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giovedì 6 dicembre 2018

Nell'ambito geopolitico, il processo italiano di svilimento della Costituzione e perdita della sovranità nazionale a favore dell'Ue a guida franco-tedesca

PROLOGO GEOPOLITICO
L'Heartland, il "Cuore della Terra" secondo Mackinder.
Il termine "Heartland" viene coniato all'inizio del novecento dall'inglese Halford Mackinder a partire dall'analisi geopolitica del nostro pianeta, da cui si evidenzia l'unità della massa terrestre comprendente i continenti europeo, asiatico ed africano. Oltre ad essere la più popolata, e quindi anche la più vasta, tale zona risulta essere separata geofisicamente da tutte le altre terre emerse, e deve essere perciò considerata l'"Isola del mondo". A formarne il "Cuore", o "Heartland", sono però soltanto "la parte settentrionale e l'interno dell'Eurasia... dalla costa Artica ai deserti centrali" fino al limite occidentale del "vasto istmo fra il Baltico ed il Mar Nero".

Nel 1943 Mackinder giunge comunque ad una definizione più specifica della "Terra del cuore", che viene a coincidere sostanzialmente con l'Unione Sovietica, ad esclusione dei territori ad est del fiume Lena (non facilmente percorribili, e vulnerabili essendo aperti all'oceano) e della Cina delle pianure costiere. L'Heartland risulta così fisicamente protetto a nord dal Mare Artico, ad est dalla inospitale "Terra di Lena" e a sud dalle catene montuose dall'Hindu Kush all'Himalaya, mentre l'unica via d'ingresso è costituita dall'Europa, che strategicamente diventa così importantissima.

Fiume Lena da https://it.lucia
fontaine.com/obrazovanie/84798
-gde-na-karte-nahoditsya-reka-lena
-reka-lena-na-karte-rossii-
kuda-vpadaet-reka-lena.html
La Lena è il più orientale dei tre grandi fiumi siberiani (gli altri due sono l'Ob' e l'Enisej) che fluiscono nel Mar Glaciale Artico e attraversa la Siberia orientale da sud a nord per sfociare nel mare di Laptev dopo un percorso di oltre 4.400 km, drenando un bacino di 2.490.000 km². La Lena è il decimo fiume più lungo del mondo e fra i maggiori per ampiezza di bacino, il quale coincide, sostanzialmente, con l'intera Siberia orientale.

Sinonimo di presenza di vaste popolazioni, di elevate risorse economiche ed industriali e di grandi possibilità di manovra per linee interne, l'Heartland assume perciò, nell'ottica geopolitica, i caratteri di una fortezza naturale inespugnabile, cinta da due aree marginali:
- il "perimetro marginale interno" o Rimlands, le terre del bordo, a cui appartengono, oltre all'Europa, il Nord Africa, il Vicino Oriente, il subcontinente indiano, la Malaysia, le pianure cinesi ed il Giappone,
- ed il "perimetro insulare esterno" che comprende l'intero continente americano, l'Africa a sud del Sahara e l'Australia.
L'importanza strategica dell'Heartland viene ribadita da Mackinder sul finire dell'ultima guerra mondiale, con questa sola aggiunta: che, nel momento in cui la terra del cuore arrivasse a raggiungere e controllare anche solo una parte del perimetro marginale interno, le Rimlands, si troverebbe in condizione di poter dominare il mondo intero, avendo finalmente via libera ai mari caldi e quindi al controllo degli oceani. Così, è la sua conclusione "inevitabile","se l'Unione Sovietica emerge da questa guerra come conquistatrice della Germania, essa dovrà essere considerata la più grande potenza terrestre del globo".

L'Heartland e le Rimlands di Mahan.
Un'idea del genere la ritroviamo anche in un altro studioso di geopolitica, l'americano Alfred Mahan. il cui paradigma d'analisi non è però più limitato al dominio sulla terra ferma, bensì al potere marittimo. Partendo da questa prospettiva opposta, egli giunge comunque alle stesse sostanziali conclusioni di Mackinder, perché anche per lui - pur utilizzando i concetti di "posizione geografica" (sbocchi marittimi) e "conformazione geofisica del territorio" (dislocazione delle basi navali) - una potenza, intenzionata a porsi come egemone, deve appropriarsi del perimetro marginale interno, le Rimlands, per assicurarsi il controllo del mondo. Solo con l'accesso ai mari caldi, e quindi con basi navali sugli oceani, l'Heartland potrebbe costringere alla resa qualsiasi potenza antagonista, come ad esempio la Gran Bretagna che proprio ai primi del secolo è impegnata a dislocare le sue basi navali in modo da controllare sia il perimetro esterno che quello interno (Gibilterra, Malta, Suez, Aden, Ceylon o Sri Lanka, Singapore e Hong Kong all'interno; le basi canadesi, le Falkland, Città del Capo e Sidney all'esterno).
Infatti a contrastare la tendenza egemonica dell'Heartland non è necessario che la potenza avversaria occupi tutto il perimetro interno, essendo sufficiente che essa possegga un discreto numero di basi, disposte in posizioni geografiche strategiche, per controllarne la circonferenza e con essa il mondo. È innegabile che la mobilità strategica e le possibilità d'intervento consentite dalle linee di comunicazione navali, unite alla flessibilità della manovra per linee esterne, assicurano alle potenze marittime una capacità di controllo dei perimetri interno ed esterno superiore a quelle continentali.

Se ora alla Gran Bretagna sostituiamo gli Stati Uniti, entriamo nella considerazione dell'analisi dell'ultimo geopolitico americano, Nicholas Spykman. In linea con Mackinder e Mahan, Spykman sintetizza così quanto detto finora: "Chi controlla le Rimlands (il perimetro interno di Mackinder) regna sull'Eurasia; chi regna sull'Eurasia controlla i destini del mondo". E qui sono gli Stati Uniti ad avere buon gioco perché, mentre l'Heartland è separato, per ragioni politiche e topografiche, dagli oceani e dalle Rimlands, l'emisfero occidentale può di fatto controllare queste ultime in virtù del proprio potere marittimo. In conclusione, chi può dominare il mondo, secondo Spykman, non è tanto l'Heartland, quanto l'emisfero occidentale - gli Stati Uniti - in possesso delle stesse potenzialità dell'emisfero orientale, ma con in più il libero sbocco agli oceani.
Da qualsiasi emisfero si parta, comunque, l'analisi geopolitica evidenzia che una potenza intenzionata a porsi come egemone deve garantirsi il controllo delle Rimlands, in quanto solo attraverso di esse può accerchiare l'emisfero avversario e assoggettare il mondo.

La linea che prima separava il vecchio continente in occidentale ed orientale e soffocava l'identità dell'Europa centrale - cancellata come zona geopolitica dell'esito del conflitto mondiale - assume, dopo il crollo del muro di Berlino e dell'URSS, grande importanza non più come confine tra le due potenze in conflitto, bensì come epicentro di un nuovo aggregato geopolitico ancora eterogeneo, perché composto da territori prima divisi tra Est ed Ovest, ma di portata strategica mondiale.

Se l'abbandono della pressione da parte dei due blocchi, sovietico ed americano sulle Rimlands ha provocato ripercussioni un po' dovunque, è stato soprattutto nell'ambito della ricostituzione di un'identità dell'Europa centrale che ha mostrato i suoi frutti più evidenti.
La rinascita di tale zona, ad elevatissima valenza strategica, ha posto non pochi quesiti all'analisi geopolitica: anche se "rimossa" da tutta la dottrina dell'ultimo dopoguerra, la prospettiva di un processo di movimento dalle Rimlands all'Heartland è ritornata di attualità.
È ritornata perché già presente nella tradizione geopolitica dell'Europa nell'arco di tempo compreso tra le due grandi rivoluzioni - francese e sovietica - almeno nelle strategie di Napoleone e di Hitler (per rimanere all'esempio più recente basti pensare alle mire espansionistiche naziste verso la Terra del Cuore, la Russia, da unificare alle coste europee occidentali così da ottenere quelle condizioni geopolitiche che - per dirla con Mackinder, Mahan e Spykman - avrebbero permesso ai tedeschi il dominio sul mondo).

PROLOGO STORICO
Mappa di riferimento ancestrale del
censimento del 2000 negli USA.
Ai primi del '900, fra i paesi industriali produttori, la Germania era seconda solo agli Stati Uniti d'America, che rappresentava il maggior mercato interno del mondo, per quanto il suo sistema bancario fosse ad uno stato embrionale ed esportava solo il 5% della sua produzione.
Il massimo centro finanziario mondiale era la City di Londra, (e ancora nel 2008 è primo nell'indice dei centri del commercio mondiale pubblicato da MasterCard) la moneta più ambita la sterlina e gli USA erano debitori nei confronti dei paesi europei (fra cui la Germania, che per produzione industriale aveva sorpassato l'UK) per 5 miliardi di dollari.

All'inizio del secolo scorso alcune nazioni europee investivano negli USA per il 10% del suo mercato in: armamenti, nelle industrie telegrafiche, telefoniche e tranviarie oltre a gas, acqua ed elettricità... tutti asset collegati alle urbanizzazioni.
Negli Stati Uniti (nei pressi di Titusville, Pennsylvania) negli anni '50 dell'800 è nata l'industria petrolifera per l'iniziativa di Edwin Drake. Il 27 agosto 1859 è stato aperto il primo pozzo petrolifero redditizio del mondo. L'industria crebbe lentamente durante l'800 e non diventò di interesse nazionale USA fino agli inizi del ventesimo secolo; l'introduzione del motore a combustione interna fornì la domanda che ha poi largamente sostenuto questa industria. I primi piccoli giacimenti "locali" in Pennsylvania e in Ontario sono stati velocemente esauriti, portando i "boom petroliferi" in Texas, Oklahoma, e California. Alcune nazioni europee avevano considerevoli riserve petrolifere nei loro possedimenti coloniali, e incominciarono ad utilizzarli a livello industriale.
Negli USA, già dal 1.911, si erano applicate, nelle industrie automobilistiche di Henri Ford, le teorie dell'ing. Frederick Winslow Taylor, pubblicate in “L'organizzazione scientifica del lavoro”: la catena di montaggio, immortalata in “Tempi moderni” da Charlie Chaplin. Ford, inoltre, mise al centro della sua politica aziendale l'idea che solo un'elevata capacità di consumo avrebbe assorbito una massiccia produzione industriale ed iniziò quindi a retribuire lautamente i propri dipendenti (cinque dollari al giorno, una cifra considerevole all'epoca) trasformandoli così in sicuri consumatori delle proprie automobili. Decretò fra l'altro in 8 ore la giornata di lavoro, richiesta che i socialisti europei avevano vanamente avanzato in precedenza.

Le guerre condotte prima della Grande Guerra avevano obiettivi limitati, non furono condotte fino all'annientamento del nemico. Nella precedente età degli imperi, gli obiettivi della politica e dell'economia si erano fusi e la competizione bellica aveva come posta la crescita economica.
La guerra totale illimitata invece, coinvolgeva l'intera società. Tutte le strutture sociali, politiche, economiche e culturali subirono delle trasformazioni a ritmo fortemente accelerato: lo sviluppo industriale ed economico metteva a disposizione dei belligeranti mezzi di distruzione estremamente potenti. Per la prima volta la fitta rete delle comunicazioni ferroviarie e stradali, i collegamenti telefonici e telegrafici furono utilizzati sull'intera rete continentale, per scopi bellici. Le più recenti invenzioni tecniche e scientifiche furono rapidamente riconvertite in strumenti di morte. In primo luogo la chimica, con l'uso di gas asfissianti, con l'invenzione del motore a scoppio si semplificava il trasporto delle truppe e si costruì una nuova e potente arma, la cui efficacia fu riconosciuta alla fine del conflitto: il carro armato. Altra nuova invenzione fu l'arma aerea, sia per la ricognizione che per i bombardamenti dall'alto (e i primi furono gli italiani in Libia durante la guerra italo-turca del 1911/12). Tutti gli apparati interni furono utilizzati: gli scienziati, furono impegnati fino allo spasimo nelle ricerche, le tecniche di organizzazione furono perfezionate e tutto l'apparato industriale fu sconvolto dalla pressione di una domanda di prodotti bellici travolgente.
La produzione industriale divenne un interesse diretto dello Stato, un elemento decisivo della sua sicurezza e in quanto tale fu assoggettata al controllo pubblico. Requisizioni, ripartizioni pubbliche delle materie prime, militarizzazione dei lavoratori, furono gli aspetti più evidenti della nuova situazione.
Nasce così l'economia moderna: programmata, centralizzata, pianificata e organizzata dallo Stato, quindi un colpo mortale al modello liberale e liberista.

L'accordo Sykes-Picot, ufficialmente "Accordo sull'Asia Minore", è un accordo segreto stipulato fra i governi del Regno Unito e della Francia, che definiva le rispettive sfere di influenza nel Medio Oriente dopo che si fosse sconfitto l'impero ottomano nella prima guerra mondiale. I negoziati, condotti dal francese François Georges-Picot e dal britannico Mark Sykes, ebbero luogo tra novembre 1915 e marzo 1916, con l'assenso della Russia. L'accordo venne poi definitivamente firmato il 16 maggio 1916.
I termini dell'accordo furono pubblicati dal Manchester Guardian il 26 novembre 1917.
Questo accordo, che permise alle due potenze coloniali una supremazia nel Vicino Oriente petrolifero e avvierà l'istituzione di uno Stato sionista ebraico causerà conflitti, dovuti fra l'altro a confini arbitrari tracciati col righello, che continuano ai nostri giorni.

Nel febbraio 1917 a Mosca scoppia la rivolta e in tutto l'impero zarista dilaga la rivoluzione russa, che rovescia il governo dell'impero zarista. All'inizio del 1917 l'Impero russo, che da tre anni combatteva nella prima guerra mondiale come membro della triplice intesa, era stremato: le perdite ammontavano a più di sei milioni tra morti, feriti e prigionieri e tranne alcune vittorie sul fronte austriaco, ormai vanificate dagli eventi, la Russia aveva subito una grave serie di sconfitte che avevano comportato la perdita della Polonia, di una parte di Paesi Baltici e dell'Ucraina, portando così il fronte all'interno dei suoi stessi confini, mentre le condizioni del popolo si aggravavano fortemente. Il regime zarista, chiuso a riccio nella difesa del principio dell'autocrazia, aveva ormai perso del tutto il contatto con la realtà della Russia, al punto che anche molti degli elementi conservatori delle classi tradizionalmente alleate del regime, stavano prendendo coscienza che solo un'uscita di scena di Nicola II, e forse dello stesso zarismo, avrebbero loro permesso di mantenere il controllo dello Stato.
Il 2 marzo Duma (il parlamento) e Soviet (comitati) di operai e soldati si accordarono per la deposizione dello zar, e l'istituzione di un governo provvisorio formato da cadetti, menscevichi e socialisti rivoluzionari. Si formò il governo provvisorio di L'vov, che indusse Nicola II ad abdicare.
Mentre lo zar e la sua famiglia venivano arrestati, nel paese si formarono due poteri: quello del governo provvisorio, e quello dei Soviet, formato da delegati eletti, compresi i bolscevichi.
Contemporaneamente si diffuse in tutto il paese il disfattismo nazionale, segno della crescente stanchezza verso la guerra.

Il 6 aprile 1917 gli USA dichiarano guerra alla Germania. L'enorme entità delle risorse americane garantisce un'iniezione di fiducia ai paesi dell'Intesa. Nel corso del '17, l'Intesa godrà inoltre dell'appoggio del Brasile e della Cina. E' in questo anno che la guerra civile europea assume l'aspetto di conflitto mondiale.

Il leader bolscevico Lenin, tornato dall'esilio, sostenne la necessità di trasformare la rivoluzione borghese di febbraio in Rivoluzione Proletaria, guidata dai Soviet, che mirasse all'instaurazione di una società comunista. In ottobre i bolscevichi occuparono i punti nevralgici della capitale istituendo il Consiglio dei Commissari del Popolo, dando vita alla rivoluzione d'ottobre.
La vittoria dei bolscevichi portò al rovesciamento del Governo Provvisorio Russo e alla nascita della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.
Dal 1917 al 1921 esploderà la Guerra civile russa che vedrà la vittoria dell'Armata Rossa (dei bolscevichi, il cui comandante era l'ebreo comunista Lev Trotzky, poi fatto assassinare da Stalin nel 1940) sull'Armata Bianca (dei contro-rivoluzionari).
A seguito di ciò, nel 1922, verrà istituita l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) dove, formalmente, Lenin applicherà le teorie sociali ed economiche di Karl Marx e Friedrich Engels, messe nel cassetto poi dall'imperialismo di Stalin.
Dalla Rivoluzione russa nascerà una nuova frattura nel continente; al sistema capitalistico degli stati occidentali si contrapporrà il nuovo sistema comunista sovietico, che nel biennio 1919-21 ispirerà in tutta l’Europa la nascita dei partiti comunisti e, in alcuni paesi (Germania, Ungheria, Italia), tentativi rivoluzionari, tutti peraltro falliti.

La Russia esce così dal sistema degli stati europei proprio mentre una potenza extra-continentale, gli USA, interviene nel conflitto europeo in maniera determinante per l'esito del conflitto.
Durante le guerre d’Italia dell'inizio del '500 infatti, era maturata la nascita di un nuovo sistema di Stati, in cui emergevano i due assi portanti, costituiti dal Regno di Francia e da quello spagnolo, entrambi insediati nella penisola italiana, attorno ai quali, oltre all’Impero tedesco, formalmente al di sopra ma nella realtà sottoposto ad almeno uno dei due potentati, c’era l’Inghilterra, anch’essa in una condizione di subalternità, nonché gli altri Stati regionali italiani.
Così, come afferma Giuseppe Galasso, si determinava un’interdipendenza obiettiva della politica degli Stati che hanno agito nell’Europa durante le guerre d’Italia, pertanto essi si trovavano condizionati nel loro comportamento e nelle loro iniziative dalla presenza di una rete di rapporti internazionali.
Sono state queste condizioni a germinare il nuovo sistema: la stabilità e la regolarità delle relazioni; la dinamica spontanea dei pesi e dei contrappesi per l’esistenza di un gruppo di potenze reciprocamente interferenti; l’inevitabilità delle sfide e delle risposte provocata da questo genere di relazioni.
Non era ancora sviluppata la coscienza del principio di equilibrio delle potenze di livello europeo, ma gli avvenimenti militari e diplomatici che, dalla calata di Carlo VIII fino alla pace di Noyon, si sono svolte su vari scenari (soprattutto italiani) contribuirono a definire gli interessi e le possibilità delle potenze europee le une rispetto alle altre. Emerse, così, una chiara concezione dell’interdipendenza del sistema politico europeo che aveva ormai unificato i sistemi regionali precedenti. Si sviluppò la convinzione che la libertà di ciascuna delle potenze e la sicurezza di tutte coloro che operavano nel sistema dipendesse da un’azione comune contro ogni potenza che sembrasse acquistare una preponderanza eccessiva. Uno dei fenomeni più interessanti verificatosi nell’Italia di Lorenzo il Magnifico, la nascita di un sistema diplomatico permanente, testimonia, con l’allargamento agli Stati europei delle ambasciate permanenti, come la coscienza dell’esistenza di un sistema di Stati fosse divenuta una realtà dell’Europa moderna.
(Da: https://library.weschool.com/lezione/le-guerre-ditalia-e-il-sistema-degli-stati-europei-20094.html)

Il vero vincitore della Grande Guerra sarà una potenza extraeuropea, gli Stati Uniti d'America, che possedeva il sistema industriale più solido e produttivo del mondo, e che con i crediti vantati verso le potenze belligeranti negli anni di guerra oltre ai finanziamenti per la ricostruzione, iniziarono ad esercitarono un forte controllo sull’economia degli stati europei. Ciò permise a Woodrow Wilson, il presidente degli Stati Uniti, un deciso controllo delle spartizioni dei territori occupati dai paesi vincitori, soprattutto nei confronti dell'Italia, per via degli accordi governativi segreti del Patto di Londra che, secondo Wilson, nessuno avrebbero mai più dovuto stipulare. Mentre nel 1.914 il massimo centro finanziario mondiale era Londra, la moneta di riferimento internazionale era la sterlina e gli USA erano debitori nei confronti dei paesi europei (fra cui la Germania, che per produzione industriale aveva sorpassato l'UK) per 5 miliardi di dollari, grazie alla sua produzione e vendita di armamenti ai paesi belligeranti, gli USA vantavano nel 1.919 un credito di 10 miliardi di dollari dagli stessi, divenendo così il primo centro finanziario mondiale, mentre il dollaro si sostituiva al pound-sterlina come valuta di riferimento mondiale. Da qui si scatenerà il circolo vizioso per cui i paesi debitori europei non potevano pagare i loro debiti agli Stati Uniti finché la Germania non li avesse indennizzati a sua volta, scatenando una crisi economica e una disoccupazione generalizzata che, sommatasi alla crisi del '29, genererà, un'ulteriore guerra. Il lavoro è una garanzia di pace e probabilmente per questo motivo la nostra Costituzione è fondata sul lavoro.
E' la fine dell'Europa come fulcro mondiale, mentre il nuovo sistema comunista sovietico nel biennio 1919-21 ispirerà in tutta l’Europa la nascita di partiti comunisti e in alcuni paesi (Germania, Ungheria, Italia), tentativi rivoluzionari, tutti peraltro falliti. Di fronte al pericolo rosso le potenze europee favorirono l’affermazione di regimi autoritari di destra, soprattutto negli stati confinanti con l’Unione Sovietica, secondo la politica del “cordone sanitario”.

Il 28 giugno 1919, nella Galleria degli Specchi del Palazzo di Versailles, non lontano da Parigi, in Francia, viene firmato il trattato di Versailles, uno dei trattati di pace che pone ufficialmente fine alla prima guerra mondiale. Stipulato nell'ambito della Conferenza di pace di Parigi del 1919/1920, è firmato da 44 Stati ed è suddiviso in 16 parti e composto da 440 articoli. A Versailles, i paesi vincitori impongono ai vinti le loro condizioni, attribuendo loro l'esclusiva responsabilità di aggressori. In particolare, l'articolo 231 del Trattato di Versailles, riconosce la Germania come "responsabile, per esserne stata la causa, di tutte le perdite e di tutti i danni subiti dai governi alleati e associati e dai loro nazionali in conseguenza della guerra loro imposta dalla aggressione della Germania e dei suoi alleati". Le potenze alleate, dunque, attribuiscono ogni responsabilità alle mire espansionistiche e alla politica tedesca degli ultimi decenni. Nonostante la questione abbia generato numerosi dibattiti tra gli studiosi, è indubbio che la sconsiderata diplomazia condotta dal Kaiser Guglielmo II e dai suoi funzionari abbia rapidamente sconvolto l'equilibrio che il cancelliere Otto von Bismarck aveva cercato di instaurare tra le potenze europee, contribuendo in tal modo alla creazione delle due fazioni contrapposte degli Alleati e degli Imperi centrali. La Conferenza di Parigi produrrà comunque una pacecartaginese”, simile a quella che, millenni prima, Roma aveva imposto a Cartagine. Soprattutto la Francia, si attribuisce il ruolo di giudice severo verso la Germania, che subisce i suoi diktat ma che stata piegata solo dal blocco navale interno e dal cedimento dei suoi alleati e che quindi è subito presa dall'ossessione della “Revanche” = “Rivincita”, come lo fu il movimento caratterizzato da acceso nazionalismo manifestatosi in Francia dopo il 1871, nei confronti della Germania imperiale. La Germania si impegnò così a pagare 132 miliardi di marchi oro (6.600.000.000 di sterline), anche se l'ammontare delle riparazioni venne in seguito ridimensionato, con l'accordo sui debiti esteri germanici del 27 febbraio 1953. In data 3 ottobre 2.010, la Germania ha finito di onorare i debiti imposti da quel trattato, con il pagamento dell'ultimo importo di 69,9 milioni di euro.
La durezza dei trattati impressionò alcuni: «Questa non è una pace, è un armistizio per vent'anni » commenterà, nel 1920, Ferdinand Foch, l'ufficiale francese al comando delle forze alleate. In particolare l'economista John Maynard Keynes, che partecipava ai trattati in qualità di rappresentante del ministero del tesoro britannico e in Italia il presidente del consiglio, Francesco Saverio Nitti, misero in luce come le condizioni dei trattati, per la Germania, fossero di una tale durezza che non si sarebbero potuto rispettarli, se non con la dissoluzione complessiva dell'economia e dello stato che sarebbe emerso dalle ceneri del Reich tedesco. Keynes scrisse un libro intitolato “Le conseguenze economiche e la pace” che trattava dell'ovvio spirito revanscista dei tedeschi che ne sarebbe nato e che avrebbe inevitabilmente portato ad una seconda guerra mondiale.

