"Cicerone denuncia Catilina" di Cesare Maccari, affresco del 1880 conservato a Palazzo Madama di Roma, sede del Senato della Repubblica Italiana. Da https://it.wikipedia.org/wiki/Cicerone _denuncia_Catilina. |
Il Senato romano (in latino Senatus) è stata la più autorevole assemblea istituzionale dell'antica Roma, organo rimasto invariato nel corso delle trasformazioni politiche della storia dell'Urbe, il cui significato era assemblea degli anziani (dal latino senex, anziani) e i cui membri erano chiamati patres (col significato di patrizi). L'assemblea fu istituita nel 753 a.C. dal mitico Romolo e sopravvisse anche dopo la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, fino al VII secolo d.C.
L'unico precedente storico di un'assemblea di oligarchi è stato, tra il 1038 a.C. e il 753 a.C., l' Areopago, il governo di Atene affidato a nove arconti, magistrati inizialmente eletti a vita per poi con carica decennale fino al 682 a.C., quando è diventato incarico annuale. I tre arconti più in vista, oltre ai sei tesmoteti, erano: l'arconte eponimo, l'arconte re (capo religioso) e l'arconte polemarco (capo militare); gli altri arconti (i tesmoteti) tramandavano le leggi a voce cercando di conquistare sempre più potere. L'Areopago è una delle colline di Atene situata tra l'agorà e l'acropoli e nel periodo monarchico vi si riuniva il collegio delle supreme magistrature dello Stato (governo dei 9 arconti) presiedute dal re. Secondo le leggi arcaiche dell'arcontato, i membri che ne facevano parte erano eletti a vita, senza possibilità di rinnovo del consiglio. La principale funzione di tale assemblea era quella di occuparsi della custodia delle leggi contro ogni violazione e della giurisdizione sui delitti di sangue. Il suo orientamento era del tutto conservatore e la sua composizione, formata da membri provenienti dall'aristocrazia eletti per anzianità o per principi ereditari, accentuava il suo indirizzo moderato e sanciva il suo ruolo decisivo nella custodia delle leggi, della pubblica moralità e dei culti cittadini. Al re rimaneva da svolgere le funzioni religiose e di presiedere all'areopago, il comando militare passò ad un arconte, mentre gli incarichi civili e giudiziari erano presieduti da un arconte affiancato da tesmoteti.
La leggenda racconta che fu Romolo a decidere che il senato fosse composto da 100 patres (patrizi, aristocratici), i capifamiglia delle cento gentes originarie ricordate da Tito Livio. Il numero dei patres andò col tempo aumentando, grazie all'aggiunta di nuovi gruppi. Vennero, infatti, ricevuti all'interno della comunità romana i principes Albanorum o il pater gentis della gens Claudia. I membri del senato risultarono, di conseguenza, costituiti solo dai cosiddetti patricii, ovvero i membri dei gruppi primitivi e di quelli entrati a far parte della comunità romana successivamente per cooptatio (ammissione o adozione all'interno di una comunità).
Il numero dei senatori fu infatti raddoppiato da Tarquinio Prisco, quinto re di Roma, che aggiunse altri 100 senatori, i "conscripti", tutti nominati dal rex. La formula allocutiva "patres (et) conscripti" faceva riferimento alla distinzione, all'interno dell'assemblea senatoria, di due categorie di senatori: i "patres" cioè i patrizi e tutti i loro discendenti, appartenenti al Senato romuleo primitivo, oltre ai "conscripti" aggregati in un secondo tempo da Tarquinio Prisco. In seguito il numero dei senatori fu ampliato a 300 membri da Lucio Giunio Bruto, uno dei due primi consoli della Repubblica di Roma. Il Senato raggiunse i 600 membri con Silla, i 900 membri con Gaio Giulio Cesare e fu in seguito riportato a 600 membri dall'imperatore Augusto.
Età regia - I primi 100 senatori furono così scelti: il primo, colui a cui sarebbe stata affidata la città quando il re fosse andato in guerra, fu scelto da Romolo stesso; 9 furono scelti tra le tre tribù originarie di Roma (tre per ogni tribù) e 90 furono scelti dalle 30 curie di Roma (tre per ogni curia). Secondo la tradizione, il senato era strutturato secondo l'ordinamento tribale tipico delle popolazioni indoeuropee di quel periodo storico. Queste prime comunità spesso includevano nei loro consigli tribali, gli "anziani", uomini di una certa esperienza e saggezza. Le prime famiglie romane erano chiamate gens (erano dei "clan") di cui ciascuna era formata da un'aggregazione di famiglie che facevano capo ad un comune patriarca, chiamato pater (dal latino "padre"), l'indiscusso capo della gens. Quando le gentes originarie si aggregarono in una comunità, i patres furono selezionati tra i capostipiti delle varie famiglie per formare un consiglio federale, che prese poi il nome di Senato. Fu così che i patres capirono che ora era necessario avere un singolo uomo che li guidasse, per cui elessero un re (rex) e lo investirono di poteri sovrani. Quando poi un re moriva, questo potere tornava, almeno in via provvisoria, ai patres, che gestivano così l'interregno, fra un re e quello successivo. Il Senato dell'età regia di Roma ebbe quindi, quattro principali responsabilità:
- almeno con i primi quattro re, il Senato era tenutario del potere esecutivo durante l'interregnum. Il periodo tra la morte del sovrano e l'elezione del re successivo, era chiamato interregnum. Quando il re moriva, un membro del Senato (l'"interrex"') nominava un candidato che potesse succedere al re precedente e il Senato stesso doveva quindi dare la sua approvazione a quella nomina, per poi essere sottoposta all'elezione formale davanti al popolo di Roma e ricevere l'incarico definitivo, ancora una volta, dal Senato stesso che ne ratificava l'elezione. E così mentre il re veniva ufficialmente eletto dal popolo, ciò avveniva di fatto dietro indicazioni del Senato;
- per cui, durante gli anni dei primi re, la più importante funzione del Senato era quella di eleggere il re;
- il Senato aveva il delicato ruolo di consigliare il sovrano nelle proprie decisioni, e mentre il re non era vincolato a un consiglio del Senato, il crescente prestigio del Senato costrinse di fatto i primi quattro re a non trascurare la valenza politica di questo importante organo aristocratico;
- il Senato fungeva inoltre da organo legislativo insieme al popolo di Roma. Tecnicamente, solo il re poteva creare nuove leggi, sebbene fosse buona abitudine coinvolgere sia il Senato che il popolo attraverso i comitia curiata.
Il termine curia ai primordi della monarchia romana era una suddivisione della sua popolazione (vale a dire le tribù che ne componevano la società, i cui rappresentanti erano i tribuni), e che fu in seguito utilizzata per significare il luogo dove le tribù si radunavano per discutere degli affari dello stato. In origine curia significava "adunanza di uomini" (dal latino co-viria). Le curie, fondate da Romolo, inizialmente erano trenta, dieci per ognuna delle tre tribù dei Tities, Ramnes e Luceres. Ecco come la descrive Dionigi di Alicarnasso: «Romolo divise ciascuno dei tre gruppi in altri dieci, ed assegnò ciascuna all'uomo più coraggioso affinché ne fosse il capo di queste ripartizioni. La divisione più ampia la chiamò tribù e la più piccola curia, che sono ancora così chiamate anche ai nostri giorni. Questi nomi possono essere tradotti in greco come segue: la tribù con phylê e trittys, la curia come phratra e lochos; i comandanti delle tribù, che i Romani chiamano tribuni, con il termine phylarchoi e trittyarchoi; i comandanti delle curiae, che essi chiamano curiones, con il termine phratriarchoi e lochagoi. Le curiae furono inoltre suddivise in altre dieci parti, ciascuna comandata da un proprio comandante, chiamato decurio nella lingua dei nativi. Essendo il popolo così diviso e assegnato a tribù e curiae, egli divise anche il territorio in trenta parti uguali ed assegnò ciascuna ad una curia, avendo per prima cosa ritagliata una parte che fosse sufficiente per supportare templi, santuari e pure riservando alcune parti di territorio ad uso pubblico. Questa fu la divisione operata da Romolo, sia riguardante gli uomini sia la terra, che condusse ad una maggiore uguaglianza per tutti ed allo stesso modo.»(Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 7.2-4.)
La divisione era risalente alle origini
della città, forse ad istituti addirittura anteriori alla sua
fondazione, radicati quindi nell'area latina preistorica. Secondo
alcuni studiosi la curia aveva una natura etnica,
organizzata sulla base delle primitive famiglie romane, o più
specificatamente sulla base delle trenta gentes originarie
patrizie (aristocratiche). A capo di ciascuna curia vi era un
curione, mentre l'insieme delle curiae era sottoposta al
comando di un curio maximus. Romolo assegnò ad ogni
Curia la cura degli dei e geni che gli erano propri secondo
tradizione; ciascuna Curia poi, aveva le proprie feste, dei propri
sacerdoti che soprintendevano ai sacrifici. Dionigi di Alicarnasso
cita i Curioni tra gli otto ordini religiosi della città, cui erano
appunto affidati i sacrifici comuni delle Curie. Le curie si riunivano in assemblea
(comizi curiati), nella quale venivano prese, a
maggioranza, le più importanti decisioni riguardanti la vita dei
cittadini. In particolare durante il periodo dei primi re
latino-sabini, l'organismo politico-amministrativo delle curiae venne
adottato per facilitare le operazioni di leva militare, dove ciascuna
forniva cento soldati e dieci cavalieri, per un totale di 3.000 fanti
e 300 cavalieri. L'ordinamento curiato perdette questa
funzione militare quando Servio Tullio introdusse l'ordinamento
centuriato: da allora conservò solo compiti politici e religiosi ma
perdette importanza, anche se, quando si trattò di decidere se
restituire i beni sottratti alla famiglia dei Tarquini, cacciati da
Roma in seguito alla caduta della monarchia, i consoli Lucio Giunio
Bruto e Lucio Tarquinio Collatino lasciarono che la decisione fosse
presa dalle curie riunite.
Foro romano con al centro l'Arco di Settimio Severo e a destra la Curia Iulia, dove si riuniva il Senato dalla fine della Repubblica.. |
Il logo della Repubblica di Roma, Senatus Popolus Quirites Romani. |
Quali fossero le estensioni territoriali minime per ciascuna classe, non sappiamo, ma l'affollamento della prima classe sembra dimostrare che vi partecipassero tutti i proprietari che conservassero intera l'unità fondiaria (7 iugeri? Lo iugum nell'antica Roma era l'unità di misura di superficie equivalente a 0,252 ha e indicava il terreno arabile in una giornata da una coppia di buoi attaccati allo stesso giogo), e che alle classi inferiori fossero iscritti quelli che per ragioni ereditarie o di altro ordine possedessero di quella unità rispettivamente i tre quarti, la metà, un quarto, o una frazione minore.
Le centurie dei cavalieri e quelle della I classe ammontavano in totale a 98 e disponevano quindi della maggioranza; ciò spiega quindi come, nell'attività elettiva e legislativa dell'assemblea centuriata, prevalessero gli interessi dei ceti economicamente più elevati.
Il censo (lat. census) era un elenco dei cittadini e dei loro beni nella Roma antica. Il compito di stilare l'elenco era affidato ai censori. Col passare del tempo il termine venne inteso solamente come elenco dei beni posseduti, infatti dalla fine del XVIII secolo venne istituito il voto censitario, ovvero il diritto politico riconosciuto in base al proprio censo, ossia in base alla ricchezza posseduta. Secondo la tradizione, fu Servio Tullio a compiere una prima riforma timocratica dei cittadini romani, che li suddivise per patrimonio, dignità, età, mestiere, funzione, inserendo tali dati in pubblici registri. Tale riforma era fondamentale ai fini di stabilire quali cittadini dovessero prestare il servizio militare (obbligati ad armarsi a proprie spese e perciò chiamati adsidui), suddividendoli in cinque classi (sei se consideriamo anche quella dei proletarii) sulla base del censo, a loro volta ordinati in ulteriori quattro categorie: i seniores (maggiori di 46 anni, gli anziani) e gli iuniores (tra 17 e 46 anni, i giovani), ovvero coloro che rientravano nelle liste degli abili a combattere; i pueri (di età inferiore ai 17 anni: i fanciulli) e gli infantes (di età inferiore agli 8 anni: i bambini) non ancora in età per prestare il servizio militare. In questo nuovo sistema la prima classe, la più facoltosa, poteva permettersi l'equipaggiamento completo da legionario, mentre quelle inferiori avevano armamenti via via più leggeri; le prime tre classi costituivano la fanteria pesante e le ultime due quella leggera.
La stratificazione sociale definita dal censimento si rifletteva di conseguenza anche sull'organizzazione militare come segue:
I più ricchi erano gli "equites", i cavalieri, che potevano possedere e mantenere un cavallo, e disporre di protezioni oltre alle armi offensive (elmi e corazze), anche se la cavalleria romana si basava sulla mobilità e aveva quindi solo compiti di avanguardia ed esplorazione, di ricognizione, scorta ed eventuale inseguimento al termine della battaglia; all'epoca fra l'altro non si usavano selle e staffe. Durante la seconda guerra punica però, la grande capacità tattica di Annibale aveva messo in crisi l'esercito romano. Le sue manovre imprevedibili, repentine, affidate soprattutto alle ali di cavalleria cartaginese e numidica, avevano distrutto numerosi eserciti romani anche se superiori di numero, come era avvenuto soprattutto nella battaglia di Canne, dove perirono 50.000 Romani. Questo portò ad una rielaborazione della tattica legionaria con un maggiore impiego di contingenti di cavalleria di regni alleati, come avvenne con Scipione Africano nella battaglia di Zama del 202 a.C., dove l'esercito romano (unitamente a 4.000 cavalieri alleati numidi, comandati da Massinissa) riuscì a battere in modo definitivo le forze cartaginesi di Annibale.
