Nonostante alcune
proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio
precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno 2000
l'IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in
Fintecna, scomparendo definitivamente. Prima di essere
incorporato dalla sua controllata ha però pagato un assegno al
Ministero del Tesoro di oltre 5.000 miliardi di lire, naturalmente
dopo aver saldato ogni suo debito.
Il 4 gennaio 2004 si scoprono le
quote di partecipazione di Banca d'Italia che è in mano, per
il 95%, a banche private, mentre solo il 5% è ancora
in mano allo stato attraverso l'INPS.
Nel 2006 il governo Prodi
modifica lo statuto 3 di Banca d'Italia che la voleva un ente di
diritto pubblico e che recitava: “In ogni caso dovrà essere
assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al
capitale della banca da parte di enti pubblici o di società
la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da
enti pubblici”.
Il 25 marzo
2007 mentre la CEE compirebbe 50 anni, in un vertice informale
viene firmata la Dichiarazione di Berlino per cercare di
sbloccare l'impasse costituzionale.
Il testo è stato
concepito con la speranza di portare ad un futuro raggiungimento del
consenso riguardo all'approvazione della costituzione
europea, processo bloccato dalla ratificazione negativa ai
referendum di Francia e Olanda. Di fatto il testo non menziona la
costituzione per nome, ma provvede semplicemente a chiamare un
"raggiungimento di una base comune" in tempo per le
elezioni europee del 2009. La dichiarazione è stata determinante
per il raggiungimento del consenso sul nuovo testo del Trattato di
riforma, successivamente chiamato Trattato di Lisbona, che
permetterà di sostituirsi ad una Costituzione senza doversi
esporre ad elezioni o ratifiche di Parlamenti alcune.
Il 1° dicembre 2009 entra in
vigore il Trattato di Lisbona
che sostituisce così
quella Costituzione europea che popoli e Parlamenti non
avrebbero voluto.
Nel trattato, che non modifica in modo
sostanziale l'architettura istituzionale dell'Unione europea, che
resta fondata sul triangolo Parlamento, Consiglio e Commissione, si
introducono tuttavia alcuni elementi nuovi che ne rafforzano
l'efficienza e le istituzioni diventano sette:
- il Parlamento europeo,
- il Consiglio europeo,
- il Consiglio,
- la Commissione europea,
- la Corte di giustizia dell'Unione
europea,
- la Banca centrale europea e
- la Corte dei conti.
Ora, mentre è vero che,
gerarchicamente, abbiamo accettato che i trattati europei vengano
prima della nostra Costituzione, a suon di modifiche
costituzionali, è pur vero che, sebbene sia stato negoziato da 25
Paesi dell'Unione europea, il Fiscal Compact (attuato
dal 2013 ) non fa formalmente
parte del corpus normativo né
di alcun trattato
dell'Unione europea, mentre il
MES
è stato istituito
dalle modifiche al Trattato di Lisbona (art. 136).
Il Meccanismo
europeo di stabilità (MES o ESM), detto anche "Fondo
salva-Stati", istituito dalle modifiche al Trattato di
Lisbona (art. 136) approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo
e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles il 25 marzo
2011, nasce come fondo finanziario europeo per la stabilità
finanziaria della zona euro (art. 3). Esso ha assunto però la veste
di organizzazione intergovernativa (sul modello dell'FMI), a
motivo della struttura fondata su un consiglio di governatori
(formato da rappresentanti degli stati membri) e su un consiglio di
amministrazione e del potere, attribuito dal trattato istitutivo, di
imporre scelte di politica macroeconomica ai paesi aderenti al
fondo-organizzazione. Il Consiglio Europeo di Bruxelles del 9
dicembre 2011, con l'aggravarsi della crisi dei debiti pubblici,
decise l'anticipazione dell'entrata in vigore del fondo,
inizialmente prevista per la metà del 2013, a partire da luglio
2012.
Il MES sarà
regolato dalla legislazione internazionale e avrà sede a
Lussemburgo. Il fondo emetterà prestiti (concessi a tassi
fissi o variabili) per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in
difficoltà e acquisterà titoli sul mercato primario
(contestualmente all'attivazione del programma Outright Monetary
Transaction), ma a condizioni molto severe. Queste condizioni
rigorose "possono spaziare da un programma di correzioni
macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità
predefinite" (art. 12). Potranno essere attuati, inoltre,
interventi sanzionatori per gli stati che non dovessero
rispettare le scadenze di restituzione i cui proventi andranno ad
aggiungersi allo stesso MES. È previsto, tra le altre cose, che "in
caso di mancato pagamento, da parte di un membro dell'Esm, di una
qualsiasi parte dell'importo da esso dovuto a titolo degli obblighi
contratti in relazione a quote da versare [...] detto membro
dell'Esm non potrà esercitare i propri diritti di voto per
l'intera durata di tale inadempienza" (art. 4, c. 8).