Dal 1919 e fino al 1933, in Germania ha governato la fragile repubblica di Weimar, che vacillava sotto il peso degli indennizzi di guerra richiesti dai vincitori nel trattato di Versailles. La Germania si impegnò a pagare 132 miliardi di marchi oro (6.600.000.000 di sterline) ma l'ammontare delle riparazioni venne in seguito ridimensionato con l'accordo sui debiti esteri germanici del 27 febbraio 1953. In data 3 ottobre 2010 la Germania ha finito di rimborsare i debiti imposti dal trattato con il pagamento dell'ultimo debito per un importo di 69,9 milioni di euro. L'effetto congiunto di quei debiti con la grande depressione del '29 che provocò una generalizzazione della disoccupazione, porterà la così Germania nazista ad essere responsabile anche della seconda guerra mondiale.

Durante la seconda guerra mondiale, l'inizio della disfatta della Germania nazista fu segnata dalla battaglia di Stalingrado, svoltasi tra l'estate del 1942 ed il 2 febbraio 1943, che oppose i soldati dell'Armata Rossa sovietica alle forze tedesche, italiane, rumene ed ungheresi per il controllo della regione strategica tra il Don e il Volga e dell'importante centro politico ed economico di Stalingrado (oggi Volgograd), sul fronte orientale.
La battaglia, iniziata nell'estate 1942 con l'avanzata delle truppe dell'Asse (tedeschi, italiani, rumeni ed ungheresi) fino al Don e al Volga, ebbe termine nell'inverno 1943, dopo una serie di fasi drammatiche e sanguinose, con l'annientamento della 6ª Armata tedesca rimasta circondata a Stalingrado e con la distruzione di gran parte delle altre forze germaniche e dell'Asse impegnate nell'area strategica meridionale del fronte orientale. Le truppe italiane furono massacrate e i pochi che tornarono, dovettero farlo a piedi, fra i ghiacci della steppa russa. Questa lunga e gigantesca battaglia, definita da alcuni storici come "la più importante di tutta la Seconda guerra mondiale", segnò la prima grande sconfitta politico-militare della Germania nazista e dei suoi alleati e satelliti, nonché l'inizio dell'avanzata sovietica verso ovest che sarebbe terminata due anni dopo con la conquista del palazzo del Reichstag e il suicidio di Hitler nel bunker della Cancelleria durante la battaglia di Berlino. Quindi furono i sovietici i primi a vincere decisamente sui tedeschi e furono loro a prendere Berlino.

Nel 1944, nella conferenza di Bretton Woods, gli Alleati atlantici, in procinto di vincere la II guerra mondiale, sebbene la sconfitta della Germania fosse iniziata nel 1942 grazie alla disfatta nazi-fascista inflitta dai Sovietici a Stalingrado, si erano sostanzialmente stabiliti due primati:
1. Il dollaro, moneta della prima potenza industriale mondiale, era la valuta usata negli scambi internazionali,
2. Nella Borsa di Londra venivano gestiti la maggioranza di tali scambi.
John Maynard Keynes aveva comunque appurato che la povertà (dovuta alla disoccupazione e al risarcimento di eccessivi danni di guerra nel caso della Germania) aveva favorito la proliferazione di Stati autoritari e l'influenza del pensiero keynesiano aveva guidato il dibattito.
Il sistema di regole partorito nell'incontro (dal quale si disse che Keynes uscì ad ogni modo sconfitto), pur consentendo la libera circolazione dei capitali, attribuiva ai paesi la possibilità di un controllo in via amministrativa dei flussi e favoriva la gestione autonoma della politica monetaria (attraverso il rialzo o la riduzione dei tassi di interesse), pur lasciando ancorate le monete alla valuta di riferimento del dollaro (a sua volta legato all'oro, con l'obbligo per la Federal Reserve di convertire i dollari in oro al rapporto fisso di 35 dollari l'oncia ), puntando al raggiungimento della piena occupazione da parte degli stati aderenti.

Nel 1945, dal 4 all'11 febbraio, alla Conferenza di Jalta, in Crimea, Churchill (primo Ministro britannico), Roosevelt (presidente degli USA) e Stalin (capo dello Stato Sovietico) definiscono il nuovo assetto europeo. L'alleanza in tempo di guerra tra Stati Uniti ed Unione Sovietica fu un'eccezione del normale tenore delle relazioni tra i due paesi. La rivalità strategica tra le due vaste nazioni, future superpotenze, risale al 1890 quando, dopo un secolo di amicizia, durante il quale, fra l'altro, la Russia vendette agli USA l'Alaska, americani e russi divennero rivali nello sviluppo della Manciuria.
La Russia zarista, incapace di competere industrialmente, cercò di chiudere e colonizzare parti dell'Asia Orientale, mentre gli americani richiedevano la competizione aperta per i mercati. Nel 1917, la rivalità divenne intensamente ideologica. Gli americani non dimenticarono mai che l'appena costituito governo sovietico, a causa della situazione interna, negoziò una pace separata con la Germania nella Prima guerra mondiale, lasciando gli Alleati soli a combattere le Potenze Centrali. D'altra parte la sfiducia sovietica nei confronti degli USA derivava dallo sbarco di truppe statunitensi in Russia nel 1918, le quali furono coinvolte, direttamente o indirettamente, nell'assistere i Bianchi zaristi anti-bolscevichi nella guerra civile russa. Da parte degli Alleati, la rottura da parte dell'URSS del Patto di Monaco del 1938 e la successiva firma del Patto Molotov-Ribbentrop con il terzo Reich del 1939, contribuirono ad alimentare un clima di sfiducia nei confronti dei sovietici.
Durante il secondo conflitto mondiale, i sovietici non dimenticarono le ripetute assicurazioni, a lungo disattese, di Franklin D. Roosevelt, che USA e Regno Unito avrebbero aperto un secondo fronte sul continente europeo. Infatti, mentre gli USA combattevano nel Mediterraneo e in Italia, prestavano aiuto ai sovietici solo bombardando pesantemente l'Europa Continentale e un'invasione Alleata su vasta scala del continente avvenne solo nel D-Day del giugno 1944, più di due anni dopo la richiesta dei sovietici e alla fine della guerra, l'URSS aveva sofferto perdite tremende, fino a venti milioni di morti.
Ma nonostante questi precedenti, a Jalta, Franklin Delano Roosevelt doveva essere sinceramente convinto dell'esigenza di una pace duratura e probabilmente non pensava di aprire le ostilità contro Stalin, come invece avrebbe fatto Winston Churchill... ma morì il 12 Aprile 1945.
Gli successe Harry S. Truman, che diventò presidente degli USA dall'aprile 1945, ed era determinato ad aprire i mercati mondiali al capitalismo e a modellare il mondo del dopoguerra secondo i principi stilati poi nella Carta Atlantica: autodeterminazione, pari accesso economico, e un ricostruito capitalismo in Europa, che potesse servire nuovamente come centro degli affari mondiali. Ma non solo: Truman, e Eisenhower dopo di lui, si impegnarono soprattutto in una competizione internazionale con l'URSS e il blocco comunista. La lotta al comunismo ebbe risvolti anche all'interno degli USA, dando luogo ad una vera e propria “caccia al comunista”, il Maccartismo.

L' 8 maggio 1945 la Germania si arrende mentre il Giappone si arrenderà in agosto, dopo lo sgancio di due bombe atomiche americane. Le truppe sovietiche e quelle degli Alleati occidentali (USA, Regno Unito e Francia), erano dispiegate in determinate posizioni, essenzialmente lungo una linea al centro dell'Europa che venne chiamata Linea Oder-Neisse. Secondo lo spirito di Jalta, i vincitori potevano stare dove si trovavano e nessuno avrebbe usato la forza diretta per cacciar via gli altri. A parte alcuni aggiustamenti minori, questa sarebbe diventata la "Cortina di ferro" della Guerra Fredda.
La Germania fu suddivisa nella Repubblica Federale Tedesca (RFT) a ovest, con capitale Bonn e nella Repubblica Democratica Tedesca (RDT) a est, in tedesco Deutsche Demokratische Republik, abbreviato in DDR, con capitale Berlino-est. Tale prospettiva si applicava anche all'Asia, come evidenziato dall'occupazione statunitense del Giappone e dalla divisione della Corea. Così Berlino, simbolo del nazismo e capitale della Germania hitleriana, venne a trovarsi nel territorio della Germania Est, ossia sotto l'influenza sovietica, benché suddivisa fra i vincitori del conflitto in 4 zone, tre delle quali, a Berlino ovest, controllate dagli Alleati democratici, con un corridoio via terra, all'interno della Germania dell'est, per poterla raggiungere. La quarta zona, Berlino est (la parte orientale della città) rimase appannaggio dell'Unione Sovietica, divenendo la capitale della Germania orientale, la RDT.

Nel 1947 scatta in aiuto dell'Europa distrutta, il Piano Marshall. Il piano Marshall servì a dissuadere le simpatie verso il mondo comunista e a ricostruire il capitalismo in Europa da una parte, e a finanziare una ricostruzione dai danni provocati in larga parte dai bombardamenti angloamericani stessi dall'altra.

Nel marzo 1947 l’Italia aderisce agli accordi monetari di Bretton Woods ed entra a far parte nel Fmi.

Il 24 giugno 1948 si verifica il blocco di Berlino. Dopo mesi durante i quali i sovietici avevano iniziato a manifestare disagio e dissenso sulla situazione territoriale e logistica "anomala" di Berlino (con un'enclave occidentale in territorio filo-sovietico), che permetteva alle genti sottoposte al regime socialista di transitare facilmente all'ovest trovandovi rifugio, il 24 giugno decisero di chiudere il corridoio terrestre attraverso il quale Berlino ovest era connessa al mondo occidentale impedendo, di fatto, il suo approvvigionamento logistico: il successivo ponte aereo, organizzato dal mondo occidentale per assicurare la sopravvivenza della popolazione di Berlino Ovest, è entrato nella storia. Questa vicenda impressionò le popolazioni occidentali e, di fatto, fornì la motivazione per istituire un'Alleanza militare del mondo occidentale contro la minaccia sovietica, inaugurando la Guerra Fredda, una guerra fra paesi democratici e comunisti che non poteva essere combattuta con le armi poiché con l'uso delle armi nucleari non ci sarebbero stati vincitori ma solo morte e distruzione.

I paesi occidentali concretizzarono così le mire del presidente degli USA, Harry S. Truman, costituendo la NATO, (in inglese North Atlantic Treaty Organization, in sigla NATO e in francese Organisation du Traité de l'Atlantique du Nord, in sigla OTAN) il patto atlantico di alleanza militare in funzione anti-sovietica. Il trattato istitutivo della NATO, fu firmato a Washington D.C. il 4 aprile 1949 ed entrò in vigore il 24 agosto dello stesso anno. Attualmente, fanno parte della NATO 28 stati del mondo. Il Patto Atlantico traeva origine dalla percezione che il cosiddetto mondo occidentale (costituito da Stati Uniti d'America, Canada, Regno Unito, Francia, Norvegia, Italia ed altri Paesi dell'Europa occidentale), dopo la seconda guerra mondiale, stesse cominciando ad accusare tensioni nei confronti dell'altro paese vincitore della guerra, ossia l'Unione Sovietica, con i suoi Stati satellite. Iniziava infatti a svilupparsi, nelle opinioni pubbliche occidentali, il timore che il regime sovietico potesse "non accontentarsi" della propria influenza nei territori che aveva occupato al termine della seconda guerra mondiale ma, radicalizzando i contenuti ideologici nelle società democratiche, ambisse ad espandersi per l'affermazione globale dell'ideologia comunista. Ciò generò un movimento di opinione che - anche grazie alle varie attività in tal senso organizzate dagli Stati Uniti d'America - iniziò a svilupparsi in modo generalizzato nei paesi occidentali e che richiedeva la sicurezza del mondo occidentale dalla minaccia comunista; la NATO, quindi, rispondeva all'esigenza di allearsi e di mettere a fattor comune i propri dispositivi di difesa, per reagire "come un sol uomo" ad un eventuale attacco da parte dei comunisti.

Il 18 aprile 1951 gli Stati europei filo-atlantici, per facilitare una reciproca ripresa industriale, firmano, con l'ennesimo Trattato di Parigi, la CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio), su iniziativa dei politici francesi Jean Monnet e Robert Schuman (il cosiddetto Piano Schuman o dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950), con lo scopo di mettere in comune le produzioni di queste due materie prime in sei paesi europei: Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi.
La CECA fu l'istituzione che precorse la strada del Trattato di Roma, con il quale venne costituita la Comunità economica europea, divenuta Unione europea nel 1992.

L'istituzione della NATO convinse l'URSS ad istituire, nel 1955, il "Patto di Varsavia", l'alleanza militare fra URSS e i paesi dell'est europeo, che aveva occupato in tempo di guerra e in cui erano stati instaurati governi filo-sovietici.

Nel 1957, con i Trattati di Roma del 25 marzo, i sei Stati europei della CECA fondano la Comunità Economica Europea (CEE o MEC, Mercato Comune Europeo), un'organizzazione che ha costituito il "Primo pilastro" della successiva Unione europea e la CEEA (Comunità Europea dell'Energia Atomica, istituita allo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi all'energia nucleare ed assicurare un uso pacifico della stessa.
Considerata la più importante delle Comunità europee, appena nata, CEE stava per "comitato economico europeo". I trattati di Roma entrarono in vigore il 1º gennaio 1958, dando così vita effettiva alla Comunità economica europea che aveva nei suoi obiettivi l'unione economica dei suoi membri, fino a portare ad un'eventuale unione politica. Lavorò per il libero movimento dei beni, dei servizi, dei lavoratori e dei capitali, per l'abolizione dei cartelli e per lo sviluppo di politiche congiunte e reciproche nel campo del lavoro, dello stato sociale, dell'agricoltura, dei trasporti, del commercio estero.
La Comunità Europea sarà guidata dal punto di vista monetario dal «serpente monetario» nel 1972 e dal Sistema Monetario Europeo (SME) dal 1979. Con l'adozione del Trattato di Lisbona il 1º dicembre 2009 essa, formalmente, non esiste più (è stata assorbita dall'Unione europea).
Nel 1956 il Regno Unito aveva proposto che il Mercato Europeo Comune (MEC) fosse esteso in una più ampia area di libero scambio rispetto a quella dei sei Stati della CECA, ma nel novembre 1958 la Francia pose il veto sulla creazione della nuova area, così il Regno Unito insieme alla Svezia si fecero promotori dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), concretizzatosi nel 1960, insieme ad altri paesi non membri CEE (Austria, Danimarca, Norvegia, Portogallo, Svezia, Svizzera e Regno Unito).

Tra il 1949 e il 1961, circa 2,7 milioni di persone avevano lasciato la Germania orientale, la RDT e Berlino Est: il flusso di fuggiaschi era costituito per circa la metà da persone giovani, sotto i 25 anni, e poneva la dirigenza della RDT davanti a difficoltà sempre maggiori. Quotidianamente circa mezzo milione di persone passava i confini dei settori di Berlino in entrambe le direzioni e quindi potevano confrontare le differenze della qualità della vita fra un settore e l'altro. Solo nel 1960, circa 200.000 persone si trasferirono stabilmente nell’Ovest e la RDT si avvicinava al collasso sociale ed economico.
Nelle prime ore del 13 agosto 1961, le maestranze di Berlino Est fecero erigere sbarramenti provvisori nei confini con Berlino Ovest e furono tolti tratti di pavimentazione sulle strade di collegamento fra i due settori. La scelta di una domenica di ferie in piena estate aveva un senso preciso. Nelle settimane e nei giorni successivi, gli sbarramenti di filo spinato sui confini fra Berlino Ovest ed Est furono sostituiti da un muro di lastre di cemento e blocchi forati, costruito da lavoratori edili di Berlino Est controllati pesantemente da sentinelle di frontiera della RDT. Gli edifici sul confine furono trasformati in fortificazioni. In Bernauer Straße, in cui i marciapiedi appartenevano al distretto di Wedding (Berlino Ovest), mentre la fila di edifici a sud apparteneva al distretto di Mitte (Berlino Est), il governo della RDT fece murare le entrate delle case e le finestre al piano terradel lato ovest e gli abitanti potevano accedere alle loro abitazioni solo passando dalla parte dei cortili che si trovavano dalla parte di Berlino Est.
Già prima del 1961 si erano verificati numerosi sfratti forzati, non solo in Bernauer Straße, ma anche in altre zone di confine. Attraverso la costruzione del Muro, da un giorno all’altro furono tagliate e separate strade, piazze, case e i collegamenti del traffico urbano furono interrotti. La sera del 13 agosto il borgomastro Willy Brandt disse davanti al parlamento di Berlino: "L’amministrazione (il Senat) di Berlino denuncia davanti a tutto il mondo le misure illegali e inumane di chi divide la Germania, opprime Berlino Est e minaccia Berlino Ovest". Il 25 ottobre 1961 carri armati americani e sovietici si fronteggiarono al "passaggio per stranieri", il Checkpoint Charlie: soldati delle truppe di frontiera della RDT avevano appena tentato di controllare rappresentanti degli alleati occidentali che stavano entrando nel settore sovietico. Agli occhi degli americani questo comportamento infrangeva il diritto vigente alla libertà di movimento illimitata in tutta la città. Per 16 ore si fronteggiarono così, a solo pochi metri di distanza, entrambe le potenze nucleari. Per i contemporanei fu un momento di altissimo pericolo, ma all'indomani tutte e due le parti si ritirarono; un’iniziativa diplomatica di J. F. Kennedy, il presidente degli Stati Uniti, favorì infatti la dichiarazione del capo del PCUS e dello stato sovietico, Cruschow, che confermava lo status di divisione di Berlino fra le quattro potenze di Francia, Gran Bretagna, USA e URSS.
Tra Berlino Ovest e Berlino Est la frontiera fu fortificata da due muri paralleli di cemento armato, separati da una cosiddetta "striscia della morte", larga alcune decine di metri. Durante quegli anni, furono uccise dalla polizia di frontiera della DDR almeno 133 persone, mentre cercavano di superare il muro verso Berlino Ovest.
Alcuni studiosi sostengono che furono più di 200 le persone uccise mentre cercavano di raggiungere Berlino Ovest o catturate ed in seguito assassinate. Il muro divise in due la città di Berlino per 28 anni, dal 13 agosto del 1961 fino al 9 novembre 1989.

Nel 1971 collassa il Sistema di Bretton Woods e viene stipulato lo Smithsonian Agreement (Accordo smithsoniano), raggiunto dai membri del G10 nel 1971 per rimediare al caos monetario seguito alla fine del Sistema di Bretton Woods provocato dagli USA.
Nell'agosto 1971, infatti, il presidente statunitense Richard Nixon aveva approvato la legge che sospendeva l'obbligo per la Federal Reserve di convertire i dollari in oro al rapporto fisso di 35 dollari l'oncia, stabilito nel 1944 a Bretton Woods. Al contempo, fu introdotta una tassa del 10% sulle importazioni negli Stati Uniti. Finiva così l'epoca dello standard oro-dollaro.
Tale decisione rischiava però di provocare il caos nell'economia mondiale, che si trovava improvvisamente senza un sistema monetario internazionale. Fu così che nel dicembre dello stesso anno, i rappresentanti del Gruppo dei Dieci si riunirono a Washington, presso lo Smithsonian Institute. Ne nacque il cosiddetto Smithsonian Agreement, con il quale si decise una svalutazione del dollaro del 7,9% fissando un cambio di 38 dollari per oncia d'oro.
Tuttavia, non fu ripristinato l'obbligo per gli Stati Uniti di scambiare dollari con oro. Furono anche modificati i tassi di cambio tra le altre monete e si stabilì una banda di oscillazione del 2,25% attorno alle nuove parità. Infine, fu abolita la nuova tassa americana sulle importazioni.

Nello stesso 1971, una scoperta scientifica fornirà una nuova arma al sistema finanziario liberista occidentale per la conquista globale, attraverso l'informatizzazione degli scambi finanziari e la creazione di capitali virtuali.
Intel - con sede a Santa Clara, in California - all'inizio produceva componenti per memorie e durante gli anni settanta era divenuta leader nella produzione di memorie DRAM, SRAM e ROM. Da quando però nel 1971 Marcian Hoff, Federico Faggin, Stanley Mazor e Masatoshi Shima costruirono il primo microprocessore, l'Intel 4004, la produzione si spostò verso quella dei microprocessori facendo diventare Intel una dei colossi in questo settore.
A metà del 1969 un gruppo di ingegneri della ditta giapponese Busicom, fra cui Masatoshi Shima, si recò in California a visitare la Intel, che allora era una “startup”, cioè una ditta da poco avviata. Il loro obiettivo era negoziare lo sviluppo di sette circuiti integrati, necessari per realizzare il loro progetto di una serie di calcolatrici da tavolo.
Il capo del dipartimento di "Application Research", Ted Hoff, dopo aver esaminato l'architettura Busicom, inizialmente ripartita su sette chip, di cui 3 erano dedicati a fare la funzione di una CPU specializzata, ebbe l'idea di semplificarla in soli quattro chip, implementando la CPU in un unico chip. La proposta di Hoff consisteva in un'architettura a blocchi ed un set di istruzioni formulate con l'aiuto del suo assistente Stanley Mazor; l'idea fu proposta a Busicom, che accettò e il gruppo rientrò in Giappone nel mese di ottobre del 1969. Ted Hoff a questo punto considerava finito il suo lavoro ed il progetto fu trasferito ad un altro dipartimento, il dipartimento MOS di cui era a capo Les Vadasz. Né Hoff né Mazor dettero ulteriori contributi nelle critiche fasi di design e sviluppo del progetto in quanto non erano progettisti di chip e non avrebbero potuto progettare un chip della complessità del 4004. Il progetto languì per molti mesi accumulando un grande ritardo rispetto ai tempi pattuiti con la Busicom, finché Federico Faggin fu assunto da Vadasz alla Intel come capo-progetto e designer dei chip agli inizi di aprile del 1970. Faggin preparò una nuova tabella di marcia che richiedeva l'aiuto di un secondo ingegnere per ridurre il ritardo. La Busicom accettò la nuova tempistica e Shima rimase in California per sei mesi ad aiutare Faggin. Shima era un software e logic designer, e non aveva alcuna esperienza di chip design, però aveva molta voglia di imparare ed affiancò Faggin, per sei mesi, collaborando con lui soprattutto nella delicata fase di controllo dei circuiti e della logica. Tornato in Giappone Shima si occupò poi di sviluppare il software per la calcolatrice, il primo prodotto commerciale che usò il 4004.
Lavorando con grande accanimento Faggin riuscirà a completare il primo microchip digitale con successo nel tempo record di nove mesi. Il 4004 fu completamente funzionale verso la metà di marzo 1971. Faggin in seguito convinse i manager della Intel a introdurre il chip sul mercato anche se il progetto originale era un progetto esclusivo per il cliente Busicom. Busicom aveva infatti richiesto un abbassamento del costo dei chip della famiglia MCS-4, ed Intel accettò a patto di poter usare la nuova CPU in sistemi che non fossero calcolatrici elettroniche. Busicom accettò e nel novembre del 1971 Intel annunciò al pubblico il 4004 con lo slogan "Annuncing a new era of integrated electronics". L'Intel 4004 fu messo in commercio con un formato a 16 piedini dual in-line il 15 novembre del 1971 ed era costituito da circa 2.300 transistor.