Asse dell'antica Roma repubblicana, caratterizzato dalla testa di Giano al diritto e da una prua di una galea al rovescio, da https://it.wikipedia.org/wiki /Asse_(moneta)#/media/File:Eckhel_i_3.jpg. |
La falange greca, formazione serrata con cui combattevano gli Opliti dell'antica Grecia. |
3) La terza classe dei pedites era costituita da altre 20 centurie di fanteria leggera e il reddito pro-capite era tra i 75.000 ed i 50.000 assi.
4) La quarta classe dei pedites era composta da ulteriori 20 centurie di fanteria leggera con un reddito tra i 50.000 ed i 25.000 assi.
5) La quinta classe dei pedites era formata da 30 centurie di fanteria leggera con un reddito di appena 25.000-11.000 assi a persona.
Chi era sotto la soglia degli 11.000 assi era organizzato in una sola centuria, dispensata dall'assolvere agli obblighi militari (i cui membri erano chiamati proletarii o capite censi), tranne quando vi fossero particolari pericoli per la città di Roma e, a partire dalle guerre puniche, venne impiegata nel servizio navale.
Consoli della Repubblica di Roma. |
Per entrare a far parte del Senato occorreva aver esercitato una magistratura: dapprima vi furono ammessi soltanto coloro che erano stati censori, consoli o pretori. In seguito l'accesso al senato veniva regolato dai consoli; con la lex Ovinia de senatus lectione del 319 a.C. circa tale compito, chiamato lectio senatus, venne garantito ai censori e, secondo Mommsen, sempre con tale legge veniva garantito il seggio al senato per tutti coloro che erano stati edili. Ogni cinque anni i censori redigevano la lista ufficiale dei senatori, integrando i posti vacanti e, in rari casi, procedendo all'espulsione degli indegni. In seguito alla terribile disfatta di Canne, dove perirono novanta ufficiali tra consolari, pretori e senatori, appartenenti alle grandi famiglie di Roma e delle città alleate, l'organico del Senato venne completato con 177/197 uomini presi in parte anche dall'ordine equestre. Con le riforme sillane l'accesso al senato veniva automaticamente garantito con l'elezione a questore.
Il Senato romano si poteva riunire solo in luoghi consacrati, solitamente nelle Curie, mentre le cerimonie per il nuovo anno avvenivano nel tempio di Giove Ottimo Massimo e gli incontri di argomento bellico avvenivano nel tempio di Bellona.
Al Senato venne conferito formalmente il solo potere consultivo, ovvero il diritto di essere consultato prima di far passare una legge. Nonostante questo ruolo formale, il ruolo sostanzialmente esercitato era quello dell'assemblea del ceto dominante in una repubblica oligarchica, simboleggiato dal potere esercitato mediante il Senatus consultum ultimum. Le principali funzioni del Senato erano esercitate nei seguenti ambiti:
- sacrale-religioso: sorvegliava sui culti religiosi, controllava i collegi sacerdotali e fondava i templi;
- militare: controllava l'imperium militiae, autorizzava la leva (delectus) e sorvegliava e coordinava le operazioni belliche in quanto le legioni dovevano essere costantemente rifornite di grano, paghe e abbigliamento, poiché nel caso che il Senato avesse avuto un comportamento negligente o ostruzionistico, le iniziative dei comandanti sarebbero state destinate al fallimento. Il Senato prorogava inoltre ai comandanti (i consoli), quando fosse trascorso il normale anno di carica previsto per il consolato, la carica la prorogatio imperii oppure ne inviava un altro. Il Senato assegnava poi il trionfo o l'ovazione ai comandanti vittoriosi;
- politica estera: il Senato siglava accordi di pace e trattati, dichiarava le guerre e riceveva eventuali sottomissioni di popoli stranieri; inviava inoltre "legati" (ambasciatori), per risolvere controversie o dare suggerimenti, oppure imponeva degli ordini;
- il Senato deliberava inoltre la fondazione (deductio) di colonie;
- costituzionale: il Senato controllava l'operato dei magistrati;
- legislativo: il Senato discuteva e approvava i progetti di legge da sottoporre ai comizi e promulgava inoltre i senato consulti;
- giurisdizionale: il Senato decideva su quei reati commessi in Italia che necessitavano di una inchiesta da parte della Res publica, come ad esempio i tradimenti, le cospirazioni, gli avvelenamenti e gli assassinii e quando qualche privato o qualche città in Italia, avesse avuto bisogno di una mediazione di pace o richiedesse un intervento contro i danni subiti, oppure di fronte a una domanda d'aiuto o protezione. I giudici della maggior parte dei processi civili, pubblici o privati, che riguardassero casi di particolare gravità, erano nominati tra i membri del Senato;
- politica finanziaria: il Senato controllava l'aerarium, poiché possedeva piena competenza su tutte le entrate e le uscite. I questori non potevano infatti effettuare alcuna spesa pubblica se prima non avessero ottenuto un decreto del Senato, con l'eccezione di quelle richieste dai consoli. Il Senato esercitava poi il controllo e dava il benestare sul capitolo di spesa più importante, vale a dire quello che i censori stabilivano ogni cinque anni per la riparazione e la costruzione di edifici pubblici.
Il Senato era di norma convocato e presieduto da un magistrato fornito di tale diritto, lo ius agendi cum patribus: si trattava del console o del pretore. Nella deliberazione dei comizi il magistrato doveva portare alla cittadinanza la proposta relativa (ferre ad populum) e, se la cittadinanza acconsentiva, doveva riportare la deliberazione al Senato (referre ad senatum) e chiederne la ratifica. L'auctoritas del Senato si configurava giuridicamente nel senatoconsulto: era un parere dato dal più importante collegio governativo al potere esecutivo, dietro richiesta di quest'ultimo. La votazione per giungere al senatoconsulto avveniva in quattro fasi:
- formulazione della questione da parte del presidente,
- chiamata di ogni senatore perché esprimesse la propria opinione,
- formulazione speciale della questione da parte del presidente in base alle opinioni udite e infine
- votazione sulla questione.
La votazione avveniva per discessionem: i votanti si separavano, da una parte andavano i favorevoli e dall'altra i contrari alla proposta da votare, per cui si parlava di pedibus in sententiam ire. La patrum auctoritas era dunque la ratifica delle deliberazioni comiziali da parte del Senato e contro di essa non era ammesso il veto dei tribuni della plebe. In seguito al decadere della supremazia dei patrizi, la lex Publilia Philonis del 339 a.C. trasformò l'auctoritas in un parere preventivo non vincolante per le rogazioni (rogationes) legislative.
Il Senato era obbligato a rispettare i desideri dei cittadini romani, non poteva quindi compiere inchieste sui più importanti reati contro la Res publica per i quali era prevista la pena capitale; se il popolo stesso non avesse ratificato il preliminare senatus consultum, non poteva essere eseguita l'esecuzione capitale. Polibio aggiunge che, se anche uno solo dei tribuni della plebe avesse opposto il proprio veto, il Senato non solo non avrebbe potuto eseguire alcuna delle sue deliberazioni (senatus consulta), ma neppure tenere sedute ufficiali o riunirsi. Per questi motivi, il senato temeva le assemblee popolari e le teneva in grande considerazione.
Esisteva un relator (relatore) per la redazione del senatoconsulto che veniva poi custodito nell'aerarium posto nel tempio di Saturno dove si tenevano i bilanci, il tesoro e l'archivio di Stato.
Il senatus consultum ultimum era la legge marziale e veniva promulgato in caso di pericolo e necessità molto gravi: i magistrati erano autorizzati a procedere immediatamente, venivano sospese tutte le garanzie costituzionali, quali l'inviolabiltà dei tribuni della plebe e la provocatio ad populum. I senatori dapprima erano solo patrizi (patres), poi vi entrarono anche i plebei ricchi (conscripti, cioè "iscritti"). A seconda delle magistrature ricoperte precedentemente, i senatori erano divisi in ordine di dignità decrescente nei seguenti gruppi: censorii, consulares, praetorii, aedilicii, tribunicii, quaestorii. Il princeps senatus, primo senatore, era il titolo attribuito dai censori al più autorevole dei senatori, che quindi votava per primo dopo i magistrati. L'elevazione del civis (cittadino) a senatore era compito del rex (re) in età monarchica e del console in età repubblicana. La carica era vitalizia. Esisteva la facoltà censoria di escludere (praeterire et loco movēre) i senatori indegni attraverso apposito iudicium e relativa nota censoria.
Senatore Romano con laticlavio. Immagine di Dennishidalgo - Opera propria CC Y-SA 3.0, https:// commons.wikimedia. org/w/index.php? curid=30112996 |
I senatori avevano diritto a posti privilegiati nelle pubbliche manifestazioni e a teatro. Indossavano la tunica con il laticlavio, il calceus senatorius (un particolare tipo di calzare) e portavano l'anulus aureus. Nella Roma antica, il laticlàvio era una striscia di porpora che veniva portata sulla spalla, fissata su una tunica bianca, e che cadeva avanti e dietro in senso verticale per la lunghezza della tunica stessa. Il nome deriva dal latino latus (largo) e clavium (letteralmente "chiodo", ma indicante anche i vari tipi di ornamento che venivano appuntati, ovvero fissati sugli abiti). Quindi significa letteralmente ornamento largo. Il laticlavio (la striscia più larga) era riservata inizialmente ai senatori. Invece, i personaggi di ordine inferiore (i cavalieri) avevano diritto a portare sulla tunica solo una striscia di porpora più stretta, ovvero l'angusticlavio. Successivamente l'usanza di portare il laticlavio si estese anche a vari altri dignitari di alto rango, e addirittura ai membri delle loro famiglie, che incominciarono a indossare tale ornamento come segno di riconoscimento e distinzione. Le riunioni del Senato in epoca repubblicana avvenivano a Roma in un luogo chiuso, a porte aperte, sia che fosse pubblico oppure sacro, ma di norma un tempio. Una riunione dei senatori richiedeva per tradizione gli auspici, che dovevano essere favorevoli.
La Curia Giulia, nel Foro romano. |
Statua della Vittoria, da https://www.la moneta.it/topic/136 154-la-vittoria/. |
Prima delle guerre di conquista (puniche, elleniche, mediterranee e cisalpine) l'economia romana si basava soprattutto sull'agricoltura e sulla pastorizia. Si coltivavano, in modo particolare, cereali che servivano al sostentamento della popolazione. Al termine delle guerre di conquista, la repubblica di Roma si trovava ad affrontare grandi cambiamenti: il degrado delle campagne, l'aumento degli schiavi e le grandi ricchezze che giungevano a Roma come bottino di guerra dalle province. Il dominio incontrastato nell'Italia continentale ed insulare, sul Mediterraneo occidentale ottenuto grazie alla vittoria sui Cartaginesi e su quello orientale ottenuto con la conquista dei regni ellenisti, portava allo sfruttamento della manodopera schiavile nei latifondi. Dato che si trattava di migliaia di schiavi, Roma era costretta a portare avanti continue guerre di conquista per averne sempre di più, mentre venivano esautorati dal lavoro braccianti e piccoli proprietari. A Roma, fino al 200 a.C., l'esercito repubblicano, così come quelli precedenti, non era costituito da forze militari professionali ma al contrario era composto da una leva annuale, attraverso il meccanismo della coscrizione obbligatoria, come richiesto per ogni campagna miliare stagionale, per poi congedare tutti al termine della stessa (sebbene in alcuni casi alcune unità potevano essere mantenute durante l'inverno e anche per alcuni anni consecutivi, durante le maggiori guerre). Dopo che Roma conquistò dei territori oltremarini in seguito alle guerre puniche, le armate cominciarono ad essere posizionate nelle province chiave in modo stabile, anche se nessun soldato poteva essere mantenuto sotto le armi per più di sei anni consecutivi. Per far parte dell’esercito romano si doveva avere un reddito (censo) che permettesse di pagarsi gli armamenti e i più numerosi componenti delle milizie erano i piccoli proprietari terrieri, che durante queste guerre erano stati costretti, dovendosi arruolare, a lasciare incolti i loro terreni. Mal pagati per il servizio militare prestato ed esclusi dagli aristocratici dalla divisione del bottino, al loro ritorno si ritrovavano sommersi dai debiti che le loro famiglie avevano contratto per sopravvivere e secondo le leggi delle “dodici tavole”, nella Roma antica il creditore poteva rendere schiavo il debitore ed anche ucciderlo se questi non avesse ripagato il suo debito; dunque molti piccoli proprietari terrieri rischiavano di diventare schiavi. Per ripagare i debiti, molti di loro finirono o per svendere i loro possedimenti o a lavorare come braccianti. In ogni caso il grano prodotto dai piccoli proprietari terrieri nella Repubblica non era più conveniente: dalla Sicilia e dall'Africa giungevano cereali a prezzi molto contenuti ottenuti con la manodopera degli schiavi, fenomeno che si stava affermando anche nel suolo italico. Per potersi risollevare i piccioli agricoltori avrebbero dovuto smettere di coltivare grano e convertire le piantagioni in vigne e uliveti ben più redditizi, ma non disponevano dei capitali necessari per effettuare queste trasformazioni. In alcuni casi restavano a lavorare i campi come braccianti con paghe bassissime e in altri si trasferivano in città in cerca di fortuna, dando così vita al fenomeno dell'urbanesimo. In città conducevano una vita molto misera, ricevendo delle elargizioni di grano dallo Stato (le frumentazioni) o vivendo grazie all'appoggio di qualche famiglia potente e vendendo il proprio voto al miglior offerente. Al contrario, la classe dei grandi proprietari si arricchiva, appropriandosi della quasi totalità della ricchezza che proveniva dalle regioni conquistate. La maggior parte di loro comprava così terreni a prezzi molto bassi facendoli lavorare a servi o schiavi e non pagando di conseguenza la manodopera. L’impoverimento dei piccoli proprietari terrieri determinava grandi problemi a Roma poiché la maggior parte di loro erano stati i principali componenti delle legioni e diventando nullatenenti l'esercito si ritrovava con sempre meno forze a disposizione e gradualmente si dovette abbassare il censo delle nuove leve dell'esercito fino ad arruolare i proletarii. Roma contava sulle proprie forze armate e su quelle degli alleati, non di certo su contingenti di mercenari, come invece aveva fatto Cartagine.