Il fondo è
gestito dal Consiglio dei governatori formato dai ministri
finanziari dell'area euro, da un Consiglio di amministrazione
(nominato dal Consiglio dei governatori) e da un direttore generale,
con diritto di voto, nonché dal commissario UE agli Affari
economico-monetari e dal presidente della BCE nel ruolo di
osservatori. Le decisioni del Consiglio devono essere prese a
maggioranza qualificata o a maggioranza semplice (art. 4, c. 2). Il
MES emette strumenti finanziari e titoli, simili a quelli che il FESF
emise per erogare gli aiuti a Irlanda, Portogallo e Grecia (con la
garanzia dei paesi dell’area euro, in proporzione alle rispettive
quote di capitale nella BCE), e potrà acquistare titoli di stati
dell’euro zona sul mercato primario e secondario. Il fondo potrà
concludere intese o accordi finanziari anche con istituzioni
finanziarie e istituti privati. È previsto l'appoggio anche delle
banche private nel fornire aiuto agli stati in difficoltà. In caso
di insolvenza di uno Stato finanziato dallo MES,
quest’ultimo avrà diritto a essere rimborsato prima dei
creditori privati.
L'operato del MES,
i suoi beni e patrimoni ovunque si trovino e chiunque li detenga,
godono dell'immunità da ogni forma di processo giudiziario
(art. 32). Nell'interesse del MES, tutti i membri del personale
sono immuni a procedimenti legali in relazione ad atti da essi
compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni e godono
dell'inviolabilità nei confronti dei loro atti e documenti ufficiali
(art. 35). Tuttavia, un collegio di cinque revisori esterni (art. 30,
comma 1 e 2), indipendente e nominato dai governatori del fondo, ha
accesso ai libri contabili e alle singole transazioni del MES. La
composizione del collegio è così ripartita: un membro proviene
dalla Corte dei Conti Europea, e altri due a rotazione dagli organi
supremi di controllo degli Stati membri.
La Corte
Costituzionale tedesca ha posto un limite al contributo tedesco al
salvataggio dei Paesi in difficoltà, evitando comunque di vincolare
ogni singola azione dell'Esm al giudizio del Parlamento.
In
Italia si fa strada il pareggio
di bilancio in Costituzione.
Già Einaudi, futuro presidente della Repubblica, aveva
tentato di inserire il pareggio di bilancio in costituzione durante
l'Assemblea Costituente. Luigi Einaudi (1874 - 1961) è stato un
economista, accademico, politico del Partito Liberale Italiano,
rettore e giornalista italiano, secondo Presidente della Repubblica
Italiana. Intellettuale ed economista di fama mondiale, considerato
uno dei padri della Repubblica Italiana.
Nel 2011 l'Italia stava
attraversando una grave crisi economica e finanziaria: il
debito pubblico, il deficit pubblico e gli interessi sul debito
pubblico erano in costante aumento e il Paese rischiava seriamente il
default finanziario.
Al momento non abbiamo la certezza che
tale crisi sia stata orchestrata da Bruxelles, cuore politico
dell'Ue, sicuramente Berlusconi (al suo quarto governo) non era
sodale alle linee economiche predicate dall'asse franco-tedesco e,
particolare inquietante per i partner europei, coltivava amicizie
poco raccomandabili, come quelle con Putin e Gheddafi.
In seguito alle pressanti richieste da
parte delle istituzioni europee e internazionali, il Governo
Berlusconi IV si vide
costretto a varare misure più restrittive sulla
finanza pubblica.
Per questo motivo l'8 settembre 2011 il
Consiglio dei Ministri varò, su proposta del Ministro
dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, (assecondando
finalmente la volontà di Bruxelles e degli euroinomani) un disegno
di legge costituzionale che prevedeva di introdurre il principio
del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale. La
Commissione Affari Costituzionali e la Commissione Bilancio della
Camera dei deputati iniziarono ad esaminare il disegno di legge
costituzionale il 5 ottobre 2011.
Il 9 novembre 2011 il presidente
della Repubblica, Giorgio Napolitano, nomina senatore a vita,
ai sensi dell'articolo 59, secondo comma, della Costituzione, il
professor Mario Monti, dicendo: "che
ha illustrato la patria per altissimi meriti nel campo scientifico e
sociale" e ha dato
personalmente notizia della nomina al neo senatore, porgendogli i più
vivi auguri". Il decreto sarà poi controfirmato dal presidente
del Consiglio Berlusconi, il che equivale ad un "sì" di
Berlusconi a un governo Monti. Dietro la decisione del presidente
della Repubblica c'è l'intento di fornire a Monti un titolo che gli
consenta, visto che nessuno l'ha votato, di diventare il prossimo
presidente del Consiglio, dopo avere incassato il via libera di
Silvio Berlusconi alla nomina di Monti. Il Cavaliere sente nel
pomeriggio Giorgio Napolitano per analizzare la situazione politica
ed economica ed i possibili sbocchi e il suo ragionamento è che non
può esserci una soluzione che escluda chi ha vinto le elezioni, ma
deve essere una soluzione a tempo e con un programma preciso. Una
scelta maturata però con il netto no della Lega, del tutto contraria
a un esecutivo di larghe intese.
