Potere del Vaticano da http://www. veritaoltreilsistema.com/2011/01/il-po tere-del-vaticano-tra-ricchezze-e.html |
La parola clericalismo indica un agire
in senso politico che mira alla salvaguardia e al raggiungimento
degli interessi del Clero e, conseguentemente, si concretizza nel
tentativo di indebolire la laicità di uno Stato attraverso il
diretto intervento nella sfera politica e amministrativa da parte di
sostenitori anche non appartenenti al Clero, o talvolta non credenti. Al clericalismo si contrappone
politicamente il laicismo e ideologicamente l'anticlericalismo.
Periodico satirico anti- clericale nel 1907, da. https://commons.wiki media.org/w/index. php?curid=15929710 |
Lo Stato della Chiesa per circa un
millennio si era esteso su buona parte dell'Italia centrale,
costituendo la base territoriale del potere temporale dei papi. Papa Leone X, raccontava che la favola
di Gesù era una vera pacchia per il clero e questo è indubbio!
Fu annesso al Regno d'Italia nel 1870, quando i bersaglieri (il 20 settembre) penetrarono in Roma attraverso la breccia di Porta Pia, astenendosi dall'occupare militarmente il solo rione Borgo. Si indisse quindi un plebiscito per i romani, che dovevano esprimersi se accettare l'inserimento di Roma nel Regno d'Italia o se rimanere sotto il regno del papa re. I voti a favore dell'appartenenza al Regno d'Italia furono la larga maggioranza e il papa, ritiratosi in castel Sant'Angelo, lanciò un anatema contro i cristiani che avrebbero collaborato con il Regno d'Italia, mentre il sentimento nazionale si mantenne fieramente anticlericale. Il territorio lasciato al Pontefice si restrinse ulteriormente, nei giorni successivi, alla sola cerchia delle mura leonine, per richiesta dello stesso cardinale segretario di stato, Giacomo Antonelli, che paventava problemi di ordine pubblico e si faceva portavoce del rifiuto di Pio IX a diventare una sorta di sovrano di un solo rione; ciò nascondeva l'intento di far pesare ancora di più la prigionia del papa, sperando in una nuova restaurazione per recuperare tutto lo Stato Pontificio. Col Regio Decreto del 9 ottobre 1870 n. 5903 Roma fu proclamata capitale d'Italia e fu soppresso il potere temporale dei papi. Pio IX, sovrano spodestato militarmente, non dette né adesione né consenso all'occupazione italiana, e nemmeno alla legge delle Guarentigie (delle Garanzie, un risarcimento in denaro), che fu proclamata unilateralmente dallo Stato occupante, nell'intento di mantenere e garantire l'indipendenza spirituale del Papa (ma non la sua sovranità) e la prosecuzione della sua missione religiosa. Il papa si considerò prigioniero in Vaticano, e non ne uscì mai più, pur continuando a esercitare il pontificato. Nacque così la questione romana, che tormentò i rapporti tra Regno d'Italia e Chiesa cattolica per 59 anni.
Fu annesso al Regno d'Italia nel 1870, quando i bersaglieri (il 20 settembre) penetrarono in Roma attraverso la breccia di Porta Pia, astenendosi dall'occupare militarmente il solo rione Borgo. Si indisse quindi un plebiscito per i romani, che dovevano esprimersi se accettare l'inserimento di Roma nel Regno d'Italia o se rimanere sotto il regno del papa re. I voti a favore dell'appartenenza al Regno d'Italia furono la larga maggioranza e il papa, ritiratosi in castel Sant'Angelo, lanciò un anatema contro i cristiani che avrebbero collaborato con il Regno d'Italia, mentre il sentimento nazionale si mantenne fieramente anticlericale. Il territorio lasciato al Pontefice si restrinse ulteriormente, nei giorni successivi, alla sola cerchia delle mura leonine, per richiesta dello stesso cardinale segretario di stato, Giacomo Antonelli, che paventava problemi di ordine pubblico e si faceva portavoce del rifiuto di Pio IX a diventare una sorta di sovrano di un solo rione; ciò nascondeva l'intento di far pesare ancora di più la prigionia del papa, sperando in una nuova restaurazione per recuperare tutto lo Stato Pontificio. Col Regio Decreto del 9 ottobre 1870 n. 5903 Roma fu proclamata capitale d'Italia e fu soppresso il potere temporale dei papi. Pio IX, sovrano spodestato militarmente, non dette né adesione né consenso all'occupazione italiana, e nemmeno alla legge delle Guarentigie (delle Garanzie, un risarcimento in denaro), che fu proclamata unilateralmente dallo Stato occupante, nell'intento di mantenere e garantire l'indipendenza spirituale del Papa (ma non la sua sovranità) e la prosecuzione della sua missione religiosa. Il papa si considerò prigioniero in Vaticano, e non ne uscì mai più, pur continuando a esercitare il pontificato. Nacque così la questione romana, che tormentò i rapporti tra Regno d'Italia e Chiesa cattolica per 59 anni.