Nel 133 a.C. Tiberio Sempronio Gracco (Roma, 163 a.C.- Roma, 132 a.C.) della fazione dei Populares, è eletto tribuno della plebe. Figlio maggiore dell'omonimo Tiberio Sempronio Gracco di origine plebea, che aveva avuto un ruolo importante nelle guerre di Spagna e di Cornelia, figlia di Publio Cornelio Scipione Africano di antica famiglia aristocratica, Tiberio Sempronio, grazie alla provenienza paterna dalla gens plebea, ottiene l'ascesa al tribunato. Poco più che fanciullo, aveva fatto parte dei sacerdoti auguri grazie anche all'approvazione dell'influente senatore Appio Claudio Pulcro, che poco più tardi gli aveva dato in moglie la figlia Claudia, da cui non ebbe nessun figlio. Nel 146 a.C., all'età di diciassette anni, aveva militato in Libia sotto il comando del cognato Scipione Emiliano e nove anni dopo, al suo ritorno a Roma, era stato eletto questore, dovendo così partire per la terza guerra celtibera sotto il comando del console Gaio Ostilio Mancino che aveva ricevuto il compito di espugnare Numanzia, che già da diversi anni teneva in scacco i romani. Il tentativo si rivelò fallimentare; infatti il console fu sconfitto in diverse occasioni finché, completamente circondato dai nemici, fu costretto a negoziare un trattato di pace per evitare l'annientamento delle sue truppe. In questo trattato Mancino fu supportato dal suo questore Tiberio Gracco, che godeva di grande rispetto presso i numantini poiché memori delle gesta del padre, che in passato era stato loro alleato. Fra l'altro Tiberio Gracco accettò di trattare con i Numantini anche per recuperare il diario e le tavole del suo ufficio di questore che erano state rubate nel saccheggio successivo alla fuga romana. Tornato a Roma fu accusato e biasimato per il suo gesto, ma il popolo e le famiglie dei soldati (20.000 vite furono risparmiate) scampati al massacro lo acclamarono come un salvatore. Dalla compagine dei senatori venne invece una reazione ostile per il fatto che i romani erano usciti piegati dallo scontro con Numanzia e patteggiato una pace non da vincitori ma da vinti. Il senato rimandò così a Numanzia Gaio Ostilio Mancino come prigioniero, consegnato nudo e legato in segno di rifiuto del trattato che Tiberio aveva formulato. Come tribuno della plebe, Tiberio Gracco voleva risolvere la grande povertà di cui soffriva la popolazione romana dai tempi delle guerre puniche. Solitamente i terreni conquistati venivano distribuiti ai soldati ma nel caso delle guerre puniche, in cui erano stati occupati territori vasti e molto importanti, i senatori e gli ufficiali, approfittando del proprio potere, si riservarono i terreni più vasti e fertili. Inoltre poterono acquistarono terreni a basso prezzo dai piccoli proprietari rovinati dalle lunghe guerre, così i terreni prima coltivati da umili contadini diventarono latifondi coltivati da schiavi e quindi era cambiata completamente la società. I contadini disoccupati si recavano nelle città con la speranza di trovare un lavoro ma molti diventavano delinquenti per contrastare la fame. Con queste distribuzioni di terreni veniva anche violata una disposizione a favore dei plebei. Per porre fine alla crescente povertà del popolo, il neo eletto tribuno della plebe Tiberio Gracco cercò di far approvare una legge di riforma agraria, la lex agraria detta legge Sempronia, con l'aiuto del suo parente Publio Licinio Crasso Dive Muciano, pontefice massimo e del console Publio Muzio Scevola, per la redistribuzione delle terre del suolo italico, usurpate dai ricchi ai più poveri e offerte ai forestieri per la lavorazione. La legge prevedeva che nessuno potesse possedere più di 500 iugeri di terre pubbliche (pari a 125 ettari visto che 1 iugero = 0,252 ettari). A questi se ne potevano aggiungere altri 250 iugeri per ogni figlio maschio ma non si potevano superare i 1.000 iugeri di terreni pubblici in proprio possesso. Chi possedeva maggiori terre pubbliche doveva restituire l'eccedenza allo Stato. Era comunque previsto un compenso a chi sarebbero state espropriate le terre. Nessun limite era invece posto ai terreni di proprietà privata. Lo Stato avrebbe suddiviso i terreni restituiti, in quanto eccedenti le quantità massime che potevano essere detenute, in piccoli fondi da 30 iugeri (7,5 ettari), da assegnare ai cittadini romani poveri. Una commissione formata da tre membri eletti dai Comizi tribuni doveva controllare la correttezza delle operazioni relative a tali terreni. Questa riforma aveva il vantaggio di consentire ai ricchi di continuare a detenere grandi estensioni di terreni ma al tempo stesso avrebbe permesso ai disoccupati, poveri e agitati, di tornare ad essere tranquilli contadini. Per evitare che i piccoli proprietari terrieri si ritrovassero di nuovo ad essere nullatenenti veniva stabilita l'impossibilità di vendere i terreni che fossero stati loro assegnati. La legge fu approvata ma incontrò gravi difficoltà; ad esempio, molti italici, che erano rimasti sui terreni come affittuari, temevano di perdere tutto con la legge di Tiberio, così come alcune comunità alleate di Roma. Il dibattito sull'assegnazione delle terre era collegato alla questione del diritto di cittadinanza: gli abitanti alleati avevano interessi a ottenere gli stessi diritti dei cittadini romani. Per gli Optimates questa riforma avrebbe rappresentato sia la perdita di loro possedimenti pubblici che la perdita del controllo di una massa di persone che, potendo tornare al proprio lavoro nei campi, non poteva più essere manovrata durante le elezioni. La nobiltà, allora, portò dalla propria parte il tribuno della plebe Marco Ottavio Cecina, che oppose il veto alla riforma. Tiberio si rivolse ai Comizi chiedendo la deposizione del tribuno che aveva avuto un comportamento contrario agli interessi del popolo. La proposta di deporre il tribuno Ottavio Cecina fu approvata all'unanimità dalle 35 tribù: era questo, però, un atto incostituzionale dato che i Comizi non potevano revocare la nomina di un tributo. Dopo la deposizione di Ottavio Cecina la riforma agraria fu approvata e venne creata la commissione che doveva occuparsi della redistribuzione delle terre pubbliche. Tuttavia, l'applicazione della legge fu piuttosto difficile dato che i contadini non avevano i mezzi necessari per mettere a coltura i terreni che venivano loro assegnati e c'era quindi bisogno di concedere loro dei finanziamenti affinché potessero acquistare attrezzi, sementi e bestiame per far rinascere la piccola proprietà terriera. Proprio nel 133 a.C. Attalo III, non avendo figli, lascia in eredità il suo regno di Pergamo e i suoi averi a Roma, che Tiberio Gracco pensava di utilizzare per finanziare la ricostruzione delle fattorie dei piccoli contadini. Fece così una proposta in tal senso ai Comizi ma ancora una volta sembrò al Senato come un tentativo di scavalcare la propria autorità: infatti si trattava di una decisione di politica estera che competeva al Senato e non ai Comizi. Temendo che la legge agraria potesse non trovare una piena applicazione, Tiberio fu riproposto candidato come tribuno per l'anno successivo ma gli optimates replicarono che la Lex Villia del 180 a.C. prevedeva che tra una magistratura e l'altra dovesse trascorrere un lasso di tempo. Per questa ragione fu mossa contro di lui l'accusa di voler diventare un tiranno. Il contrasto tra gli Optimates e Tiberio Gracco si concluderà con la morte di quest'ultimo, assassinato al Campidoglio in occasione della carneficina ordinata mediante la formula del tumultus dal pontefice massimo Publio Cornelio Scipione Nasica Serapioneuna, carneficina nella quale persero la vita oltre trecento cittadini romani oltre allo stesso Tiberio, ucciso pare a colpi di sgabello. Il suo cadavere fu gettato nel Tevere e i suoi amici condannati a morte o esiliati senza processo. Il senato non si oppose però alla spartizione delle terre ed elesse come nuovo esecutore il suo parente Publio Licinio Crasso Dive Muciano. Nasica fu ripetutamente offeso e minacciato ed il senato decise di mandarlo in Asia per precauzione. L'opera di Tiberio venne poi portata avanti dal fratello Gaio.
I fratelli Gracchi. |
Nel 123 a.C. Gaio Sempronio Gracco (Roma, 154 a.C. - Roma, 121 a.C.), dieci anni dopo la morte del fratello maggiore Tiberio, è eletto tribuno della plebe, carica nella quale sarà confermato anche l'anno seguente. Gaio Sempronio Gracco avrebbe voluto da tempo riprendere l'opera di riforma sociale del fratello Tiberio, ma gli ottimati invece, lo avevano nominato questore, inviandolo in Sardegna ad amministrare le finanze, in modo che la sua distanza da Roma, unita al fatto di ricoprire già un incarico politico, lo dissuadesse dal candidarsi a tribuno della plebe. Gaio era rimasto nella provincia sarda per due anni, per poi tornare a Roma a candidarsi ed essere eletto tribuno della plebe. Gaio cercò di opporsi al potere esercitato dal senato romano e dall'aristocrazia attuando una serie di riforme favorevoli ai Populares, ovvero la plebe, che si erano riversati nell'Urbe dopo l'espansione territoriale delle guerre puniche, composti in parte dagli abitanti delle nuove province conquistate e dai piccoli agricoltori italici e romani che non potevano competere con i bassi prezzi delle derrate provenienti dalle provincie (Sicilia, Sardegna, Nord Africa). Durante il suo secondo tribunato, Gaio Gracco proseguì la politica agraria del fratello, permettendo la vendita di grano a prezzo ridotto. Promosse inoltre varie colonie ma la rilevanza storica di Gaio è legata tuttavia essenzialmente alle sue leges Semproniae, approvate tramite plebisciti, tra le quali: Lex Sempronia agraria che dava maggior vigore a quella del fratello mai abrogata, assegnando ai cittadini romani indigenti porzioni dell'agro pubblico romano in Italia, compreso quello dei privati proprietari di terre oltre i 500-1000 iugeri; Lex de viis muniendis, piano di costruzioni di strade per agevolare i commerci e dare lavoro alla plebe con un programma di opere pubbliche; De tribunis reficiendis, con cui si stabiliva la rieleggibilità dei tribuni della plebe; Rogatio de abactis, con cui si toglieva l'elettorato passivo al tribuno destituito dal popolo. Era questa una legge indirizzata a colpire il tribuno Caio Ottavio che si era opposto alla lex Sempronia agraria, ma lo stesso Gaio ritirò questa legge; Lex de provocatione, che vietava la condanna capitale di un cittadino senza regolare processo; Lex frumentaria, che disponeva la distribuzione di grano a basso prezzo ai cittadini bisognosi di Roma; Lex iudiciaria, che trasferiva la carica di giudice dai senatori ai cavalieri. Gaio Sempronio Gracco introduceva così tra le due classi di patrizi e plebei, la terza, l'Ordo Equestris; Lex de coloniis deducendis per la deduzione di nuove colonie; Lex de provinciis consularibus, che imponeva al senato di stabilire prima delle elezioni dei consoli quali provincie dovessero essere loro assegnate per impedire che un console avverso al senato fosse allontanato da Roma; Lex militaris, che stabiliva che l'equipaggiamento dei soldati fosse a carico dello Stato e vietava l'arruolamento prima dei 18 anni; Lex Sempronia de capite civis, che era tesa a vietare la formazione di corti straordinarie (quaestiones extraordinariae) per Senatus consultum riportando la decisione su tale materia al popolo (provocatio ad populum); Lex Sempronia de provincia Asia, che mirava a cercare l'appoggio dei cavalieri. Rendeva infatti i terreni della provincia d'Asia ager publicus populi romani e sottraeva l'appalto delle tasse ai governatori assegnandolo a pubblicani facenti parte dell'ordine equestre. Poi, in seguito all'introduzione dei comizi tributi (in cui si riunivano i cittadini ripartiti per le 35 tribù, 4 urbane e 31 rustiche, in cui ognuna esprimeva un voto. Eleggevano i magistrati minori, come questori e edili e avevano competenza giudiziaria per reati che prevedessero multe) ed all'assegnazione delle province, Gaio Gracco propose nel maggio del 122 a.C. la concessione della cittadinanza romana ai latini e di quella latina agli italici. L'opposizione al suo disegno di legge trovò concordi il Senato (che trovava così il modo di liberarsi di lui), la maggior parte dei cavalieri e pressoché tutta la plebe, gelosa dei propri privilegi.
Lapide di eques da QUI. |
Nel 121 a.C. Gaio Sempronio Gracco aveva perso molta della sua popolarità, non era stato rieletto al tribunato e dovette difendersi da accuse pretestuose, come quella di aver dedotto nuovamente Cartagine, atto che gli indovini avevano dichiarato come infausto. Gaio il giorno della votazione relativa all'abrogazione proposta dal senato della legge riguardante la fondazione delle colonie, si presentò all'assemblea per difenderla. I nobili, capeggiati da Publio Cornelio Scipione Nasica Corculo gli gettarono contro il collega Marco Livio Druso e il triumviro Gaio Papirio Carbone. Scoppiarono una serie di disordini che il nuovo console Opimio, eletto dal partito oligarchico, ebbe mano libera per reprimere. Gaio e i suoi sostenitori si rifugiarono sull'Aventino per resistere armati, ma quando Opimio promise l'impunità a chi si fosse arreso e consegnato, l'ex tribuno, rimasto quasi solo, si fece uccidere dal suo schiavo Filocrate nel lucus Furrinae sul Gianicolo. Una feroce repressione portò alla morte nelle carceri di quasi 3.000 dei suoi partigiani. La memoria dei Gracchi fu maledetta e alla madre fu proibito d'indossare le vesti a lutto per il figlio defunto. «La sconfitta dei Gracchi consolidò apparentemente il potere dell'aristocrazia, ma dimostrò anche che questa, rifiutandosi a qualsiasi soddisfazione delle esigenze dei plebei e degli Italici, non si reggeva ormai più che con la violenza.» (Enciclopedia Italiana Treccani alla voce "Gracco, Gaio Sempronio").