In quei giorni di Monti si scriverà: nel 1965 si laurea in economia presso l'università Bocconi di
milano, dove per quattro anni fa l'assistente, fino ad ottenere la
cattedra di professore ordinario presso l'università di Trento. Nel
1970 si trasferisce all'università di Torino, che lascia per
diventare, nel 1985, professore di economia politica e direttore
dell'istituto di economia politica presso la Bocconi. Sempre della
Bocconi assume la presidenza, nel 1994, dopo la morte di Giovanni
Spadolini. Nel 1995 diventa membro della Commissione Europea di
Santer, assumendo l'incarico di responsabile di mercato interno,
servizi finanziari e integrazione finanziaria, dogane e questioni
fiscali. Dal '99 e' commissario europeo per la concorrenza.
Editorialista del Corriere della sera, Monti è autore di numerose
pubblicazioni, specie su temi di economia monetaria e finanziaria.
Anche sul piano internazionale ha partecipato e partecipa ad attività
di consulenza ad autorità di politica economica, tra cui il
"Macroeconomic policy group", istituito dalla commissione
della Cee presso il Ceps (Centre for european policy studies),
l'Aspen institute e la Suerf (Societe universitaire europeenne de
rechercheursfinanciers.
Quello che non si dice è che
tra il 2005 e il 2011 è stato international advisor per
Goldman Sachs e precisamente membro del Research Advisory
Council del Goldman Sachs Global Market Institute, presieduto dalla
economista statunitense Abby Joseph Cohen. Tra gli organismi
internazionali di cui fa parte, Monti è membro del comitato
esecutivo dell'Aspen Institute Italia, un'organizzazione
internazionale non profit, fondata nel 1950 ed è stato inoltre
advisor della Coca Cola Company, membro del "Senior
European Advisory Council" di Moody's ed è uno dei
presidenti del "Business and Economics Advisors Group"
dell'Atlantic Council.
C'è anche chi scrive di Gruppo
Bilderberd e dalla Commissione Trilaterale (due entità massoniche a
cui appartiene Mario Monti) ma già è sufficiente quello che si può appurare.
È
indubbia quindi la sua
missione: affidare al
sistema bancario globalista quel che resta dell'economia italiana
dopo aver impoverito, con l'austerità generalizzata, tutto il
sistema sociale (riforma Monti-Fornero in testa) e senza investire
nulla.
Il 10
novembre 2011 la
Commissione Affari Costituzionali e la Commissione Bilancio della
Camera dei deputati licenziano
il testo sul principio del pareggio di bilancio nella
Costituzione.
Il 12 novembre 2011 il
Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi rassegna le dimissioni
e il giorno seguente (il
13 novembre 2011) il Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano nomina Presidente del Consiglio Mario Monti,
che vara subito, tramite decreto-legge, una manovra correttiva
da 63 miliardi di euro e avvia una serie di politiche molto più
restrittive sui conti pubblici.
In coerenza con i nuovi indirizzi del
Governo, il Parlamento sceglie di esaminare più velocemente
il disegno di legge costituzionale sul pareggio di bilancio,
tanto più che i suoi contenuti sono generalizzati, mediante
l'adozione del Fiscal compact, per tutti gli Stati membri
dell'UE che scelsero di aderirvi, all'inizio del 2012.
Così la norma sarà infatti approvata
in soli sei mesi, un periodo di tempo alquanto breve, se si
considera che una legge costituzionale necessita di quattro letture
parlamentari e di una pausa di tre mesi tra la seconda e la terza. In
tutte e quattro le letture parlamentari il disegno di legge venne
approvato a larghissima maggioranza, ricevendo il voto
favorevole sia della maggioranza che dell'opposizione. Dato che i
voti favorevoli al disegno di legge superarono i due terzi dei membri
di entrambi i rami del Parlamento, non sarà necessario ricorrere ad
un referendum confermativo.
Il disegno di legge costituzionale
prevede la sostituzione dell'art. 81 (Per consultare com'era
la Costituzione aggiornata al 2000:
http://www.jus.unitn.it/cardozo/obiter_dictum/cost/index.htm)
che era: "Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il
rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio
del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi
non superiori complessivamente a quattro mesi. Con la legge di
approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e
nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve
indicare i mezzi per farvi fronte." con 6 nuovi articoli:
Articolo 1
1. L'articolo 81 della Costituzione è
sostituito dal seguente: «Lo Stato assicura l'equilibrio tra le
entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi
avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso
all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli
effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere
adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al
verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o
maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni
anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo
presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può
essere concesso se non per legge e per periodi non superiori
complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di
bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare
l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità
del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono
stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti
di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge
costituzionale».