Seguirono lunghe trattative
diplomatiche, durante le quali fu più volte ipotizzata la
costituzione di un nuovo Stato, la cui estensione, a seconda delle
proposte, variava dalla sola area a disposizione del Papa sin
dall'ottobre 1870, ad un territorio esteso fino al mare o che
comprendesse almeno un accesso al Tevere, come garanzia della
possibilità di raggiungere i fedeli fuori d'Italia senza percorrere
territorio italiano; o comunque si ipotizzava un territorio non
troppo minuscolo che giungesse fino a Villa Doria Pamphilj... Ma non se ne fece nulla.
Nel 1874 la Santa Sede pubblica la
bolla del “Non éxpedit” (in italiano: non conviene), con
la quale il pontefice Pio IX dichiara inaccettabile per i cattolici
italiani partecipare alle elezioni politiche del Regno d'Italia e
all'intera vita politica italiana, mentre si costituisce l'Opera dei
congressi, che può essere considerata come la nascita di un vero e
proprio partito cattolico italiano “clericale”. L'organizzazione
rivendica la rappresentanza del "paese reale" contro lo
Stato liberale e si assume il compito di coordinare tutte le attività
cattoliche di tipo sociale, cooperativistico, scolastico e
giornalistico.
Il 28 luglio 1904 il papa Pio X
(1903-1914) decide di sciogliere l'associazione Opera dei Congressi,
dove i "sovversivi" di don Romolo Murri, sensibili alle
tematiche sociali, avevano acquistato la maggioranza. Un altro
sacerdote, don Luigi Sturzo, che si era distinto in Sicilia
per la sua azione sociale, si adegua alla decisione pontificia in
attesa di tempi migliori.
Nello stesso anno la corrente moderata
del clericalismo, organizzata nell'Unione Elettorale Cattolica
realizza accordi pre-elettorali con candidati liberali moderati, in
maggioranza giolittiani. Giovanni Giolitti, in difficoltà dopo lo
sciopero generale dei sindacalisti anarco-socialisti, aveva infatti
deciso di ricorrere alle elezioni convinto che la parte moderata del
paese avrebbe punito l'ala massimalista dei socialisti, e in
quest'occasione stipulò un accordo per cui i candidati liberali
avrebbero ottenuto il voto dei cattolici ma si sarebbero
impegnati a non appoggiare leggi che contrastassero l'interesse del
Clero. Il compromesso era sintetizzato dalla formula: «deputati
cattolici no, cattolici deputati sì.», anche se non la pensavano
così i cattolici democratici, che parlarono di «prostituzione di un
voto.»
Lo stesso papa Pio X si mostra
favorevole in quanto tra i due mali: accordo con i liberali o la
nascita di un partito cattolico democratico, che avrebbe portato a
divisioni nella Chiesa, preferisce quello per lui minore, per cui
apprezza l'intento del conte Vincenzo Gentiloni (di cui è parente l'attuale presidente del consiglio) e dei
cattolici vicini al suo orientamento, a schierarsi con la monarchia e
con i liberali giolittiani, per fermare l'avanzata socialista,
marxista e anarchica.