Come ricompensa per avere sventato il pericolo dell'invasione barbarica di Cimbri, Teutoni e Ambroni, Gaio Mario viene rieletto console anche per l'anno 100 a.C. Gli avvenimenti di quell'anno, tuttavia, non gli furono propizi. Nel corso di questo anno il tribuno della plebe Lucio Appuleio Saturnino richiese con forza che si varassero riforme simili a quelle per cui si erano in passato battuti i Gracchi. Propose quindi una legge per l'assegnazione di terre ai veterani della guerra appena conclusasi e per la distribuzione da parte dello stato di grano a prezzo inferiore a quello di mercato. Il senato si oppose a queste misure, provocando così lo scoppio di violente proteste, che presto sfociarono in una vera e propria rivolta popolare, e a Mario, come console in carica, fu chiesto di reprimerla. Sebbene egli fosse vicino al partito popolare, il supremo interesse della repubblica e l'alta magistratura da lui rivestita gli imposero di assolvere, sebbene riluttante, a questo compito. Dopodiché lasciò ogni carica pubblica e partì per un viaggio in Oriente e Roma conobbe alcuni anni di relativa tranquillità.
Aquilifer con aquila, di Marten 253, da QUI. |
Il generale e più volte console Gaio Mario. |
Gaio Giulio Cesare, I sec. museo archeologico di Napoli. |
Nonostante le origini aristocratiche, la famiglia di Giulio Cesare non era ricca per gli standard della nobiltà romana, né particolarmente influente. Ciò rappresentò inizialmente un grande ostacolo alla sua carriera politica e militare, e Cesare dovette contrarre ingenti debiti per ottenere le sue prime cariche politiche. Inoltre, negli anni della giovinezza dello stesso Cesare, lo zio Gaio Mario si era attirato le antipatie della nobilitas repubblicana (anche se successivamente Cesare riuscì a riabilitarne il nome) e questo metteva anche lo stesso Cesare in cattiva luce agli occhi degli optimates. Il padre, suo omonimo, era stato pretore nel 92 a.C. e aveva probabilmente un fratello, Sesto Giulio Cesare, che era stato console nel 91 a.C. e una sorella, Giulia, che aveva sposato Gaio Mario intorno al 110 a.C.. Sua madre era Aurelia Cotta, proveniente da una famiglia che aveva dato a Roma numerosi consoli. Il futuro dittatore ebbe due sorelle, entrambe di nome Giulia: Giulia maggiore, probabilmente madre di due dei nipoti di Cesare, Lucio Pinario e Quinto Pedio, menzionati insieme a Ottaviano nel suo testamento, e Giulia minore, sposata con Marco Azio Balbo, madre di Azia minore e di Azia maggiore, a sua volta madre di Ottaviano.
Nell' 88 a.C. inizia la Guerra Civile Romana, che nell' 82 a.C. vedrà il conflitto tra la fazione degli ottimati, guidata da Silla, e quella dei populares, o mariani perché seguaci del sette volte console Gaio Mario morto nell'86 a.C., guidata dai consoli Gaio Mario il Giovane e Gneo Papirio Carbone. Quando nell'88 a.C. Mario fu dichiarato nemico pubblico da Silla e costretto a fuggire da Roma, si rifugiò tra le paludi di Minturnae. I magistrati locali decretarono la sua morte per mano di uno schiavo Cimbro il quale, tuttavia, mosso a compassione o intimorito non diede corso alla esecuzione. Il busto bronzeo di Gaio Mario si trova collocato attualmente nel Municipio di Minturno. Plutarco, in “Marium”, scrisse che i Minturnesi, mossi a compassione, lo aiutarono a imbarcarsi sulla nave di Beleo, diretta verso l'Africa. Mentre Silla conduceva la sua campagna militare in Grecia, a Roma il confronto fra la fazione conservatrice di Ottavio, rimasto fedele a Silla, e quella popolare e radicale di Cinna fedele a Mario si inasprì sfociando in aperto scontro. A questo punto, nel tentativo di avere la meglio su Ottavio, Mario, insieme al figlio, rientrò dall'Africa con un esercito ivi raccolto e unì le proprie forze a quelle di Cinna, che aveva radunato truppe filomariane ancora impegnate in Campania contro gli ultimi socii ribelli. Gli eserciti alleati entrarono in Roma, di modo che Cinna fu eletto console per la seconda volta e Mario per la settima. Seguì una feroce repressione contro gli esponenti del partito conservatore: Silla fu proscritto, le sue case distrutte e i suoi beni confiscati. L'armata di Silla, dopo aver concluso vittoriosamente la campagna nel Ponto, rientrò in Italia sbarcando a Brindisi nell'83 a.C., e sconfisse il figlio di Mario, Gaio Mario il Giovane, che morì in combattimento a Preneste, a circa 50 chilometri da Roma. Gaio Giulio Cesare, nipote della moglie di Mario, sposò una delle figlie di Cinna. Dopo il ritorno di Silla a Roma si instaurò un regime di restaurazione che perpetrò le più feroci repressioni, tanto che Giulio Cesare fu costretto a fuggire in Cilicia, dove rimase fino alla morte di Silla, nel 78 a.C.
Ormai da diverso tempo la repubblica romana era percorsa da un conflitto politico tra due fazioni, quella dei populares, guidata dall'uomo nuovo Gaio Mario (almeno fino alla sua morte avvenuta nell'86 a.C.), e quella degli ottimati, guidata dal nobile Lucio Cornelio Silla, che si combattevano, con alterne fortune, per il predominio politico sull'Urbe.
Nell' 88/87 a.C. la lotta per il potere presto si era spostata dal piano politico a quello militare, così avvenne che, grazie all'appoggio delle legioni a lui fedeli, Silla scacciò i mariani dall'Urbe ed ottenne il comando per la guerra a Mitridate, e fu sempre grazie alla forza delle armi che, con Silla impegnato in Asia Minore, i populares e Gaio Mario poterono rientrare in città e controllarla, almeno fino al ritorno di Silla.
Nell' 86 a.C. mentre Silla combatteva in Grecia, ottenendo numerosi ed importanti successi, prima ad Atene nel marzo di quest'anno, poi al Pireo, a Cheronea, dove secondo Tito Livio caddero ben 100.000 armati del regno del Ponto, ed infine ad Orcomeno, a Roma Silla era dichiarato nemico pubblico da Gaio Mario e Lucio Cornelio Cinna. Le sue abitazioni cittadine e di campagna furono distrutte ed i suoi amici messi a morte. Contemporaneamente il Senato deliberava di inviare in Grecia il nuovo console, Lucio Valerio Flacco, collega di Lucio Cornelio Cinna, con due legioni per succedere nel comando a Silla. Nello stesso anno, nel primo mese del suo settimo mandato da Console, all'età di 71 anni Gaio Mario muore. Cinna fu in seguito rieletto console per altre due volte, per poi morire vittima di un ammutinamento, mentre si dirigeva con l'esercito verso la Grecia.
Nell' 85 a.C. Silla, conclusa prima del tempo quella che sarebbe stata ricordata come la prima guerra mitridatica con il Trattato di Dardano nell'85 a.C., decide di tornare in Italia per contrastare le manovre del partito avverso, che lo aveva addirittura dichiarato nemico della patria. I più attivi nel campo dei populares erano i consoli Lucio Cornelio Cinna e Gneo Papirio Carbone, consoli per l'85 a.C. e l'84 a.C., che a cavallo tra i due consolati tentarono di organizzare ad Ancona un esercito per contrastare quello di Silla, una volta che fosse terminata la campagna in Asia. L'impresa non ebbe seguito perché nell'84 a.C. l'esercito, forse perché scontento delle dure condizioni di vita imposte dai due consoli, si ribellò ed uccise Cinna, mentre Carbone fuggiva. Molti per sottrarsi alla tirannide dei due consoli avevano abbandonato Roma, e si erano rifugiati nell'accampamento di Silla, come in un porto di salvezza. Così in breve tempo venne a crearsi, attorno allo stesso, una parvenza di Senato. Anche la moglie, Cecilia Metella Dalmatica, riuscì a stento a fuggire con i figli e raggiunse il marito in Grecia, portando la notizia che i suoi oppositori avevano bruciato la casa in città e le ville in campagna, pregandolo quindi di far ritorno in Italia in aiuto dei suoi sostenitori.
Nell' 84 a.C. - Conclusa la pace a Dardano in Asia con Mitridate VI, ed obbligato quest'ultimo a ritirarsi dalle province romane asiatiche, Silla trascorre i successivi due anni in Grecia per riorganizzare le forze, prima di rientrare in Italia. Egli, infatti, una volta conclusa la pace, salpò da Efeso nel corso dell'inverno dell'85-84 a.C. e si trasferì al Pireo e poi ad Atene dove fu iniziato ai misteri. Verso la fine dell'anno attraversò la Tessaglia e la Macedonia e fece i preparativi per il suo rientro in Italia da Durazzo, con una flotta di 1.200 navi.
Nello stesso 84 a.C., Giulio Cesare ripudia la sua promessa sposa Cossuzia per poi sposare in seguito Cornelia minore, figlia di Lucio Cornelio Cinna, alleato di Gaio Mario nella guerra civile. Nell’antica Roma il nome individuale di una donna doveva rimanere segreto, infatti mentre gli uomini avevano il loro nome, poi il nome della gens ed infine i cognomen, le donne son indicate sempre con il nome della gens cui appartengono - cosa che spesso induce errori nelle trattazioni storiche - e vengono distinte con maior o minor in base all’anzianità o con un numero ordinale, secunda, tertia, ecc. ecc. Il nuovo legame con una famiglia notoriamente schierata con i popolari, oltre alla parentela con Mario, causeranno problemi non indifferenti al giovane Cesare negli anni della dittatura di Silla, che cercherà di ostacolarne in tutti i modi le ambizioni, bloccando fra l'altro la sua nomina a Flamen Dialis, il sacerdote preposto al culto di Giove Capitolino, l'unico tra i sacerdoti che potesse presenziare nel Senato con il diritto alla sedia curule e alla toga pretesta.
Nell' 82 a.C. sono eletti consoli Gneo Papirio Carbone e il ventiduenne Gaio Mario il Giovane, figlio di Gaio Mario, a cui è affidata la difesa della città; quasi immediatamente questi inviarono Sertorio, forse l'unico esponente tra i populares con l'adeguata esperienza militare necessaria per contrastare Silla, nella Spagna Citeriore. I primi scontri, entrambi favorevoli agli ottimati, si ebbero invece nelle Marche, presso il fiume Esino, dove le truppe di Pompeo e di Metello ebbero la meglio su quelle condotte da Carbone, e nella pianura di Sacriporto antistante Preneste, nel Lazio, dove le truppe di Silla ebbero la meglio su quelle guidate da Mario il Giovane. I due comandanti mariani, invece di riunire le proprie forze, decisero di resistere alla fazione avversa posizionandosi in città diverse; Gaio Mario il Giovane a Preneste e Carbone a Chiusi, in Etruria. Lo scontro decisivo tra gli eserciti delle due fazioni, la battaglia di Porta Collina, si svolse l'1 e il 2 novembre dell' 82 a.C., sotto le mura di Roma, tra le legioni della fazione aristocratica guidata da Lucio Cornelio Silla e un esercito formato dalle legioni della fazione dei populares e dalle milizie italiche guidate dal condottiero sannita Ponzio Telesino, che marciavano verso Roma. La battaglia, combattuta con estremo accanimento alle porte della città, venne vinta, dopo fasi di grande difficoltà, dall'esercito della fazione aristocratica. Persa la battaglia di Porta Collina, che segnerà la definitiva sconfitta dei mariani, Preneste, in cui si trovava Mario il Giovane, si arrese a Silla e Mario il Giovane satesso, frustrato nel suo tentativo di fuggire attraverso dei sotterranei, preferì uccidersi piuttosto che cadere nelle mani del nemico.
Il generale e dittatore Lucio Cornelio Silla. |
Per quanto poi emanerà una legge che proibisca tale gesto, dopo un quarantennio sarà il "populares" Gaio Giulio Cesare a stroncare definitivamente la Repubblica in cui il Senato degli "ottimati" aveva sempre prevalso.
Le ostilità fra il partito dei patrizi optimates, rappresentato dal senato, e i populares, di cui i tribuni della plebe erano i rappresentanti politici, portarono al collasso della Repubblica attraverso sanguinose guerre civili iniziate con da Silla e Mario nell'88 a.C. e proseguite fra Giulio Cesare e Pompeo, Marco Antonio e Ottaviano, il futuro Augusto, che si esauriranno solo col principato di Augusto, che limiterà comunque i poteri del senato.
Patrizio Torlonia di profilo, da https://it.wiki pedia.org/wiki/Patrizio _Torlonia. |
Patrizio Torlonia, da https ://it.wikipedia.org/wiki/ Patrizio_Torlonia. |
Cesare Maccari: "Cicerone accusa Catilina" (1880) a Palazzo Madama. |
Marco Licinio Crasso da QUI. |
Durante il consolato del 59 a.C., grazie all'appoggio dei triumviri, Cesare ottiene con la lex Vatinia del 1º marzo, il proconsolato delle province della Gallia Cisalpina e dell'Illirico per cinque anni, con un esercito composto da tre legioni (VII, VIII e VIIII). Poco dopo un senatoconsulto gli affida anche la vicina provincia della Gallia Narbonense, il cui proconsole, Quinto Cecilio Metello Celere, era morto all'improvviso, e la X legione.