Nel 1972 i paesi della Comunità Economica Europea (CEE) si accordano per mantenere stabili i tassi di cambio attraverso operazioni finanziarie, dando vita al cosiddetto «serpente monetario», che si scioglie due anni dopo con l'uscita di Francia e Italia.

Nell'ottobre 1972 è creato il fondo europeo per la cooperazione monetaria, che stanziava gli ECU (o Unità di conto europea: un paniere di monete, che fluttuavano entro il 2.25% - 6% per la lira, a causa del suo elevato tasso di inflazione - attorno alla parità nei tassi di cambio bilaterali con altri paesi membri.alle banche centrali dei paesi membri in cambio di depositi in oro e dollari USA.
Gli aggiustamenti periodici incrementavano i valori delle monete forti e diminuivano quelli delle monete più deboli, ma dopo il 1986 i cambi nei tassi nazionali di interesse erano soliti mantenere le valute entro un intervallo ristretto.

Dal 1973 con l'ingresso di Regno Unito, Irlanda e Danimarca nella CEE, EFTA e CEEA (Comunità Europea dell'Energia Atomica, istituita contemporaneamente alla CEE con i trattati di Roma del 25 marzo 1957 allo scopo di coordinare i programmi di ricerca degli stati membri relativi all'energia nucleare ed assicurare un uso pacifico della stessa) negoziarono una serie di accordi per assicurare uniformità nelle politiche economiche delle due organizzazioni, sfociata infine nell'accordo per lo Spazio economico europeo (SEE). Nel 1995, di membri che non siano poi entrati nell'UE, rimanevano nell'organizzazione solo Islanda, Liechtenstein, Norvegia e temporaneamente la Svizzera, poi uscita dopo l'esito di un referendum popolare.

Il 13 marzo 1979 entra in vigore il sistema monetario europeo, detto anche SME, sottoscritto dai paesi membri dell'allora Comunità Europea (ad eccezione della Gran Bretagna, entrata nel 1990), costituì un accordo per il mantenimento di una parità di cambio prefissata (stabilita dagli Accordi di cambio europei), che poteva oscillare entro una fluttuazione del ±2,25% (del ±6% per Italia, Gran Bretagna, Spagna e Portogallo), avendo a riferimento una unità di conto comune (l'ECU), determinata in rapporto al valore medio dei cambi del paniere delle divise dei paesi aderenti.
Nel caso di eccessiva rivalutazione o svalutazione di una moneta rispetto a quelle del paniere, il governo nazionale doveva adottare le necessarie politiche monetarie che ristabilissero l'equilibrio di cambio entro la banda. Il sistema prescriveva inoltre che ogni Stato membro conferisse a un fondo comune il 20% delle riserve in valuta e in oro. Lo SME fu istituito su impulso del presidente francese Giscard d'Estaing e dal cancelliere tedesco Helmut Schmidt; venne concepito alla luce del decennio precedente caratterizzato da una forte inflazione in Europa e nei paesi occidentali, con la volontà di garantire la stabilità dei cambi. Cessò di esistere il 31 dicembre 1998, con la creazione dell'Unione economica e monetaria.
Lo SME, in seguito alle turbolenze che nel 1992 avevano colpito il meccanismo di cambi (e avevano portato all'uscita di Gran Bretagna e Italia), fu revisionato nel 1993 con l'allargamento degli Accordi europei di cambio, che portarono ad un innalzamento dei margini di oscillazione della valuta fino al ±15%, un maggiore coordinamento delle politiche monetarie, e l'ulteriore liberalizzazione dei movimenti di capitale. Fu inoltre costituito nel 1994 l'Istituto monetario europeo, con sede a Francoforte, antenato della Banca centrale europea.
Il sistema monetario voleva, contrariamente al pensiero keinesiano, realizzare un mercato finanziario unico, con libera circolazione di capitali (nel 1990 l'Italia dichiara la libera circolazione dei capitali), e creare uno spazio finanziario al cui interno fosse stabilito un tasso di cambio rigido (nominale, mentre quello reale, legato all'inflazione, rimaneva profondamente squilibrato tra i vari paesi). Non era più possibile quindi sostenere la domanda globale da parte degli stati (attraverso politiche monetarie espansive), venendo anche accantonato l'obiettivo del pieno impiego. Gli stati erano obbligati a recepire il saggio di cambio dai vincoli esterni e l'equilibrio finanziario prevaleva sul progetto keynesiano del perseguimento delle politiche fiscali espansive ai fini dell'abbattimento della disoccupazione. In questa situazione sebbene le importazioni di capitali consentissero di bilanciare il conto della partite correnti, ciò avveniva a costo di un forte rialzo dei tassi di interesse, sia sul debito pubblico, sia sul debito contratto dai soggetti privati, deprimendo gli investimenti e di conseguenza l'occupazione.
Il Sistema monetario europeo era un progetto in cui la maggior parte delle nazioni della Comunità economica europea vincolavano le loro monete onde prevenire troppo ampie fluttuazioni reciproche.
Gli elementi basilari dello SME erano:
- L'ECU o Unità di conto europea: un paniere di monete, che fluttuavano entro il 2.25% (6% per la lira, a causa del suo elevato tasso di inflazione) attorno alla parità nei tassi di cambio bilaterali con altri paesi membri.
- Un meccanismo di tasso di cambio.

Il destino del sistema monetario italiano passa dalle mani dello Stato a quelle della finanza speculativa attraverso una sequenza di eventi:

Nel 1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e il Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azelio Ciampi, decretano il divorzio tra il ministero del Tesoro e Banca d'Italia, con una lettera di Andreatta a Ciampi del 12-02-1981. Cessa quindi l'obbligo di Banca d'Italia di acquistare tutti i titoli di stato che venivano emessi dal ministero del Tesoro per finanziare il deficit dello stato stesso. Questo porterà all'acquisto di titoli di stato da parte delle grandi banche commerciali che, comprando i titoli, costringerà lo stato a pagare loro interessi, generando così un debito vero che passerà dai 142 miliardi dell'81 (falso debito, in quanto alla Banca d'Italia bastava stampare il denaro per ripianarlo) a ben 850 miliardi nel 1992 (debito vero, in quanto contratto con banche commerciali private, che lo stato e quindi il popolo dovrà ripagare sotto forma di tassazione forzata). (Da https://www.investireoggi.it/forums/threads/nel-1981-il-ministro-del-tesoro-andreatta-e-il-governatore-della-banca-ditalia-azeli.79186/)

Beniamino Andreatta
Lettera di
Andreatta a
Ciampi.
Beniamino Andreatta, detto Nino (Trento, 11 agosto 1928 - Bologna, 26 marzo 2007), è stato un economista, politico e accademico italiano. La vicinanza con Moro favorì la sua ascesa politica all'interno della Democrazia Cristiana, e dal 1976 al 1992 fu ininterrottamente parlamentare della DC. Ricoprì numerosi incarichi ministeriali di rilievo: nel 1979 fu Ministro del bilancio e della programmazione economica nel primo governo di Francesco Cossiga e senza portafoglio "con incarichi speciali" nel secondo governo Cossiga (agosto 1979 - ottobre 1980). Fu Ministro del tesoro dall'ottobre 1980 al dicembre 1982 nel governo di Arnaldo Forlani e nei governi di Giovanni Spadolini I e II. Nel luglio del 1982 provocò la cosiddetta "lite delle comari" con il ministro delle Finanze socialista Rino Formica, che fece cadere il governo Spadolini II. Non partecipò ai successivi governi di Bettino Craxi e di Giulio Andreotti, soprattutto perché scettico nei confronti dell'indirizzo economico adottato da quest'ultimo.

Carlo Azeglio Ciampi
Risposta di Ciampi.
Carlo Azeglio Ciampi (Livorno, 9 dicembre 1920 - Roma, 16 settembre 2016) è stato un economista, banchiere e politico italiano, 10º presidente della Repubblica Italiana dal 18 maggio 1999 al 15 maggio 2006. È stato governatore della Banca d'Italia dal 1979 al 1993, presidente del Consiglio dei ministri (1993-1994), Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica (1996-1997), quindi Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica (1998-1999). Primo presidente del Consiglio e primo capo dello Stato non parlamentare nella storia della Repubblica, Ciampi fu anche il secondo presidente della Repubblica eletto dopo essere stato governatore della Banca d'Italia, preceduto da Luigi Einaudi nel 1948. È stato anche governatore onorario della Banca d'Italia. Dopo una militanza giovanile nel Partito d'Azione, Ciampi non ha più aderito ad alcun partito. Come Capo dello Stato ha conferito l'incarico a tre Presidenti del Consiglio: Massimo D'Alema (del quale ha respinto le dimissioni di cortesia presentate nel 1999), Giuliano Amato (2000-2001) e Silvio Berlusconi (2001-2006); ha nominato cinque senatori a vita: Rita Levi-Montalcini nel 2001, Emilio Colombo nel 2003, Mario Luzi nel 2004, Giorgio Napolitano e Sergio Pininfarina nel 2005; ha infine nominato cinque Giudici della Corte costituzionale: nel 2000 Giovanni Maria Flick, nel 2004 Franco Gallo e nel 2005 Sabino Cassese, Maria Rita Saulle e Giuseppe Tesauro.

Per un saggio di quello che l'Italia era in quegli anni, basti pensare che nel 1983 nasce, come clone del PC IBM, l'Olivetti M24, prodotto presso lo stabilimento di Scarmagno (TO) che riscuote grande successo su tutti i mercati mondiali. A differenza del PC IBM, che adottava il processore Intel 8088 con clock a 4,7 MHz, l'M24 adottava il più potente Intel 8086, con la velocità di clock di 8 o 10 MHz (nella versione SP), un bus dati a 16 bit e la possibilità di incrementarne le prestazioni diminuendo la velocità di refresh della memoria via software. Prodotto a partire dal 1983, costava circa sei milioni di lire alla data del gennaio 1986, equivalenti a circa 6.600 € del 2008. Agli illuminati imprenditori Olivetti, che hanno annoverato tra i loro primati più significativi l'Elea 9003 e la Programma 101 (l'Elea può essere considerato il primo calcolatore completamente a transistor; la seconda è stata il primo elaboratore personale da cui sono derivati gli attuali personal computer PC) è succeduto alla guida dell'industria, dal 1978, Carlo De Benedetti.
L'avventura di Carlo De Benedetti in Olivetti come presidente si è conclusa nel 1996 quando, a causa di una grave crisi dell'azienda, decise di lasciare la guida dopo 18 anni e tuttavia rimase il principale azionista, pur mantenendo il ruolo di presidente onorario. Olivetti allora, insieme a Bell Atlantic fondò Infostrada S.p.A., operatore di rete fissa. Tuttavia questa operazione non riuscì a risollevare Olivetti da una grave crisi che la colpì a metà degli anni novanta a causa dell'intensificarsi della competizione globale, della caduta dei prezzi e dei margini in tutta l'industria informatica mondiale, della debolezza del mercato europeo e in particolare di quello italiano. Per tutti questi motivi Olivetti a partire dal 1996 iniziò una lunga e onerosa ristrutturazione delle attività. Nel 1997 il gruppo Olivetti vendette l'Olivetti Personal Computers (OPC) di Scarmagno alla Piedmont International (successivamente questa parte di azienda Olivetti passò nelle nuove mani della ICS e in un successivo crac finanziario, nell'ultima incarnazione si chiamò Oliit, fallita in ultimo nel 2004).

Nel 1985, con l'elezione di Michail Gorbačëv quale segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica (PCUS) inizia una nuova fase nella storia dell'U.R.S.S.
Gorbaciov fu sostenitore di una innovativa politica per l'Unione Sovietica fondata sui concetti chiave di perestrojka (ristrutturazione del sistema economico nazionale) e alla glasnost (trasparenza) volta al superamento dei problemi socio-economici della superpotenza sovietica. Questa politica di riforme, se da un lato portò alla fine della Guerra fredda e alla fine dell'isolamento internazionale dell'U.R.S.S., dall'altro lato portò all'emersione dei problemi economici dello Stato che fino ad allora erano stati caparbiamente nascosti. La fine della rigida politica di repressione interna, la recessione economica e l'ammissione della fragilità del sistema politico fecero emergere ben presto i contrasti, gli odi razziali e le spinte indipendentistiche dei numerosi popoli che erano stanziati nello sterminato territorio dell'impero sovietico e che fino a quel momento erano state tenute sotto controllo dall'apparato centrale.

Nel 1988 si stipulano gli Accordi di Basilea, linee guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche, redatte dal Comitato di Basilea, costituito dagli enti regolatori del G10 più il Lussemburgo, allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria.
Gli accordi (assieme alle linee guida, agli standard e alle raccomandazioni) sono una particolare forma operativa attraverso cui il Comitato agisce e sono stabiliti nell'aspettativa che le singole autorità nazionali possano redigere disposizioni operative che tengano conto delle realtà dei singoli stati. Infatti il Comitato, pur non avendo capacità regolamentare autonoma, riesce a conferire efficacia all'attività svolta, in quanto i paesi che vi aderiscono sono implicitamente vincolati e quelli che non aderiscono si adeguano a quello che, di fatto, diventa uno standard regolamentare. In questo modo il Comitato incoraggia la convergenza verso approcci e standard comuni.
Essendo centrale la solidità patrimoniale degli istituti di credito, diviene priorità dell'ente regolatore concentrarsi sul rischio. Questo approccio introduce alle principali innovazioni del settore creditizio: sviluppo di una nuova cultura sui rischi, standardizzazione delle tecniche ed individuazione delle best practices, appostamenti in funzione dell'esposizione corretta per il rischio.
Basilea I (il primo Accordo di Basilea del 1988) contiene la prima definizione e la prima misura (standard) del capitale minimo bancario accettate a livello internazionale. L'assunto di fondo è che a ciascuna operazione di prestito deve corrispondere una quota di capitale regolamentare da detenere a scopo precauzionale (cd. onere di capitale). Il capitale obbligatorio si determina confrontando l'entità del capitale o patrimonio di vigilanza (detto anche capitale eligibile) e l'ammontare delle attività bancarie impiegate nella concessione di prestiti (banking book) ponderato per il rischio di credito (ossia di mancato o tardivo rimborso da parte dei prenditori). Per un gruppo bancario, il patrimonio di vigilanza bancario deve essere pari ad almeno l'8% delle attività creditizie ponderate per il rischio di credito (Coefficiente di solvibilità). L'Accordo di Basilea obbligava le banche ad accantonare l'8% del capitale erogato, non investibile in attività creditizia tipica, né in attività para-assicurative, né in operazioni finanziarie sui mercati mobiliari, al fine di garantire solidità e fiducia nel sistema creditizio.
Col tempo, l'Accordo si è rivelato inadatto a fronteggiare le nuove sfide poste in essere dalle nuove tecnologie di comunicazione, prodotti finanziari, mercati bancari e dalle tecniche di gestione dei rischi (risk management). In particolar modo, non vengono presi in considerazione i rischi derivanti dalle operazioni sui mercati immobiliari e non sono accuratamente misurati i rischi di credito, che vengono piuttosto sottostimati. La principale conseguenza di ciò è l'arbitraggio, ossia una certa elusione del vincolo di capitale minimo imposto nel 1988. In pratica, a fronte del rispetto apparente della formula di Basilea I, il management bancario è incentivato a:
- concedere i tradizionali prestiti alle controparti relativamente più rischiose;
- intraprendere operazioni finanziarie innovative sempre più sofisticate e con un basso o nullo onere di capitale corrispondente.
Per far fronte a queste nuove problematiche si è provveduto ad una revisione dell'Accordo, culminata con il cosiddetto Basilea II.
Basilea II (Il Nuovo Accordo di Basilea del 2004, operativo nel 2007) si rende necessario dato che l'accordo del 1988 presentava il limite evidente che l'accantonamento era indifferente al rischio della controparte (essendo troppo per una controparte poco rischiosa e troppo poco per una controparte giudicata rischiosa) e finiva con il penalizzare le banche con portafogli con un merito di credito più elevato. Nel gennaio 2001 il Comitato di Basilea diffuse il New Basel Capital Accord (in Italia noto come Nuovo Accordo di Basilea o più semplicemente Basilea II), un documento di consultazione (da definire entro fine 2003 e a cui dare efficacia per la fine del 2006) per definire la nuova regolamentazione in materia di requisiti patrimoniali delle banche ed ovviare agli inconvenienti suddetti.

L'11 maggio 1989 in Italia si svolge un Referendum di indirizzo sul seguente quesito: "Ritenete voi che si debba procedere alla trasformazione delle Comunità europee in una effettiva Unione, dotata di un Governo responsabile di fronte al Parlamento, affidando allo stesso Parlamento europeo il mandato di redigere un progetto di Costituzione europea da sottoporre direttamente alla ratifica degli organi competenti degli Stati membri della Comunità?" e l'88 % degli italiani vota entusiasticamente SÌ, ma io NO.

Il 9 novembre 1989 il governo tedesco-orientale decreta l'apertura delle frontiere con la repubblica federale tedesca. Già l'Ungheria aveva aperto le proprie frontiere con l'Austria il 23 agosto 1989, dando così la possibilità di espatriare in occidente a coloro che in quel momento si trovavano lì in vacanza.
Quelli che nel giro di pochissimo tempo portarono alla riunificazione tedesca, furono due fattori decisivi:
- l'arrivo di Gorbaciov come leader dell'Unione Sovietica,
- le crescenti difficoltà politiche ed economiche dei paesi dell'est, specialmente della DDR. Gorbaciov istituì la "Perestroika", cioè la radicale ristrutturazione della politica e dell'economia sovietiche e la "Glasnost", che esigeva la trasparenza nella gestione della politica. Decisivo per gli eventi che portarono infine alla caduta del muro fu anche la decisione di Gorbaciov di lasciare libertà nelle scelte agli altri paesi del Patto di Varsavia, promettendo che l'URSS non si sarebbe più intromessa nei loro affari interni.

Il 9 novembre 1989, nella Germania orientale, il Comitato centrale del partito comunista si riunisce in sessione. Principale punto all'ordine del giorno, la discussione di una proposta del Consiglio dei ministri per un allentamento delle restrizioni sui viaggi all'estero. Guenther Schabowski, capo della sezione del partito comunista a Berlino e responsabile per i rapporti con la stampa del Comitato centrale della Sed, è assente poiché impegnato in una conferenza stampa. Concluso questo impegno, torna al Comitato centrale dove gli viene consegnato il testo del provvedimento adottato, compresa la parte riguardante le nuove norme sui viaggi. Mezz'ora più tardi lo attende una conferenza stampa internazionale. Schabowski non ha avuto il tempo di leggere i documenti, che ha semplicemente sfogliato, ed annuncia, rispondendo ad una domanda, che la gente potrà recarsi per viaggi privati all'ovest senza restrizioni. Gli chiedono a partire da quando, lui sfoglia l'incartamento e dice: "Per quanto mi risulta, da subito, senza rinvii". Schabowski non si accorge che sullo stesso documento che consulta frettolosamente per rispondere alle domande, viene precisato che i nuovi regolamenti dovranno essere annunciati pubblicamente solo l'indomani 10 novembre, per dare tempo all'esercito, alla polizia e alla Stasi di dispiegare le forze necessarie a tenere sotto controllo la situazione.
Ma ormai è tardi. A dissipare i dubbi che restano e la confusione che regna tra i tedeschi dell'est in seguito all'annuncio di Schabowski è l'emittente ufficiale tedesco-orientale "Aktuelle Kamera" che nel notiziario delle 19.30 annuncia: "Potrà essere presentata immediatamente domanda per recarsi in viaggio privato all'estero senza motivi particolari". I berlinesi cominciano ad affluire davanti ai checkpoint che regolano il passaggio da est a ovest attraverso il Muro. Si cerca - inutilmente - di convincere la gente a ripresentarsi l'indomani mattina. Alle 23 davanti ad un solo checkpoint si contano ventimila persone in fila. Temendo che la situazione esploda, due ufficiali della Stasi in servizio a Bornholmerstrasse, danno ordine di togliere la barriera.
Alle 23.20 una marea umana si rovescia dall'altra parte.
La notizia raggiunge il Bundestag a Bonn, la Camera bassa del parlamento tedesco, riunita in sessione. I parlamentari si alzano in piedi e cantano l'inno nazionale tedesco, lo cantano tutti, tutto, compresa quella prima strofa che la Germania del dopoguerra ha messo fuorilegge: "Deutschland, Deutschland uber alles...", "Germania sopra tutto"...
Tra le 23.30 e la mezzanotte, le barriere si aprono in altri chekpoint. Migliaia di tedeschi dell'est raggungono il centro di Berlino ovest. In tre giorni, saranno due milioni i tedeschi orientali passati a Berlino ovest, mentre altri tre milioni di cittadini della Rdt attraversano il confine tra i due stati in altre zone del paese. (Da http://
www1.adnkronos.com/IGN/Speciali/Muro_Berlino/9-novembre-1989-Berlino-dice-addio-al-Muro_3930548099.html)
Il Muro è il segno tangibile di una ferita il cui dolore si avverte ancora... A Berlino ovest si poteva rivestirlo di scritte, colori e graffiti, ma non si poteva nascondere la "divisione", conseguenza di una disfatta bellica inflitta dai nuovi padroni del mondo: gli Alleati atlantici e l'Unione Sovietica, le cui truppe avevano preso Berlino.
Alcuni tedeschi dell'ovest, ancora oggi, ritengono che chi è cresciuto nella Germania dell'est ai tempi della DDR manchi di iniziativa e deleghi tutto allo stato... anche se Angela Merkel, figlia di un pastore protestante della Germania ovest, è cresciuta proprio nella DDR; ma poi entrò nella CDU, conobbe Khol e intraprese la carriera politica.

Nel contesto del completamento del mercato unico (da ultimarsi entro il 1993), dell'istituzione dell'UME (unità Monetaria Europea) e della prevista introduzione dell'euro, come primo passo è stata pienamente liberalizzata la circolazione dei capitali mediante una direttiva del Consiglio (Europeo) del 1988, che ha abolito tutte le rimanenti restrizioni relative ai movimenti di capitali tra residenti degli Stati membri a decorrere dal 1° luglio 1990.

