![]() |
Stemma della Repubblica Cispadana, con 4 frecce come Reggio, Modena, Bologna e Ferrara. |
Nata da territori conquistati con
fulminee vittorie, nella Campagna d'Italia del 1794, dal generale
Napoleone Bonaparte, si era avviata, nell'ottobre 1796, a costituirsi
come Confederazione ma in seguito, nel dicembre dello stesso anno,
emerse come un vero e proprio stato unitario.
Inizialmente ne fecero parte i territori del Reggiano, del Modenese, del Bolognese e del Ferrarese, poi si aggiunsero quelli della Garfagnana, di Massa e di Carrara e infine comprese anche la Romagna, allora territorio di Imola.
Riuscì, attraverso diversi incontri in
tre Congressi, a stabilire uno stendardo unitario, antesignano della
bandiera italiana, a dotarsi di un'organizzazione militare sotto la
supervisione francese, a darsi una Costituzione e a programmare una
struttura di governo che non riuscirà mai a governare.
Sia per la sua debolezza interna, sia per gli sviluppi internazionali che condussero alla pace siglata a Campoformio, Bonaparte nel luglio 1797 ne decise la soppressione, annettendola alla Repubblica Transpadana e andando così a formare la Repubblica Cisalpina.
Nonostante relazioni incoraggianti,
anche se condite con un certo disprezzo per «le grandi città
italiane popolate solo di padroni, servitori e gentaglia ignorante»,
fu solo nel novembre del 1795 che il Direttorio di Parigi prese
seriamente in esame la situazione italiana, quando il Ministro degli
Esteri Charles-François Delacroix chiese agli agenti francesi in
Italia se ritenessero possibile crearvi una repubblica.
![]() |
Il nord italico prima della Campagna d'Italia di Napoleone Bonaparte. |
Altro importante elemento della decisione francese erano le ricchezze dei vari Stati italiani, che si ritenevano consistenti (anche perché il territorio peninsulare era stato risparmiato dalle distruzioni europee della Guerra dei sette anni) e quindi in grado di ridare ossigeno all'erario francese in grande difficoltà a causa della grave situazione economico-finanziaria in cui si dibatteva la Francia dopo anni di guerra e di disordini interni: era inoltre indispensabile sostenere con requisizioni ed indennità un esercito che sul fronte italiano era privo di mezzi, ed a questo proposito erano molto chiare le istruzioni che il Direttorio aveva dato a Bonaparte, nelle quali, unendo motivazioni finanziarie e zelo ideologico, si disponeva: «bisognerà trarre forti contribuzioni e far mantenere l'Armata d'Italia nei e dai paesi nemici. Il Direttorio è convinto che l'Italia debba alle opere d'arte gran parte delle ricchezze e la sua fama, ma è arrivato il tempo che esse debbano esser trasferite in Francia per illustrare il regno della libertà»
L'Armata d'Italia, in poco più di un mese sconfisse i Piemontesi eliminandoli dal conflitto, forzò il passaggio del Po a Piacenza, batté gli Austriaci a Lodi, costringendoli a ritirarsi verso oriente ed obbligandoli a rinchiudersi dentro la fortezza di Mantova, perdendo Milano, in cui Bonaparte entrò il 15 aprile.
Modena: fuga e destituzione del duca - Il 7 maggio 1796, all’approssimarsi delle truppe francesi e temendo di incorrere nella stessa sorte che aveva visto il duca di Parma costretto a fondere gli argenti della reggia per soddisfare un'intimazione francese di denaro e di approvvigionamenti nonché di 20 opere d'arte, tra cui un San Gerolamo del Correggio (benché formalmente in questo caso si trattasse di un regalo del duca alla Francia)
A Reggio la fuga del duca da Modena fu accolta con un misto di sdegno per la viltà dell'atto e di speranza che ciò agevolasse il recupero di una maggior autonomia rispetto alla città capitale del ducato, come veniva richiesto in alcune petizioni largamente sottoscritte che vedevano nei Francesi dei liberatori non solo dall'antico regime, ma anche dal predominio estense.
Bologna: gli antefatti - Antenato dell'anarchico Anteo, nel 1791 Luigi Zamboni, studente di legge all'Università di Bologna, fu avvicinato dal còrso sedicente "abate" Bauset, alias Antoine Christophe Saliceti. Dopo essersi arruolato nell'Armée révolutionnaire française, fu convinto fu convinto da Saliceti a partecipare ad una missione segreta.
Sin dalla prima metà del maggio 1796 il Senato bolognese, a fronte delle travolgenti vittorie di Bonaparte, aveva nominato una delegazione, composta da 12 senatori, due dei quali, Caprara e Malvasia, il giorno 12 si recarono ad incontrare le truppe francesi impegnate nel passaggio del Po, prima della Battaglia di Lodi; intanto il Senato, senza tener conto del governo papale (che stava tentando, con la mediazione della Spagna, di avviare trattative con i dirigenti francesi), pubblicò un editto con cui di ordinava «che non ardiscano né per sé, né per altri di far suonare le campane dell'armi, né di far adunare gli abitanti ed i paesani contro le truppe francesi che entrino in questa provincia, ma si vuole anzi che ognuno le rispetti e tratti amichevolmente nel loro soggiorno». Tuttavia l'andamento delle operazioni militari impegnava i Francesi altrove e pertanto la città, dopo quel primo incontro, restò per oltre un mese «sospesa nelle proprie dubbiezze»
Il 18 giugno 1796 le truppe francesi furono segnalate a Crevalcore, nel bolognese, e lo stesso giorno un'avanguardia di cavalleria, al comando del generale Verdier entrò in città a Bologna, seguita il giorno dopo da un'intera divisione, forte di 7 000 uomini, al comando di Augerau, che attraversò la Porta San Felice proprio mentre si svolgeva la processione del Corpus Domini, generando nei Francesi l'equivoco che si trattasse di una cerimonia in loro onore. Francesi allestirono il proprio campo dei soldati a Crociali, a nordovest della città, mentre gli ufficiali furono ospitati nelle case delle famiglie più abbienti.