Articolo 2
1. All'articolo 97 della Costituzione,
al primo comma è premesso il seguente: «Le pubbliche
amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea,
assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito
pubblico».
Articolo 3
1. All'articolo 117 della Costituzione
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, lettera e), dopo
le parole: «sistema tributario e contabile dello Stato;» sono
inserite le seguenti: «armonizzazione dei bilanci pubblici;»;
b) al terzo comma, primo periodo, le
parole: «armonizzazione dei bilanci pubblici e» sono soppresse;
Articolo 4
1. All'articolo 119 della Costituzione
sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma sono aggiunte,
infine, le seguenti parole: «, nel rispetto dell'equilibrio dei
relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli
economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione
europea»;
b) al sesto comma, secondo periodo,
sono aggiunte, infine, le seguenti parole: «, con la contestuale
definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il
complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio
di bilancio».
Articolo 5
1. La legge di cui all'articolo 81,
sesto comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1
della presente legge costituzionale, disciplina, per il complesso
delle pubbliche amministrazioni, in particolare:
a) le verifiche, preventive e
consuntive, sugli andamenti di finanza pubblica;
b) l'accertamento delle cause degli
scostamenti rispetto alle previsioni, distinguendo tra quelli dovuti
all'andamento del ciclo economico, all'inefficacia degli interventi e
agli eventi eccezionali;
c) il limite massimo degli scostamenti
negativi cumulati di cui alla lettera b) del presente comma corretti
per il ciclo economico rispetto al prodotto interno lordo, al
superamento del quale occorre intervenire con misure di correzione;
d) la definizione delle gravi
recessioni economiche, delle crisi finanziarie e delle gravi calamità
naturali quali eventi eccezionali, ai sensi dell'articolo 81, secondo
comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1 della
presente legge costituzionale, al verificarsi dei quali sono
consentiti il ricorso all'indebitamento non limitato a tenere conto
degli effetti del ciclo economico e il superamento del limite massimo
di cui alla lettera c) del presente comma sulla base di un piano di
rientro;
e) l'introduzione di regole sulla spesa
che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la
riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo
nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica;
f) l'istituzione presso le Camere, nel
rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo
indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli
andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell'osservanza delle
regole di bilancio;
g) le modalità attraverso le quali lo
Stato, nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi degli
eventi eccezionali di cui alla lettera d) del presente comma, anche
in deroga all'articolo 119 della Costituzione, concorre ad assicurare
il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei
livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali
inerenti ai diritti civili e sociali.
2. La legge di cui al comma 1
disciplina altresì:
a) il contenuto della legge di bilancio
dello Stato;
b) la facoltà dei Comuni, delle
Province, delle Città metropolitane, delle Regioni e delle Province
autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere all'indebitamento, ai
sensi dell'articolo 119, sesto comma, secondo periodo, della
Costituzione, come modificato dall'articolo 4 della presente legge
costituzionale;
c) le modalità attraverso le quali i
Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le
Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla
sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche
amministrazioni.
3. La legge di cui ai commi 1 e 2 è
approvata entro il 28 febbraio 2013.
4. Le Camere, secondo modalità
stabilite dai rispettivi regolamenti, esercitano la funzione di
controllo sulla finanza pubblica con particolare riferimento
all'equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e
all'efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni.
Articolo 6
1. Le disposizioni di cui alla presente
legge costituzionale si applicano a decorrere dall'esercizio
finanziario relativo all'anno 2014.
L'iter di approvazione fu
alquanto veloce per una legge costituzionale. Di seguito i
vari passaggi:
8 settembre 2011 - Il Consiglio dei
Ministri vara il disegno di legge costituzionale;
30 novembre 2011 - La Camera approva il
disegno di legge costituzionale con 464 sì, 0 no e 6 astenuti;
15 dicembre 2011 - Il Senato approva il
disegno di legge costituzionale con 255 sì, 0 no e 14 astenuti;
6 marzo 2012 - La Camera approva il
disegno di legge costituzionale con 489 sì, 3 no e 19 astenuti;
17 aprile 2012 - Il Senato approva il
disegno di legge costituzionale con 235 sì e 11 no e 34 astenuti;
20 aprile 2012 - Il Presidente della
Repubblica Giorgio Napolitano promulga la legge costituzionale.
In seguito all'approvazione della legge
costituzionale 1/2012, si rendeva necessaria una legge di
attuazione che trasformasse in legge le disposizioni attuative
contemplate nel nuovo articolo 81 della Costituzione. Per questo
motivo, il 27 novembre 2012 l'onorevole Giancarlo Giorgetti (Lega
Nord) presentò un apposito disegno di legge.