Tra il 1° luglio ed il 3 ottobre 1990 si raggiunge la riunificazione economica e monetaria delle due Germanie, quella occidentale, fino ad allora sotto il controllo atlantico e quella orientale, testa di ponte sovietica verso l'Europa, riunificazione che non si dimostra indolore e priva di traumi viste le reali difficoltà economiche della Germania orientale, gli ostacoli incontrati dalle imprese intenzionate ad investire nei nuovi Lander e la disparità abissale di prodotto interno lordo (193 miliardi di marchi a fronte dei 2600 della parte occidentale, in una fase di crisi economica presente in tutti i maggiori paesi industrializzati, dagli Stati Uniti al Giappone.

Mentre l'Italia recepisce e applica la norma sulla libera circolazione dei capitali, il 30 luglio 1990 è varata la legge 30 luglio 1990, n. 218 concernente disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli Istituti di credito di diritto pubblico, con la quale venne avviato un processo di privatizzazioni nel sistema bancario italiano.
La legge è comunemente conosciuta come legge Amato, dal nome del precedente Ministro del tesoro Giuliano Amato (1987-1989), promotore e relatore della suddetta norma, durante il successivo Governo Andreotti VI.
Fino al 1990 il sistema bancario era largamente influenzato dal settore pubblico, infatti esistevano da una parte gli istituti di credito di diritto pubblico e dall'altro tre Banche di interesse nazionale (B.I.N.) che facevano capo all'IRI e quindi indirettamente allo Stato italiano: Banca Commerciale Italiana, Banco di Roma, Credito Italiano.
La legge, anche in vista della normativa Basilea I entrata in vigore nel 1990, era tesa a dare maggiore competitività alle banche italiane sui mercati nazionali e internazionali in una visione europea e globale. Il modello di riferimento era quello della società per azioni, anche se le banche potevano scegliere la propria forma giuridica.
La legge abolisce di fatto la riforma bancaria voluta durante il fascismo, con il Decreto Legge n.375 del 12 marzo 1936 diventato Legge n.141 del 7 marzo 1938, in cui si riformava il sistema bancario introducendo la specializzazione degli enti di credito, che dovevano scegliere se essere o commerciali o di investimento, e che separava le banche dalla imprese non bancarie: le banche non potevano assumere partecipazioni in imprese industriali e commerciali.
Tale legge ha permesso alle banche italiane che erano istituti di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli, Monte dei Paschi di Siena, Istituto Bancario San Paolo di Torino, Banco di Sicilia, Banco di Sardegna, Banca Nazionale del Lavoro, Sicilcassa) di trasformarsi da una parte in società per azioni e dall'altra di generare delle fondazioni a cui sono state trasferite tutte quelle attività non tipiche dell'impresa.
La legge ha previsto per gli istituti bancari meridionali uno stanziamento di fondi in quanto la loro rivalutazione patrimoniale determinava un gap fra patrimonio contabile e patrimonio liquido; tale rifinanziamento è avvenuto solo in parte con modalità temporali diverse da quelle programmate inizialmente. Le fondazioni generate dalla legge Amato, contrariamente alle previsioni, hanno assunto nel tempo un notevole rilievo e restano in termini relativi i principali azionisti di molte banche italiane.
La legge, nell'art.2, permette alle banche di superare il divieto, di cui alla riforma bancaria del Decreto Legge n.375 del 12 marzo 1936 e Legge n.141 del 7 marzo 1938, di operare contemporaneamente come imprese commerciali e di investimento e permette la partecipazione in imprese industriali e commerciali. Sostanzialmente dalla legge Amato nasce la banca mista.

Il cambio tra marco orientale e federale risulta stabilito, in chiave politica, ad un livello di parità di 1 a 1 per il contante e di 2 a 1 per i depositi a medio termine a fronte di un reale rapporto tra i valori delle due monete di 10 a 1. A prima vista ciò appare davvero un miracolo per l'economia dell'ex Repubblica Democratica: niente creazione sofferta di un nuovo sistema monetario, niente inflazione irrefrenabile, nessun obbligo di aggiustamento, ma all'opposto aumento dei salari e delle pensioni, assistenza sanitaria e sussidi di disoccupazione. E, come se non bastasse, l'entrata di diritto nel mercato interno tedesco e quindi nel mercato comune europeo.
Il sistema produttivo dell'Est si trova così a scontrarsi, da un giorno all'altro, con una delle macchine produttive più avanzate del mondo, quella tedesco-occidentale, uscendone distrutto, non potendo sostenere da una parte le spese, decuplicate con il nuovo marco e dall'altra la concorrenza delle nuove imprese tedesco-occidentali, che disponevano di capitali enormi rispetto a quelli orientali.
E quanto avrebbe potuto costare alla Germania sovvenzionare l'economia del settore orientale? Le stime più attendibili prevedevano un impegno finanziario calcolabile intorno ai tre mila miliardi di marchi da spendere nei prossimi dieci anni, a fronte (per lo stesso periodo) di un prodotto interno lordo valutabile in non oltre 40 mila miliardi di marchi. Come sostenere una simile spesa che impegnerebbe quasi il 10% del PIL? - si sono chiesti i tedeschi.
Quando un sistema economico si trova a dover fronteggiare un impegno d'investimento in quantità superiore all'ammontare del risparmio disponibile, non ha che due possibili opzioni per accumulare i capitali sufficienti:
- la prima si basa sull'assunzione di prestiti finanziari presso istituti bancari. Tale ipotesi esige ovviamente l'abbassamento del costo del denaro, cioè dei tassi d'interesse da pagare ai creditori, e comporta l'aumento della massa monetaria in circolazione, premessa a sua volta dell'innalzamento dei prezzi (inflazione). Per i tedeschi tuttavia, reduci dagli effetti inflattivi colossali del primo dopoguerra, parlare di inflazione equivale a bestemmiare.
- la seconda alternativa consiste, all'opposto, in un aumento dei tassi d'interesse capaci di attrarre il risparmio straniero. Un innalzamento unilaterale del tasso d'interesse, soprattutto se sostenuto e supportato da un'economia forte (in grado di fronteggiare qualsiasi pressione esterna), rende infatti inclinato il piano, prima in equilibrio, di circolazione dei capitali tra i diversi sistemi-paese e infatti, il primo passo dell'UME (unità Monetaria Europea) è stata la piena liberalizzazione della circolazione dei capitali, mediante una direttiva del Consiglio (Europeo) del 1988, che ha abolito tutte le rimanenti restrizioni a decorrere dal 1° luglio 1990.

LA STAGIONE DELLE PRIVATIZZAZIONI IN ITALIA
Italia politica.
D'ora in avanti, le parola d'ordine dei vari governi italiani sarà: liberalizzazioni e privatizzazioni, adducendo al Pubblico pesantezze nella gestione delle imprese nazionali e scarsi tornaconti dovuti ad una diffusa corruzione, mentre il Privato, subentrante tramite la rimozione dei monopòli, sarebbe stato remunerativo e onesto.
In effetti vi erano dirigenti d'azienda di Stato che si arricchivano esternando servizi a privati (con cui erano coinvolti personalmente) a spese dei contribuenti.
Un esempio calzante è quello del prof. Romano Prodi e della "Nomisma".
Dall’inchiesta portata avanti negli anni ottanta dal giudice istruttore, dottor Mario Antonio Casavola, "Nomisma" spa è stata costituita il 21 marzo 1981 dal presidente della Banca nazionale del lavoro (BNL), dottor Nerio Nesi, e dal professor Romano Prodi, per la promozione di ricerche sull’economia reale del Paese nell’interesse della banca patrocinatrice e di committenti pubblici o privati. Il capitale sociale iniziale è di lire 500 milioni: 495 milioni sottoscritti dalla BNL e 5 milioni da Prodi, che il giorno dopo, però, cederà la sua quota alla prima.
All’epoca il professor Prodi, oltre che titolare di cattedra presso l’Università di Bologna, è anche consulente economico della BNL ed assume subito la carica di presidente del comitato scientifico di "Nomisma" (che terrà ininterrottamente dal 1981 al 1995). Direttore generale viene nominato il dottor Ponzellini che funge anche da “procacciatore d’affari” per la società.
Il bilancio del primo anno di attività è positivo: il fatturato supera infatti i 2 miliardi di lire con un utile di 26 milioni. Principali clienti sono l‘Italsider (gruppo IRI), la Fiera di Bologna e diversi costruttori.
L’anno successivo, quando Prodi è già un manager pubblico (nel 1982 il governo gli affida la presidenza dell'IRI). La nomina di un economista, seppur sempre politicamente di area democristiana come il predecessore Pietro Sette, alla guida dell'IRI, costituiva in effetti un segno di discontinuità rispetto al passato), il capitale sociale viene aumentato a lire 2 miliardi, il fatturato raddoppia (4 miliardi), l’utile sale a 32 milioni. Tra i committenti fanno il loro ingresso importanti società, come la SIP, ed enti pubblici come il Ministero degli Affari Esteri.
Vicenda ancora più scottante e sospetta è quella relativa al rapporto Prodi-Nomisma-Ferrovie dello Stato. Nel gennaio del 1992 l’allora amministratore straordinario delle Ferrovie dello Stato, Lorenzo Necci, costituisce due società. La prima è la TAV cui fa capo la costruzione del sistema alta velocità; la seconda è Metropolis, incaricata di gestire il patrimonio immobiliare delle Ferrovie dello Stato. Necci, inoltre, istituisce un Comitato per le aree urbane, presieduto dalla senatrice Susanna Agnelli, e nomina Prodi Garante per l’Alta Velocità con il compito di valutare le conseguenze della sua realizzazione. Incarico che il professore riveste per quasi un anno e mezzo, sino al maggio 1993, quando ritorna alla guida dell’IRI.
Nel 1992, su segnalazione di Prodi, come gli interessati hanno ammesso, Nomisma ottiene dalla Italferr-Sistav Spa, una società di ingegneria controllata per il 95 per cento dalle Ferrovie dello Stato e per il restante 5 per cento dal Banco San Paolo di Torino, una commessa per l’elaborazione di ventiquattro ricerche sull’impatto ambientale relativo alla realizzazione dell’Alta velocità. Per questo lavoro, e per altri quattro commissionati da diverse società delle Ferrovie dello Stato, l’istituto bolognese riceve 9 miliardi e 700 milioni di lire in sei anni, che rappresentano il 20 per cento del fatturato di Nomisma in quel periodo. La ricerca, divisa in 39 volumi (5200 pagine), secondo calcoli de "Il Giornale di Feltri" è costata quasi 2 milioni di lire a pagina, praticamente 5.500 lire a parola. Un costo esorbitante soprattutto se confrontato con il contenuto.
Esaminandolo, infatti, capita spesso di imbattersi in banalità del tipo: «Occorre realizzare l’Alta Velocità perché il treno così è più veloce», oppure: «La zona della stazione Termini era un tempo linda e simpatica e poi si è degradata» e ancora (sempre su Termini): «La zona è principalmente frequentata da immigrati, in particolare extracomunitari, e vi sono localizzate in misura prevalente piccole pensioni molto degradate». Per queste “argute analisi” il contribuente ha sborsato 10 miliardi di lire. Sulla vicenda è stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Roma che ha disposto la perquisizione della sede bolognese di Nomisma ed il sequestro di una voluminosa documentazione. (Da http://www.secoloditalia.it/2015/01/verso-quirinale-cosi-tatarella-svelo-gli-affari-prodi-nomisma/)

Il risultato della presidenza Prodi dell'IRI fu che nel 1987, per la prima volta da più di un decennio, l'IRI riportò il bilancio in utile, e di questo Prodi fece sempre un vanto, anche se a proposito di ciò Enrico Cuccia affermò: «(Prodi) nel 1988 ha solo imputato a riserve le perdite sulla siderurgia, perdendo come negli anni precedenti.» (S.Bocconi, I ricordi di Cuccia. E quella sfiducia sugli italiani, Corriere della Sera, 12 novembre 2007).
È comunque indubbio che in quegli anni l'IRI aveva per lo meno cessato di crescere e di allargare il proprio campo di attività, come invece aveva fatto nel decennio precedente e per la prima volta i governi cominciarono a parlare di "privatizzazioni".
Apparve in questo spirito l'istituzione di Enimont del 1988 in seguito alla decisione dei due colossi chimici del paese, uno pubblico e l'altro privato, grazie all'intervento di Raul Gardini, di unire le proprie attività chimiche in un'unica società. Enimont non è altro infatti che l'abbreviazione delle sigle Eni e Montedison. Era, in pratica, una joint venture di proprietà paritaria delle due società (40% a testa), con il rimanente 20% nelle mani del mercato azionario.
La società ebbe però breve durata; nel 1990 Gardini cercò di acquistare il 20% delle azioni sul mercato ma ciò portò alla rottura dei rapporti con l'Eni. Seguì quindi la sua decisione di vendere il 40% di proprietà Montedison all'Eni, che privò il colosso privato di quasi tutto il settore chimico che deteneva prima dell'accordo. Lo scandalo seguito a questa decisione di Gardini, conosciuto come scandalo Enimont, trovò veridicità nel fatto che lo stesso Gardini pagò tangenti ai partiti politici dell'epoca in modo da risparmiare sulle tasse sulla vendita delle attività chimiche della Montedison. Le principali attività Montedison furono cedute ad EniChem, che si ritrovò così nuovi stabilimenti da gestire e nuove linee di produzione che erano state della Montedison (es. la Vinavil), mentre Montedison era diventata una holding di partecipazioni che controllava diverse aziende del settore alimentare e la nuova Edison, legata alle attività energetiche.
Con il processo Enimont fu svelato l'ntreccio inquietante e malato fra pubblico e privato mentre dopo la trasformazione dell'IRI in società per azioni nel 1992, il consiglio d'amministrazione dell'Istituto fu ridotto a tre soli membri e l'influenza della DC e degli altri partiti, in un periodo in cui molti loro esponenti furono coinvolti nelle indagini di Tangentopoli, fu di molto ridotta.
Negli anni delle privatizzazioni, la gestione dell'IRI fu accentrata nelle mani del Ministero del Tesoro.
Per le sorti dell'IRI fu decisiva l'accelerazione del processo di unificazione europea, che prevedeva l'unione doganale nel 1992 ed il successivo passaggio alla moneta unica sotto i vincoli del Trattato di Maastricht. Per garantire il principio della libera concorrenza, la Commissione Europea negli anni ottanta aveva incominciato a contestare alcune pratiche messe in atto dai governi italiani, come la garanzia dello Stato sui debiti delle aziende siderurgiche e la pratica di affidare i lavori pubblici all'interno del gruppo IRI senza indire gara d'appalto europea. Le ricapitalizzazioni delle aziende pubbliche e la garanzia dello Stato sui loro debiti furono da allora considerati aiuti di stato, in contrasto con i principi su cui si basava la Comunità Europea; l'Italia si trovò quindi nella necessità di riformare, secondo criteri di gestione più vicini a quelli delle aziende private, il suo settore pubblico, incentrato su IRI, ENI ed EFIM. Nel luglio 1992 l'IRI e gli altri enti pubblici furono convertiti in Società per azioni. Nel luglio dell'anno successivo il commissario europeo alla Concorrenza Karel Van Miert contestò all'Italia la concessione di fondi pubblici all'EFIM, che non era più in grado di ripagare i propri debiti.
Per evitare una grave crisi d'insolvenza, Van Miert concluse, alla fine del 1993, con l'allora ministro degli Esteri Beniamino Andreatta un accordo, che consentiva allo Stato italiano di pagare i debiti dell'EFIM, ma a condizione dell'impegno incondizionato a stabilizzare i debiti di IRI, ENI ed ENEL e poi a ridurli progressivamente ad un livello comparabile con quello delle aziende private entro il 1996. Per ridurre in modo così sostanzioso i debiti degli ex-enti pubblici, l'Italia non poteva che privatizzare gran parte delle aziende partecipate dall'IRI.
L'accordo Andreatta-Van Miert impresse una forte accelerazione alle privatizzazioni, iniziate già nel 1993 con la vendita del Credito Italiano. Nonostante alcuni pareri contrari, il ministero del Tesoro scelse di non privatizzare l'IRI S.p.A., ma di smembrarla e di vendere le sue aziende operative; tale linea politica fu inaugurata sotto il primo governo di Giuliano Amato e non fu mai messa realmente in discussione dai governi successivi. Raggiunti nel 1997 i livelli di indebitamento fissati dall'accordo Andreatta-Van Miert, le dismissioni dell'IRI proseguirono comunque e l'Istituto aveva perso qualsiasi funzione, se non quella di vendere le sue attività e di avviarsi verso la liquidazione.
Tra il 1992 ed il 2000 l'IRI vendette partecipazioni e rami d'azienda, che determinarono un incasso per il ministero del Tesoro, suo unico azionista, di 56.051 miliardi di lire, cui vanno aggiunti i debiti trasferiti. Hanno suscitato critiche le cessioni ai privati, tra le altre, di aziende in posizione pressoché monopolistica, come Telecom Italia ed Autostrade S.p.A.; cessioni che hanno garantito agli acquirenti posizioni di rendita.
Con un documento pubblicato il 10 febbraio 2010, ormai ultimata la stagione delle privatizzazioni che aveva preso il via quasi 20 anni prima, la Corte dei Conti ha reso pubblico uno studio nel quale elabora la propria analisi sull'efficacia dei provvedimenti adottati. Il giudizio, che rimane neutrale, segnala, sì, un recupero di redditività da parte delle aziende passate sotto il controllo privato; un recupero che, tuttavia, non è dovuto alla ricerca di maggiore efficienza, quanto piuttosto all'incremento delle tariffe di energia, autostrade, banche, ecc., ben al di sopra dei livelli di altri paesi Europei. A questo aumento, inoltre, non avrebbe fatto seguito alcun progetto di investimento, volto a migliorare i servizi offerti. Più secco è invece il giudizio sulle procedure di privatizzazione, che: «evidenzia una serie di importanti criticità, le quali vanno dall'elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractors ed organismi di consulenza, al non sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito».
Le poche aziende (Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno 2000 l'IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in Fintecna, scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua controllata ha però pagato un assegno al Ministero del Tesoro di oltre 5.000 miliardi di lire, naturalmente dopo aver saldato ogni suo debito.

In Italia, con la Legge 30.7.1990 n. 218 e il d.lg. 20.11.1990 n. 356, si intende determinare una profonda trasformazione nel sistema delle banche pubbliche italiane, perseguendo lo scopo di affidare la gestione bancaria non più a enti pubblici con capitale o fondo di dotazione detenuto totalmente, o a maggioranza, dallo Stato, ma a società per azioni di diritto privato, favorendo la concentrazione degli istituti bancari, con la costituzione di gruppi ispirati al modello del gruppo creditizio polifunzionale.
Fondamentalmente la Legge Amato/Carli avvia la privatizzazione delle Banche pubbliche con la trasformazione degli istituti di Diritto Pubblico e delle Casse di Risparmio in Società per Azioni
aventi come principale azionista le Fondazioni di origine bancaria.
Ad oggi, tutti gli azionisti di Banca d'Italia sono s.p.a. e non necessariamente italiane.

Giuliano Amato (Torino, 13 maggio 1938) è un politico, giurista e accademico italiano, Presidente del
Giuliano Amato
Consiglio dei ministri dal 1992 al 1993 e dal 2000 al 2001, giudice costituzionale dal 2013. Giurista costituzionalista, membro dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti e docente universitario, inizialmente è stato un esponente del Partito Socialista Italiano, aderendo poi all'Ulivo e infine al Partito Democratico. Negli anni ottanta, il giornalista Eugenio Scalfari trovò per lui il soprannome Dottor Sottile, con doppio riferimento al suo acume politico e alla gracilità fisica.

Guido Carli
Guido Carli (Brescia, 28 marzo 1914 - Spoleto, 23 aprile 1993) è stato un dirigente d'azienda, economista e politico italiano, governatore della Banca d'Italia dal 1960 al 1975. Laureato in giurisprudenza all'Università degli Studi di Padova, inizia la sua carriera nel 1937 come funzionario all'IRI. Dopo un'esperienza al Fondo monetario internazionale, diventa Presidente del Mediocredito dal 1953 al 1956; indi è Ministro del commercio con l'estero nel governo Zoli (19 maggio 1957 - 1º luglio 1958), assumendo un ruolo di importante rassicurazione dei mercati internazionali. Presidente del Crediop (gennaio 1959 - agosto 1960) viene, nell'ottobre 1959, nominato direttore generale della Banca d'Italia. Ne diventa governatore nell'agosto 1960, sostituendo Donato Menichella, assumendo al contempo la carica di Presidente dell'Ufficio italiano dei cambi. Sollecita sin da subito una maggiore concertazione tra le banche centrali e - dopo l'altalenante andamento della lira durante il decennio del boom economico - si trova a gestire gli effetti delle tensioni valutarie provenienti dagli USA, culminate con l'abbandono della parità oro-dollaro e con lo Smithsonian Agreement.
Resta in carica fino al 18 agosto 1975, quando rassegna le dimissioni. A sostituirlo è chiamato Paolo Baffi, suo principale collaboratore - benché non sempre le vedute fossero coincidenti - in quanto direttore generale dell'istituto di emissione dal 1960. I motivi per cui Carli si dimette da governatore non sono mai stati completamente chiariti. È stato presidente di Confindustria dal 1976 al 1980.
È eletto senatore come indipendente della Democrazia Cristiana nel 1983 e nel 1987, e non è stato rieletto nel 1992. È stato presidente dell'Assonime (Associazione fra le Società Italiane per Azioni) dal 1989 al 1991. È stato Ministro del tesoro nel sesto e nel settimo governo Andreotti, dal 22 luglio 1989 al 24 aprile 1992. In tale veste è uno dei firmatari per l'Italia del trattato di Maastricht.

Il 9 gennaio 1992 in Italia viene emanata la Legge 35/92 Amato-Carli che prevede la privatizzazione di istituti di credito e di enti pubblici. Banca d'Italia viene privatizzata in palese violazione con l'art. 3 del suo statuto che recita: “In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”. Si è quindi ceduta la sovranità monetaria, violando due articoli fondamentali della costituzione: l'art. 1 (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione”) e l'art. 11 (“L'Italia […] consente in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”).

Il 7 febbraio 1992 viene varata dal Parlamento italiano la Legge n. 82/92 con cui il ministro del Tesoro Guido Carli (ex governatore di Banca d'Italia) attribuisce alla Banca d'Italia privatizzata la “facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro”, cosicché, da questo momento, è Banca d'Italia a decidere per il nostro stato il costo del denaro, ovvero gli interessi con cui ripagare la stampa del denaro. (Da  https://www.investireoggi.it/forums/threads/nel-1981-il-ministro-del-tesoro-andreatta-e-il-governatore-della-banca-ditalia-azeli.79186/)

Lo stesso giorno, il presidente del Consiglio Giulio Andreotti, il ministro degli Esteri Gianni De Michelis e il ministro del Tesoro Guido Carli firmano per l'Italia il trattato di Maastricht, con cui viene istituito il sistema europeo delle banche centrali (SEBC) e della banca centrale europea (BCE), che ha il compito di emettere la moneta unica (Euro) e di gestire la politica monetaria.