Per l'occasione parecchie chiese cessarono le loro funzioni, come S. Lucia in via Castiglione e numerosi frontali di edifici furono rivestiti con rivestimenti scintillanti per far bella figura col generale. Fu imposto al governo papale di pagare un'indennità di 21 milioni di lire tornesi (la valuta francese fino all'introduzione del franco germinale del 1803), mentre alla città ne furono richiesti 4, di cui la metà in contanti e l'altra in oro ed argenti, oltre alla requisizione di opere d'arte e di altri beni di valore custoditi all'Istituto delle Scienze. Fu necessario istituire una tassa sui facoltosi.
I Francesi si impadronirono inoltre dei beni esistenti presso il Monte di Pietà, tra i quali i depositi in natura dei produttori tessili, da cui, tuttavia, furono tenuti esenti quelli d'un valore inferiore alle 200 lire che Bonaparte ordinò di restituire, proclamando che «il vincitore mal soffrirebbe di vedere i suoi allori bagnati colle lagrime dell'indigente».
Poi Bonaparte, «informato delle antiche prerogative e privilegi lasciati alla città quando venne il potere dei Pontefici e come questi siano stati in ogni tempo lesi, intende restituire alla città stessa la sostanza del suo antico governo: in conseguenza è abolita ogni autorità e tutto il potere legislativo si concentra per ora nel Senato»: fu tuttavia posta la condizione che i senatori giurassero fedeltà alla Repubblica Francese con la formula «A laude dell'onnipotente Iddio, della beata vergine e di tutti i Santi, ad onore eziandio e riverenza dell'invitta repubblica di Francia ...».
I dirigenti bolognesi, di inclinazione fortemente municipalista, resa ancora più radicale dall'insofferenza per il predominio negli affari civili di una Chiesa che occupava in modo improduttivo, con monasteri e conventi, un quarto della superficie urbana, sperarono che con i provvedimenti assunti da Bonaparte fosse arrivato il momento di poter recuperare un'ampia autonomia, ed in quella direzione il Senato si mise immediatamente all'opera.
Nello stesso 20 giugno 1796 Bonaparte metteva mano agli assetti bolognesi e inviava a Ferrara un ufficiale con un ordine rivolto alle pubbliche autorità cittadine di recarsi il giorno successivo, alle ore 12, presso il suo comando: erano convocati
Dopo un paio di giorni di incertezza il 24 giugno entrò in città, a Ferrara, una brigata al comando del generale Robert, accolta da applausi e sfoggio di coccarde tricolori, con le principali famiglie ferraresi che si contendevano l'ospitalità degli ufficiali; il giorno successivo il Consiglio Centumvirale si affrettava a prestare il richiesto giuramento, con la formula: «Noi giuriamo ai Santi Arcangeli di Dio fedeltà alla Repubblica Francese ed ubbidienza a chiunque verrà legittimamente destinato a rappresentarla, e che così Dio ci aiuti» (riportato in: Silvio Pivano, Albori costituzionali d'Italia: 1796, Torino fratelli Bocca, 1913, p.280)
Ma l'iniziale atteggiamento di favore dimostrato dai ferraresi verso i nuovi arrivati si scontrò quasi subito contro i primi provvedimenti del generale Robert e del Commissario Gustave Léorat che imposero alla città il pagamento di una contribuzione di 4 milioni di lire tornesi e, come a Bologna, si impadronirono del Monte di Pietà, considerato uno dei più ricchi della regione, i cui ingenti depositi presero la via di Parigi, facendo salvi solo i beni di modico valore e le fedi nuziali. Per mettere insieme l'ingente somma il Magistrato, benché formalmente governo soltanto municipale, dovette rivolgersi alle località del territorio, il che causò disordini e proteste ad Argenta e, soprattutto, nella cittadina di Lugo, considerata una delle più prospere della regione.
Mentre a Lugo si combatteva, la municipalità ferrarese decise ai primi di luglio di imitare le altre città (Milano, Parma, Modena, Bologna) che già avevano inviato proprie delegazioni a Parigi, ognuna preoccupata per le proprie mire territoriali: nel caso di Ferrara la scelta dei delegati non fu semplice dato che i due rappresentanti Vincenzo Massari ed Alessandro Guiccioli, incaricati di richiedere al Direttorio l'istituzione di una federazione degli Stati che «rimanessero liberi in Italia», ma anche di contrastare le pretese dei bolognesi di estendersi verso il Po e la Romagna, ottennero solo 50 voti contro 40 contrari
A Bologna il 1º luglio venne istituita una Giunta di 30 membri con il compito di predisporre un testo costituzionale, che, con alterne vicende, concluse i propri lavori alla fine del settembre 1796.
Il 6 luglio tre delegati bolognesi si recarono a Parigi per chiedere al Direttorio di preservare l'autonomia cittadina.
A Reggio Emilia il 10 luglio 1796 si verifica in città un tumulto, volutamente non contrastato dai Francesi. A quel punto è il Senato reggiano a richiedere, invocando la libertà, una serie di provvedimenti tra i quali la restituzione dei beni ecclesiastici degli ordini soppressi, il mantenimento a Reggio delle risorse locali, il ripristino dei diritti sul canale dell'Enza, l'amministrazione autonoma dei beni pubblici e la devoluzione a Reggio d'una parte dell'Università prima accentrata nella capitale del ducato, in modo da potervi svolgere lezioni ed esami.
A Bologna il 13 agosto la giunta aveva già terminato la stesura definitiva che venne presentata al Senato il 25 dello stesso mese. Questo testo era ispirato alla Costituzione francese del 1795, giudicando inadeguate le vecchie strutture politiche, ma con sostanziali divergenze.