L'iter di approvazione fu
alquanto veloce (la proposta divenne legge in meno di un mese)
e, come per la legge costituzionale, in entrambe le letture
parlamentari il testo fu approvato a larghissima maggioranza.
Quindi, alla legge costituzionale
1/2012 seguì, dopo alcuni mesi, la legge 243/2012 ("Disposizioni
per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi
dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione"), che attuava
le disposizioni del nuovo articolo 81 della Costituzione.
La legge entra in vigore il 30
gennaio 2013.
Il "Fiscal Compact"
(letteralmente "patto finanziario") o "Patto di
bilancio europeo", formalmente "Trattato sulla stabilità,
coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria" è
un accordo approvato con un trattato internazionale il 2
marzo 2012 da 25 dei 27 stati membri dell'Unione europea, con
l'eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, entrato in
vigore il 1º gennaio 2013.
Il patto contiene una serie di regole,
chiamate "regole d'oro", che sono vincolanti
nell'UE per il principio dell'equilibrio di bilancio. Ad
eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, tutti gli stati
membri dell'Unione europea hanno firmato il trattato.
Negli Stati membri dell'Unione europea,
la maggior parte delle decisioni riguardanti le tasse e la spesa
pubblica rimaneva di competenza dei governi nazionali. Il
controllo sulla politica fiscale era tradizionalmente considerato
centrale per la sovranità nazionale e non esisteva un'unione fiscale
tra stati indipendenti. Dopo qualche mese di trattative, il 30
gennaio 2012 il Consiglio europeo, con l'eccezione del Regno Unito e
della Repubblica Ceca, ha approvato il nuovo patto fiscale.
Solo i paesi che avranno introdotto
tale regola entro il 1º marzo 2014 potranno ottenere
eventuali prestiti da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità
(MES o ESM). L'obiettivo, dopo l'entrata in vigore, è quello
di incorporare entro cinque anni il nuovo trattato nella vigente
legislazione europea.
L'accordo prevede per i paesi
contraenti, secondo i parametri di Maastricht fissati dal Trattato
CE, l'inserimento, in ciascun ordinamento statale (con
norme di rango costituzionale, o comunque nella legislazione
nazionale ordinaria), di diverse clausole o vincoli tra le
quali:
- obbligo del perseguimento del
pareggio di bilancio (art. 3, c. 1),
- obbligo di non superamento della
soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e
superiore all'1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del
PIL)
- significativa riduzione del
rapporto fra debito pubblico e PIL, pari ogni anno a un ventesimo
della parte eccedente il 60% del PIL
- impegno a coordinare i piani di
emissione del debito col Consiglio dell'Unione e con la
Commissione europea (art. 6).
Sebbene sia stato negoziato da 25 Paesi
dell'Unione europea, l'accordo non fa formalmente parte del corpus
normativo dell'Unione europea.
Altri punti contenuti nei 16 articoli
del trattato sono:
- l'obbligo per i Paesi con un debito
pubblico superiore al 60% del PIL, di rientrare entro tale soglia nel
giro di 20 anni, ad un ritmo pari ad un ventesimo dell'eccedenza in
ciascuna annualità;
- l'obbligo per ogni stato di garantire
correzioni automatiche con scadenze determinate quando non sia in
grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi di bilancio concordati;
- l'impegno a inserire le nuove
regole in norme di tipo costituzionale o comunque nella
legislazione nazionale, che verrà verificato dalla Corte europea
di giustizia;
- l'obbligo di mantenere il deficit
pubblico sempre al di sotto del 3% del PIL, come previsto dal
Patto di stabilità e crescita; in caso contrario scatteranno
sanzioni semi-automatiche;
- l'impegno a tenere almeno due vertici
all'anno dei 18 leader dei paesi che adottano l'euro.
Il 14 gennaio 2014 il trattato è
stato ratificato da 24 dei 25 firmatari, di cui 17 membri
dell'eurozona
Ecco quindi che in attuazione del
Fiscal compact e altre normative come il MES, che imponevano
il rispetto degli obiettivi fissati dall'Unione Europea per:
- rapporto tra debito pubblico e
prodotto interno lordo,
- tasso di crescita della spesa
pubblica,
- saldo del conto consolidato di
bilancio annuale, uguale in valore all'"obiettivo a medio
termine" UE.
Nella nuova legge costituzionale sul
pareggio di bilancio la programmazione di bilancio e finanziaria
deve essere coerente col rapporto debito/PIL. Il Governo e il
Parlamento non potranno stabilire gli obiettivi del saldo di bilancio
più gravosi di quelli definiti in sede europea.