Il Senato sperava con le sue mosse di allontanare il più possibile Cesare da Roma, proprio mentre egli stava acquisendo una sempre maggiore popolarità. Quando lo stesso Cesare promise di fronte al Senato di compiere grandi azioni e riportare splendidi trionfi in Gallia, uno dei suoi detrattori, per insultarlo, urlò che ciò non sarebbe stato facile per una donna, alludendo ai costumi sessuali dell'avversario; il proconsole designato rispose allora ridendo che l'essere donna non aveva impedito a Semiramide di regnare sulla Siria e alle Amazzoni di dominare l'Asia. Cesare seppe comprendere le potenzialità che l'incarico affidatogli presentava: in Gallia avrebbe potuto conquistare immensi bottini di guerra (con i quali saldare i debiti contratti nelle campagne elettorali), e avrebbe acquisito il prestigio necessario per attuare la sua riforma della res publica.
Nel 58 a.C., prima di lasciare Roma, nel marzo del 58 a.C., Cesare incarica il suo alleato politico Publio Clodio Pulcro (amante della moglie Pompea che aveva ripudiato), tribuno della plebe, di fare in modo che Cicerone fosse costretto a lasciare Roma. Clodio fece allora approvare una legge con valore retroattivo che puniva tutti coloro che avevano condannato a morte dei cittadini romani senza concedere loro la provocatio ad populum: Cicerone fu quindi condannato per il suo comportamento in occasione della congiura di Catilina, venne esiliato, e dovette lasciare Roma e la vita politica. In questo modo Cesare cercava di assicurarsi che, in sua assenza, il Senato non prendesse decisioni che compromettessero la realizzazione dei suoi piani. Allo stesso scopo, Cesare si liberò anche di un altro esponente dell'aristocrazia senatoriale, Marco Porcio Catone, che venne allontanato da Roma e inviato propretore a Cipro. Per evitare inoltre di divenire oggetto delle accuse legali dei suoi avversari, si appellò alla lex Memmia, secondo la quale nessun uomo che si trovava fuori dall'Italia a servizio della res publica poteva subire un processo giuridico. Infine, affidò la gestione dei suoi affari a Lucio Cornelio Balbo, un eques di origine spagnola; per evitare che i messaggi che gli spediva cadessero nelle mani dei suoi nemici, Cesare adoperò un codice cifrato, che prese il nome di cifrario di Cesare.
Le Gallie dopo la conquista di Gaio Giulio Cesare. |
Marco Emilio Lerpido (figlio) il triumviro, da: https://comunitaoli vettiroma.files.wordpress.com /2015/11/lepido.jpg |
Domini di Roma dopo la conquista della Gallia, nel 50 a.C., da QUI. |
Alla fine della conquista della Gallia, nel 50 a.C., scriveva Plinio “Senza contare i moltissimi morti causati dalla guerra civile, provocata da Cesare col passaggio del Rubicone, quattro anni di efferata guerra fratricida dovuta all’ambizione di un uomo provocarono 1.200.000 morti, massacrati da Cesare al solo fine di conquistare la Gallia. Io non posso porre tra i suoi titoli di gloria un così grave oltraggio da lui arrecato al genere umano”. E accusa Cesare di avere per giunta occultato le cifre del grande massacro: “non rivelando l’entità del massacro causato dalle guerre civili, Cesare ha riconosciuto l’enormità del suo crimine” (VIII, 92). Secondo Cesare, alla fine del conflitto gallico furono un milione i nemici morti in combattimento e un milione i prigionieri di guerra deportati in Italia; secondo Velleio Patercolo, 400.000 morti e un numero maggiore di prigionieri. Plutarco riconosce la cifra «tonda» di un milione di vittime e un milione di prigionieri (Pompeo 67, 10; Cesare 15, 5), poi venduti come schiavi, e considerando che il prezzo di ognuno di loro si aggirava sui 1.200 - 2.500 sesterzi (nel I secolo d.C. 1 sesterzio valeva circa 2 €), indubbiamente Cesare si arricchì. Alla storia, rimane una guerra terribile, combattuta per quasi un decennio e nella quale, né da una parte né dall'altra, si risparmiarono le crudeltà.
Gaio Giulio Cesare, da QUI. |
Statua di Giulio Cesare, che ricostruì il foro romano nel 46 a.C., da QUI. |
Marco Antonio da QUI. |
Andrea Camassei: Festa dei Lupercalia (1635), Museo del Prado, Madrid, da QUI. |
Augusto, Denario, Hiberia: Colonia Patricia , c. 18-16 a.C. AR (g 3,82; mm 19; h 8); Testa nuda a d., Rv. Capricorno verso s., tiene il globo legato al timone e porta una cornucopia sul dorso, da QUI. |
Il "denario" fatto coniare da Giulio Cesare nel 44 a.C. In un lato c'è il suo volto e nell'altro Venere che sulla mano destra porta una Nike (la Vittoria). |
"La morte di Cesare" di Jean-Léon Gérôme (1859), da https://it.wiki pedia.org/wiki/Cesaricidio#/media/ File:Jean-L%C3%A9on_G%C 3%A9r%C3%B4me_-_The_ Death_of_Caesar_-_Walters _37884.jpg |
Il talento era un'antica unità di misura della massa, un peso di riferimento per il commercio, nonché una misura di valore pari alla corrispondente quantità di metallo prezioso. La quantità di massa di un talento era diversa tra i diversi popoli: in Grecia il talento attico corrispondeva a 26 kg di metallo prezioso, a Roma valeva 32,3 kg.
Tornando da Apollonia, dove aveva avuto la notizia dell'omicidio del prozio, verso Roma, Ottaviano sbarca a Brindisi, dove riceve il benvenuto dalle legioni di Cesare, lì acquartierate in attesa della spedizione che voleva Cesare in Oriente, contro i Parti, e si impossessa dei circa 700 milioni di sesterzi (nel I secolo d.C. 1 sesterzio valeva circa 2 €) di denaro pubblico destinati alla guerra contro i Parti, che utilizza a questo punto per acquisire ulteriore favore tra i soldati e tra i veterani di Cesare stanziati in Campania. «Ritenendo che la cosa più importante fosse quella di vendicare la morte di suo zio e di difendere ciò che aveva fatto, appena tornò da Apollonia, decise di essere estremamente duro con Bruto e Cassio, i quali non se lo aspettavano, e quando questi capirono di essere in pericolo, fuggirono; [allora Ottaviano] li perseguì con un'azione legale atta a farli condannare per omicidio.» (Svetonio, Augustus, 10)
Marco Tullio Cicerone (106 -43 a.C.), Musei Capitolini. |
Statua di Augusto di Prima Porta, Musei Vaticani, da QUI. |
Aureo romano ritraente l'effigi di Marco Antonio (sinistra) e Ottaviano (destra) emesso nel 41 a.C. per celebrare il secondo triumvirato. Si noti l'iscrizione 'III VIR R P C' (Triumviri Rei Publicae Constituendae Consulari Potestate) su entrambi i lati. Da QUI. |
Nel 42 a.C., appena due anni dopo il suo assassinio in Senato, nella Curia di Pompeo, Gaio Giulio Cesare è deificato ufficialmente, elevato quindi a divinità, dal Senato stesso. L'eredità riformatrice e storica di Cesare è quindi raccolta da Ottaviano Augusto, suo pronipote e figlio adottivo. Gaio Giulio Cesare ha avuto un ruolo fondamentale nella transizione del sistema di governo dalla forma repubblicana a quella imperiale. Probabilmente il continuo scontro fra le due anime della Repubblica, i pochi optimates aristocratici e i tanti populares che volevano partecipare alla vita pubblica, non garantiva una continuità del potere per la vastità dell'impero romano nascente, continuità che invece si perpetrerà nel principato.
Nel 33 a.C., dopo l'eliminazione graduale di tutti i contendenti al potere su Roma nell'arco di sei anni, da Bruto e Cassio a Sesto Pompeo e Lepido, la situazione rimane nelle sole mani di Ottaviano in Occidente e Antonio in Oriente, portando un inevitabile aumento dei contrasti tra i due, ciascuno troppo ingombrante per l'altro, tanto più che i successi ottenuti nelle campagne militari di Ottaviano in Illirico (del 35-33 a.C.) e contro Lepido non erano stati compensati da Antonio in Oriente contro i Parti, limitandosi alla sola acquisizione in dote dell'Armenia. Alla sua scadenza, nel 33 a.C., il triumvirato non viene rinnovato (durò infatti 10 anni) e Antonio ripudierà Ottavia minore, (nel 32 a.C.) sorella di Ottaviano.
Nel 33 a.C. Tiberio Claudio Nerone padre muore ed è il giovanissimo figlio Tiberio a pronunciarne la laudatio funebris dai rostri del Foro. Tiberio si trasferisce quindi nella casa di Ottaviano dov'erano la madre e il fratello, proprio mentre le tensioni tra Ottaviano e Antonio porteranno ad un nuovo conflitto, che si concluderà nel 31 a.C. con lo scontro decisivo di Azio.
Nel 32 a.C. il conflitto fra Ottaviano e Antonio era ora inevitabile, mancava solo il casus belli, che Ottaviano trovò Scriveva Svetonio: «La sua alleanza [di Ottaviano] con Antonio era sempre stata dubbia e poco stabile, mentre le loro continue riconciliazioni altro non erano che momentanei accomodamenti; alla fine si giunse alla rottura definitiva e per meglio dimostrare che Antonio non era più degno di essere un cittadino romano, aprì il suo testamento, da Antonio lasciato a Roma, e lo lesse davanti all'assemblea, dove designava come suoi eredi anche i figli che aveva avuto da Cleopatra.» (Svetonio, Augustus, 17). Ancora Svetonio aggiunge che Antonio aveva scritto ad Augusto in modo confidenziale, quando non era ancora scoppiata la guerra civile tra loro: «Che cosa ti ha cambiato? Il fatto che mi accoppio con una regina? È mia moglie. Non sono forse nove anni che iniziò [la nostra storia d'amore]? E tu ti accoppi solo con Drusilla? E così starai bene se quando leggerai questa lettera, non ti sarai accoppiato con Tertullia, o Terentilla, o Rufilla, o Salvia Titisenia o tutte. Giova forse dove e con chi ti accoppi?» (Svetonio, Augustus, 69.). Poiché il Senato non aveva visto di buon occhio il trionfo celebrato ad Alessandria e tantomeno la spartizione ai figli di terre che appartenevano a Roma e non ad Antonio, Ottaviano decise di forzare la mano ai senatori e, dopo aver corrotto alcuni funzionari, si impossessò del testamento del rivale e lo lesse pubblicamente all'assemblea senatoria: Antonio lasciava i territori orientali di Roma a Cleopatra VII d'Egitto e ai suoi figli, compreso Cesarione, figlio di Gaio Giulio Cesare.
Cleopatra, museo Altes di Berlino, da QUI. |
Mappa della battaglia di Azio, da QUI |
Aureo del 27 a.C. col consolidamento al potere di Augusto da: QUI. |
Roma - Resti dei Fori Imperiali. |
Roma antica con i nomi dei 7 colli fino alle mura serviane del VI sec. a.C., l'espansione della Roma Repubblicana e Imperiale fino alle mura aureliane del III sec. d.C. |
Province senatorie e imperiali nella Roma di Augusto, da QUI |
Asse coniato in occasione del terzo consolato di Agrippa, sancito dalle iniziali del Senato Consulto sul retro. Da https://it. wikipedia.org/wiki/Asse_(mon eta)#/media/File:Asse_ Agrippa.jpg |
Marco Vipsanio Agrippa al Louvre di Parigi, di Shawn Lipowski QUI. |
Il Pantheon all'interno. |
Nella
Repubblica
di Roma il potere
era condiviso
fra: 1) tribuni della plebe e comizi che eleggevano i consoli e
proponevano leggi da parte del popolo
e 2) il senato,
che decideva ogni altra cosa, a cui però i tribuni della plebe
potevano opporre un veto, per gli ottimati (gli aristocratici). Da
qui in poi, nell'impero il popolo non avrà più una rappresentanza
politica e il senato degli aristocratici non avrà a disposizione la
forza militare primaria, le legioni. Ora tutto il potere era nelle
mani di chi disponeva dell'imperium,
l'autorità sulla forza militare. L'ambizione di Augusto era quella
di essere fondatore di un optimus
status, facendo
rivivere le più antiche tradizioni romane e nel contempo tenendo
conto delle problematiche dei tempi. Il mantenimento formale delle
forme repubblicane, nelle quali si inseriva il nuovo concetto della
personale auctoritas
del princeps (Augusto
definiva il princeps
come il primo degli uguali, cioè i senatori e considerava il titolo
di dominus «signore»
come un grave insulto, e sempre lo respinse con vergogna), permise di
risolvere i conflitti per il potere vissuti nell'ultimo secolo della
Repubblica. Egli non schiacciò affatto l'antica aristocrazia, ma le
affiancò, in una più vasta cerchia del privilegio, il ceto degli
uomini d'affari e dei funzionari, organizzati nell'ordine equestre, i
cui membri furono spesso utilizzati dall'imperatore per controllare
l'attività degli organi repubblicani e per il governo delle province
imperiali. Augusto, una volta ricevuti i necessari poteri da parte di
Senato e Popolo romano, cominciò ad assumere misure atte a dare
all'Italia e alle Province il sospirato benessere dopo oltre un
decennio di guerre civili: riordinò il cursus honorum delle
magistrature repubblicane, ne creò di nuove (come la figura del
curator o quella del praefectus Urbis), ripristinò la carica
magistratuale del censore, aumentò il numero dei pretori e promosse
leggi che frenavano il diffondersi del celibato e incoraggiavano la
natalità, emanando la lex
Iulia de Maritandis Ordinibus del 18 a.C. e la lex
Papia Poppaea del 9 d.C. (a completamento della prima legge). Il
termine imperator è
un titolo originariamente denso di significati religiosi e
successivamente è stato conferito ai condottieri vittoriosi, poiché
contiene in sé il riferimento all'imperium,
un primato
nell'ambito religioso,
civile
e militare.