Il 2 giugno del 1992 verso le 8.30, la banchina 12 del porto di Civitavecchia veniva invasa da molte macchine “ministeriali” quali Lancia Thema, Fiat Croma, usate da importanti manager pubblici. Attraccato in banchina c’era il panfilo Britannia appartenente alla Corona inglese, ed affittato ad una società inglese la “British Invisibiles”, che aveva organizzato un seminario sulle privatizzazioni. La società “British Invisibles” conosciuta come International Financial Services, London nacque nel 1968 all’interno della Bank of England e rimase in vita fino al 2010 per poi passare nella TheCityUK. La “British Invisibiles”, che vendeva servizi finanziari, ha organizzato questo seminario per economisti, politici nostrani e non, con l’intento di far capire che le banche inglesi qualora l’Italia avesse deciso di privatizzare le proprie imprese avrebbero prestato in materia un’ottima consulenza legale e commerciale, visto le recenti privatizzazioni thatcheriane. In italia c’erano colossi industriali molto appetibili al mercato come l’ENI, ENEL, EFIM, EGAM, IRI, IMI.
Il seminario organizzato dagli “invisibili” era di dominio pubblico, tant’è che il giornalista Massimo Gaggi sulle pagine del Corriere della Sera scriverà il 2 giugno del 1992 che a bordo del panfilo Britannia era vietato portare macchine fotografiche, vietato portare costumi, ma gli invitati dovevano partecipare sottocoperta a questo seminario sulle privatizzazioni mentre il panfilo faceva rotta sull’Argentario. Il tutto preceduto dall’esibizione della fregata della Royal Navy “HMS Battleaxe”.
In rete gira l'informazione che Enrico Mentana era al porto di Civitavecchia con la troupe del TG5, e intervistò per qualche minuto Beppe Grillo che era sbarcato dal tender del panfilo Britannia. Grillo al microfono disse che a bordo del Britannia erano state discusse cose molto interessanti (https://pianetax.wordpress.com/2016/04/02/mentana-beppe-grillo-era-a-bordo-del-famoso-britannia-nel-1992-emma-bonino-non-so-a-che-titolo-fosse-li/). Mentana nega che sia successo veramente e si arrabbia per quella che definisce una bufala, in ogni caso erano presenti Mario Draghi, Mario Monti, Emma Bonino, Giuliano Amato, vari esponenti della famiglia Agnelli, il presidente della Banca Warburg, Herman van der Wyck, il presidente dell’ Ina, Lorenzo Pallesi, Jeremy Seddon, direttore esecutivo della Barclays de Zoete Wedd, il direttore generale della Confindustria Innocenzo Cipolletta e decine di altri manager ed economisti internazionali, invitati dalla Regina Elisabetta in persona. (Da http://www.dailyworditalia.com/anno-1992-il-britannia-al-porto-di-civitavecchia-tra-invisibili-e-uomini-daffari/)

L'INIZIO DELLO SFALDAMENTO DELLA 1° REPUBBLICA
1943, gli americani sbarcano in Sicilia,
foto di Robert Capa.
Va detto che la nostra repubblica, è stata fondata anche su Cosa Nostra e a sentimento meridionalista.
I servizi segreti americani, come é pacificamente documentato dai dispacci dell’Oss, l'antenata della CIA, durante la II guerra mondiale, per risolvere la questione del fronte sud italiano e riuscire finalmente a sbarcare in Italia, avevano preso accordi con Cosa Nostra. Nel ‘42 avevano trattano con Lucky Luciano organizzando uno sbarco di agenti prima e di truppe alleate poi, nella Sicilia occupata dai nazisti. I primi mafiosi e i primi 007 americani arriveranno nell’isola nel gennaio e nel febbraio del ‘43. Dopo la liberazione, gli amministratori locali legati al vecchio regime saranno sostituiti da uomini d’onore. A guerra finita molti di loro diventeranno democristiani e formeranno la base elettorale dei Dc seguaci di Bernardo Mattarella, padre del nostro attuale Capo di Stato. La vicenda è fondamentale per comprendere i fenomeni successivi rappresentati da Vito Ciancimino e Salvo Lima (pupillo proprio di Mattarella e in seguito uomo di Andreotti).
Inoltre, Enrico De Nicola, politico di area liberale giolittiana e avvocato che sarà il primo presidente della Repubblica Italiana, è eletto dall'Assemblea Costituente come capo provvisorio dello Stato al primo scrutinio, il 28 giugno 1946, con 396 voti su 501 votanti e 573 aventi diritto (il 69,1%), e assume la carica il 1º luglio 1946 come frutto di un lungo lavoro "diplomatico" fra i vertici dei principali partiti politici, i quali avevano convenuto che si dovesse eleggere un presidente capace di riscuotere il maggior gradimento possibile presso la popolazione affinché il trapasso al nuovo sistema fosse il meno traumatico possibile. Si convenne perciò che si dovesse scegliere un meridionale, a compensazione della provenienza settentrionale della maggioranza dei leader politici e che (stante il risicato - e da parte monarchica contestato - scarto dei risultati del referendum istituzionale) dovesse trattarsi di un monarchico.

Tangentopoli cominciò il 17 febbraio 1992, causando una crepa nel sistema corruttivo partiti-economia che avrebbe poi travolto la prima repubblica, ma non il sistema stesso.
Il pubblico ministero Antonio Di Pietro chiese e ottenne dal GIP Italo Ghitti un ordine di cattura per l'ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del PSI milanese.
Chiesa era stato colto in flagrante mentre intascava una tangente dall'imprenditore monzese Luca Magni che, stanco di pagare, lo aveva denunciato chiedendo aiuto alle forze dell'ordine. Magni, d'accordo coi carabinieri e con Di Pietro, fece ingresso alle 17:30 nell'ufficio di Mario Chiesa, portando con sé 7 milioni di lire, corrispondenti alla metà di una tangente richiestagli da quest'ultimo; l'appalto ottenuto dall'azienda di Magni era infatti di 140 milioni e Chiesa aveva preteso per sé il 10%, quindi una tangente da 14 milioni. Magni aveva un microfono e una telecamera nascosti e, appena Chiesa ripose i soldi in un cassetto della scrivania, dicendosi disponibile a rateizzare la transazione, nella stanza irruppero i militari, che notificarono l'arresto. Chiesa, a quel punto, afferrò il frutto di un'altra tangente, stavolta di 37 milioni, e si rifugiò nel bagno attiguo, dove tentò invano di liberarsi del maltolto buttando le banconote nel water[3].
La notizia fece scalpore e finì sulle prime pagine dei quotidiani e venne ripresa dai telegiornali. Il segretario socialista Bettino Craxi, allora impegnato nella campagna elettorale per le elezioni politiche di primavera, con l'obiettivo di ritornare alla presidenza del Consiglio, in un'intervista rilasciata a Daniela Vergara per il TG3, negò l'esistenza della corruzione a livello nazionale, definendo Mario Chiesa un «mariuolo isolato», una scheggia impazzita dell'altrimenti integro PSI, e affermando:
«In questa vicenda, purtroppo, una delle vittime sono proprio io. Mi preoccupo di creare le condizioni perché il Paese abbia un Governo che affronti gli anni difficili che abbiamo davanti e mi trovo un mariuolo che getta un'ombra su tutta l'immagine di un partito che a Milano in cinquant'anni, nell'amministrazione del Comune di Milano, nell'amministrazione degli enti cittadini - non in cinque anni, in cinquanta - non ha mai avuto un amministratore condannato per reati gravi commessi contro la pubblica amministrazione.»

Il 23 maggio 1992 si consuma la strage di Capaci, un attentato esplosivo compiuto da Cosa Nostra nei pressi di Capaci (PA) per uccidere il magistrato antimafia Giovanni Falcone.

Il 19 luglio 1992, con la strage di via D'Amelio, a Palermo, è assassinato da Cosa Nostra, assieme a cinque agenti di scorta, il magistrato Paolo Borsellino, considerato uno dei personaggi più importanti e prestigiosi nella lotta contro la mafia in Italia, insieme al collega e amico Giovanni Falcone.

PROLOGO ALLA CALDA ESTATE DEL 1992
Estate del '92 da https://www.expartib
us.it/unestate-radio-amore-napoli-
1992/
Non può passare inosservata la similarità tra i progetti egemonici del Terzo Reich e quelli della Germania unificata di Kohl dal 1990. È pur vero che Francia, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Austria, Scandinavia, Jugoslavia, Cecoslovacchia ed Ungheria questa volta non hanno rischiato di essere attaccati dalle truppe della Wermacht, ma sono stati sottoposti alla pressione di un marco corazzato da tassi d'interesse insostenibili, che approvvigionano la Germania di capitali "freschi" provenienti dai mercati valutari di mezza Europa: non è difficile constatare come un tale disegno finanziario costituisca la piattaforma d'azione ideale e premeditata, per la Banca centrale tedesca, al fine di sostenere l'integrazione economica della Zona orientale.
Il progetto in questione tuttavia non può che scontrarsi con l'opposizione dei paesi europei di ispirazione atlantica i quali, attanagliati tra l'altro dalla maggiore recessione economica degli ultimi 50 anni, verrebbero strangolati dalla fuoriuscita dei propri capitali, la cui presenza è invece assolutamente necessaria per una ripresa dei loro investimenti. A ciò favorirebbero anche bassi saggi d'interesse, che sono però resi impossibili dall'innalzamento del costo del denaro attuato in Germania, sicché, pur non volendolo, gli altri stati europei si vedono costretti ad una politica monetaria similare a quella tedesca per evitare una esagerata fuoriuscita dei capitali verso il paese dove i rendimenti sono migliori. Ne segue che dovrebbe essere il resto d'Europa, di fronte alla decisione unilaterale della Germania di "drogare" i tassi d'interesse, a pagare il costo dell'unificazione tedesca o con l'invio dei propri capitali oppure con l'arresto a tempo indeterminato del proprio sviluppo economico.

Lo scenario militare di riferimento internazionale viene definito nel corso del "summit" della Nato tenutosi ai primi di novembre 1991 a Roma. In questo ambito lo scontro si pone subito con particolare durezza. A pochi mesi dal fallito putsch moscovita d'agosto - stabilita incontrovertibilmente la direzione filo-europea del processo di rinnovamento sovietico e quindi la necessità di creare un nuovo ordine per la sicurezza del vecchio continente - i paesi della comunità europea si ritrovano divisi tra loro sul tema della propria difesa.
Da un lato la Germania e la Francia (presente alla riunione anche se non inquadrata nel Patto atlantico), con l'appoggio "esterno" del presidente del consiglio italiano Giulio Andreotti, favorevoli alla strutturazione di un "polo europeo" non vincolato al potere di controllo americano.
Dall'altro la "nemica storica" dell'Europa unita, la Gran Bretagna, legata a doppio filo agli Stati Uniti e quindi decisa sostenitrice della continuità della politica europea all'interno della tradizionale organizzazione della Nato.
Lo scontro viene messo in luce proprio da George Bush che, richiamando all'ordine gli alleati, ribatte alle spinte franco-tedesche per la definizione di "una nuova identità di difesa europea", ammonendo che qualsiasi nuovo riordino sarebbe accettato solo se "complementare e compatibile alla Nato".

Di fronte all'offensiva americana (e britannica), francesi e tedeschi rifiutano per il momento lo scontro diretto, limitandosi a sostenere - per dirla con François Mitterrand - che la Nato "non è una Santa Alleanza" e che la sede per discutere della difesa europea è quella degli accordi di Maastricht e non del Patto atlantico. Il che equivale però ad una sorta di presa di distanza dall'America.
"La nuova unità - scrivevano Kohl e Mitterrand al presidente della CEE, Ruud Lubbers, nel novembre 1991 - potrebbe divenire il nocciolo di una forza europea di difesa, in cui potranno confluire le forze di altri stati membri della URO. Questa nuova struttura potrebbe ugualmente proporsi come modello precursore di una cooperazione più stretta fra stati membri della UEO"
In questo contesto l'Italia assume una posizione contraddittoria: se il ministro degli esteri Gianni de Michelis si schiera subito con i filo-atlantici, il presidente del consiglio, Giulio Andreotti, continua a mostrarsi una "pedina inaffidabile" per gli Stati Uniti (vista la sua politica da tempo filo-araba e troppo accondiscendente verso Germania e Francia). Ed ecco allora le ultime parole di Bush rivolte - o meglio urlate - allo stesso Andreotti al termine di un incontro bilaterale tenutosi nella cornice del summit: "Se qualcuno di voi ha in testa altre idee, se volete andare per la vostra strada, se ritenete di non aver più bisogno di noi, ditelo apertamente!".

L'"International Herald Tribune" pubblica, il 9 marzo 1992, un documento militare sul "nuovo ordine mondiale unipolare", preparato dal Pentagono ed opportunamente fatto filtrare alla stampa (salvo poi comunicare che si trattava di un'"esercitazione teorica").
Secondo i militari statunitensi, l'obbiettivo da raggiungere da parte del loro governo è quello di una "benevola dominazione" di un solo stato (ovviamente gli USA), rifiutando categoricamente ogni "internazionalismo collettivo". Basilare diviene quindi impedire - anche a costo di "ricorrere, se necessario, all'uso preventivo della forza" - che stati irresponsabili (come l'Iraq) oppure disgregati (come quelli nati dalla frantumazione dell'Unione Sovietica), ma pure alleati (come Giappone e Germania) possano entrare in possesso di armi nucleari.
Di fronte poi all'alzata di capo della Germania, gli Stati Uniti intendono difendere ad ogni costo i meccanismi già esistenti di controllo della regione, e la Nato è il principale di questi meccanismi per assicurare "sia una sostanziale presenza americana in Europa, sia una continua coesione all'interno dell'alleanza occidentale". Per questo si dovrà "cercare d'impedire l'apparizione di accordi esclusivamente europei nel campo della sicurezza, che metterebbero in pericolo la Nato".
Ma se qualche nazione "ribelle" allargasse effettivamente più del dovuto le proprie aspirazioni, magari con la formazione di un esercito autonomo, oppure con la stipula di accordi economici bilaterali antagonisti agli interessi americani? Di fronte ad eventuali prese di posizione in tal senso da parte di qualunque stato, anche alleato, gli Stati Uniti, afferma sempre il documento del Pentagono, non possono dare adito ad incertezze: essi "per proteggere i propri interessi vitali,... debbono essere pronti ad agire da soli quando un'azione collettiva non può essere orchestrata", perché "l'ordine mondiale ha come fondamento ultimo gli Stati Uniti", ed essi soltanto.

Sembra poi che un minaccioso avvertimento venga successivamente ripetuto al presidente del consiglio italiano, Giulio Andreotti, anche da Kissinger in un difficile incontro avvenuto a New York l'11 marzo 1992. Ventiquattr'ore dopo viene ucciso Salvo Lima (uomo di Andreotti in Sicilia collocato al confine fra DC e mafia) e la strana coincidenza inquieterà talmente il braccio destro di Andreotti, Vittorio Sbardella, da spingerlo ad accusare direttamente dell'omicidio "gli americani... [che] non vogliono l'Europa" (ma poco dopo Sbardella lascerà cadere l'accusa, e contemporaneamente abbandonerà Andreotti).

Il 5 aprile 1992 si svolgono in Italia le ultime elezioni politiche con il sistema proporzionale e le ultime della cosiddetta Prima Repubblica. La Lega Nord esplode, conquistando l'8,65% dei voti e portando a Roma 55 deputati e 25 senatori - cinque anni prima i parlamentari in camicia verde erano solo due, il senatùr Umberto Bossi e l'onorevole Giuseppe Leoni -.
Le elezioni del '92 si svolsero in un clima arroventato per gli scandali di Tangentopoli, l'inchiesta iniziata nel febbraio dello stesso anno con l'arresto di Mario Chiesa. Eppure, nonostante quel primo pesante scricchiolio, il quadripartito che sosteneva il governo ottenne il 48,85% dei voti - 331 seggi alla Camera e 163 al Senato - ma era iniziata comunque la grave crisi che nel giro di due anni avrebbe spazzato via i partiti che per 45 anni avevano retto le sorti del Paese: per la prima volta la Dc scese sotto il 30%, fermandosi al 29,65%, il Psi prese il 13,62%. Fu anche la prima volta senza il Pci, con la falce e martello che si divise in due: il Pds che prese il 16,10% e Rifondazione comunista il 5,61%.

Economicamente, intanto, gli Stati Uniti non stanno affatto bene e vivacchiano nella recessione. La guerra contro l'Iraq ha solamente sancito - per dirla con Henry Kissinger - "il glorioso tramonto della guerra fredda, non la nuova alba di un periodo di dominio americano". Ancora nella riunione dei "G7", tenutasi a Washington tra il 25 ed il 26 aprile 1992, gli Stati Uniti inviteranno gli altri due grandi partners economici, il Giappone e la Germania, ad allineare le rispettive strategie a quella americana a prò della ripresa dello sviluppo internazionale. Ma il gioco a tre si riduce subito alla disputa monetaria tra le banche centrali: se Alan Greenspan, presidente della Federai Reserve, viene immediatamente ad implorare un abbassamento degli alti tassi d'interesse applicati dalla Bundesbank, che garantirebbe la riapertura del mercato europeo ridando così fiato alla macchina industriale statunitense (e a pochi mesi dalle elezioni presidenziali americane uno stimolo alla crescita fornirebbe un valido sostegno alla riconferma di George Bush), la risposta del presidente della Bundesbank, Helmut Schlesinger, è negativa: la Germania ha scelto la via di finanziare il proprio deficit attingendo al risparmio altrui e ciò implica tassi d'interesse alti, a dispetto di qualsiasi protesta esterna.
Il risultato sarà una grande carica vendicativa che il governo americano, alle prese con i rischi della campagna elettorale, non può ancora permettersi di palesare, ma che nelle opportune sedi politiche e militari ha però già trovato i propri "esternatori".

Giunge la risposta di Francia e Germania al documento unipolare del Pentagono di due mesi prima. Di fronte all'aggressiva presa di posizione americana, il 21 maggio 1992 il presidente francese Mitterrand ed il cancelliere tedesco Kohl si riuniscono a La Rochelle, sulle coste dell'Atlantico, per rilanciare in grande stile il progetto di una difesa comune europea, in qualche modo autonoma, dal Patto atlantico. Il 22 maggio viene sancita formalmente la nascita di questo "Eurocorpo", un corpo d'armata in comune tra Germania e Francia, composto di 35-40 mila unità, dotato di armamenti all'avanguardia e destinato a diventare operativo nel 1995. Nel progetto franco-tedesco la nuova struttura militare dovrebbe costituire l'embrione ed il nucleo attorno al quale poi aggregare il futuro esercito unificato d'Europa.
Mitterrand mostra di contare sull'adesione dell'Italia quando, in conclusione del vertice bilaterale di La Rochelle, espone la lista delle nazioni propense all'iniziativa: "Belgio, Lussemburgo, Spagna e Italia sono gli stati che hanno mostrato il maggior interesse". Ma dall'ordine decrescente proposto da Mitterrand è facile dedurre che, se la zona del Benelux offre un'adesione scontata al progetto (peraltro con il "problema" dell'Olanda che riteneva come la NATO restasse la pietra angolare della politica di sicurezza europea), l'ultima posizione è quella italiana mentre di Gran Bretagna e Danimarca non si fa nemmeno menzione

"Guardate - dichiara subito il segretario di stato americano James Baker in un colloquio con il ministro degli esteri tedesco Klaus Kinkel, avvenuto il 24 maggio in margine agli incontri tra i ministri degli esteri della CEE - che la vostra iniziativa non ci piace. Ne siamo anzi allarmati, perché compromette l'efficienza e la tenuta della Nato".

Determinante a questo punto, si rivela la presa di posizione dell'Italia, sia per la sua attuale instabilità politica che per la crisi istituzionale successiva alle elezioni del Il risultato delle elezioni, negativo per i partiti della maggioranza, ha infatti aperto il campo ad una lotta senza quartiere, la cui posta in gioco è rappresentata dalle poltrone di presidente delle repubblica e di capo del governo, e che vede gli Stati Uniti puntare decisamente all'allontanamento dai centri di potere di Andreotti e dei suoi uomini. In risposta all'Eurocorpo il ministro della difesa italiano, Rognoni, ribadisce che la direzione seguita dal governo italiano resta quella di puntare ad una difesa continentale incentrata sulla struttura della UEO, ma nell'ambito della conferma dei legami con la Nato, perché gli risulterebbe "difficile pensare di arrivare ad un esercito europeo partendo da un corpo d'armata franco-tedesco".
Col che lo schieramento di battaglia è ormai definito: un asse franco-tedesco con velleità autonomistiche, supportato dai paesi satelliti del Benelux, si assesta saldamente al centro dell'Europa, accerchiato però dalle basi americane poste per ora nelle sole nazioni esterne Gran Bretagna e Italia (alle quali vanno aggiunti "porti sicuri" come Grecia e Turchia). A questo punto si tratta soltanto di appurare la posizione di altri c

Il 2 giugno 1992, mentre il panfilo "Britannia" attracca a Civitavecchia, si svolge in Danimarca un Referendum sulla ratifica del Trattato di Maastricht in cui i NO sono in maggioranza col 50,7 %.

Non appena il popolo di Danimarca sancisce il proprio "no" a Maastricht, la fiducia nella convergenza delle economie europee crolla di colpo. Il pericolo che l'Unione monetaria venga ostacolata induce il mercato finanziario a puntare sulle valute più forti, a scapito delle economie fragili che non possono impedire la svalutazione delle proprie deboli monete. In poche ore la speculazione sceglie le sue vittime (lira, sterlina e peseta) a prò del fortissimo marco che, sostenuto da tassi d'interesse "impossibili", a partire dai primi di giugno intraprende la sua irresistibile ascesa anche nei confronti del dollaro.

La manovra sembra una punizione per i paesi colpevoli di aver rifiutato l'adesione all'esercito unificato. Ed in questo senso il "no" danese a Maastricht potrebbe apparire in qualche modo ambiguo:
- in accordo con la Bundesbank per dar esca all'offensiva monetaria contro gli stati europei più restii a separarsi dalla Nato,
- oppure in opposizione all'asse franco-tedesco, ma oggettivamente sulla stessa direttiva d'azione? Se qui è difficile dare una risposta sicura, è invece certamente mirato contro gli avversari atlantici l'annuncio di Mitterrand di affidare ad un referendum popolare l'approvazione francese al Trattato di Maastricht. La speculazione trova così nell'incertezza del risultato di Parigi e nell'orizzonte temporale limitato (fino al 20 settembre) il terreno ideale per manovrare "per linee interne" al fine di separare il "nocciolo duro" dell'Europa di Maastricht dalle nazioni "inaffidabili" che vanno poste in quarantena. Si può quasi dire che, attraverso la speculazione finanziaria, l'Eurocorpo franco-tedesco intenda mostrare i muscoli e farla pagare cara ai "traditori".

LA CALDA ESTATE DEL 1992
Da http://www.meteoweb.eu/2014/09
/clima-in-liguria-92-giorni-destate-
30-sole/326926/
Il primo attacco è contro l'Italia, il paese più responsabile del freno dato all'unità militare del continente. Rifiutando di abbassare gli alti tassi d'interesse, i tedeschi consentono alla speculazione di mettere in ginocchio la lira. Unita alla fragilità dell'economia ed alla crisi politica in corso, la caduta della valuta di Roma trova nella Banca d'Italia un difensore materialmente non all'altezza della situazione. Il governatore Ciampi non può fare altro che opporsi alla linea offensiva germanica con le stesse armi degli avversari ma con mezzi in larghissima misura minori, il che corrisponde ad un sicuro suicidio. Né può sperare in un'azione di supporto degli Stati Uniti, alle soglie di una campagna elettorale quanto mai incerta. L'Italia per ora deve fare da sé, così come tutte le altre nazioni europee filo-atlantiche. A Washington se ne riparlerà dopo le elezioni.