La legge vieta il ricorso
all'indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite
finanziarie (art. 4, comma 4). L'indebitamento è permesso a regioni
ed enti locali soltanto per investimenti pluriennali soggetti ad
ammortamento (art. 10), comunicandoli a Regione e Presidenza del
Consiglio. Regioni e enti locali sono obbligati al pareggio
gestionale, in fase di previsione e in fase di rendiconto, sia
per competenza che per cassa, fra entrate e spese correnti, e fra
entrate e spese totali (art. 9). Regioni e enti locali concorrono col
loro eventuale avanzo a pagare il debito pubblico, attraverso il
Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato (art. 12). È istituito
l'Ufficio parlamentare di bilancio, organismo indipendente per
l'analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per la
valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio (artt. 16-19).
La Corte dei Conti ha il controllo del pareggio di bilancio delle
amministrazioni pubbliche (art. 20).
La legge costituzionale e la legge di
attuazione vennero fortemente criticate da numerosi
oppositori del Governo Monti come il Movimento 5 Stelle e
Sinistra Ecologia e Libertà, che accusarono Monti ed il suo governo
di attuare politiche eccessivamente restrittive sulla finanza
pubblica. Sinistra Ecologia e Libertà, Partito della Rifondazione
Comunista, L'Altra Europa con Tsipras, alcuni esponenti della
minoranza del Partito Democratico, FIOM, ARCI, Legambiente e altre
associazioni hanno inoltre avviato una raccolta firme per la
presentazione di una legge costituzionale di iniziativa popolare che
cancelli la legge costituzionale 1/2012.
La campagna ha ricevuto il sostegno del
Partito Marxista-Leninista Italiano e di personalità di spicco come
Stefano Rodotà, Susanna Camusso, Norma Rangeri e Fausto Bertinotti.
Alcuni parlamentari di SEL hanno
presentato, sia alla Camera dei deputati che al Senato della
Repubblica, un emendamento alla Riforma costituzionale Renzi-Boschi
per eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione, il quale è
stato però sempre respinto dalla maggioranza delle 2 Assemblee.
E comunque, da allora, i Comuni
non hanno più potuto permettersi spese per la manutenzione
degli edifici scolastici e per l'urbanistica in
generale, grazie al nuovo patto di stabilità, per non
parlare degli Enti locali maggiori, per cui ci si è trovati con le
province non operative, poiché abolite, ma con in ogni
caso spese di gestione da onorare e lo Stato non ha più
potuto investire.
Nella sentenza n. 275/2016 la Corte
costituzionale ha così respinto la tesi secondo cui una disposizione
comportante spese debba necessariamente contenere "il limite
delle somme iscritte in bilancio", pena la violazione del nuovo
art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria: "a parte il
fatto che, una volta normativamente identificato, il nucleo
invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo
studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere
finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di
tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è
frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del
bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia
cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad
incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a
condizionarne la doverosa erogazione" (paragrafo 11 del
Considerato in diritto).
In questi passaggi sono stati violati:
-
l'art. n. 1
della Costituzione:
"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La
sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei
limiti della Costituzione.", in quanto si è privato il popolo
della sovranità, poiché il popolo stesso non si è potuto esprimere
in merito alle tante scelte effettuate dalla classe politica nei
trattati prima CEE poi UE.
-
l'art. n. 11 della
Costituzione: "L'Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri
popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri
la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.",
che consente limitazioni - ma
non cessioni - della sovranità nazionale, ceduta neanche in
condizioni di parità.
- l'art. n. 241 del
codice penale che recita: "Chiunque
commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato, o
una parte di esso, alla sovranità di uno stato straniero, ovvero a
menomare l'indipendenza dello Stato, è punito con l'ergastolo."
- l'art. n. 283 del codice
penale che recita: "Chiunque
commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello stato o la
forma del governo con mezzi non consentito dall'ordinamento
costituzionale dello stato, è punito con la reclusione non inferiore
ai 12 anni."