Il significato del termine imperatore, che deriva dal latino
imperator, ha
un'origine chiara: indica colui che vive un rapporto
favorevole
con gli dèi.
Già in epoca regale la felicitas
imperatoria indicava
quel re che poteva vantare un tale rapporto favorevole (pius)
con gli dèi. Questa relazione unica veniva stabilita il giorno
dell'inauguratio, ovvero il giorno in cui gli àuguri verificavano
tale condizione del re. Con Ottaviano, che creò la struttura
ideologica del principato, a tale termine venne aggiunto anche quello
di Augustus ovvero detentore dell'augus
(lojas in indo-iranico), detentore cioè di quella forza che unica
consente di adempiere alle funzioni sacrali rispetto agli dèi e
quindi di rafforzare la stessa Roma. L'imperator,
nella cultura profondamente religiosa quale fu quella romana, è
ricco di felix, ovvero
è possessore legittimo degli auspici e quindi votato alla vittoria
purché sia sempre pius
cioè collegato correttamente con il mondo sacro degli dèi. Sempre
con Ottaviano ha ingresso nella Religione romana la figura
dell'imperatore. Esso diviene il "re divino", monarca
universale per volere degli dèi, ricevendo, inoltre, il doppio
titolo di sacer e sanctus. Le qualifiche religiose della figura
imperiale ricalcano i modelli ellenistici a cui si aggiungono le
peculiarità della religiosità romana, per le quali ad un beneficio
ricevuto dal dio deve corrispondere sempre un atto di culto.
L'imperatore è quindi sacro e per le sue virtù e per la sua
condotta di vita è anche santo. Ma i due termini, sacer e sanctus,
finiscono per sovrapporsi, così Gallieno e Alessandro Severo vengono
indicati come sanctissimi, mentre Domiziano, Adriano e Antonino Pio
vengono invece appellati come sacratissimi. Dal 13 a.C. Augusto
assume la carica di Pontefice massimo, carica che gli imperatori
manterranno fino al 375. L'Imperatore, nella sua qualità di Pontifex
Maximus esercitava il supremo ruolo di sorveglianza e governo sul
culto religioso, presiedendo il collegio dei pontefici e gli altri
collegi sacerdotali, nominando le Vestali, i Flamini ed il Rex
sacrorum, regolando il calendario con la scelta dei giorni fasti e
nefasti ed avendo il completo controllo sul rispetto del diritto
romano, della cui interpretazione era custode. In tal senso poteva
anche controllare la redazione degli annales pontificum, cioè delle
cronache pubbliche, e della tabula dealbata, riportante la lista dei
magistrati in carica. L'Imperatore stesso era oggetto di un culto
imperiale, nel quale il genio del Principe diveniva oggetto di
pratiche religiose, spesso affiancandosi nei templi ad altre forme
divinizzate del potere imperiale dello Stato, come la dea Roma. Il
culto del genius principis, sebbene spesso percepito nelle classi
elevate come una forzatura della religione tradizionale, consentiva
di rivolgere al sovrano cerimonie pubbliche di valenza religiosa
senza per questo infrangere i principi che vietavano il culto di
persone viventi. A questo si aggiungeva la possibilità di rivolgere
poi un vero e proprio culto alla persona dell'Imperatore dopo la sua
morte una volta che questi fosse pubblicamente divinizzato dal Senato
con il riconoscimento della sua condizione di divus. Il complesso di
tali pratiche durerà fino all'anno 375, quando l'imperatore Graziano
declinerà l'onore del pontificato massimo perché incompatibile con
la nuova religione cristiana, anche se Costantino I non rinunciò mai
a tale potere. Tuttavia anche nel nuovo ambito cristiano l'Imperatore
continuò a rivestire un ruolo preminente come vicario di Cristo e
rappresentazione terrena dell'ordine celeste. Questo valse
soprattutto per gli imperatori romani d'Oriente, che potevano, in
qualità di vicari (rappresentanti) della divinità, manovrare
patriarchi, papi e vescovi oltre ad emettere editti a carattere
religioso e convocare concili. Ottaviano stesso inaugura l'epopea
della Pax Romana, che vede l'impero come area di civiltà che si
esprime nel diritto e al cui interno non vi sono conflitti, e
ricorderà che si era ritrovato una Roma costruita di mattoni e la
lascerà edificata di marmi.
Ottaviano Augusto nell' Ara Pacis. |
Sempre Augusto elevò il censo senatoriale, portandolo prima da quattrocentomila a un milione di sesterzi nel 13 a.C. (nel I secolo d.C. 1 sesterzio valeva circa 2 €) e infine a un milione e duecentomila sesterzi, e diede la differenza ai senatori che non ne avevano abbastanza. Inoltre, per diventare senatori bisognava essere ex-magistrati e l'assunzione di cariche magistratuali dipendeva dal beneplacito imperiale. L'imperatore poteva inoltre introdurre in senato persone da lui scelte con la procedura dell'adlectio (promozione a) e guidava la revisione delle liste dei senatori (lectio senatus). Sappiamo che nell'11 a.C. Augusto redasse una lista non solo delle sue proprietà, come se fosse un cittadino comune, ma anche una per i senatori. E sempre in quella circostanza, poiché si era accorto che i presenti alle assemblee senatoriali non erano spesso in molti, ordinò che i decreti di questo organo collegiale venissero votati anche quando i membri fossero stati meno di quattrocento.
L'imperatore aveva il diritto di convocare e presiedere il senato, cosa che poteva essere fatta anche dal console e dal pretore. In materia finanziaria il senato conservava l'amministrazione dell'aerarium populi Romani, anche se il fiscus (tesoro) imperiale a mano a mano diventò sempre di più il vero tesoro dello Stato. Svetonio racconta che Augusto ebbe un ottimo rapporto con l'ordine senatorio. Nei giorni di seduta del Senato egli salutava i senatori solo all'interno della curia e dopo che si fossero seduti, chiamando ciascuno con il suo nome, senza alcun suggerimento. E quando se ne andava, salutava tutti allo stesso modo, senza costringerli ad alzarsi. Coltivò relazioni con molti di loro e spesso fu presente alle solennità celebrate da molti di loro, almeno fino a quando non fu troppo vecchio. Si racconta che: «Sebbene il senatore Gallo Terrinio non fosse uno dei suoi migliori amici, quando venne colpito da una malattia agli occhi e decise di morire di fame, Augusto stesso lo consolò e lo trattenne alla vita.» (Svetonio, Augustus, 53).
Gaio Cilnio Mecenate, di Cgheyne da QUI. |
Tiberio, dal Museo di Venezia QUI. |
Nell'anno 14 d.C., alla morte di Augusto, all'età di 55 anni Tiberio gli succede alla guida dell'impero Romano. I senatori avevano deciso di tributare solenni onoranze funebri al princeps defunto, il cui corpo fu cremato nel Campo Marzio, e iniziarono poi a rivolgere preghiere a Tiberio perché assumesse il ruolo e il titolo che era stato di suo padre, e guidasse dunque lo Stato romano; Tiberio inizialmente rifiutò, secondo Tacito e Svetonio volendo in realtà essere supplicato dai senatori, perché non sembrasse che il governo dello Stato subisse svolte in senso autocratico e perché il sistema repubblicano rimanesse almeno formalmente intatto. Alla fine Tiberio accettò l'offerta dei senatori, prima di irritarne gli stessi animi, probabilmente essendosi reso conto che vi era l'assoluta necessità di un'autorità centrale: il corpo (l'Impero) aveva bisogno di una testa (Tiberio). Risulta, pertanto, più probabile la tesi sostenuta dagli autori filotiberiani, che raccontano che le esitazioni di Tiberio nell'assumere la guida dello Stato erano dettate da una reale modestia, più che da una premeditata strategia. Dopo la seduta del Senato del 17 settembre del 14, dunque, Tiberio divenne il successore di Augusto alla guida dello Stato romanoAsceso al trono imperiale all'età di quasi 56 anni, Tiberio (Roma,16 novembre 42 a.C. - Miseno, 16 marzo 37 d.C.) operò molte importanti riforme in ambito economico e politico e pose fine alla politica di espansione militare, limitandosi a mantenere sicuri i confini grazie anche all'opera del nipote Germanico Giulio Cesare. Dopo la morte di quest'ultimo, Tiberio, allontanandosi da Roma per ritirarsi nell'isola di Capri, favorì sempre più l'ascesa del prefetto del pretorio Seiano, che provocò, fra le altre cose, una progressiva esautorazione del Senato a proprio vantaggio. Quando il prefetto mostrò di volersi impadronire del potere assoluto, Tiberio lo fece destituire e uccidere, ma evitò ugualmente di rientrare nella capitale. Tiberio è stato duramente criticato dagli storici antichi, quali Tacito e Svetonio, che soprassedettero alle imprese militari che Tiberio aveva compiuto sotto Augusto e i provvedimenti politici che aveva preso nel primo periodo del suo principato, registrando invece tutte le critiche e le calunnie che i nemici gli riversavano, fornendone quindi di Tiberio una descrizione fondamentalmente negativa. Sicuramente non fu amato dal popolo romano, d'altro canto Tiberio non cercò mai di allontanare dalla sua figura critiche e sospetti, probabilmente infondati, a causa della sua personalità chiusa, malinconica e sospettosa. La sua figura però è stata rivalutata dalla storiografia moderna come quella di un politico abile e attento e impedì, con il suo governo fermo, ordinato e rispettoso delle regole poste da Augusto, che l'opera di quest'ultimo avesse un carattere di provvisorietà e andasse perduta. Egli infatti, riuscì nel corso del suo regno a dare quella continuità indispensabile al sistema del principato, ed evitare che la situazione degenerasse in nuove guerre civili, come era accaduto invece ai tempi di Mario e Silla, Giulio Cesare e Pompeo, Marco Antonio e Ottaviano. Poco dopo la caduta di Seiano (nel 31), si riapre la questione della successione. Ed è in questa circostanza che Tiberio, ormai ritiratosi a Capri dal 26, vuole che a fargli compagnia sia il nipote Caligola. Giunto sull'isola, Gaio ricevette la toga virilis, senza che però gli fosse riservato alcun onore aggiuntivo. Il ragazzo, durante il soggiorno sull'isola, mostrò grande autocontrollo e sembrò dimenticare tutte le crudeltà che Tiberio aveva compiuto nei confronti della sua famiglia. In questa occasione l'oratore Passieno pronunciò la celebre frase: «Non c'è mai stato un servo migliore e un padrone peggiore». Svetonio racconta che, già in questo periodo, Gaio mostrò i primi segnali della sua natura crudele e viziosa, assistendo spesso e volentieri alle esecuzioni capitali, oltre a frequentare taverne e bordelli, mascherandosi per non farsi riconoscere. Tiberio che conosceva i vizi del nipote, ne tollerava la condotta e che in lui cercava la sua vendetta personale nei confronti del popolo romano, che ormai lo odiava, tanto da fargli pronunciare la frase: «Gaio vive per la rovina sua e di tutti; io educo una vipera per il popolo romano, un Fetonte per il mondo». Nel 37 Tiberio, ormai 77enne, lascia Capri forse con l'idea di rientrare finalmente in Roma per trascorrervi i suoi ultimi giorni; intimorito però dalle reazioni che il popolo avrebbe avuto, si ferma a sole sette miglia dall'Urbe e decide di tornare indietro verso la Campania. Qui è colto da malore e, trasportato nella villa di Lucullo a Miseno, dopo un iniziale miglioramento, il 16 marzo cade in uno stato di delirio in cui è creduto morto. Mentre molti già si apprestavano a festeggiare l'ascesa di Caligola, Tiberio si riprende ancora una volta, suscitando scompiglio tra coloro che avevano già acclamato il nuovo imperatore. Il prefetto Macrone, tuttavia, mantenendo la lucidità, ordina che Tiberio sia soffocato tra le coperte: era il 16 marzo del 37. Il vecchio imperatore, debole e incapace di reagire, spira. La plebe romana reagì con grande gioia alla notizia della morte di Tiberio, festeggiandone la scomparsa. Molti monumenti che celebravano le imprese dell'imperatore furono distrutti, così come numerose statue che lo raffiguravano. In molti tentarono di far cremare il corpo di Tiberio a Miseno, ma fu comunque possibile trasportarlo a Roma, dove fu cremato nel Campo Marzio e sepolto, tra le ingiurie, nel Mausoleo di Augusto il 4 aprile, presidiato dai pretoriani. Mentre l'imperatore defunto riceveva queste modeste onoranze funebri il 29 marzo, Caligola era già stato acclamato princeps dal Senato.
Gaio Cesare Caligola da QUI. |
In generale la politica giudiziaria di Caligola (Gaio Giulio Cesare Augusto Germanico, Anzio, 31 agosto 12 - Roma, 24 gennaio 41, regnante dal 37 al 41 con il nome di Gaio Cesare e meglio conosciuto con il soprannome di Caligola, da "piccola caliga", la calzatura dei legionari, affettuoso soprannome datogli in giovane età dai soldati del padre, ma che lui non voleva che si usasse), si può dividere in due periodi: il primo, molto liberale e filo-popolare, nel quale egli cercò anche il favore dell'ordine senatorio; il secondo, nel quale il princeps fece di tutto per accrescere il proprio potere, in una sorta di assolutismo monarchico, che egli sfruttò per accumulare ricchezze e per disporre del destino dei cittadini romani a suo piacimento, fino a nominare senatore, nel 41 d.c., Incitatus , il suo cavallo.