A Ferrara, la calma seguita ai fatti di Lugo era destinata a durare poco: equivocando sulla frettolosa partenza del contingente francese diretto all’assedio di Mantova ed ai campi di battaglia di Lonato e Castiglione, l'arcivescovo Mattei proclamava il ripristino del potere papale, scontrandosi con la Municipalità che si rifiutava di appoggiare la restaurazione.
Il 20 agosto un banale diverbio avvenuto al mercato Reggio tra una popolana ed alcuni soldati modenesi, che la Reggenza aveva inviato a Reggio per mantenere l'ordine, fece scoccare la scintilla della rivolta, che portò, senza spargimento di sangue, al completo allontanamento delle truppe ducali dalla città, avvenuto 2 giorni dopo.
Con un editto del 9 settembre il Senato reggiano comunica che «ben presto si formerà una deputazione destinata a proporre una Costituzione tutta democratica la quale, dopo esser stata approvata dal governo francese, sarà messa alla cauzione del popolo tanto della città quanto del contado e paesi riuniti»; poi il Senato si dimise convocando nuove elezioni con la nomina di 10 nuovi membri del governo. Ma se in città le cose procedevano velocemente, non pochi furono invece i contrasti con le località del circondario che, in genere, subordinarono l'adesione al "nuovo corso" alla possibilità di veder a loro volta riconosciute autonomie e diritti, mentre in qualche altro caso, ad esempio a Gualtieri, Novellara e soprattutto a Scandiano, rimasta una roccaforte dei partigiani del duca, vi furono resistenze e disordini, con vittime, che solo a fine ottobre trovarono soluzione.
In settembre a Bologna, il Senato varò importanti misure, su pressione dei radicali democratici.
Il 16 settembre, i Milanesi accolgono con entusiasmo una delegazione composta dai reggiani Paradisi, Lamberti e Re, con cui discutono d'una possibile e comune convocazione di una convenzione nazionale composta da 120 deputati rappresentativi di tutta l'Italia settentrionale sotto influenza francese, escluso il Piemonte, anche se questa iniziativa non avrà poi seguito.
Nonostante la fedeltà dimostrata dalla Municipalità di Ferrara ed alcuni atti di governo emanati in linea con le nuove idee in materia di annona, igiene, moneta, guardia nazionale, ormai i francesi non consideravano più la municipalità di Ferrara all’altezza del compito, sia per la presenza di elementi conservatori, sia in vista dell'imminente Congresso di Modena: così già il 25 settembre, il commissario Saliceti, in una lettera inviata da Firenze a Bonaparte aveva richiesto di sciogliere i governi locali per «disporre a Ferrara di uomini più svelti», ricevendone il consenso.
Il successivo 1 ottobre 1796 Saliceti decretò la sostituzione del Consiglio Centumvirale di Ferrara con una "Amministrazione centrale del Ferrarese" di 15 membri da lui nominati, e la soppressione di tutte le altre autorità municipali.
Nei primi giorni di ottobre Bonaparte, dopo aver respinto la controffensiva austriaca sconfiggendo le truppe del generale von Würmser a Bassano, decise di consolidare le sue retrovie e, senza consultarsi con il Direttorio, dichiarò «infranto» l'armistizio di giugno e decretò la decadenza del duca di Modena che «lungi dal rientrare nei suoi Stati ne rimane sempre assente ed invece di pagare col suo erario la maggior parte della contribuzione, come eravamo convenuti, ne fa portare il peso al popolo di Modena e Reggio, nel mentre che impiega il suo denaro in pro dei nemici della Repubblica» (proclama del 13 vendemmiatore, anno V, (4 ottobre 1796) dal quartier generale di Milano)
L'entusiasmo salì al massimo quando il 5 ottobre, il giorno successivo alla dichiarazione di decadenza del duca di Modena, un drappello della Guardia Civica reggiana, che era stata costituita dopo il moto del 20 agosto sino a raggiungere il migliaio di elementi, sotto il comando dall'ex ufficiale ducale Francesco Scaruffi, sorprese e catturò a Montechiarugolo, nei pressi di Parma, con la perdita di un militare, un reparto austriaco di 150 soldati che, usciti dall'assedio di Mantova con una sortita, avevano intenzione di raggiungere la Toscana. Il fatto d'arme, di per sé scarsamente significativo nell'ambito della Campagna d'Italia, ebbe tuttavia una grande risonanza propagandistica per l'orgoglio delle nascenti repubbliche emiliane e lo stesso Bonaparte, segnalandolo al Direttorio quale esempio delle ritrovate virtù militari italiane, consentì che fossero gli stessi reggiani al comando di Carlo Ferrarini a scortare i prigionieri sino a Milano, dove furono accolti da grandi festeggiamenti culminati con un concerto alla Scala. Foscolo inviò ai reggiani una lettera con la quale dedicò loro una sua ode.
L'8 ottobre a Modena viene soppressa la Reggenza ducale estense, con il passaggio dello Stato alla Repubblica francese, e la nomina di un Comitato esecutivo di 7 membri, integrati da due delegati della Garfagnana e del Frignano, che giurano fedeltà alla Francia, mentre coloro che avevano fatto parte della Reggenza vennero espulsi.
Con la caduta del regime ducale, non v'era più motivo di tenere separati i due territori modenese e reggiano - a quel punto entrambi sottomessi alla Francia - e l'11 ottobre il Direttorio ne ordina la riunione sotto un solo governo, facendo svanire ogni ipotesi di una autonoma repubblica reggiana e provocando non poche proteste, tanto che un documento del governo provvisorio reggiano di quei giorni rilevava che «coi modenesi non abbiamo e non intendiamo avere alcuna comunione di interesse»
Napoleone, preoccupato per la situazione strategica dove lo vedeva ancora impegnato contro l'Austria, che per quanto già sconfitta in diverse occasioni, continuava ad attaccarlo. Ciò rendeva necessaria una riorganizzazione dei territori conquistati, in modo da rafforzare e rendere sicure le retrovie e allo stesso tempo diventare minaccia per gli Austriaci; a tale fine era possibile utilizzare l'entusiasmo suscitato, almeno in una parte delle popolazioni, dalle idee rivoluzionarie per concedere un'autonomia che non fosse in contrasto con le esigenze della guerra in corso.