Al nostro paese non rimane così che tentare una mediazione nell'incontro dei "G7" di Monaco di Baviera (dal 6 all'8 luglio), ma con scarso successo. La Bundesbank ribadisce ancora una volta l'intenzione di proseguire sulla propria strada senza accettare pressioni (soprattutto se queste giungono da chi ha ostacolato l'Eurocorpo), ma neppure questo le basta e Schlesinger, da Francoforte, gira il coltello nella piaga alzando ulteriormente il proprio tasso di sconto fino a raggiungere l'8,75% (due settimane prima la FED l'aveva ridotto al minimo storico del 3%). Il divario tra i due tassi di riferimento si fa sempre più profondo, come la trincea che separa l'asse franco-tedesco da quello atlantico. Il marco è padrone assoluto dei mercati finanziari e la povera Banca d'Italia non può far altro che rispondere al rialzo dei tassi tedeschi con un ulteriore aumento dei propri, sperando che la speculazione si fermi. Ed invece la speculazione vola e impazza (poi Ciampi confesserà di non aver nemmeno immaginato che la massa monetaria "a piede libero" fosse così imponente).

Di fronte all'abbandono della lira da parte degli investitori stranieri ed all'esportazione di capitali italiani verso la Germania, la nostra Banca centrale non può che mantenere i tassi di interesse più appetibili di quelli tedeschi, mentre la situazione si riverbera sulla scena politica interna perché la manovra economica di risanamento del debito pubblico, stante un tale costo del denaro, deve necessariamente scaricarsi sul costo del lavoro. Così il 31 luglio i sindacati confederali capitolano di fronte ai ricatti di Amato: gli alti tassi costringono a limitare i salari ed "il sindacato deve fare la sua parte". Trentin (a malincuore) sottoscrive la fine della scala mobile ed il giorno dopo Ciampi offre in cambio la riduzione di mezzo punto del tasso di sconto.

Ma si tratta appena di una pausa perché ad agosto, a poco più di un mese dal referendum francese, a favore della speculazione prendono a giocare i sondaggi su quel voto. Le prime stime, che riportano il vantaggio dei "no" sopra i "sì", tornano a fare alzare la tensione e chi ci rimette le penne sono ancora lira, sterlina e peseta. Le banche centrali tentano comunque il tutto per tutto: il 3 settembre Londra ricorre ad un prestito in valuta di 10 miliardi di ECU;
il 4 settembre Roma, con la lira al limite della banda di oscillazione nei confronti del marco, rialza il tasso di sconto al 15% (il sacrificio "sindacale" diventa così del tutto gratuito, ma la colpa è forse di Ciampi?). La situazione è ormai insostenibile, ma sabato 5 settembre, al vertice della CEE di Bath in Gran Bretagna, l'unica concessione che si ottiene dalla Bundesbank è la promessa che i tassi non aumenteranno. L'Italia propone almeno una svalutazione contemporanea delle valute dei tre paesi filo-atlantici, vero obbiettivo della tempesta d'estate, ma Londra e Madrid rispondono picche: forse credono di non essere anch'esse nel mirino!

La speculazione intanto scorrazza tra le monete europee fino a coinvolgere anche i paesi nordici. Nella seconda settimana di settembre la Finlandia è la prima vittima, costretta a sganciarsi dal Sistema monetario europeo mentre il suo marco viene svalutato del 15%; altra strada sceglie invece la Svezia, che resta legata al marco tedesco al prezzo di un innalzamento del tasso d'interesse a breve termine al 500%! Ma ormai ogni resistenza è impossibile e la Bundesbank, dopo aver finto di sostenere la lira in base agli accordi interni allo SME (spendendo, nella "sola" seconda settimana di settembre, "ben" 24 miliardi di marchi), non intende più gonfiare le proprie riserve di ulteriori lire in pericolo di svalutazione e così costringe la Banca centrale italiana alla definitiva resa solitaria. È domenica 13 settembre, ad una settimana dal referendum francese. A pochi giorni dalla meta, la lira svaluta unilateralmente del 7% in cambio del bel gesto tedesco di una riduzione dei tassi d'interesse dello 0,5% per lo sconto e dello 0,25% per il Lombard. Ma sono tagli che finiscono per rivelarsi una nuova manovra a favore della speculazione, perché se quello che concede la Bundesbank è così poco, allora per nessun'altra valuta sotto tiro può esserci speranza.

Il governo italiano dunque, retto da Amato, il 13 settembre decide di svalutare il cambio di riferimento della valuta nazionale complessivamente del 7%; in particolare la lira in sé fu svalutata del 3,5%, mentre le altre valute furono rivalutate del 3,5%.

Nei pochi giorni che rimangono al referendum la speculazione riversa tutta la propria violenza su sterlina e peseta, sicché il 16 settembre Londra dichiara di ritirarsi dallo SME mentre nella notte, al termine del Comitato monetario della CEE, anche la lira ne approfitta, autosospendendosi dal Sistema monetario e la peseta viene svalutata del 5%.

Il 16 settembre 1992, giorno che sarebbe poi divenuto noto come "mercoledì nero", la lira italiana e la sterlina inglese furono costrette ad uscire dallo SME a seguito di una speculazione finanziaria, soprattutto ad opera di George Soros, che vendette sterline allo scoperto per un equivalente di più di 10 miliardi di dollari e causò una perdita di valore della lira sul dollaro del 30%, guadagnando una cifra stimata attorno agli 1,1 miliardi di dollari.
Poiché il cambio ufficiale era definito a meno di piccole oscillazioni, lo speculatore avrebbe venduto allo scoperto valuta debole acquistando valuta forte, avendo la certezza che le banche centrali sarebbero obbligate a mantenere il cambio accordato attraverso lo SME.
Gli speculatori approfittarono della riluttanza da parte della Banca d'Inghilterra sia ad aumentare i propri tassi di interesse a livelli confrontabili con quelli degli altri paesi del Sistema Monetario Europeo, sia a lasciare fluttuante il tasso di cambio della moneta. Alla fine, la Banca d'Inghilterra fu costretta a far uscire la propria moneta dallo SME e a svalutare la sterlina. "The Times", lunedì 26 ottobre 1992, riportò il commento di Soros: "La nostra esposizione durante il Mercoledì Nero doveva essere di quasi 10 miliardi di dollari, ma avevamo previsto un guadagno maggiore. Infatti, quando Norman Lamont, appena prima della svalutazione, disse che avrebbe avuto bisogno di un prestito vicino ai 15 miliardi di dollari per difendere la sterlina, fummo contenti poiché era all'incirca la cifra che noi volevamo vendere".
Per quanto riguardò la lira italiana, vendendo lire allo scoperto, Soros contribuì una perdita valutaria pari a 48 miliardi di dollari che causò una perdita di valore del 30% e l'uscita dal Sistema Monetario Europeo. In un'intervista a Francesco Spini disse: “Ai tempi presi una posizione sulla lira perché avevo sentito dichiarazioni della Bundesbank [...] Si trattava di dichiarazioni pubbliche, non ho avuto contatti personali. Quella fu una buona speculazione”.

Il risultato è raggiunto. Adesso si tratta soltanto di fermare la speculazione, che nel frattempo ha preso la mano rivolgendosi anche verso il franco, fino allora rimasto relativamente in disparte. Ma siamo alla vigilia del referendum su Maastricht, la cui importanza risiede non tanto nell'esito a favore o contro l'Unità monetaria europea (di fatto ormai saltata), ma piuttosto nella sanzione dell'alleanza franco-tedesca.

L'unico problema che resta per Kohl e Mitterrand è quella speculazione che ancora non si ferma. Così, all'indomani del referendum, il cancelliere tedesco vola a Parigi per dare un chiaro segnale ai mercati: l'attuale parità tra franco e marco rispecchia l'effettivo equilibrio presente tra le due economie, che si opporranno con tutti i mezzi a loro disposizione a qualsiasi ulteriore attacco finanziario. La settimana successiva i mercati sono ancora in fermento, ma le Banche centrali di Francoforte e Parigi non lasciano più spazio agli "avventurieri", mostrando che a questo punto scherzare con le monete è diventato pericoloso perché la Germania ha detto "basta".

Nel referendum francese del 20 settembre 1992 , il risultato per l'asse "eurocorpista" è solo il 51,05% di "SÌ" contro il 48,95% di "NO". Una vittoria talmente minima da lasciare inalterata la situazione a scapito delle altre monete europee, ma che permette a Francia e Germania di sancire definitivamente il loro accordo economico, oltre che politico e militare. Lo SME per ora rimane, se non altro come discrimine nei confronti di lira e sterlina (le vere sconfitte per la loro eccessiva fedeltà verso gli Stati Uniti), e rimane anche il progetto di Maastricht, al quale però si allineeranno solamente quelle nazioni in grado di rispettarne le condizioni (e francamente è difficile credere che Gran Bretagna e Italia ne siano in grado).

Il presidente François Mitterrand, all'indomani del referendum francese sulla ratifica del trattato di Maastricht sull'Unione Europea, accoglie il cancelliere Helmut Kohl per sancire un asse franco-tedesco, cuore della nuova dimensione europea. Sono solo coincidenze oppure un ciclo storico geopolitico sta tornando a ripetersi? Non è che la spinta geopolitica tedesca, estinta "manu militari" al termine dell'ultima guerra mondiale, sia riaffiorata, ovviamente con una caratterizzazione molto più complessa, ma con le medesime linee direttrici che passano attraverso la formazione di un'alleanza strategica franco-tedesca per la conquista del "Cuore della Terra"?

Alla fine di settembre la lunga estate di brivido è conclusa. A questo punto l'Unione europea, se mai si farà, avrà come unico asse di riferimento il "patto d'acciaio" franco-tedesco, e vi potranno rientrare soltanto le nazioni che intendono gravitare nell'area del marco. Paradossalmente - ma perché mai? - la Croazia sembra avere più possibilità di procedere verso Maastricht che non l'Italia.

Nell'estate del '92 comunque, lo SME è stato messo a dura prova dalle diverse politiche economiche e dalle differenti condizioni dei suoi membri, specialmente la Germania riunificata e la Gran Bretagna, permanentemente ritiratasi dal sistema.
Tutto ciò condurrà al cosiddetto Compromesso di Bruxelles dell'agosto 1993, che stabilirà una nuova banda di fluttuazione del 15%.

LA REAZIONE DEGLI STATI UNITI
Zio Sam.
Germania e Francia sembrano quindi avere vinto il confronto, mentre Italia, Gran Bretagna e Spagna si sono dovute arrendere senza porre condizioni, retrocesse esplicitamente dal ministro delle finanze tedesco Theo Waigel nell'Europa di "serie B". Chi avrebbe potuto salvare questi paesi europei erano gli Stati Uniti, i quali però hanno preferito non prendere parte alla guerra d'estate. Per quale motivo? E che fine ha fatto il "terribile" documento del Pentagono di marzo?
Il fatto è che gli Stati Uniti si sono trovati alle prese con l'impasse delle elezioni presidenziali e che nessuno dei candidati ha inteso di correre il rischio di minacciare pericolose campagne valutarie o guerre commerciali foriere di ripercussioni negative interne. Questo non significa però che gli USA non intendano intervenire, ma che essi attendono il momento giusto dettato dalla loro politica interna, temporaneamente separata da quella estera.

Infatti, appena messe da parte le elezioni, l'America scende in campo per la resa dei conti con la Germania: gli Stati Uniti sono più che mai intenzionati a sostenere il loro primato economico nei confronti della sfida d'ogni capitalismo concorrente, e ciò che fa da discrimine fra l'estate e l'inverno 1992 è proprio che, risolta la questione presidenziale, essi passano dalle parole, dai moniti, dalle minacce, direttamente ai fatti, allo scontro fisico e duro. A tal proposito l'ex "sessantottino" Bill Clinton non esprime incertezze: "Chiedo agli amici dell'America di continuare a lavorare con me verso una nuova pace - dice il 4 novembre 1992, il giorno successivo alla sua elezione - Ma avverto i nemici dell'America, dovunque essi siano, che commetterebbero un errore fatale per loro se pensassero di approfittare della transizione che separa la mia elezione dalla presidenza o di mettere in futuro alla prova la mia determinazione. Ricordatelo tutti: i presidenti cambiano, ma gli interessi degli Stati Uniti restano immutati.".

Né il monito di Clinton appare privo di fondamento dal momento che la nuova "Rimland a guida germanica" ha ormai svelato i propri esatti confini: attorno all'asse franco-tedesco si ritrovano per ora uniti: Benelux, Svizzera, Svezia, Norvegia, Austria, Cecoslovacchia, Ungheria, Slovenia e Croazia. Nel 1990 si erano tenute le prime elezioni libere in Croazia, vinte dall'Unione Democratica Croata guidata da Franjo Tuđman e finanziata in gran parte dalle tesorerie della NATO. In seguito alla dichiarazione di indipendenza del 25 giugno 1991 inizia l'offensiva militare dell'esercito nazionale jugoslavo appoggiato da gruppi paramilitari: numerose città croate tra cui Vukovar e Ragusa vengono attaccate, così come viene attaccato il palazzo presidenziale a Zagabria, e l'8 ottobre 1991 il Parlamento croato rescinde ogni legame con la Jugoslavia. Il 25 giugno 1991anche la Slovenia dichiara la propria indipendenza dalla Jugoslavia e vince la successiva guerra dei dieci giorni riuscendo così ad ottenere il riconoscimento della propria sovranità. Il Paese riuscirà poi a non essere coinvolto nella guerra civile jugoslava e con l'indipendenza inizia un riavvicinamento della nazione al contesto storico-politico dell'Europa Centrale, nel quale si era svolta gran parte della sua storia.
Geopoliticamente questo "Cuore d'Europa" esprime la massima minaccia, tendendo a fare avanzare il proprio baricentro politico ed economico verso l'Heartland dell'ex Unione Sovietica lungo due direttrici:
- da un lato la discesa per la penisola balcanica fino a raggiungere le nazioni affacciate sul Mar Nero, come Romania e Bulgaria,
- dall'altro l'avanzamento attraverso la Polonia ed i paesi baltici.
Ipotizzando la fedeltà della Francia a ovest ed il successo dell'operazione "a tenaglia" a est, la Germania realizzerebbe la messa in pratica del teorema di Mackinder di congiungere la "Terra del Cuore", che possiede le grandi pianure euro-asiatiche, col centro d'Europa e gli sbocchi ai mari caldi coronando così il sogno tedesco di sempre di dominare il mondo.

Tuttavia il pianificato movimento verso la Russia, allo stato attuale degli schieramenti, manca ancora di alcuni pilastri fondamentali. Lasciando da parte paesi come Romania e Bulgaria, la cui collocazione riveste a caratteri contraddittori, sono comunque individuabili inopinabili resistenze all'avanzamento tedesco. Intanto i tedeschi dovrebbero superare grandissime difficoltà per giungere al controllo di quella Polonia (dove gli americani stanno investendo fior di dollari) che impedisce la contiguità fisica della Germania con le repubbliche baltiche e la Russia, mentre la Cecoslovacchia, che sembrava ormai prossima a cadere nell'orbita germanica, si trova dal 1° gennaio 1993 divisa, per decisione del suo parlamento, in una Boemia tedesca ed una Slovacchia no. Inoltre lungo la direttrice balcanica la Serbia rappresenta un ostacolo difficile all'espansione di una nazione, la Croazia, che, sostenuta dalla Germania economicamente, militarmente (i nuovi "ustascia", fra i quali si trovano arruolati non pochi neo-nazisti tedeschi, dispongono di armi provenienti dagli arsenali dell'ex Germania dell'Est) e politicamente (si pensi al riconoscimento unilaterale che Bonn, non disposta ad attendere i tempi della CEE, ha concesso alla Croazia dopo appena pochi giorni dalla dichiarazione d'indipendenza di quest'ultima), intende far passare come "guerra di liberazione" l'annessione truffaldina di un altro stato, la Bosnia dei musulmani. Così il fronte della "guerra incivile" che sta tagliando a fette la Bosnia costituisce in verità la linea di demarcazione più evidente dello scontro geopolitico tra Stati Uniti e Germania, anche se sotto forme mascherate e troppo spesso confuse (forse per caso?) dai mass-media.

Ogni freno all'intraprendenza degli Stati Uniti viene comunque a cadere all'indomani della vittoria di Clinton. L'offensiva americana, attesa per tutta l'estate, si configura di colpo poche ore dopo la designazione del nuovo presidente statunitense, e paradossalmente ad opera ancora di Bush.
Dopo una lunga ed infruttuosa estate di trattative in seno agli accordi internazionali del Gatt (General Agreement on Tarifs and Trade), il 5 novembre gli Stati Uniti annunciano, per bocca della rappresentante commerciale americana Carla Hills, l'intenzione, a partire dal 5 dicembre successivo, di applicare sanzioni (del 200%) sulle importazioni agricole dei prodotti europei per un ammontare iniziale di 300 milioni di dollari, i quali però potrebbero in breve salire anche ad un miliardo, come Washington aveva già ammonito a giugno ricordando ai "separatisti" europei quali fossero i rischi a cui andavano incontro. Allora Kohl e Mitterrand non vollero sentire ragioni, rinviando di fatto la resa dei conti al dopo-elezioni. E così accade, essendo immediatamente evidente che la nazione al momento maggiormente colpita dai dazi americani è proprio la Francia, cioè uno dei due paesi del nuovo asse europeo.

Ma la Francia non intende fare da agnello sacrificale, sicché promette battaglia. Purtroppo però per i parigini il fronte dei falchi, che tanto vola in alto quel 5 novembre minacciando guerre e rappresaglie a destra e a manca ("stiamo schierando gli eserciti per prepararci alla guerra", dichiara un portavoce della Commissione CEE, e "risponderemo con rappresaglie proporzionali a quelle degli Stati Uniti", ammonisce Frans Andriessen, capo della delegazione comunitaria ai negoziati con gli americani), dopo nemmeno quattro giorni è già in frantumi. Infatti, mentre preparano la lista delle contromisure, i francesi paiono dimenticarsi che i provvedimenti della Commissione CEE devono essere approvati a maggioranza dal Consiglio dei ministri dei Dodici, e perché mai i paesi più "strizzati" dall'aggressione speculativa dovrebbero adesso difendere la Francia, coresponsabile delle loro disavventure estive?
E tuttavia, se si trattasse solo di questo, l'asse franco-tedesco potrebbe avere ancora buon gioco contro Italia e Gran Bretagna. La vera questione che spacca la Comunità europea risiede nel timore di Bonn (N.d.R. storica capitale germanica occidentale del secondo dopoguerra N.d.R.) che gli Stati Uniti allarghino i dazi anche ai prodotti industriali. Infatti, mentre la CEE tentenna, Carla Hills muove nuovamente all'attacco ammonendo che, nel caso in cui si dimostrasse impossibile giungere ad una "soluzione soddisfacente" in materia agricola con Bruxelles, gli Stati Uniti avrebbero in serbo misure ben più pesanti, questa volta però destinate a colpire 1,7 miliardi di dollari di importazioni industriali.

L'America non può scendere in campo in maniera più esplicita, e francesi e tedeschi, fraternamente uniti all'indomani del referendum di settembre, finiscono inevitabilmente per scontrarsi visto che in rotta di collisione si rivelano i loro interessi commerciali. I tempi d'oro della speculazione pro-marco stanno per passare e la Germania non può più sacrificarsi per difendere i paesi fedeli. Ora contano soltanto i conti della bilancia con l'estero e Bonn non può rinunciare alle proprie esportazioni in USA, sicché è meglio che le restrizioni ricadano solo sull'economia francese, la quale d'altro canto appare, sotto il profilo dei parametri di Maastricht, anche più in salute di quella tedesca.

Così alla prima riunione di Bruxelles per decidere le contromisure europee la Francia si trova talmente isolata che l'adozione di rappresaglie contro l'America non viene nemmeno messa ai voti, evidentemente per non rendere ancora più palese e lacerante l'opposizione interna alla CEE. Ma l'aspetto più sorprendente della situazione sta nella presa di posizione di Germania, Danimarca e Benelux, buttatesi a fianco della "gran nemica" Gran Bretagna, ovviamente contraria ad una guerra commerciale con gli Stati Uniti e favorevole ad un accordo tra le parti. Alla Francia non resta che sperare nell'Italia, a detta dei francesi favorevole alla rappresaglia perché pure essa direttamente colpita dall'aumento dei dazi agricoli, ma nessuna dichiarazione pubblica dei ministri italiani presenti all'incontro giunge ad avallare il pio desiderio di Parigi.

La sconfitta viene così quando, fra gli echi delle dimostrazioni anti-americane in Francia, con i MacDonald devastati e le bandiere a stelle e strisce bruciate dai contadini francesi, sull'altra sponda dell'Atlantico, a Washington, il 20 novembre Carla Hills e i commissari della CEE giungono al sospirato accordo per evitare i dazi sui prodotti agricoli: la Comunità europea si impegna a ridurre le superfici coltivate e in più accetta di diminuire del 21%, prodotto per prodotto, l'export agricolo sovvenzionato. In effetti si tratta di un cedimento pressoché su tutti i fronti della trattativa, e lo sa bene il governo di Parigi per il quale, sul momento, "l'accordo è inaccettabile", come sentenzia il ministro dell'agricoltura Jean Pierre Soisson. Ma c'è ormai ben poco da fare, se non richiedere che almeno la CEE indennizzi gli agricoltori francesi colpiti dai tagli alla produzione.

La Francia si sacrifica dunque economicamente, e la sconfitta si riverbera immediatamente anche sul piano militare perché Mitterrand, capendo che la Germania non è affatto un partner affidabile quando lo scontro si fa duro, decide di abbandonarla anche a proposito del famigerato "Eurocorpo". Con la lettera congiunta, a firma dei governi francese e tedesco, inviata il 30 novembre al Consiglio atlantico, si annuncia infatti (ed è quasi una dichiarazione di resa) che quel corpo d'armata in allestimento che aveva scatenato la "guerra fredda" del 1992 potrà operare sotto comando Nato in tempo di guerra, ma anche e soprattutto in missioni straordinarie di pace fuori dal territorio dell'Alleanza. La Francia riconosce in tal modo la superiorità del Patto atlantico in ordine al controllo della sicurezza occidentale, consegnando agli Stati Uniti quello che nei progetti sarebbe dovuto divenire il "braccio armato" dell'Europa di Maastricht. Ma non solo: essa infatti si impegna a partecipare con il futuro Eurocorpo ad interventi "ad hoc" che, su incarico dell'ONU o della CSCE, la Nato si trovasse a sostenere per garantire gli equilibri internazionali.

E gli americani prendono talmente in parola i francesi da chiamarli, pochi giorni dopo, alle loro dipendenze nell'operazione-occupazione militare in Somalia. È il primo banco di prova (subito seguito dai nuovi bombardamenti sull'Iraq) della "ritrovata" fedeltà francese, ma non è detto che altri non ne vengano richiesti in futuro in zone ben più calde militarmente, come ad esempio in quella Bosnia musulmana aggredita dai "comunisti" serbi ma pure dagli "ustascia" croati in odore di nazismo.