Indice del blog "Politica":
Per ""L'ultimo G7" visto dalla Cina il 13/06/'21" clicca QUI
Indice del blog "Politica":
Per ""L'ultimo G7" visto dalla Cina il 13/06/'21" clicca QUI
Per "L'ultimo discorso di Nigel Farage al Parlamento europeo" clicca QUI
Per "Brexit, i moventi e i risultati del voto" clicca QUI
Per "Ucraina: la crisi finanziata dagli USA per vendere gas all'UE" clicca QUI
Per "Grecia: come sopprimere una democrazia" clicca QUI
Per "Pirates, il partito dei Pirati" clicca QUI
Per "La rivoluzione d'Islanda" clicca QUI
Per "L'illegalità nella cessione della Sovranità italiana all'Unione Europea" clicca QUI
Per "Nell'Unione Europea, fra fiscal compact e fondo salva stati, poca democrazia e molta aggressività finanziaria"
clicca QUI
Per "L'Unione Europea: le origini, i moventi, la storia, le politiche e le crisi" clicca QUI
Per "Le 42 modifiche alla Costituzione: quando, sotto quale governo (con classifica finale) e quali modifiche"
clicca QUI
Per "Elenco dei governi dell'Italia post-fascista e repubblicana con legislature e composizioni politiche" clicca QUI
Per "Nell'ambito geopolitico, il processo italiano di svilimento della Costituzione e perdita della sovranità nazionale
a favore dell'Ue a guida franco-tedesca" clicca QUI
Per "1992: Il meccanismo politico-economico che ha causato la formazione di questa UE con la conseguente
perdita della sovranità italiana" clicca QUI
Per "Imposimato: Moro fu ucciso per volere di Andreotti e Cossiga" clicca QUI
Per "Massoneria: storia, usi e costumi" clicca QUI
Per "Intreccio politico-economico del clericalismo in Italia dal 1946: banche, partiti, logge e governi"
clicca QUI
Per "Influenza dei clericali nella politica e diritto di voto nel Regno d'Italia" clicca QUI
Per "Antonio Gramsci e l'Egemonia" clicca QUI
Per "L'Anarchia" clicca QUI
Per "Da: Piergiorgio Odifreddi 'Perché non possiamo essere cristiani'" clicca QUI
Per "Elezioni 2015 in 78 comuni fra cui 10 capoluoghi di provincia: un altro dispiacere per Renzi" clicca QUI
Per "Nelle elezioni del 2015 in 7 regioni, il renzismo non paga!" clicca QUI
Per "Perplessità Renziane..." clicca QUI
Per "Resistere! Cos'altro possiamo fare?" clicca QUI
Per "Yani Varoufakis fonda il movimento paneuropeo DiEm25" clicca QUI
Per "La Grecia non ci sta, osa indire un referendum e rifiuta di farsi spennare" clicca QUI
Per "La Grecia non vuole più subire l'austerità autoritaria e violenta impostale da UE e Fmi" clicca QUI
Per "Dalla Grecia, venti di sinistra sull'UE" clicca QUI
Per "Risultati delle elezioni per il Parlamento Europeo nel 2014 e nel 2009" clicca QUI
Per "Origini dei partiti in Inghilterra" clicca QUI
Per "Origini del sionismo: conflitti interni, richiesta d'intervento a Roma e successiva repressione" clicca QUI
Per i post "Il pensiero nell'Italia contemporanea" clicca QUI
Per i post "Il pensiero nel mondo contemporaneo" clicca QUI
Per i post "Musica interpreti video testi e storia" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Romani" clicca QUI
Per "Brexit, i moventi e i risultati del voto" clicca QUI
Per "Ucraina: la crisi finanziata dagli USA per vendere gas all'UE" clicca QUI
Per "Grecia: come sopprimere una democrazia" clicca QUI
Per "Pirates, il partito dei Pirati" clicca QUI
Per "La rivoluzione d'Islanda" clicca QUI
Per "L'illegalità nella cessione della Sovranità italiana all'Unione Europea" clicca QUI
Per "Nell'Unione Europea, fra fiscal compact e fondo salva stati, poca democrazia e molta aggressività finanziaria"
clicca QUI
Per "L'Unione Europea: le origini, i moventi, la storia, le politiche e le crisi" clicca QUI
Per "Le 42 modifiche alla Costituzione: quando, sotto quale governo (con classifica finale) e quali modifiche"
clicca QUI
Per "Elenco dei governi dell'Italia post-fascista e repubblicana con legislature e composizioni politiche" clicca QUI
Per "Nell'ambito geopolitico, il processo italiano di svilimento della Costituzione e perdita della sovranità nazionale
a favore dell'Ue a guida franco-tedesca" clicca QUI
Per "1992: Il meccanismo politico-economico che ha causato la formazione di questa UE con la conseguente
perdita della sovranità italiana" clicca QUI
Per "Imposimato: Moro fu ucciso per volere di Andreotti e Cossiga" clicca QUI
Per "Massoneria: storia, usi e costumi" clicca QUI
Per "Intreccio politico-economico del clericalismo in Italia dal 1946: banche, partiti, logge e governi"
clicca QUI
Per "Influenza dei clericali nella politica e diritto di voto nel Regno d'Italia" clicca QUI
Per "Antonio Gramsci e l'Egemonia" clicca QUI
Per "L'Anarchia" clicca QUI
Per "Da: Piergiorgio Odifreddi 'Perché non possiamo essere cristiani'" clicca QUI
Per "Elezioni 2015 in 78 comuni fra cui 10 capoluoghi di provincia: un altro dispiacere per Renzi" clicca QUI
Per "Nelle elezioni del 2015 in 7 regioni, il renzismo non paga!" clicca QUI