Dopo aver inizialmente immaginato un incontro più vasto, Bonaparte assunse l'iniziativa il 9 ottobre incaricando Garrau, commissario del Direttorio presso l'Armata d'Italia, di «riunire un Congresso a Bologna o a Modena composto da deputati degli Stati di Ferrara, Bologna, Modena e Reggio Emilia. I deputati saranno nominati dai diversi Governi in modo che l'assemblea sia composta da un centinaio di persone [...]. Bisognerebbe curare che ci siano tra i deputati nobili, preti, cardinali, commercianti, uomini di ogni stato sociale generalmente stimati e patrioti» (Corréspondances de Napoleon Ier, Paris, Pion-Doumaine, 1859, IIme vol, fiche 44)
A Modena è abbattuta la statua equestre del duca ed il 12 ottobre venne emanato un proclama che proibiva l'uso dei titoli nobiliari, dei blasoni e delle livree, ordinandone l'abbandono entro 8 giorni, ed abrogava i diritti dei origine feudale come i fidecommessi ed i maggioraschi.
Il 13 ottobre Bonaparte arriva in città a Modena, accolto con grandi onori e festeggiamenti e nello stesso mese si intensificarono le manifestazioni a favore del nuovo corso: si piantano alberi della libertà a Correggio, Carpi e Montecchio.
Le preoccupazioni espresse a Garrau dai rappresentanti dei governi provvisori emiliani il 12 ottobre sono fugate in un incontro che si svolge il 16 ottobre tra Bonaparte, affiancato dai commissari francesi Garrau e Saliceti, e quattro delegati dei governi locali cui si dà l'indicazione che "nulla starà più a cuore ai rappresentanti dei quattro popoli che di mantenere la Religione e la Proprietà".
Nella fase preparatoria al Congresso si determinò la distribuzione territoriale dei delegati, che vennero nominati non soltanto nell'ambito dei governi cittadini, ma anche tra persone influenti delle aree rurali (rappresentando così una novità rispetto al passato), stabilendo inizialmente 105 deputati totali, poi leggermente aumentati con la correzione di alcuni errori di calcolo proporzionale.
Il primo Congresso Cispadano - Il 16 ottobre 1796, alla presenza di Bonaparte, che rivolse ai convenuti un saluto in lingua italiana, sì aprì a Modena il Primo Congresso Cispadano. L'inaugurazione, presso Palazzo Ducale, fu accompagnata da balli e festeggiamenti con oltre 300 convitati. Il bolognese Antonio Aldini è eletto alla presidenza del Congresso. I lavori, che si protrarranno fino al 18 ottobre, si svolgeranno nel Palazzo Rangoni, sulla Via Emilia e ben presto quella che doveva essere una riunione a fini di collaborazione essenzialmente militari diventa un evento politico.
In soli tre giorni di adunanza, il primo Congresso di Modena, su cui ancora pesavano le secolari diffidenze tra le diverse città, non poté andare oltre una dichiarazione solenne, votata per acclamazione alla presenza del generale Auguste Marmont a cui Bonaparte aveva incaricato di assistere ai lavori, di voler rendere permanente l'unione dei territori tramite una Confederazione.
Il primo Congresso Cispadano si chiude il 18 ottobre e nonostante le difficoltà, stretto tra le resistenze al nuovo corso di una parte delle popolazioni e le enormi difficoltà finanziarie in cui versavano i vari territori soggetti alle indennità belliche imposte dai Francesi, rafforzò la visione "unitaria" delle città che vi parteciparono, pur rivestendo un'importanza "morale" piuttosto che pragmatica. Tutto questo suscitò apprezzamento nello stesso Bonaparte che il 17 ottobre aveva informato il Direttorio che i delegati «sono animati da un entusiasmo ed un patriottismo vivissimi. Credevo che i Lombardi fossero il popolo più patriota d'Italia, ma comincio a credere che Bologna, Ferrara, Modena e Reggio li sorpassino in fatto di energia» (Corréspondances de Napoleon Ier, Paris, Pion-Doumaine, 1859, 2° vol, fiche 166)
A Bologna il clima politico si fa sempre più teso e il 18 ottobre, i democratici passano all'azione con un'insurrezione, innalzando l'albero della libertà in Piazza Maggiore, con grande mobilitazione popolare. Intervenuto direttamente Bonaparte, che ordina il rispetto delle autorità cittadine e dell'albero della libertà, si procede alla presentazione definitiva della nuova costituzione.
I provvedimenti rivoluzionari a Ferrara ebbero un'accelerazione quando Bonaparte, giunto nella città estense per una sosta il 20 e 21 ottobre, ordinò la soppressione della Inquisizione, l’abrogazione del Tribunale Ecclesiastico e del diritto di asilo nelle chiese, la proibizione dei titoli nobiliari, l’incameramento da parte dell’erario dei crediti vantati dai monasteri e l'istituzione di una amministrazione civile per i parroci meno abbienti, da sostenere con una indennità annua di 120 scudi (quest’ultima decisione non fu mai attuata). Venne anche pubblicato un decreto con cui si proclamava la totale libertà di stampa per "fornire attraverso di essa i lumi e tutti quei mezzi atti a promuovere la pubblica felicità in tutti i campi: l’agricoltura, il commercio, il sistema daziario, la pubblica istruzione, i costumi". Durante i due giorni di visita del Generale, si tennero feste da ballo al Castello Estense e veglioni all'aperto, con distribuzione di cibo al popolo. Ma le condizioni della zona restavano tutt’altro che tranquille sia economicamente, a causa delle requisizioni francesi, sia politicamente, per via delle forti, anche se latenti, resistenze che emergeranno quando si tratterà di votare per la nuova Repubblica, mostrando una situazione di malcontento delle campagne, non colta dai fautori del nuovo corso, prevalentemente di estrazione urbana, intellettuale e borghese.