Caliga, da QUI. |
Il 24 gennaio del 41, durante l'annuale celebrazione dei ludi palatini, un gruppo di pretoriani, guidati dai due tribuni Cherea e Cornelio Sabino, misero in atto il loro piano per assassinare il princeps. L'occasione era favorevole, in quanto i congiurati avrebbero potuto mescolarsi agli spettatori accorsi al teatro mobile tradizionalmente allestito di fronte al palazzo imperiale. Caligola giunse in teatro, si sedette e iniziò ad assistere allo spettacolo. Quando verso l'ora settima o forse la nona a seconda delle fonti pervenuteci, egli decise di andarsene e mentre percorreva un criptoportico che congiungeva il teatro al palazzo, si fermò a conversare con un gruppo di attori asiatici che avrebbero dovuto esibirsi a breve. Fu a questo punto che il principe incontrò infine la sorte temuta. Al primo tumulto, accorsero in suo aiuto i portatori della lettiga, armati di bastoni, poi i germani della sua guardia che uccisero alcuni dei suoi assassini e anche qualche senatore estraneo al delitto. Durante lo scontro il ventottenne Caligola fu pugnalato a morte. Qualche ora dopo persero la vita anche sua moglie Milonia Cesonia, pugnalata da un centurione appositamente inviato da Cherea, e la figlia piccola, Giulia Drusilla, che fu scaraventata contro un muro. Secondo Svetonio il principe fu colpito da oltre trenta pugnalate. Il suo cadavere fu portato negli Horti Lamiani, semi-bruciato e frettolosamente ricoperto di terra. Quando le sorelle tornarono dall'esilio, disseppellirono il corpo del fratello e posero le sue ceneri nel Mausoleo di Augusto. Al momento della diffusione della notizia che Caligola era morto nessuno osò festeggiare, poiché i più credevano che l'imperatore avesse messo in giro la voce per capire di chi potesse fidarsi. Quando questa comunicazione fu però confermata, non avendo i congiurati nominato alcun altro imperatore, il Senato si riunì e dichiarò di voler ripristinare la Repubblica, cancellando di fatto il governo dei precedenti principes a partire da Augusto. Cherea provò a convincere l'esercito ad appoggiare i padri coscritti, ma senza successo. Alla fine i senatori si resero conto di dover nominare un nuovo successore, che Lucio Annio Viniciano, importante senatore e cospiratore, indicò in Marco Vinicio, suo parente e marito di Giulia Livilla. Alla morte di Caligola, i membri della famiglia imperiale rimasti ancora in vita erano pochi. Tra questi vi era il cinquantenne Claudio che, appena saputo della morte del nipote Gaio, corse a nascondersi nelle sue stanze; rintracciato da un pretoriano mentre era nascosto dietro una tenda, fu condotto nel loro accampamento per essere acclamato imperatore dalle guardie pretoriane stesse mentre il Senato era occupato tra Foro e Campidoglio. Claudio venne invitato a presentarsi davanti al popolo, ma prima decise di comprarsi la fedeltà della guardia pretoriana promettendo la somma di quindicimila sesterzi (un sesterzio equivaleva all'incirca a 2 € attuali) per ciascun pretoriano che gli prestasse giuramento. Fu così che Claudio venne elevato alla porpora imperiale e divenne il quarto imperatore di Roma. Il nuovo princeps pose quindi il proprio veto a quanto il Senato aveva appena deliberato, e cioè condannare Caligola alla damnatio memoriae. Poi, su invito del popolo romano, fece imprigionare e condannare a morte tutti i congiurati, compreso Cassio Cherea.
Claudio, Museo archeologico di Napoli, da QUI. |
Claudio ottenne così il Principato con la forza delle armi; fu quindi il primo il fra gli imperatori a comprarsi la fedeltà dei pretoriani e sarà il primo princeps a non essere eletto dal Senato.
Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico (Lugdunum, 1º agosto 10 a.C. - Roma, 13 ottobre 54), appartenente alla dinastia giulio-claudia e il primo a nascere fuori dalla penisola italiana, fu dunque il quarto imperatore romano, dal 41 al 54. Claudio era rimasto l'unico membro superstite della famiglia Giulio-Claudia a poter essere messo sul trono imperiale. Molti suoi famigliari erano stati assassinati da tempo, mentre Claudio era riuscito a scampare ad ogni congiura perché nessuno lo aveva considerato un avversario pericoloso. Suo zio Tiberio, non si era dimostrato nei suoi confronti più disponibile di quanto lo fosse stato Augusto in passato: quando Claudio gli chiese il permesso di iniziare il cursus honorum, Tiberio gli conferì gli ornamenta consularia, i simboli del rango consolare, ma quando Claudio chiese un ruolo più attivo glielo rifiutò. Se la sua famiglia non perdeva occasione per dimostrare di non averne grande stima, il popolo romano, al contrario, pare lo tenesse in una qualche considerazione: alla morte di Augusto, infatti, l'ordine equestre lo aveva scelto come proprio patrono, mentre il Senato romano aveva proposto di ricostruire a spese pubbliche la sua casa distrutta da un incendio e di permettergli di partecipare alle proprie sedute. Proposte, peraltro, che Tiberio aveva respinto. Di fronte a questo ostracismo, Claudio abbandonò ogni aspirazione alla carriera politica e si ritirò a vita privata, dedicandosi ai suoi studi di storia. Scrisse, infatti, un trattato sugli Etruschi, andato perduto, (celebre rimane il frammento di un'iscrizione di Lione, sua città natale, che trascrive un discorso pubblico di Claudio in cui lo stesso faceva riferimento alla storia degli Etruschi, da lui stesso amata e studiata per decenni, in particolare al periodo di Servio Tullio, il sesto re di Roma, da lui nominato Mastarna: CIL XIII, 1668) di cui studiò anche la lingua; una storia su Cartagine, una difesa di Cicerone, alcuni trattati sul gioco dei dadi e sull'alfabeto, tutti andati perduti. Sempre in questo periodo sposò (nel 15) Plauzia Urgulanilla, nobildonna di origine etrusca da cui ebbe due figli: Druso Claudio, morto in giovane età, e Claudia, che però Claudio non riconobbe, accusando Plauzia di adulterio e divorziando da lei nel 28. A partire da Claudio, indifferente al potere del senato, fu creata una nuova categoria di province, cosiddette procuratorie, nelle quali il principe inviava un procurator Augusti di rango equestre, e non senatoriale, che aveva piena giurisdizione in campo militare, giudiziario e finanziario. In queste province erano stanziate solamente truppe ausiliarie, che nel tempo prevarranno nell'impero, portandolo inevitabilmente al collasso. A questo sistema, faceva eccezione, già al tempo di Augusto, la prima provincia imperiale per costituzione, ovvero l'Egitto, assegnato ad un Praefectus Aegypti di rango equestre e di nomina imperiale che, unico fra i governatori equestri, aveva al proprio comando una o più legioni.
Nerone, da QUI. |
Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (Anzio, 15 dicembre 37 - Roma, 9 giugno 68), nato come Lucio Domizio Enobarbo e meglio conosciuto semplicemente come Nerone, è stato il quinto imperatore romano, l'ultimo appartenente alla dinastia giulio-claudia. Regnò circa quattordici anni dal 54 al 68, anno in cui si fece uccidere da un suo servo. Nerone è stato un principe molto controverso nella sua epoca; ebbe alcuni innegabili meriti, soprattutto nella prima parte del suo impero, quando governava con la madre Agrippina e con l'aiuto di Seneca, filosofo stoico e di Afranio Burro, prefetto del pretorio, ma fu anche responsabile di delitti e atteggiamenti dispotici. Accusati sommariamente di congiure contro di lui o crimini vari, caddero vittime della repressione la stessa madre, la prima moglie Valeria Messalina e lo stesso Seneca, costretto a suicidarsi, oltre a vari esponenti della nobiltà romana, e molti cristiani. Per la sua politica assai favorevole al popolo, di cui conquistò i favori con elargizioni e giochi del circo e il suo disprezzo per il Senato romano, fu - come era già stato per lo zio Caligola - molto inviso alla classe aristocratica (tra i quali i suoi principali biografi, Svetonio e Tacito). Per le ingenti spese sostenute, Nerone attuò riforma del conio ed emise una nuova moneta sulla quale, nel dritto, appare la sua figura con il capo incoronato e l'aspetto fiero con la scritta: "IMP NERO CAESAR AVG GERM" e, sul rovescio, il tempio di Giano "a porte chiuse" con la scritta: "PACE P R UBIQ PARTA IANVM CLVSIT - S C -" (senatus consulto). Per la prima volta dunque, a Roma un principe si fregia del titolo ufficiale di Imperatore.
Nel 69 sono presenti quattro imperatori al trono in rapida successione: Galba, successore di Nerone in carica dal giugno 68, Otone, entrato in carica a gennaio, Vitellio, imperatore da aprile e Vespasiano, che otterrà la porpora a dicembre per tenerla saldamente per dieci anni. Galba venne eletto in Hispania, Vitellio dalle legioni germaniche, Otone dalla guardia pretoriana a Roma ed infine Vespasiano dalle legioni orientali e danubiane. La dinastia flavia fu la seconda dinastia imperiale romana e detenne il potere dal 69 al 96. I Flavii Vespasiani erano una famiglia della classe media, d'origine modesta, giunta prima all'ordine equestre grazie alla militanza fedele nell'esercito di Tito Flavio Vespasiano, che prese il potere durante l'Anno dei quattro imperatori e che imporrà la successione al trono ereditaria. La dinastia flavia è la seconda dinastia imperiale romana, che ha detenuto il potere dal 69 al 96 con Vespasiano (imperatore nel 69/79), Tito (imperatore nel 79/81) e Domiziano (imperatore nell'81/96).
Si evidenzia dunque il fatto che il Senato, che in età repubblicana eleggeva consoli e generali, dopo avere caldeggiato l'ascesa di Augusto prima e di Tiberio e Caligola poi, a partire dall'elezione di Claudio non sarebbe mai più potuto intervenire nell'elezione degli imperatori.
Vespasiano: Ny Carlsberg Glyptotek, Copenhagen, foto di Carole Raddato da QUI. |
Con la contestazione del potere di Vitellio da parte delle legioni orientali, Vespasiano, inviato da Nerone a reprimere la rivolta degli ebrei in Palestina, viene scelto da esse come nuovo candidato a imperatore. Lasciato il figlio Tito in Giudea, egli si recò in Egitto aspettando prudentemente a recarsi a Roma finché generali a lui fedeli sconfiggessero Vitellio nella pianura padana (seconda battaglia di Bedriaco del 69) e finché non ricevette manifestazioni di pubblica obbedienza da parte del Senato e da ogni area dell'Impero. Nella capitale stazionò intanto il figlio secondogenito Domiziano, come reggente, finché non venne raggiunto dal padre nell'estate del 70. Tito Flavio Vespasiano, meglio conosciuto come Vespasiano (Cittareale, 17 novembre 9 - Cotilia, 23 giugno 79), governò fra il 69 e il 79 con il nome di Cesare Vespasiano Augusto. Ristabilita la calma a Roma, Vespasiano, il primo principe dell'ordine equestre, poté dedicarsi a ristabilire al più presto l'ordine, riconducendo le varie istituzioni alle loro competenze originarie frenando sia le richieste dei generali, sia l'indebolimento del Senato. Anche se di fatto si riservò un potere assoluto, favorì l'accesso alla carica senatoria di numerosi esponenti non italici (soprattutto Ispanici e Galli), favorendo così la romanizzazione delle province. In campo economico, dopo il disastroso anno dei quattro imperatori, fu costretto a attuare una politica di rigore con misure anche impopolari, quali l'introduzione di nuove tasse. Un celebre aneddoto riferisce che egli mise una tassa sugli orinatoi (gabinetti pubblici, che da allora vengono chiamati anche vespasiani). Rimproverato dal figlio Tito, che riteneva la cosa sconveniente, gli mise sotto il naso il primo danaro ricavato, chiedendogli se l'odore gli dava fastidio («Pecunia non olet» ovvero «il denaro non ha odore», quale che ne sia la provenienza); e dopo che questi gli rispose di no, aggiunse «eppure proviene dall'orina». Attraverso l'esempio della sua semplicità di vita, mise alla gogna il lusso e la stravaganza dei nobili romani e iniziò sotto molti aspetti un marcato miglioramento del tono generale della società. Grazie alle nuove entrate venne intrapresa una notevole stagione edilizia nella capitale e nelle province che portò nuovo benessere a tutto l'Impero. Dal punto di vista militare Vespasiano cercò di consolidare ed estendere i confini, soprattutto nelle zone più strategiche, come la Britannia e la zona tra Reno e Danubio (circa l'attuale Foresta Nera). Vespasiano attuò un ristabilimento economico e sociale in tutto l'Impero che godette, grazie al suo governo, di una pax che rimarrà proverbiale. Di fatto sarà uno degli imperatori più amati della storia romana. Vespasiano imporrà la successione al trono ereditaria.