Piegato il "braccio militare" dell'alleanza franco-tedesca, agli Stati Uniti rimane da sostenere il confronto - in verità più difficile - con l'apparato economico germanico. È la seconda fase dell'attacco americano, che si sviluppa, contemporaneamente allo scontro sui dazi, quando il 19 novembre, il giorno precedente la firma dell'accordo USA-CEE, torna in scena la speculazione. Ma questa volta si tratta di un fenomeno valutario del tutto diverso da quello osservato nel corso dell'estate.
Dopo l'accordo ratificato in settembre tra Parigi e Bonn a garanzia degli impegni di reciproca difesa della parità monetaria, la bufera finanziaria era sembrata sparire d'incanto, lasciando sul terreno appena marco finlandese, lira italiana e sterlina britannica costrette ad uscire dallo SME. Eppure la Bundesbank ha potuto dormire sonni tranquilli per solo poco più di un mese, svegliata di soprassalto dagli esiti delle elezioni americane.
Paradossalmente, infatti, la corsa contro il tempo affrontata durante l'estate da Bush al fine di destare segni di vitalità nell'economia americana, dà i suoi frutti subito dopo l'elezione di Clinton, allorché la moneta americana manifesta di risentire efficacemente degli stimoli positivi provenienti sia dal campo politico che da quello economico, configurandosi nuovamente come il segnale della ripresa economica occidentale in via di identificazione con la promessa "clintonomics". Il biglietto verde torna in tal modo a rivestire il ruolo di "porto sicuro", di "bene rifugio" capace di attirare quei capitali erratici messi pericolosamente in movimento dalla politica monetaria dissennata della Bundesbank.
Ed i primi risultati della nuova fiducia riposta nel futuro dell'economia americana giungono in campo finanziario per l'appunto giovedì 19 novembre, quando gli attacchi della speculazione costringono una nuova valuta, la corona svedese, a ritirarsi a sorpresa dallo SME. Eppure nei drastici provvedimenti adottati dalle autorità monetarie svedesi vi è qualcosa di radicalmente diverso rispetto alle motivazioni che nell'estate precedente avevano costretto ad una resa simile sia Helsinki che Londra e poi Roma, perché se da un lato allora la corona era riuscita a resistere all'offensiva speculativa, che pur l'aveva coinvolta, scegliendo di rimanere ancorata al marco tedesco a costo di misure monetarie eccezionali, dall'altro non si comprende cosa possa aver spinto adesso la Riksbanken di Stoccolma a gettare la spugna dopo nemmeno una settimana di attacchi alla propria valuta. Cosa fa sì che la Svezia, capace di resistere alla speculazione d'estate, ceda di colpo di fronte a quella di novembre? In altri termini, chi c'è ora di tanto forte dietro la nuova offensiva valutaria? A rispondere è Olev Tryg della Swedbank di Stoccolma: è il "super-dollaro" - denuncia -, gettatosi sulla corona svedese "come su una preda da cui succhiare il sangue e poi abbandonare al suo destino.

E continuerà così anche con le altre valute europee". Ma quali "altre valute europee"?.
Nella stessa giornata del 19 novembre la Banca di Norvegia annuncia l'intenzione di limitare i prestiti alle banche per frenare la fuoriuscita dei capitali, mentre d'urgenza si tiene un vertice delle autorità monetarie in Finlandia. È allora la fascia delle monete del Nord ad essere investita dalla nuova bufera valutaria, che ha di mira le monete satelliti del marco partendo da quelle scandinave meno difese, ma per arrivare al franco francese, al cui sostegno i tedeschi hanno legato l'esistenza stessa dell'asse politico-militare europeo. Ed è proprio la difesa del franco, vero obbiettivo della nuova offensiva speculativa, a far quadrare i conti in casa franco-tedesca: se la Francia ha sacrificato i suoi contadini nella guerra dei dazi, in cambio la Germania deve impegnarsi con tutte le sue forze a sostenere la moneta di Parigi, ormai in odore di svalutazione. E così è: mentre svalutano peseta spagnola ed escudo portoghese e rialzano a difesa i tassi d'interesse Olanda e Danimarca senza che la Bundesbank muova un dito (perché "è errato ed inefficace che le banche centrali siano obbligate a difendere sul mercato le monete più deboli", dichiara il suo presidente il 1° dicembre), la Germania non risparmia munizioni per proteggere la parità franco-marco, asse portante di quell'Europa di "serie A" monetariamente però ridottasi a solo un pugno di nazioni. E proprio tutte disposte a "morire per Dresda" ?

Intanto la recessione sta colpendo pesantemente l'Europa. La strada dell'innalzamento dei tassi d'interesse, imboccata decisamente dalla Germania nel 1990, si è ormai trasformata in un vicolo cieco in cui l'elevato costo del denaro - visto inizialmente come garanzia di controllo sull'inflazione e soprattutto come magnete nei confronti dei capitali internazionali - ha avuto il solo effetto di rallentare ovunque gli investimenti, e quindi lo sviluppo, in una congiuntura complessiva di per sé già allarmante. Così le speranze di una ripresa in Europa sono tutte legate all'abbassamento di quei saggi d'interesse richiesto da più parti (anche dai francesi e dalla CEE all'inizio di dicembre), ma che fino ad oggi ha incontrato la più decisa opposizione da parte di Schlesinger: finché riuscirà la banca tedesca non toccherà nemmeno di mezzo punto l'interesse, sebbene ciò vada ad evidente scapito della ripresa economica di tutti. Ma perché mai tanta ostinazione? Il fatto è che la morsa che attanaglia la Germania non lascia altra alternativa poiché i capitali stranieri, che il super-marco ha saputo attirare nel 1992, si sono rivelati alla prova dei fatti soltanto investimenti finanziari di breve periodo. Il saldo positivo di 59 miliardi di marchi registrato nel primo semestre è costituito infatti da prestiti esteri a breve scadenza, mentre sul fronte dei capitali a lungo termine, sempre per quel primo semestre, si palesa addirittura un disavanzo a scapito della Germania di 27 miliardi di marchi. Stando così le cose, è comprensibile la resistenza offerta dalla Bundesbank verso ogni esortazione alla riduzione del costo del denaro: abbassare i tassi d'interesse significherebbe vedere quei capitali fuggire in brevissimo tempo verso altri lidi, e provocare in Germania un vero e proprio collasso finanziario interno, chiamandola finalmente a fare i conti da sola con il costo spropositato dell'unificazione. Perciò "abbassare i tassi d'interesse non aiuta a risolvere i problemi né della Germania né dell'Europa", spiega il 1° dicembre il presidente della Bundesbank mirando a rafforzare il fronte europeo di resistenza alla pressione esercitata dalla bufera valutaria invernale, la quale presenta nuovamente le caratteristiche di una battaglia fra colossi geopolitici che muovono il giro vorticoso dei capitali speculativi.

Ora però, se ben si comprendono le motivazioni germaniche, quale vantaggio avrebbe mai l'Europa a non vedere abbassarsi i tassi d'interesse tedeschi? Abbiamo visto che, se questi si riducessero, i capitali defluirebbero immediatamente dalla Germania, ma... resterebbero nel vecchio continente? Come si è detto, la novità della fine del 1992 è una ritrovata aggressività del dollaro, stimolato dalla prospettiva della "clintonomics". Ma per portarla a compimento i capitali interni non bastano; così anche gli Stati Uniti hanno bisogno di attrarre denaro straniero per dotarsi di quella politica industriale capace di rilanciare la propria economia e farne una locomotiva planetaria dello sviluppo. Di conseguenza due sono i poli, con interessi concorrenti, impegnati a contendersi la liquidità speculativa internazionale, ed a fare subito le spese del confronto è il povero franco francese, ormai vaso di coccio fra marco e "super-dollaro" nonostante abbia alle spalle un'economia dai "fondamentali" talmente in ordine da essere l'unica a potere entrare a vele spiegate nell'Europa di Maastricht.

La Bundesbank ha però ben capito chi sta manovrando per far saltare l'ultimo rapporto di cambio fisso che tiene ancora in piedi lo SME. Perché è di questo che, a partire da dicembre, si tratta: buttate fuori in estate lira e sterlina ad opera del marco, il Sistema monetario, divenuto la linea di discrimine tra i paesi dell'area germanica e quelli filo-atlantici, si trova adesso a fronteggiare un'offensiva valutaria di ben altro colore, intenzionata a spazzare via lo stesso "Cuore d'Europa" (il nucleo dell'"Europa a cerchi concentrici", ormai divenuto tutt'uno col "Cuore dello SME").
E l'unico modo per tagliare la testa del Serpente monetario è fare saltare la parità fra marco e franco, suo asse residuo.
Ecco allora i moniti di Kohl e Mitterrand affinché l'attuale sistema di cambi venga riformato attraverso la creazione di uno "SME a geometria variabile", con nucleo centrale di monete a parità stabile, attorno al quale strutturare due centri concentrici: uno per le valute degli altri paesi della CEE e l'altro per le restanti nazioni europee. E quali sarebbero gli stati ad entrare adesso di diritto nel "nocciolo duro" dello SME? Appena Germania, Francia, Benelux e Danimarca, poiché solo a questi esso si è ridotto dopo che il 10 dicembre anche la Norvegia, seguendo l'esempio di Svezia e Finlandia, è uscita dal Sistema monetario.

L'Europa "marco-centrica" rinuncia così anche ai paesi satelliti, chiudendosi a riccio nella difesa di ciò che resta dei grandiosi propositi d'egemonia ed avanzamento verso l'Heartland: impeditagli la strada verso la Russia, circondata da paesi o filo-atlantici oppure ormai allo sbando, attaccata direttamente da un dollaro rampante, la "Grande Germania" non può fare altro che arroccarsi nella "Stalingrado" degli alti tassi d'interesse, pur di conservare il gruzzoletto di capitali racimolato durante l'estate a spese dei restanti paesi europei.

Ma fino a quando Schlesinger potrà resistere? L'ostinazione "teutonica" ha un prezzo sempre più elevato, in termini d'investimenti ed occupazione, che perfino i suoi alleati più fedeli sembrano ormai restii a pagare: è del 7 gennaio 1993 la notizia della "ribellione" alla dittatura monetaria della Bundesbank, dei fino ad allora fedelissimi Belgio ed Olanda, passati decisamente ad una politica ufficiale di riduzione del tasso di sconto, immediatamente adottata pure da Austria e Svizzera, quest'ultima anche protagonista di una presa di posizione clamorosa contro il "pericolo tedesco" in occasione del referendum del 6 dicembre 1992 sull'adesione svizzera allo Spazio economico europeo (SEE), che con una partecipazione al voto del 78.73% degli aventi diritto ha registrato il 49,7 % di SÌ e il 50,3 % di NO e, dopo il referendum del 6 dicembre 1992, il Consiglio federale svizzero non ha più perseguito l'adesione del paese all'UE e al SEE.

RIEPILOGO DELLO STRANGOLAMENTO DELLA SOVRANITÀ ECONOMICO-MONETARIA ITALIANA
Da sinistra: Fabio Tamburini, Romano
Prodi e Beniamino Andreatta.
Ecco quindi che, fin dalla creazione dello SME (13 marzo 1979), lo Stato Italia, attraverso i propri non ha più avuto la libertà di gestire la propria moneta, la lira italiana, poiché esistevano impegni presi con la CEE che prevedevano precisi limiti di oscillazione del suo valore.
esecutivi,
Rimaneva comunque la possibilità di tenere sotto controllo il debito pubblico per la possibilità di stampare la propria valuta, di cui lo Stato era sovrano, in un'epoca in cui le monete nazionali non dovevano più avere una contropartita in oro (Nell'agosto 1971, infatti, il presidente statunitense Richard Nixon aveva approvato la legge che sospendeva l'obbligo per la Federal Reserve di convertire i dollari in oro al rapporto fisso di 35 dollari l'oncia, stabilito nel 1944 a Bretton Woods)

Nel 1981 il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta e il Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azelio Ciampi, decretando il divorzio tra il ministero del Tesoro e la Banca d'Italia,
liberano quest'ultima dall'obbligo di acquistare tutti i titoli di stato emessi dal ministero del Tesoro per finanziare il deficit dello Stato stesso, e questo porterà all'acquisto di titoli di stato da parte delle grandi banche commerciali e dei "mercati", per non dire degli speculatori ordoliberisti che, comprando i titoli, costringerà lo stato a pagare loro interessi, generando così un debito vero che passerà dai 142 miliardi dell'81 (falso debito, in quanto alla Banca d'Italia bastava stampare il denaro per ripianarlo) a ben 850 miliardi nel 1992 (debito vero, in quanto contratto con banche commerciali private (i "mercati") che lo stato e quindi il popolo dovrà ripagare sotto forma di tassazione forzata).

Il 30 luglio 1990 con la Legge n. 218 (e il 20 novembre seguente con il d.lg. n. 356), in Italia si intende determinare una profonda trasformazione nel sistema delle banche pubbliche italiane, perseguendo lo scopo di affidare la gestione bancaria non più a enti pubblici con capitale o fondo di dotazione detenuto totalmente, o a maggioranza, dallo Stato, ma a società per azioni di diritto privato, favorendo la concentrazione degli istituti bancari, con la costituzione di gruppi ispirati al modello del gruppo creditizio polifunzionale.
Fondamentalmente la Legge Amato/Carli avvia la privatizzazione delle Banche pubbliche con la trasformazione degli istituti di Diritto Pubblico e delle Casse di Risparmio in Società per Azioni
aventi come principale azionista le Fondazioni di origine bancaria.
Ad oggi, tutti gli azionisti di Banca d'Italia sono s.p.a. e non necessariamente italiane.

Il 9 gennaio 1992 viene emanata la Legge 35/92 Amato-Carli che prevede la privatizzazione di istituti di credito e di enti pubblici. Banca d'Italia viene privatizzata in palese violazione con l'art. 3 del suo statuto che recita: “In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”. Si è quindi ceduta la sovranità monetaria, violando due articoli fondamentali della costituzione: l'art. 1 (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione”) e l'art. 11 (“L'Italia […] consente in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”).
E invece i nostri politici hanno ceduto un potere indipendente e sovrano del nostro stato (la Banca d'Italia) ad un organismo privato ed anche esterno allo Stato stesso.

Il 7 febbraio 1992 viene varata dal Parlamento italiano la Legge n. 82/92 con cui il ministro del Tesoro Guido Carli (ex governatore di Banca d'Italia) attribuisce alla Banca d'Italia privatizzata la “facoltà di variare il tasso ufficiale di sconto senza doverlo più concordare con il Tesoro”, cosicché, da questo momento, è una Banca d'Italia privata, di proprietà non solo italiana, a decidere per il nostro Stato il costo del denaro, ovvero gli interessi con cui ripagare i Buoni del Tesoro relativi alla stampa del denaro.

Nel maggio del 1998 lo SME, non essendo sempre funzionale, costringe i paesi membri a fissare irrevocabilmente e definitivamente tassi di cambio reciproci in vista della partecipazione all'Euro e il 31 dicembre 1998, con la creazione dell'Unione economica e monetaria, cessa di esistere.

Nel 1999 viene inaugurato lo SME2, successore dello SME. In esso il paniere ECU è abbandonato e la nuova moneta unica, l'Euro, diventa un'ancora per le altre monete che partecipano allo SME 2. La Partecipazione al Meccanismo è volontaria e le bande di fluttuazione restano le stesse che nel primo meccanismo di tassi di cambio, cioè ±15% (tranne per la Corona danese che mantiene la sua banda originaria di ±2,25%), con la possibilità di collocazioni individuali più ristrette nei riguardi dell'Euro. Alla sua istituzione comprende due membri, la Danimarca e la Grecia.
Gli Accordi europei di cambio (AEC) prevedono la fissazione di una parità centrale per i cambi bilaterali dei paesi membri (griglia di parità): se il cambio raggiunge i margini della banda di oscillazione, le banche centrali dei paesi interessati sono obbligate a intervenire acquistando o vendendo valuta.
Gli AEC 2, talvolta descritti come "sala d'aspetto" per arrivare all'Unione economica e monetaria dell'Unione europea, ha riguardato i nuovi paesi aderenti all'eurozona dopo il 1999. In questo stadio le monete dei paesi partecipanti sono legate all'euro con una parità fissa ed hanno una banda di oscillazione di al massimo ± 15%. Dal 2015 soltanto la Danimarca partecipa a questi accordi, con un cambio centrale di 7,46 corone per un euro e una banda di oscillazione del ± 2.25%.

L’IRI, acronimo di Istituto per la Ricostruzione Industriale, è stato un ente pubblico italiano istituito nel 1933 durante il fascismo, che nel dopoguerra allargò progressivamente i suoi settori di intervento e divenne il fulcro dell'intervento pubblico nell'economia italiana.
Dopo la trasformazione dell'IRI in società per azioni nel 1992, il consiglio d'amministrazione dell'Istituto fu ridotto a tre soli membri e l'influenza della DC e degli altri partiti, in un periodo in cui molti loro esponenti furono coinvolti nelle indagini di Tangentopoli, fu di molto ridotta.
Negli anni delle privatizzazioni, la gestione dell'IRI fu accentrata nelle mani del Ministero del Tesoro.
Per le sorti dell'IRI fu decisiva l'accelerazione del processo di unificazione europea, che prevedeva l'unione doganale nel 1992 ed il successivo passaggio alla moneta unica sotto i vincoli del Trattato di Maastricht.
Per garantire il principio della libera concorrenza, la Commissione Europea negli anni ottanta aveva incominciato a contestare alcune pratiche messe in atto dai governi italiani, come la garanzia dello Stato sui debiti delle aziende siderurgiche e la pratica di affidare i lavori pubblici all'interno del gruppo IRI senza indire gara d'appalto europea.
Le ricapitalizzazioni delle aziende pubbliche e la garanzia dello Stato sui loro debiti furono da allora considerati aiuti di stato, in contrasto con i principi su cui si basava la Comunità Europea; l'Italia si trovò quindi nella necessità di riformare, secondo criteri di gestione più vicini a quelli delle aziende private, il suo settore pubblico, incentrato su IRI, ENI ed EFIM. Nel luglio 1992 l'IRI e gli altri enti pubblici furono convertiti in Società per azioni. Nel luglio dell'anno successivo il commissario europeo alla Concorrenza Karel Van Miert contestò all'Italia la concessione di fondi pubblici all'EFIM, che non era più in grado di ripagare i propri debiti.
Per evitare una grave crisi d'insolvenza, Van Miert concluse, alla fine del 1993, con l'allora ministro degli Esteri Beniamino Andreatta un accordo, che consentiva allo Stato italiano di pagare i debiti dell'EFIM, ma a condizione dell'impegno incondizionato a stabilizzare i debiti di IRI, ENI ed ENEL e poi a ridurli progressivamente ad un livello comparabile con quello delle aziende private entro il 1996. Per ridurre in modo così sostanzioso i debiti degli ex-enti pubblici, l'Italia non poteva che privatizzare gran parte delle aziende partecipate dall'IRI.
L'accordo Andreatta-Van Miert impresse una forte accelerazione alle privatizzazioni, iniziate già nel 1993 con la vendita del Credito Italiano. Nonostante alcuni pareri contrari, il ministero del Tesoro scelse di non privatizzare l'IRI S.p.A., ma di smembrarla e di vendere le sue aziende operative; tale linea politica fu inaugurata sotto il primo governo di Giuliano Amato e non fu mai messa realmente in discussione dai governi successivi. Raggiunti nel 1997 i livelli di indebitamento fissati dall'accordo Andreatta-Van Miert, le dismissioni dell'IRI proseguirono comunque e l'Istituto aveva perso qualsiasi funzione, se non quella di vendere le sue attività e di avviarsi verso la liquidazione.
Tra il 1992 ed il 2000 l'IRI vendette partecipazioni e rami d'azienda, che determinarono un incasso per il ministero del Tesoro, suo unico azionista, di 56.051 miliardi di lire, cui vanno aggiunti i debiti trasferiti. Hanno suscitato critiche le cessioni ai privati, tra le altre, di aziende in posizione pressoché monopolistica, come Telecom Italia ed Autostrade S.p.A.; cessioni che hanno garantito agli acquirenti posizioni di rendita.
Con un documento pubblicato il 10 febbraio 2010, ormai ultimata la stagione delle privatizzazioni che aveva preso il via quasi 20 anni prima, la Corte dei Conti ha reso pubblico uno studio nel quale elabora la propria analisi sull'efficacia dei provvedimenti adottati. Il giudizio, che rimane neutrale, segnala, sì, un recupero di redditività da parte delle aziende passate sotto il controllo privato; un recupero che, tuttavia, non è dovuto alla ricerca di maggiore efficienza, quanto piuttosto all'incremento delle tariffe di energia, autostrade, banche, ecc., ben al di sopra dei livelli di altri paesi Europei. A questo aumento, inoltre, non avrebbe fatto seguito alcun progetto di investimento, volto a migliorare i servizi offerti. Più secco è invece il giudizio sulle procedure di privatizzazione, che: «evidenzia una serie di importanti criticità, le quali vanno dall'elevato livello dei costi sostenuti e dal loro incerto monitoraggio, alla scarsa trasparenza connaturata ad alcune delle procedure utilizzate in una serie di operazioni, dalla scarsa chiarezza del quadro della ripartizione delle responsabilità fra amministrazione, contractors ed organismi di consulenza, al non sempre immediato impiego dei proventi nella riduzione del debito».
Le poche aziende (Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in mano all'IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata "agenzia per lo sviluppo", il 27 giugno 2000 l'IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in Fintecna, scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua controllata ha però pagato un assegno al Ministero del Tesoro di oltre 5.000 miliardi di lire, naturalmente dopo aver saldato ogni suo debito.

Il 4 gennaio 2004 si scoprono le quote di partecipazione di Banca d'Italia che è in mano, per il 95%, a banche private, mentre solo il 5% è ancora in mano allo stato attraverso l'INPS.

Nel 2006 il governo Prodi modifica lo statuto 3 di Banca d'Italia che la voleva un ente di diritto pubblico e che recitava: “In ogni caso dovrà essere assicurata la permanenza della partecipazione maggioritaria al capitale della banca da parte di enti pubblici o di società la cui maggioranza delle azioni con diritto di voto sia posseduta da enti pubblici”.

Il 25 marzo 2007 mentre la CEE compirebbe 50 anni, in un vertice informale viene firmata la Dichiarazione di Berlino per cercare di sbloccare l'impasse costituzionale.
Il testo è stato concepito con la speranza di portare ad un futuro raggiungimento del consenso riguardo all'approvazione della costituzione europea, processo bloccato dalla ratificazione negativa ai referendum di Francia e Olanda. Di fatto il testo non menziona la costituzione per nome, ma provvede semplicemente a chiamare un "raggiungimento di una base comune" in tempo per le elezioni europee del 2009. La dichiarazione è stata determinante per il raggiungimento del consenso sul nuovo testo del Trattato di riforma, successivamente chiamato Trattato di Lisbona, che permetterà di sostituirsi ad una Costituzione senza doversi esporre ad elezioni o ratifiche di Parlamenti alcune.