A Modena, chiesto ed ottenuto l'assenso di Garrau, il 23 ottobre al Teatro anatomico si tiene la prima riunione della Società di Pubblica Istruzione con lo scopo di «illuminare il popolo sui suoi diritti e doveri onde metterlo in stato di sapersi dare e ricevere una buona legislazione», ove vennero invitati i soldati francesi feriti e degenti negli ospedali ai quali si prometteva «un'eterna riconoscenza [in quanto] l'Italia è libera e la libertà è opera vostra».
A Bologna, il 30 ottobre, la giunta incaricata presenta il piano di Costituzione e il sistema elettorale. Le elezioni si tennero tra il 6 e il 7 novembre.
La causa principale delle difficoltà economiche restavano le contribuzioni intimate dall'Armata d'Italia, che raggiunsero cifre enormi. Solo nel 1796, nel giro di circa 9 mesi, i Francesi trassero dall'Italia 45 milioni e 708 000 franchi in denaro, più 12 milioni e 120 000 in oro, argento ed altri beni, a cui andava aggiunto il valore, anche se in gran parte immateriale, delle centinaia di opere d'arte sottratte alle strutture pubbliche o private. Benché il denaro non provenisse tutto dall'area emiliana, tali importi erano comunque in grado di mettere in ginocchio, per la quota ad essa riferita, anche un'economia florida come quella della pianura inferiore del Po. Le requisizioni erano aggravate, nonostante provvedimenti severi assunti in qualche caso dalle autorità militari francesi, da «spoliazioni, ruberie, violenze e soprusi» e l'insieme dei due fattori causò carenze di generi alimentari, cereali e soprattutto di bovini da lavoro, dei quali fu persino bloccata l'importazione per motivi sanitari.
Il 23 novembre il governo provvisorio bolognese dovette intervenire in quanto diversi parroci si erano rifiutati di tenere i comizi elettorali, spargendo la voce che i registri servivano per una temuta leva militare. Nel modenese, mentre i vescovi giurarono fedeltà alla Repubblica Francese, il clero delle campagne restava ostile e lo manifestò in vario modo, in particolare a Formigine, Spezzano, Maranello e Nonantola.
Come già accaduto a Lugo durante l'estate, l'insofferenza per il comportamento francese provocò in qualche caso vere e proprie insurrezioni, scoppiate già in autunno e proseguite nell'inverno del 1796. La prima di queste avvenne all'inizio del dicembre 1796 a Concordia sulla Secchia e venne agevolmente repressa dal generale Rusca, che impose la consegna di 2 ostaggi deportati a Milano, sequestrò tutte le armi e pretese una penale di 4 000 lire modenesi.
Fatti più gravi occorsero a Carrara, occupata da giugno con 300 fanti e 25 ussari dal generale Lannes. Il 6 dicembre i carraresi, benché inizialmente avessero accolto con favore e con speranze di autonomia l'arrivo dei Francesi, di fronte alla brutalità dell'occupazione che li aveva costretti a pagare un'indennità di 10 000 pezze ed intendeva disporre l'abbattimento, sempre per denaro, della pineta cresciuta sull'arenile di Marina di Carrara che fungeva da protezione dei coltivi dal salmastro, si ribellarono abbattendo l'albero della libertà. La repressione francese fu anche in questo caso demandata a Rusca da Bonaparte, che ordinò: «Milano, 11 dicembre 1796, (...) Vi recherete a Carrara e farete fucilare tre dei capi, bruciare le case dei più in vista tra coloro che han preso parte alla ribellione e prenderete 6 ostaggi che invierete al Castello di Milano. Bisogna far passare al popolo la voglia di ribellarsi e di farsi sviare dai malintezionati» (Corréspondances de Napoléon Ier, Paris, Pion-Doumaine, 1859, 2° vol, fiche 1261)
Di tutte le sommosse antifrancesi avvenute tra l'ottobre del 1796 e il gennaio dell'anno successivo, la più grave fu senz'altro quella che riguardò la Garfagnana. Per più di un mese tra novembre e gennaio, le rivolte isolarono questa vallata, nota per la sua storica fedeltà alla dinastia Estense, costringendo alla fuga i rappresentanti del governo modenese di cui faceva parte anche il poeta Giovanni Fantoni. La situazione rischiava di provocare un indebolimento strategico alle spalle dell'Armata d'Italia e Bonaparte affidò ancora una volta al generale Rusca il compito di riconquistare la zona. Sebbene gli insorti, al contrario di quanto successo a Lugo, all'arrivo delle colonne francesi si disperdessero senza opporre alcuna resistenza armata, la repressione che ne seguì fu particolarmente dura, con fucilazioni ordinate dalle Corti marziali, ostaggi deportati sino a Milano, abitazioni distrutte.
Il 10 dicembre, Napoleone riceve a Milano alcuni rappresentanti dei governi provvisori, concedendo una mitigazione dei pesanti carichi finanziari dell'occupazione francese ed accogliendo alcune rimostranze per i molti abusi a cui essa stava dando luogo.