Domiziano: Musei Capitolini, Roma, da QUI. |
Nell'81 l'imperatore Tito, primo figlio e successore di Vespasiamo, si ammala e muore in una villa di sua proprietà. Le fonti parlano di una forte febbre: secondo Svetonio, potrebbe essere stato colpito dalla malaria assistendo i malati, oppure avvelenato dal suo medico personale Valeno su ordine del fratello Domiziano. Dopo la prematura scomparsa di Tito sale al potere il suo fratello minore, Domiziano (Roma, 24 ottobre 51 - Roma, 18 settembre 96), imperatore dall'81 alla sua morte che seguirà le orme del padre in politica estera, intraprendendo alcune campagne militari tese a rafforzare i confini. Fece a tale scopo costruire una serie di fortini collegati tra loro nella regione del Reno, presidiati stabilmente da contingenti di ausiliares e nell'area danubiana stanziò stabilmente guarnigioni di legionari, dall'attuale Austria fino quasi al Mar Nero. In politica interna invece Domiziano si distanziò notevolmente dal tracciato paterno, instaurando di fatto una monarchia assoluta di stampo autocratico, accettando con piacere forme di servilismo da parte dei senatori, come l'adulazione ostentata e il titolo di "Dominus ac deus"(signore e dio). Domiziano si rese estremamente impopolare per le sue tendenze autocratiche, che spezzarono quell'illusione, creata da Augusto, che l'imperatore fosse solo un primus inter pares, cioè il primo fra uguali. Quale censore a vita espulse dal Senato a più riprese gli elementi a lui sfavorevoli, determinando una forte situazione di attrito. Ai tentativi di congiura scoperti rispose sempre con fermezza, emettendo numerose condanne a morte che colpirono anche personaggi in vista dell'aristocrazia. Ciò non fece che accelerare i tentativi del Senato di sopprimerlo, individuando infine un liberto che aveva accesso alla sua corte come esecutore materiale e l'anziano senatore Marco Cocceio Nerva quale suo successore. Con la morte di Domiziano (96) ebbe fine la dinastia flavia. A Domiziano verrà inflitta la damnatio memoriae, con la distruzione di ogni immagine, iscrizione o dedica che lo potesse ricordare ai posteri.
Adriano: Museo delle Terme, Roma. Foto di Livioandronico2013 da QUI. |
Publio Elio Traiano Adriano, noto semplicemente come Adriano (Italica, antica città della Spagna romana vicino all'attuale Siviglia, primo insediamento di romani e italici nella penisola iberica, 24 gennaio 76 - Baia, frazione di Bacoli, comune della città metropolitana di Napoli e parte dei Campi Flegrei, 10 luglio 138), è imperatore romano della dinastia degli imperatori adottivi dal 117 alla sua morte. Successore di Traiano, fu uno dei "buoni imperatori" secondo lo storico Edward Gibbon. In merito alla sua divinizzazione postuma, voluta dal suo successore Antonino Pio, si oppose fieramente tutto il Senato, che non aveva dimenticato come Adriano avesse diminuito l'autorità dell'assemblea e ne avesse mandato a morte alcuni membri. Alla fine si giunse ad un compromesso: il Senato non si sarebbe opposto alla divinizzazione del defunto imperatore se Antonino avesse abolito l'organo di governo dell'Italia formato da quattro giudici circoscrizionali, che minavano l'autorità all'ordine senatorio.
Busto di Antonino Pio conservato a Monaco di Baviera. |
Sesterzio di Adriano, dupondio di Antonino Pio e asse di Marco Aurelio, da https://it.wikipedia.org/ wiki/Asse_(moneta)#/media/File:Sestertius_ dupondius_as.jpg |
Commodo rappresentato con gli attributi di |
Settimio Severo |
Caracalla |
Gaio Giulio Vero Massimino, noto come Massimino il Trace, il primo imperatore barbaro, da: QUI. |
Dal 250 - Dopo il primo assalto avvenuto durante l'epoca di Marco Aurelio, un'altra pesantissima e ancor più devastante epidemia di peste colpisce i territori dell'Impero nel ventennio 250-270. Si è calcolato che il morbo abbia mietuto milioni di vittime e che alla fine la popolazione dell'Impero si fosse ridotta del 30 per cento, da 70 a 50 milioni di abitanti. Il prezzo da pagare per la sopravvivenza dell'Impero fu molto alto anche in termini territoriali: a partire dal 260, gli Imperatori che si susseguirono dovettero abbandonare definitivamente, gli Agri decumates oltre il Reno (con Gallieno imperatore) e la provincia delle Tre Dacie (con Aureliano imperatore, nel 271 circa).
Valeriano su sesterzio. Di Classical Numismatic Group, |
L'imperatore Gallieno. |
L'Europa centrale nel 258-260 con i percorsi delle migrazioni delle delle confederazioni dei Franchi, dei Suebi Alemanni, Marcomanni e Quadi, dei Sàrmati Iazigi. Immagine da: QUI. |
Claudio il Gotico, di Sailko, opera propria CC BY 3.0: QUI. |
Aureliano, da: QUI. |
Carta delle invasioni nell'Impero Romano nel periodo 268-271da parte delle confederazioni suebiche degli Alemanni, Iutungi e Marcomanni, dei vandalici Asdingi e dai sarmatici Iazigi. |
- La crisi politico-militare del III sec., durata 50 anni e caratterizzata da almeno tre conflitti, quello esterno, innescato dalle invasioni barbariche, quello interno tra l'aristocrazia senatoria ed i comandanti militari e quello nelle file dell'esercito tra generali, imperatori ed usurpatori, dimostrava la maggiore importanza dell'elemento militare che doveva difendere l'Impero rispetto al Senato, che aveva ormai perso non solo autorità, ma anche autorevolezza. Gli imperatori ormai non provenivano più dai ranghi del Senato, ma erano i generali che avevano fatto carriera nell'esercito e che erano proclamati dai soldati, ottenendo il potere dopo aver combattuto contro altri comandanti. Con la riforma dell'esercito operata da Gallieno (260-268) il Senato di Roma finì per essere escluso non solo sostanzialmente, ma anche ufficialmente dal comando militare, in quanto l'imperatore decretò che le legioni potessero essere guidate anche da praefecti di rango equestre (in precedenza il comando delle legioni era monopolio di legati di classe senatoria). L'insicurezza del territorio comportò anche un cambiamento nel carattere delle città: queste si erano ovunque sviluppate nei primi due secoli dell'impero e non avevano particolari esigenze difensive, mentre a partire dal III secolo iniziò il cambiamento graduale e discontinuo che avrebbe portato dalle grandi città aperte dell'antichità, alle più piccole città cinte da mura, comuni nel medioevo. Particolarmente significativa fu la nuova cinta muraria che l'imperatore Aureliano fece costruire intorno alla stessa Roma, che dopo molti secoli era nuovamente minacciata dalle incursioni dei barbari. La costruzione delle mura iniziò probabilmente nel 271 e si concluse dopo soli due anni, anche se la definitiva rifinitura avvenne verso il 280, sotto l’imperatore Probo. Il progetto era improntato sulla massima velocità di realizzazione e semplicità strutturale oltre, ovviamente, ad una garanzia di protezione e sicurezza. Queste caratteristiche fanno pensare che un ruolo non secondario, almeno nella progettazione, sia stato rivestito da esperti militari. E d’altra parte, poiché all’epoca gli unici nemici che potevano rappresentare qualche pericolo non erano in grado di compiere molto più che qualche razzia, un muro con robuste porte ed un camminamento di ronda poteva ritenersi sufficiente. Comunque, nessun nemico assediò le mura prima dell'anno 408. La stessa diminuzione del commercio indirizzava inoltre le città verso un sempre crescente isolamento. I grandi centri videro diminuire la propria popolazione: molti grandi proprietari si erano spostati nei loro possedimenti in campagna, diventati in larga misura autosufficienti e che tendevano a sfuggire al controllo dell'autorità centrale; la crisi aveva attratto verso questi nuovi centri economici anche coloro che precedentemente trovavano la propria sussistenza nell'economia cittadina. La pressione fiscale aveva inoltre quasi del tutto cancellato quel ceto di funzionari cittadini, i decurioni, che ne garantivano l'amministrazione ed il legame con Roma.
La Mesia nel 250, da: QUI. |
Diocleziano |
Massimiano |
Costantino I o il Grande, Roma, Musei Capitolini. |
Ambrogio di Milano. |
Solidus di Flavio Graziano (Sirmio, Sremska Mitrovica in Serbia, 04/05 359 - Lugdunum, 25/08/383), sotto l'influenza di Ambrogio avviò una politica anti-pagana. Di Rasiel Suarez - Opera propria, CC BY-SA 3.0: QUI. |
Nel 375 il sedicenne Imperatore d'occidente Graziano (sicuramente convinto dal vescovo Ambrogio), di religione cristiana cattolica, rinuncia alla carica di Pontefice Massimo, che con Augusto era stata assorbita dalla figura dell’Imperatore, per donarla al Vescovo di Roma che da lì in poi diventerà sinonimo di Papa. Graziano così opera una netta distinzione fra potere politico e autorità religiosa decretando comunque un primato di Roma nell'ambito del Cristianesimo, in cui Costantino I aveva trasfuso l'istituzionalità dell'Impero Romano.
Nel 409 un'ambasceria guidata da Attalo, membro del Senato romano, giunge a Ravenna il 17 gennaio 409 con lo scopo di perorare la causa del sovrano visigoto Alarico I. Non ha successo ma Attalo è comunque onorato dall'imperatore Onorio della carica di comes sacrarum largitionum, grazie all'influenza di Olimpio, membro della corte che aveva causato la caduta e la morte di Stilicone. Prisco Attalo (fl. 394 - 416) è stato un senatore romano, due volte usurpatore dell'Impero romano, la prima volta nel 409 - 410 e la seconda nel 414 - 415, elevato a quella carica dal sostegno dei Visigoti. Greco dell'Asia di rango senatoriale, Attalo era uno dei più influenti membri del Senato romano, pagano e interessato agli indovini. Nel 398 aveva fatto parte di un'ambasceria del Senato romano presso l'imperatore Onorio che chiedeva l'esenzione dei senatori dal reclutamento nell'esercito, esenzione che ottennero. Il re dei Visigoti Alarico I, per tutta risposta, eleva Attalo al soglio imperiale, in opposizione a Onorio, che si era rinchiuso a Ravenna. In quell'occasione, Attalo si fa battezzare ed estende i diritti delle gerarchie, cattolica e ariana, nomina Alarico magister utriusque militiae, che lo pone a capo delle gerarchie militari e civili mentre suo fratello Ataulfo riceve il rango di guardia imperiale a cavallo. Attalo rappresentava gli interessi della nobiltà senatoriale, all'epoca in conflitto con Onorio, contrasto che negava l'autorità di Attalo nell'impero e in regioni dell'Italia. Avvenne così la defezione di Eracliano, il comes Africae, fedele a Onorio che controllava la diocesi d'Africa, dalla quale giungeva l'indispensabile rifornimento di grano per la città di Roma: allo scopo di indebolire Attalo, Onorio aveva ordinato a Eracliano di interrompere la fornitura, causando la carestia in città. Attalo, di concerto con Alarico, preparò una spedizione contro Eracliano, poi quella stessa estate si mosse verso Ravenna accompagnato dal re visigoti, mettendo sotto assedio la capitale di Onorio. L'imperatore assediato offrì ad Attalo di condividere il potere, ma questi si rifiutò, continuando l'assedio; fu però costretto a ritornare a Roma, in quanto la sua capitale soffriva per la mancanza di rifornimenti di grano causati dal blocco ordinato da Eracliano, che aveva sconfitto le forze inviategli contro da Attalo. Quando Attalo si rifiutò di affidare a un capo goto il comando di una seconda spedizione contro Eracliano, poiché intenzionato a trattare con Onorio, Alarico lo depose, spogliandolo dei paramenti imperiali e incarcerandolo insieme al figlio Ampelio e progettò di mettere in atto il sacco di Roma.
Il successivo sacco di Roma del 410 per opera dei Goti di Alarico, dimostrò che cosa valesse l'impero senza le milizie e i comandanti germanici ed ebbe così inizio l'epoca dei regni germanici nelle provincie romane. Dopo otto secoli un esercito straniero entrava di nuovo a Roma. Nella navata centrale della Basilica di Sant'Ambrogio a Milano, si può vedere un sarcofago paleocristiano in marmo chiamato Sarcofago di Stilicone. Risulta tuttavia inverosimile, per il luogo e il modo in cui fu ucciso, che il generale sia stato sepolto a Milano; il nome della tomba si deve probabilmente ad una tradizione popolare. Un nuovo esercito romano era in preparazione in Italia per una seconda campagna contro l'usurpatore Costantino III, ma quando Stilicone venne giustiziato per ordine di Onorio (il 22 agosto 408), il generale romano di origini gote Saro e i suoi uomini abbandonarono l'esercito, lasciando l'imperatore senza protezione, arroccato nell'inespugnabile Ravenna con l'esercito dei Visigoti di Alarico I libero di muoversi in Etruria.
L'imperatore Giustiniano. Basilica di San Vitale, a Ravenna. |
Papa Gregorio I, in una predica del 593, lamentava la quasi completa scomparsa dell'ordine senatoriale e il declino della prestigiosa istituzione. Non è chiaramente noto quando il Senato romano scomparve in Occidente, ma è noto dal registro gregoriano che il Senato acclamò nuove statue dell'imperatore Foca e dell'Imperatrice Leonzia nel 603, e fu anche l'ultima volta in cui il Senato sia stato menzionato.
Nel 630, Curia Giulia fu trasformata in chiesa da papa Onorio I, probabilmente con il permesso dell'imperatore Eraclio. In epoca tardo medievale, il titolo di "senatore" era ancora in uso occasionale, ma era diventato un titolo aggiuntivo di nobiltà insignificante e non implicava più l'appartenenza a un corpo governativo organizzato. Venne così sostituito da "Senatore di Roma" come eredità dello scomparso Senato.
Nel 1144, la Comune di Roma tentò di stabilire un governo modellato sull'antica repubblica romana in opposizione al potere temporale dei nobili più alti e del papa. Questo includeva istituire un senato sulla falsariga di quello antico. I rivoluzionari divisero Roma in quattordici regioni, eleggendo ciascuno quattro senatori per un totale di 56. Questi senatori, i primi veri senatori dal VII secolo, elessero come loro condottiero Giordano Pierleoni, figlio del console romano Pier Leoni, con il titolo di patrizio, poiché anche il titolo "console" era considerato deprecabile in quanto esprimente lo stile nobiliare. Questa forma di governo rinnovata fu costantemente combattuta. Verso la fine del XII secolo, aveva subito una trasformazione radicale, con la riduzione del numero di senatori in uno solo - il senatore Summus - essendo in seguito il titolo del capo del governo civile di Roma.
Il logo della Repubblica di Roma, Senatus Popolus Quirites Romani. |
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