Il 1° dicembre 2009 entra in vigore il Trattato di Lisbona che sostituisce così quella Costituzione europea che popoli e Parlamenti non avrebbero voluto.
Nel trattato, che non modifica in modo sostanziale l'architettura istituzionale dell'Unione europea, che resta fondata sul triangolo Parlamento, Consiglio e Commissione, si introducono tuttavia alcuni elementi nuovi che ne rafforzano l'efficienza e le istituzioni diventano sette:
- il Parlamento europeo,
- il Consiglio europeo,
- il Consiglio,
- la Commissione europea,
- la Corte di giustizia dell'Unione europea,
- la Banca centrale europea e
- la Corte dei conti.

Ora, mentre è vero che, gerarchicamente, abbiamo accettato che i trattati europei vengano prima della nostra Costituzione, a suon di modifiche costituzionali, è pur vero che, sebbene sia stato negoziato da 25 Paesi dell'Unione europea, il Fiscal Compact (attuato dal 2013 ) non fa formalmente parte del corpus normativo di alcun trattato dell'Unione europea, mentre il MES
è stato istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (art. 136).

Il Meccanismo europeo di stabilità (MES o ESM), detto anche "Fondo salva-Stati", istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (art. 136) approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles il 25 marzo 2011, nasce come fondo finanziario europeo per la stabilità finanziaria della zona euro (art. 3). Esso ha assunto però la veste di organizzazione intergovernativa (sul modello dell'FMI), a motivo della struttura fondata su un consiglio di governatori (formato da rappresentanti degli stati membri) e su un consiglio di amministrazione e del potere, attribuito dal trattato istitutivo, di imporre scelte di politica macroeconomica ai paesi aderenti al fondo-organizzazione. Il Consiglio Europeo di Bruxelles del 9 dicembre 2011, con l'aggravarsi della crisi dei debiti pubblici, decise l'anticipazione dell'entrata in vigore del fondo, inizialmente prevista per la metà del 2013, a partire da luglio 2012.
Il MES sarà regolato dalla legislazione internazionale e avrà sede a Lussemburgo. Il fondo emetterà prestiti (concessi a tassi fissi o variabili) per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà e acquisterà titoli sul mercato primario (contestualmente all'attivazione del programma Outright Monetary Transaction), ma a condizioni molto severe. Queste condizioni rigorose "possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite" (art. 12). Potranno essere attuati, inoltre, interventi sanzionatori per gli stati che non dovessero rispettare le scadenze di restituzione i cui proventi andranno ad aggiungersi allo stesso MES. È previsto, tra le altre cose, che "in caso di mancato pagamento, da parte di un membro dell'Esm, di una qualsiasi parte dell'importo da esso dovuto a titolo degli obblighi contratti in relazione a quote da versare [...] detto membro dell'Esm non potrà esercitare i propri diritti di voto per l'intera durata di tale inadempienza" (art. 4, c. 8).
Il fondo è gestito dal Consiglio dei governatori formato dai ministri finanziari dell'area euro, da un Consiglio di amministrazione (nominato dal Consiglio dei governatori) e da un direttore generale, con diritto di voto, nonché dal commissario UE agli Affari economico-monetari e dal presidente della BCE nel ruolo di osservatori. Le decisioni del Consiglio devono essere prese a maggioranza qualificata o a maggioranza semplice (art. 4, c. 2). Il MES emette strumenti finanziari e titoli, simili a quelli che il FESF emise per erogare gli aiuti a Irlanda, Portogallo e Grecia (con la garanzia dei paesi dell’area euro, in proporzione alle rispettive quote di capitale nella BCE), e potrà acquistare titoli di stati dell’euro zona sul mercato primario e secondario. Il fondo potrà concludere intese o accordi finanziari anche con istituzioni finanziarie e istituti privati. È previsto l'appoggio anche delle banche private nel fornire aiuto agli stati in difficoltà. In caso di insolvenza di uno Stato finanziato dallo MES, quest’ultimo avrà diritto a essere rimborsato prima dei creditori privati.
L'operato del MES, i suoi beni e patrimoni ovunque si trovino e chiunque li detenga, godono dell'immunità da ogni forma di processo giudiziario (art. 32). Nell'interesse del MES, tutti i membri del personale sono immuni a procedimenti legali in relazione ad atti da essi compiuti nell'esercizio delle proprie funzioni e godono dell'inviolabilità nei confronti dei loro atti e documenti ufficiali (art. 35). Tuttavia, un collegio di cinque revisori esterni (art. 30, comma 1 e 2), indipendente e nominato dai governatori del fondo, ha accesso ai libri contabili e alle singole transazioni del MES. La composizione del collegio è così ripartita: un membro proviene dalla Corte dei Conti Europea, e altri due a rotazione dagli organi supremi di controllo degli Stati membri.
La Corte Costituzionale tedesca ha posto un limite al contributo tedesco al salvataggio dei Paesi in difficoltà, evitando comunque di vincolare ogni singola azione dell'Esm al giudizio del Parlamento.

In Italia si fa strada il pareggio di bilancio in Costituzione. Già Einaudi, futuro presidente della Repubblica, aveva tentato di inserire il pareggio di bilancio in costituzione durante l'Assemblea Costituente. Luigi Einaudi (1874 - 1961) è stato un economista, accademico, politico del Partito Liberale Italiano, rettore e giornalista italiano, secondo Presidente della Repubblica Italiana. Intellettuale ed economista di fama mondiale, considerato uno dei padri della Repubblica Italiana.

Nel 2011 l'Italia stava attraversando una grave crisi economica e finanziaria: il debito pubblico, il deficit pubblico e gli interessi sul debito pubblico erano in costante aumento e il Paese rischiava seriamente il default finanziario.
Al momento non abbiamo la certezza che tale crisi sia stata orchestrata da Bruxelles, cuore politico dell'Ue, sicuramente Berlusconi (al suo quarto governo) non era sodale alle linee economiche predicate dall'asse franco-tedesco e, particolare inquietante per i partner europei, coltivava amicizie poco raccomandabili, come quelle con Putin e Gheddafi.
In seguito alle pressanti richieste da parte delle istituzioni europee e internazionali, il Governo Berlusconi IV si vide costretto a varare misure più restrittive sulla finanza pubblica.
Per questo motivo l'8 settembre 2011 il Consiglio dei Ministri varò, su proposta del Ministro dell'Economia e delle Finanze Giulio Tremonti, (assecondando finalmente la volontà di Bruxelles e degli euroinomani) un disegno di legge costituzionale che prevedeva di introdurre il principio del pareggio di bilancio nella Carta Costituzionale. La Commissione Affari Costituzionali e la Commissione Bilancio della Camera dei deputati iniziarono ad esaminare il disegno di legge costituzionale il 5 ottobre 2011.

Il 9 novembre 2011 il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nomina senatore a vita, ai sensi dell'articolo 59, secondo comma, della Costituzione, il professor Mario Monti, dicendo: "che ha illustrato la patria per altissimi meriti nel campo scientifico e sociale" e ha dato personalmente notizia della nomina al neo senatore, porgendogli i più vivi auguri". Il decreto sarà poi controfirmato dal presidente del Consiglio Berlusconi, il che equivale ad un "sì" di Berlusconi a un governo Monti. Dietro la decisione del presidente della Repubblica c'è l'intento di fornire a Monti un titolo che gli consenta, visto che nessuno l'ha votato, di diventare il prossimo presidente del Consiglio, dopo avere incassato il via libera di Silvio Berlusconi alla nomina di Monti. Il Cavaliere sente nel pomeriggio Giorgio Napolitano per analizzare la situazione politica ed economica ed i possibili sbocchi e il suo ragionamento è che non può esserci una soluzione che escluda chi ha vinto le elezioni, ma deve essere una soluzione a tempo e con un programma preciso. Una scelta maturata però con il netto no della Lega, del tutto contraria a un esecutivo di larghe intese.
In quei giorni di Monti si scriverà: nel 1965 si laurea in economia presso l'università Bocconi di milano, dove per quattro anni fa l'assistente, fino ad ottenere la cattedra di professore ordinario presso l'università di Trento. Nel 1970 si trasferisce all'università di Torino, che lascia per diventare, nel 1985, professore di economia politica e direttore dell'istituto di economia politica presso la Bocconi. Sempre della Bocconi assume la presidenza, nel 1994, dopo la morte di Giovanni Spadolini. Nel 1995 diventa membro della Commissione Europea di Santer, assumendo l'incarico di responsabile di mercato interno, servizi finanziari e integrazione finanziaria, dogane e questioni fiscali. Dal '99 e' commissario europeo per la concorrenza. Editorialista del Corriere della sera, Monti è autore di numerose pubblicazioni, specie su temi di economia monetaria e finanziaria. Anche sul piano internazionale ha partecipato e partecipa ad attività di consulenza ad autorità di politica economica, tra cui il "Macroeconomic policy group", istituito dalla commissione della Cee presso il Ceps (Centre for european policy studies), l'Aspen institute e la Suerf (Societe universitaire europeenne de rechercheursfinanciers.
Quello che non si dice è che tra il 2005 e il 2011 è stato international advisor per Goldman Sachs e precisamente membro del Research Advisory Council del Goldman Sachs Global Market Institute, presieduto dalla economista statunitense Abby Joseph Cohen. Tra gli organismi internazionali di cui fa parte, Monti è membro del comitato esecutivo dell'Aspen Institute Italia, un'organizzazione internazionale non profit, fondata nel 1950 ed è stato inoltre advisor della Coca Cola Company, membro del "Senior European Advisory Council" di Moody's ed è uno dei presidenti del "Business and Economics Advisors Group" dell'Atlantic Council.
C'è anche chi scrive di Gruppo Bilderberd e dalla Commissione Trilaterale (due entità massoniche a cui appartiene Mario Monti) ma già è sufficiente quello che si può appurare.
È indubbia quindi la sua missione: affidare al sistema bancario globalista quel che resta dell'economia italiana dopo aver impoverito, con l'austerità generalizzata, tutto il sistema sociale (riforma Monti-Fornero in testa) e senza investire nulla.

Il 10 novembre 2011 la Commissione Affari Costituzionali e la Commissione Bilancio della Camera dei deputati licenziano il testo sul principio del pareggio di bilancio nella Costituzione.

Il 12 novembre 2011 il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi rassegna le dimissioni e il giorno seguente (il 13 novembre 2011) il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nomina Presidente del Consiglio Mario Monti, che vara subito, tramite decreto-legge, una manovra correttiva da 63 miliardi di euro e avvia una serie di politiche molto più restrittive sui conti pubblici.

In coerenza con i nuovi indirizzi del Governo, il Parlamento sceglie di esaminare più velocemente il disegno di legge costituzionale sul pareggio di bilancio, tanto più che i suoi contenuti sono generalizzati, mediante l'adozione del Fiscal compact, per tutti gli Stati membri dell'UE che scelsero di aderirvi, all'inizio del 2012.
Così la norma sarà infatti approvata in soli sei mesi, un periodo di tempo alquanto breve, se si considera che una legge costituzionale necessita di quattro letture parlamentari e di una pausa di tre mesi tra la seconda e la terza. In tutte e quattro le letture parlamentari il disegno di legge venne approvato a larghissima maggioranza, ricevendo il voto favorevole sia della maggioranza che dell'opposizione. Dato che i voti favorevoli al disegno di legge superarono i due terzi dei membri di entrambi i rami del Parlamento, non sarà necessario ricorrere ad un referendum confermativo.

Il disegno di legge costituzionale prevede la sostituzione dell'art. 81 (Per consultare com'era la Costituzione aggiornata al 2000: http://www.jus.unitn.it/cardozo/obiter_dictum/cost/index.htm) che era: "Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese. Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte." con 6 nuovi articoli:
Articolo 1
1. L'articolo 81 della Costituzione è sostituito dal seguente: «Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale».
Articolo 2
1. All'articolo 97 della Costituzione, al primo comma è premesso il seguente: «Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico».
Articolo 3
1. All'articolo 117 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al secondo comma, lettera e), dopo le parole: «sistema tributario e contabile dello Stato;» sono inserite le seguenti: «armonizzazione dei bilanci pubblici;»;
b) al terzo comma, primo periodo, le parole: «armonizzazione dei bilanci pubblici e» sono soppresse;
Articolo 4
1. All'articolo 119 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al primo comma sono aggiunte, infine, le seguenti parole: «, nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea»;
b) al sesto comma, secondo periodo, sono aggiunte, infine, le seguenti parole: «, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio».
Articolo 5
1. La legge di cui all'articolo 81, sesto comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge costituzionale, disciplina, per il complesso delle pubbliche amministrazioni, in particolare:
a) le verifiche, preventive e consuntive, sugli andamenti di finanza pubblica;
b) l'accertamento delle cause degli scostamenti rispetto alle previsioni, distinguendo tra quelli dovuti all'andamento del ciclo economico, all'inefficacia degli interventi e agli eventi eccezionali;
c) il limite massimo degli scostamenti negativi cumulati di cui alla lettera b) del presente comma corretti per il ciclo economico rispetto al prodotto interno lordo, al superamento del quale occorre intervenire con misure di correzione;
d) la definizione delle gravi recessioni economiche, delle crisi finanziarie e delle gravi calamità naturali quali eventi eccezionali, ai sensi dell'articolo 81, secondo comma, della Costituzione, come sostituito dall'articolo 1 della presente legge costituzionale, al verificarsi dei quali sono consentiti il ricorso all'indebitamento non limitato a tenere conto degli effetti del ciclo economico e il superamento del limite massimo di cui alla lettera c) del presente comma sulla base di un piano di rientro;
e) l'introduzione di regole sulla spesa che consentano di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica;
f) l'istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale attribuire compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio;
g) le modalità attraverso le quali lo Stato, nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi degli eventi eccezionali di cui alla lettera d) del presente comma, anche in deroga all'articolo 119 della Costituzione, concorre ad assicurare il finanziamento, da parte degli altri livelli di governo, dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali inerenti ai diritti civili e sociali.
2. La legge di cui al comma 1 disciplina altresì:
a) il contenuto della legge di bilancio dello Stato;
b) la facoltà dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane, delle Regioni e delle Province autonome di Trento e di Bolzano di ricorrere all'indebitamento, ai sensi dell'articolo 119, sesto comma, secondo periodo, della Costituzione, come modificato dall'articolo 4 della presente legge costituzionale;
c) le modalità attraverso le quali i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni.
3. La legge di cui ai commi 1 e 2 è approvata entro il 28 febbraio 2013.
4. Le Camere, secondo modalità stabilite dai rispettivi regolamenti, esercitano la funzione di controllo sulla finanza pubblica con particolare riferimento all'equilibrio tra entrate e spese nonché alla qualità e all'efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni.
Articolo 6
1. Le disposizioni di cui alla presente legge costituzionale si applicano a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014.

L'iter di approvazione fu alquanto veloce per una legge costituzionale. Di seguito i vari passaggi:
8 settembre 2011 - Il Consiglio dei Ministri vara il disegno di legge costituzionale;
30 novembre 2011 - La Camera approva il disegno di legge costituzionale con 464 sì, 0 no e 6 astenuti;
15 dicembre 2011 - Il Senato approva il disegno di legge costituzionale con 255 sì, 0 no e 14 astenuti;
6 marzo 2012 - La Camera approva il disegno di legge costituzionale con 489 sì, 3 no e 19 astenuti;
17 aprile 2012 - Il Senato approva il disegno di legge costituzionale con 235 sì e 11 no e 34 astenuti;
20 aprile 2012 - Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano promulga la legge costituzionale.
In seguito all'approvazione della legge costituzionale 1/2012, si rendeva necessaria una legge di attuazione che trasformasse in legge le disposizioni attuative contemplate nel nuovo articolo 81 della Costituzione. Per questo motivo, il 27 novembre 2012 l'onorevole Giancarlo Giorgetti (Lega Nord) presentò un apposito disegno di legge.
L'iter di approvazione fu alquanto veloce (la proposta divenne legge in meno di un mese) e, come per la legge costituzionale, in entrambe le letture parlamentari il testo fu approvato a larghissima maggioranza.
Quindi, alla legge costituzionale 1/2012 seguì, dopo alcuni mesi, la legge 243/2012 ("Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione"), che attuava le disposizioni del nuovo articolo 81 della Costituzione.
La legge entra in vigore il 30 gennaio 2013.

Il "Fiscal Compact" (letteralmente "patto finanziario") o "Patto di bilancio europeo", formalmente "Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'unione economica e monetaria" è un accordo approvato con un trattato internazionale il 2 marzo 2012 da 25 dei 27 stati membri dell'Unione europea, con l'eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, entrato in vigore il 1º gennaio 2013.
Il patto contiene una serie di regole, chiamate "regole d'oro", che sono vincolanti nell'UE per il principio dell'equilibrio di bilancio. Ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, tutti gli stati membri dell'Unione europea hanno firmato il trattato.
Negli Stati membri dell'Unione europea, la maggior parte delle decisioni riguardanti le tasse e la spesa pubblica rimaneva di competenza dei governi nazionali. Il controllo sulla politica fiscale era tradizionalmente considerato centrale per la sovranità nazionale e non esisteva un'unione fiscale tra stati indipendenti. Dopo qualche mese di trattative, il 30 gennaio 2012 il Consiglio europeo, con l'eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca, ha approvato il nuovo patto fiscale.
Solo i paesi che avranno introdotto tale regola entro il 1º marzo 2014 potranno ottenere eventuali prestiti da parte del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES o ESM). L'obiettivo, dopo l'entrata in vigore, è quello di incorporare entro cinque anni il nuovo trattato nella vigente legislazione europea.
L'accordo prevede per i paesi contraenti, secondo i parametri di Maastricht fissati dal Trattato CE, l'inserimento, in ciascun ordinamento statale (con norme di rango costituzionale, o comunque nella legislazione nazionale ordinaria), di diverse clausole o vincoli tra le quali:
- obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio (art. 3, c. 1),
- obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e superiore all'1% per i paesi con debito pubblico inferiore al 60% del PIL)
- significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL
- impegno a coordinare i piani di emissione del debito col Consiglio dell'Unione e con la Commissione europea (art. 6).
Sebbene sia stato negoziato da 25 Paesi dell'Unione europea, l'accordo non fa formalmente parte del corpus normativo dell'Unione europea.
Altri punti contenuti nei 16 articoli del trattato sono:
- l'obbligo per i Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del PIL, di rientrare entro tale soglia nel giro di 20 anni, ad un ritmo pari ad un ventesimo dell'eccedenza in ciascuna annualità;
- l'obbligo per ogni stato di garantire correzioni automatiche con scadenze determinate quando non sia in grado di raggiungere altrimenti gli obiettivi di bilancio concordati;
- l'impegno a inserire le nuove regole in norme di tipo costituzionale o comunque nella legislazione nazionale, che verrà verificato dalla Corte europea di giustizia;
- l'obbligo di mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3% del PIL, come previsto dal Patto di stabilità e crescita; in caso contrario scatteranno sanzioni semi-automatiche;
- l'impegno a tenere almeno due vertici all'anno dei 18 leader dei paesi che adottano l'euro.
Il 14 gennaio 2014 il trattato è stato ratificato da 24 dei 25 firmatari, di cui 17 membri dell'eurozona

Ecco quindi che in attuazione del Fiscal compact e altre normative come il MES, che imponevano il rispetto degli obiettivi fissati dall'Unione Europea per:
- rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo,
- tasso di crescita della spesa pubblica,
- saldo del conto consolidato di bilancio annuale, uguale in valore all'"obiettivo a medio termine" UE.
Nella nuova legge costituzionale sul pareggio di bilancio la programmazione di bilancio e finanziaria deve essere coerente col rapporto debito/PIL. Il Governo e il Parlamento non potranno stabilire gli obiettivi del saldo di bilancio più gravosi di quelli definiti in sede europea.
La legge vieta il ricorso all'indebitamento per realizzare operazioni relative alle partite finanziarie (art. 4, comma 4). L'indebitamento è permesso a regioni ed enti locali soltanto per investimenti pluriennali soggetti ad ammortamento (art. 10), comunicandoli a Regione e Presidenza del Consiglio. Regioni e enti locali sono obbligati al pareggio gestionale, in fase di previsione e in fase di rendiconto, sia per competenza che per cassa, fra entrate e spese correnti, e fra entrate e spese totali (art. 9). Regioni e enti locali concorrono col loro eventuale avanzo a pagare il debito pubblico, attraverso il Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato (art. 12). È istituito l'Ufficio parlamentare di bilancio, organismo indipendente per l'analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per la valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio (artt. 16-19). La Corte dei Conti ha il controllo del pareggio di bilancio delle amministrazioni pubbliche (art. 20).

La legge costituzionale e la legge di attuazione vennero fortemente criticate da numerosi oppositori del Governo Monti come il Movimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia e Libertà, che accusarono Monti ed il suo governo di attuare politiche eccessivamente restrittive sulla finanza pubblica. Sinistra Ecologia e Libertà, Partito della Rifondazione Comunista, L'Altra Europa con Tsipras, alcuni esponenti della minoranza del Partito Democratico, FIOM, ARCI, Legambiente e altre associazioni hanno inoltre avviato una raccolta firme per la presentazione di una legge costituzionale di iniziativa popolare che cancelli la legge costituzionale 1/2012.
La campagna ha ricevuto il sostegno del Partito Marxista-Leninista Italiano e di personalità di spicco come Stefano Rodotà, Susanna Camusso, Norma Rangeri e Fausto Bertinotti.
Alcuni parlamentari di SEL hanno presentato, sia alla Camera dei deputati che al Senato della Repubblica, un emendamento alla Riforma costituzionale Renzi-Boschi per eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione, il quale è stato però sempre respinto dalla maggioranza delle 2 Assemblee.

E comunque, da allora, i Comuni non hanno più potuto permettersi spese per la manutenzione degli edifici scolastici e per l'urbanistica in generale, grazie al nuovo patto di stabilità, per non parlare degli Enti locali maggiori, per cui ci si è trovati con le province non operative, poiché abolite, ma con in ogni caso spese di gestione da onorare e lo Stato non ha più potuto investire.

Nella sentenza n. 275/2016 la Corte costituzionale ha così respinto la tesi secondo cui una disposizione comportante spese debba necessariamente contenere "il limite delle somme iscritte in bilancio", pena la violazione del nuovo art. 81 Cost. per carenza di copertura finanziaria: "a parte il fatto che, una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto allo studio e all’educazione degli alunni disabili non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali, è di tutta evidenza che la pretesa violazione dell’art. 81 Cost. è frutto di una visione non corretta del concetto di equilibrio del bilancio, sia con riguardo alla Regione che alla Provincia cofinanziatrice. È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione" (paragrafo 11 del Considerato in diritto).

In questi passaggi sono stati violati:
- l'art. n. 1 della Costituzione: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.", in quanto si è privato il popolo della sovranità, poiché il popolo stesso non si è potuto esprimere in merito alle tante scelte effettuate dalla classe politica nei trattati prima CEE poi UE.
- l'art. n. 11 della Costituzione: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.", che consente limitazioni - ma non cessioni - della sovranità nazionale, ceduta neanche in condizioni di parità.
- l'art. n. 241 del codice penale che recita: "Chiunque commette un fatto diretto a sottoporre il territorio dello Stato, o una parte di esso, alla sovranità di uno stato straniero, ovvero a menomare l'indipendenza dello Stato, è punito con l'ergastolo."
- l'art. n. 283 del codice penale che recita: "Chiunque commette un fatto diretto a mutare la costituzione dello stato o la forma del governo con mezzi non consentito dall'ordinamento costituzionale dello stato, è punito con la reclusione non inferiore ai 12 anni."


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