Nonostante le crisi e l'incertezza che caratterizzavano l'Italia settentrionale alla fine del 1796, proseguì il cammino per l'istituzione di un soggetto istituzionale cispadano avviata con il Congresso di Modena, e mise in evidenza come Bonaparte non intendesse più svolgere un mero ruolo militare, ma stesse ormai diventando una guida politica, rendendosi sempre più autonomo dal Direttorio. Di questa strategia faceva parte l'istituzione in Italia di nuovi Stati basati sugli strati sociali moderati e la rinuncia ad ogni velleità di instaurare nuovi culti o di assecondare le idee più intransigenti. Questi propositi emersero chiaramente in una lettera inviata a Parigi in occasione dell'apertura del secondo Congresso Cispadano, con la quale delineava gli obiettivi politici che riguardavano i territori emiliani, in contrasto col governo locale che preferiva puntare sulla nobiltà e sulla borghesia abbiente, diffidando al contrario dell'azione dei patrioti: «Milano, 28 dicembre 1796. Le Repubbliche Cispadane sono divise in tre partiti: 1) gli amici dei vecchi regimi, 2) i sostenitori di una Costituzione indipendente, ma un po' aristocratica, 3) i sostenitori della Costituzione francese o della democrazia assoluta. Io reprimo il primo, sostengo il secondo e modero il terzo» (Correspondances de Napoleon Ier, Paris, Pion-Doumaine, 1859, 2° vol, fiche 1321)
Il Secondo Congresso Cispadano - A Reggio Emilia, dopo la solenne funzione religiosa propiziatoria dei lavori del 26 dicembre e la legatura delle campane per non disturbare le sedute, il Congresso inizia ufficialmente i propri lavori la mattina del 27 dicembre 1796 con la presenza dei 102 deputati eletti, non nominati come a Modena, al cospetto di Marmont, ufficiale di fiducia di Bonaparte, da questi delegato a seguirne (e, secondo alcuni storici, indirizzarne) i lavori.
Era quindi in un clima di grande ottimismo, non guastato neppure dalle manifestazioni di ostilità di una parte della popolazione reggiana verso i deputati provenienti da Modena, che si riuniva un Congresso con cui, nel pensiero di molti, si poteva superare la Confederazione Cispadana definita ad ottobre a Modena creando al suo posto una vera e propria Repubblica dotata di un proprio assetto istituzionale.
L'ondata iniziale di entusiasmo tuttavia si scontrò sin dalla prima giornata con un ostacolo: i deputati bolognesi insistevano per voler applicare la costituzione della Repubblica Bolognese, votata in San Petronio il 4 dicembre, che implicava di fatto il mantenimento di un assetto federativo per il nuovo Stato. La soluzione, dopo non poche discussioni, fu trovata in un cavillo che prevedeva una deroga al mandato stesso «nel caso di urgenze». La proposta, fatta dal deputato bolognese Anselmo Spezziani, fu di considerare la stessa prosecuzione del congresso come un caso d'urgenza.
Superate le prime difficoltà, il Congresso nella seduta del 30 dicembre giunge alla tanto attesa proclamazione di una «repubblica una ed indivisibile, in modo che le popolazioni formino un solo popolo, una sola famiglia, per tutti gli effetti tanto passati, quanto futuri [e che] la dolcezza di una fraterna unione succeda adunque alle antiche rivalità fomentate dall'inumana politica del dispotismo». Anche il debito dei quattro Stati venne dichiarato comune. Queste decisioni furono votate nel tardo pomeriggio per territori, e successivamente vennero approvate all'unanimità ottenendo l'aperto applauso di Marmont; il congresso deliberò di informarne immediatamente Bonaparte: «accettate, o generale invitto, questa nuova repubblica; Voi ne siete il padre, Voi il protettore», il quale due giorni dopo rispose con la seguente lettera (che il Congresso deliberò immediatamente di stampare e distribuire ovunque): «Milano, 1 gennaio 1797, Al Cittadino Presidente del Congresso Cispadano, ho appreso con vivo interesse che le repubbliche cispadane si erano riunite in una sola e che, prendendo come simbolo un turcasso, si siano convinte che la loro forza sta nell'unità ed indivisibilità. La povera Italia è da tempo esclusa dai tavoli delle potenze europee: se gli italiani, oggi, sono degni di riscoprire i propri diritti e darsi un libero governo, si vedrà un giorno la loro patria figurare gloriosamente tra le potenze del globo. Ma non dimenticate che le leggi sono nulla senza la forza. La vostra prima preoccupazione deve riguardare l'organizzazione militare» (Corréspondances de Napoléon Ier, Paris, Pion-Doumaine, 1859, 2° vol, fiche 1349)
Nei giorni seguenti, il Congresso di Reggio proseguì faticosamente e confusamente, segnato ancora da molti contrasti. Al conflitto tra la visione unitaria e quella localistica-federale, che già aveva caratterizzato lo scontro iniziale con i Bolognesi, e che aveva portato alla decisione di far decadere le autorità locali, prevalsa con solo 51 voti contro 49, si aggiunse e si intrecciò il contrasto tra la tendenza democratica e la prevalente estrazione moderata dei deputati, sia sui principi sociali ed economici che su quelli relativi alla libertà di culto.
In questo contesto di incertezza ed improvvisazione, il Congresso trovò comunque altri due momenti altamente unitari:
![]() |
Bandiera della Repubblica Cispadana al Museo del Tricolore di Reggio Emilia. |
A causa dei tentennamenti che caratterizzarono il Congresso di Reggio, cui pure si doveva la proclamazione della Repubblica e dei suoi simboli, esso non riuscì affrontare la questione più importante, quella costituzionale. Solo dopo diversi giorni fu votata, su proposta del reggiano Pistorini, la proposta di formare una commissione che redigesse un Piano di Costituzione - composta da 8 membri, 2 per territorio - salvo poi, qualche giorno dopo, incaricare invece di tale adempimento il Comitato di governo provvisorio nel frattempo nominato e concedendogli ben 2 mesi di tempo.
Il "consiglio" di Bonaparte annullava molta parte del faticoso lavoro intrapreso dal Congresso nel corso di ben sedici sedute, salvando solo la proclamazione della Repubblica e del suo stendardo, cancellando l'istituzione del Governo provvisorio e le relative nomine, e restringeva a soli dieci giorni il tempo per predisporre il testo costituzionale.