Per "Ecco chi era a capo dei 101 tradi-dem che hanno affossato Prodi per il colle nel 2013: Renzi" clicca QUI
Per "Lo strappo di Cofferati stimola un'analisi sulla sostanza del PD" clicca QUIPer "Perplessità Renziane..." clicca QUI
Per "Resistere! Cos'altro possiamo fare?" clicca QUI
Per "Yani Varoufakis fonda il movimento paneuropeo DiEm25" clicca QUI
Per "La Grecia non ci sta, osa indire un referendum e rifiuta di farsi spennare" clicca QUI
Per "La Grecia non vuole più subire l'austerità autoritaria e violenta impostale da UE e Fmi" clicca QUI
Per "Dalla Grecia, venti di sinistra sull'UE" clicca QUI
Per "Risultati delle elezioni per il Parlamento Europeo nel 2014 e nel 2009" clicca QUI
Per "Origini dei partiti in Inghilterra" clicca QUI
Per "Origini del sionismo: conflitti interni, richiesta d'intervento a Roma e successiva repressione" clicca QUI
Per "Il Senato nell'antica Roma" clicca QUI
Per "Partiti ed elezioni nell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "Partiti ed elezioni nell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "Le leggi Licinie Sestie dell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "Elezioni, elettori ed eletti nell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "Conflitto degli Ordini e Secessione della Plebe nell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "Roma arcaica e i conflitti con l'etrusca Veio, intrecciatisi al conflitto degli ordini" clicca QUI
Per "Elezioni, elettori ed eletti nell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "Conflitto degli Ordini e Secessione della Plebe nell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "Roma arcaica e i conflitti con l'etrusca Veio, intrecciatisi al conflitto degli ordini" clicca QUI
Per "Le leggi delle XII tavole dell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "L'ordinamento politico-sociale dell'antica Roma monarchica" clicca QUI
Per "Il ruolo dei 7 re nella Roma arcaica" clicca QUI
Da altri 7 blog:Per "L'ordinamento politico-sociale dell'antica Roma monarchica" clicca QUI
Per "Il ruolo dei 7 re nella Roma arcaica" clicca QUI
Per i post "Il pensiero nell'Italia contemporanea" clicca QUI
Per i post "Il pensiero nel mondo contemporaneo" clicca QUI
Per i post "Musica interpreti video testi e storia" clicca QUI
Per "Stelle e Costellazioni visibili nel nostro Cielo" clicca QUI
Per "La Precessione degli Equinozi" clicca QUI
Per i post "Astrologia evolutiva, progressiva, oroscopo, numerologia" clicca QUI
Per i post "Astrologia evolutiva, progressiva, oroscopo, numerologia" clicca QUI
Per i post "Satir-Oroscopo" clicca QUI
Per "Il Feg-Shui: Scuole della Bussola e del Ba Gua" clicca QUI
Per "I Chakra o Centri energetici fisici: dove sono e come si possono rilevare" clicca QUI
Per "Il Feg-Shui: Scuole della Bussola e del Ba Gua" clicca QUI
Per "I Chakra o Centri energetici fisici: dove sono e come si possono rilevare" clicca QUI
Per i post "Pietre e Cristalli" clicca QUI
Per "Il Cattura-sogni" clicca QUI
Per "Ruota di Medicina dei Nativi Americani" clicca QUI
Per i post "Aforismi, Foto e Frasi dei Nativi Nord Americani (gl'Indiani d'America)" clicca QUI
Per "Il Cattura-sogni" clicca QUI
Per "Ruota di Medicina dei Nativi Americani" clicca QUI
Per i post "Aforismi, Foto e Frasi dei Nativi Nord Americani (gl'Indiani d'America)" clicca QUI
Per i post "Nativi Americani: Personaggi di spicco" clicca QUI
Per "Elenco tribù, personaggi, eventi e culture dei Nativi Nord-Americani, gl'Indiani d'America" clicca QUI
Per "Oroscopo degli Alberi celtico" clicca QUI
Per "Croce Celtica" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Celti" clicca QUI
Per "Celti: storia e cultura" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Celti" clicca QUI
Per "Celti: storia e cultura" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Ebraico-Cristiani" clicca QUI
Per "Breve storia del Cristianesimo, da setta giudaica minore al primato nella Roma imperiale:
cattolica, universale e teocratica" clicca QUIPer "Breve storia del Cristianesimo, da setta giudaica minore al primato nella Roma imperiale:
Per i post "Cultura degli antichi Romani" clicca QUI
Per "Evidenze storiche nel mito della fondazione di Roma" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Greci" clicca QUI
Per "Elenco degli storici antichi dell'Occidente" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Ebrei" clicca QUI
Per "Ebraismo: origini, storia e cultura" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Greci" clicca QUI
Per "Elenco degli storici antichi dell'Occidente" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Ebrei" clicca QUI
Per "Ebraismo: origini, storia e cultura" clicca QUI
Per "Antichi Liguri: a Tartesso prima di Fenici e Greci" clicca QUI
Per "Liguri: storia e cultura" clicca QUI
Per "Liguri: storia e cultura" clicca QUI
Per "La vita nel Mar Ligure e nelle acque della Riviera dei Fiori" clicca QUI