Il Terzo Congresso Cispadano - In seguito all'intervento di Bonaparte, che aveva bruscamente sospeso il Congresso di Reggio, gli stessi deputati si ritrovarono a Modena il 21 gennaio.
Intanto la Repubblica si stava ingrandendo: il 30 gennaio erano arrivati, tra gli applausi, i deputati di Massa e Carrara, e il 1º febbraio Imola fu unita alla Cispadana.
Il principale argomento di contrasto per tutta la durata del terzo Congresso riguardò il ruolo costituzionale da assegnare alla religione, per il quale si fronteggiarono i fautori della definizione del cattolicesimo quale "culto dominante" e coloro che invece sostenevano che la Carta non doveva menzionare tale aspetto. Questo dibattito mise in evidenza anche il più generale conflitto tra le tendenze socialmente moderate e quelle più radicali, come emerse dalle opposte tesi dei deputati Niccolò Fava, di Bologna, ed ancora Giuseppe Compagnoni, di Ferrara: «Vi siete impegnati al dare al popolo cispadano una Costituzione fondata sul principio di libertà ed eguaglianza: ora, se proclamate nell'atto costituzionale una religione, voi violereste libertà ed eguaglianza....La libertà di religione è anche necessaria per rendere quella cattolica vigorosa e florida» (Giuseppe Compagnoni, dall'opuscolo Intervento del deputato Giuseppe Compagnoni al Congresso di Modena, 4 febbraio 1797, stampato in Modena)
Nel corso delle 38 sedute del Congresso di Modena, numerosi scontri evidenziarono che le tendenze moderate prevalevano su quelle più progressiste, che rimanevano minoritarie.
Non poche sedute del Congresso furono impegnate a determinare l'assetto territoriale della nascente Repubblica in quanto riemersero tutte le antiche gelosie e diffidenze tra i territori.
Il protrarsi di queste discussioni causò la crescente irritazione di Bonaparte che dopo aveva concesso, senza esito, altri 10 giorni per chiudere i lavori con scadenza al 12 febbraio, finché all'una di notte del 24 febbraio, il Generale apportò alcune modifiche al testo che furono accolte senza discussioni dal Congresso, tra cui la definizione della sezione, in luogo della parrocchie, quale unità elettorale di base e la riduzione del Direttorio da 5 a 3 membri.
Alla fine, dopo un'ulteriore minaccia di Bonaparte di imporre un governo militare qualora la Carta non fosse stata approvata, il 1º marzo la Costituzione, composta di 404 articoli suddivisi in 16 Titoli più 12 disposizioni provvisorie, era pronta per essere votata dal Congresso, suggellata dal suo articolo finale: «La presente Costituzione si affida alla saviezza e fedeltà del Corpo Legislativo, del Direttorio Esecutivo, degli amministratori, dei Giudici, alla vigilanza dei padri di famiglia, all'affetto delle madri e delle spose, al coraggio dei giovani ed all'unione e virtù di tutti i cispadani»
Voti contrari ed astensionismo - Il diffuso dissenso, frutto di opposte tendenze, che aveva segnato la nascita della Costituzione Cispadana emerse con chiarezza quando il 19 marzo 1797 si svolsero i comizi indetti per approvarla, dopo che si era costituito un Comitato di verificazione dei risultati.
Elezioni del Parlamento e del Direttorio Cispadano - Il passo successivo sul cammino della Repubblica furono le elezioni indette dall'1 al 3 aprile per il Corpo Legislativo organizzato in un sistema bicamerale composto da una camera bassa, il Consiglio dei Sessanta, ed una Camera alta, il Consiglio dei Trenta.
La fine della Repubblica Cispadana - L'annessione alla Cisalpina era ormai imminente (la nuova Repubblica fu solennemente inaugurata il 9 luglio) quando i dirigenti in carica a Bologna proposero che fosse almeno, per il territorio cispadano, l'efficacia dell'articolo della Costituzione Cisalpina sulla religione. Questa richiesta fu però scavalcata da una petizione, che raccolse decine di migliaia di firme, con cui si chiedeva l'unione delle due repubbliche; essa peraltro andava incontro ad una indicazione del Direttorio che da Parigi aveva scritto in tal senso al Generale, per impaurire l'Austria.
![]() |
La Repubblica Cisalpina. |
I giacobini reagirono con manifestazioni di giubilo poiché da sempre ostili alle resistenze frapposte dai governanti cispadani, e già da qualche giorno avevano annunciato:
Con il termine giacobinismo si intende un movimento e un'ideologia politica variegata, ma unita dal repubblicanesimo, dalla sovranità popolare, dal dirigismo economico e dall'anticlericalismo, risalenti in origine all'esperienza del “Club dei Giacobini”, (Club des Jacobins), associazione politica fondata a Parigi, nel novembre 1789, con sede nel convento domenicano di San Giacomo (Saint-Jacobus), in rue Saint-Honoré. Il nome ufficiale del loro movimento, dall'8 febbraio 1790, fu “Società degli Amici della Costituzione”
I rivoluzionari più radicali, non solo giacobini, ritenevano la religione cristiana dominante, in particolare quella cattolica, superstiziosa e tirannica, sostenendo che ogni essere umano si sarebbe dovuto ispirare a ideali illuministi come la ragione, la libertà e la natura.
Durante la Rivoluzione francese, soprattutto nella sua fase più radicale (durante il regime del Terrore: fine 1792 - luglio 1794) guidata dal leader del Club Maximilien de Robespierre, membro del Comitato di Salute Pubblica e della Convenzione nazionale, la vita della Repubblica francese era dominata soprattutto da membri appartenenti al Club, che sopravvisse a stento alla caduta di Robespierre e fu soppresso dalle autorità il 12 novembre 1794.
I Giacobini, come i Cordiglieri con cui formavano i Montagnardi (ad un certo punto li egemonizzarono facendoli coincidere), si distinguevano dai Girondini soprattutto per l'opposizione al liberismo e al federalismo, sostenendo lo statalismo, la democrazia e il centralismo, oltre che la radicalizzazione della rivoluzione, senza raggiungere gli estremi dei movimenti non partitici come gli Enragés e della fazione degli hebertisti (che pur appoggiata fortemente dai Sanculotti, rimase un movimento più legato alla borghesia del Terzo stato), ma spazzando via anche violentemente ogni residuo dell'Antico Regime e tutto ciò che era considerato controrivoluzionario.
La Convenzione Nazionale, durante la Rivoluzione Francese, segnò la nascita della distinzione tra destra e sinistra politica, principalmente per la disposizione dei seggi all'interno dell'aula. I deputati che sedevano alla destra del presidente erano i Girondini, più moderati, mentre quelli alla sinistra erano i Montagnardi, più radicali. Al centro, senza una posizione politica ben definita, si trovava la Pianura (o Palude).
In sintesi, i Giacobini erano più orientati verso le riforme sociali e un forte potere centrale, mentre i Girondini erano più propensi al decentramento, al libero mercato e alla moderazione.
Ispirato alle teorie di Jean-Jacques Rousseau e di alcuni illuministi, ma nella prassi ideata e attuata dai rivoluzionari come Marat e Robespierre (ispirati anche dalla visione rousseauiana idealizzata delle virtù antiche come tramandate da Plutarco, dagli stoici e da Cicerone e prendendo inoltre a modello parziale l'antica Repubblica Romana), il giacobinismo si diffuse in buona parte dell'Europa durante l'epoca rivoluzionaria, dopo il 1794 in forma più moderata (come nel triennio giacobino italiano del 1796-99 con la nascita delle repubbliche sorelle realizzate da Napoleone), diventando quasi un sinonimo di repubblicanesimo, ed ebbe un'influenza politica notevole nella storia francese per tutto il XIX secolo, in particolare negli eventi della Rivoluzione di luglio del 1830 contro assolutista Carlo X, ultimo sovrano della dinastia dei Borbone-Francia, della Rivoluzione francese del 1848 che portò alla Seconda Repubblica e, soprattutto, nell'esperienza della Comune di Parigi, la forma di organizzazione autogestita di stampo socialista libertario di Parigi dal 18 marzo al 28 maggio 1871, riconosciuta come la prima grande esperienza di autogoverno della storia contemporanea.
Successivamente, filosofi e politici marxisti comunisti come Lenin e Antonio Gramsci sostennero un rapporto di filiazione del bolscevismo dal giacobinismo e tale tesi è stata poi fatta propria, sia pure con notazioni e valutazioni diverse, dalla storiografia, a partire da Albert Mathiez (che vi ha visto anche gli elementi fondativi ideologici della socialdemocrazia e del socialismo democratico) e Jacob Talmon.
Per "Lo strappo di Cofferati stimola un'analisi sulla sostanza del PD" clicca QUI
Per "Nelle elezioni del 2015 in 7 regioni, il renzismo non paga!" clicca QUI
Per "Ecco chi era a capo dei 101 tradi-dem che hanno affossato Prodi per il colle nel 2013: Renzi" clicca QUI
Per "La Grecia non ci sta, osa indire un referendum e rifiuta di farsi spennare" clicca QUI
Per "La Grecia non vuole più subire l'austerità autoritaria e violenta impostale da UE e Fmi" clicca QUI
Per "Dalla Grecia, venti di sinistra sull'UE" clicca QUI
Per "La rivoluzione d'Islanda" clicca QUI
Per "Da: Piergiorgio Odifreddi 'Perché non possiamo essere cristiani' (2007)" clicca QUI
Per "Nell'ambito geopolitico, il processo italiano di svilimento della Costituzione e perdita della sovranità nazionale
a favore dell'Ue a guida franco-tedesca" clicca QUI
clicca QUI
Per "L'Unione Europea: le origini, i moventi, la storia, le politiche e le crisi" clicca QUI
Per "1992: Il meccanismo politico-economico che ha causato la formazione di questa UE con la conseguente
clicca QUI
clicca QUI
Per "Antonio Gramsci e l'Egemonia" clicca QUI
Per "L'Anarchia" clicca QUI
Per "Elezioni, elettori ed eletti nell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "Conflitto degli Ordini e Secessione della Plebe nell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per "Le leggi delle XII tavole dell'antica Repubblica di Roma" clicca QUI
Per i post "Il pensiero nel mondo contemporaneo" clicca QUI
Per i post "Musica interpreti video testi e storia" clicca QUI
Per i post "Astrologia evolutiva, progressiva, oroscopo, numerologia" clicca QUI
Per "Il Feg-Shui: Scuole della Bussola e del Ba Gua" clicca QUI
Per "I Chakra o Centri energetici fisici: dove sono e come si possono rilevare" clicca QUI
Per "Il Cattura-sogni" clicca QUI
Per "Ruota di Medicina dei Nativi Americani" clicca QUI
Per i post "Aforismi, Foto e Frasi dei Nativi Nord Americani (gl'Indiani d'America)" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Celti" clicca QUI
Per "Celti: storia e cultura" clicca QUI
Per "Breve storia del Cristianesimo, da setta giudaica minore al primato nella Roma imperiale:
Per "La monetazione nell'antica Roma" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Greci" clicca QUI
Per "Elenco degli storici antichi dell'Occidente" clicca QUI
Per i post "Cultura degli antichi Ebrei" clicca QUI
Per "Ebraismo: origini, storia e cultura" clicca QUI
Per "Liguri: storia e cultura" clicca QUI
Nessun commento:
Posta un commento