Il 6 novembre 1904 per il 1º turno e
il 13 novembre per i ballottaggi, si svolgono nel Regno d'Italia le
quindicesime elezioni politiche, nelle quali il papa Pio X
consente delle eccezioni al “non expedit”, permettendo anche
ai cattolici di partecipare alle elezioni, per la prima volta dal
1868, e ne risulteranno eletti tre deputati cattolici.
Nel 1909 Pio X, promuove la
creazione dell'Unione Elettorale Cattolica Italiana (UECI),
un'associazione laicale con il compito di indirizzare i cattolici
italiani impegnati in politica, e pone il conte Vincenzo
Ottorino Gentiloni alla direzione dell'organismo. Il primo
banco di prova della collaborazione tra UECI e i liberali moderati di
Giolitti, saranno le elezioni politiche di quell'anno in cui saranno
eletti 21 "deputati cattolici" nelle liste
liberali di Giolitti.
Nel 1919, Alcide De Gasperi aderisce al
Partito Popolare Italiano promosso da don Luigi Sturzo e nel
1921 viene eletto deputato a Roma, ora che il Trentino è italiano.
Nel 1922, il 16 novembre, a seguito del
discorso del bivacco, De Gasperi vota la fiducia al governo Mussolini.
Discorso (del bivacco) di insediamento
del Presidente del Consiglio Benito Mussolini, pronunciato il 16
novembre 1922 alla Camera dei Deputati del Regno d'Italia: « Potevo
fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo
sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di
fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto. »
Il PPI sostiene la prima parte del
governo Mussolini, tanto che nel 1923 i popolari cercano di trovare
un compromesso sulla legge Acerbo, che andava a modificare il sistema
proporzionale in vigore dal 1919, integrandolo con un premio di
maggioranza in quota fissa, pari ai 2/3 dei seggi, a beneficio del
partito più votato qualora questo avesse superato il quorum del 25%.
Durante la discussione in commissione, i popolari avanzarono numerose
proposte di modifica, prima cercando di ottenere l'innalzamento del
quorum al 40% dei votanti e poi l'abbassamento del premio al 60% dei
seggi, ma inutilmente.
Il 20 maggio 1924, Alcide De Gasperi
assume la segreteria del Partito popolare, carica che mantiene fino
al 14 dicembre 1925.
Dopo il forzato scioglimento del
Partito Popolare Italiano da parte del fascismo il 5 novembre del
1926, i maggiori esponenti del Partito Popolare Italiano, costretti all'esilio o a
ritirarsi dalla vita politica e sociale, mantengono una rete di
rapporti e relazioni reciproche grazie al faticoso lavoro di collegamento di Don
Luigi Sturzo che, dall'esilio londinese, mantiene viva la breve
esperienza di impegno politico del disciolto partito. L'indicazione
delle gerarchie ecclesiastiche di concentrare i ristretti spazi
concessi dal regime fascista nell'opera educativa e nell'asilo
concesso ai leader del partito consentono a formazioni sociali come
l'Azione Cattolica e la FUCI, Federazione Universitaria Cattolica Italiana, di sopravvivere e di operare anche sotto il regime.
De Gasperi decide finalmente di opporsi
al fascismo, per cui prima è isolato dal regime poi viene arrestato alla
stazione di Firenze l'11 marzo 1927, insieme alla moglie, mentre si
stava recando in treno a Trieste. Al processo che segue viene
condannato a 4 anni di carcere e a una forte multa, ma verrà
scarcerato alla fine del luglio 1928.
Viene continuamente
sorvegliato dalla polizia e deve trascorrere un periodo di grandi
difficoltà economiche e isolamento sia morale che politico. Senza un
impiego stabile, prova a presentare domanda di assunzione presso la Biblioteca
Apostolica Vaticana nell'autunno 1928, contando sull'interessamento
del vescovo di Trento, mons. Celestino Endrici, e di alcuni amici ex
popolari. Lo stesso capo bibliotecario Igino Giordani si adopera
presso padre Tacchi Venturi affinché i pedinamenti della polizia
terminino.
L'11 febbraio 1929 si stipulano i
“Patti Lateranensi” (nome che deriva dal palazzo di San Giovanni
in Laterano, in cui avvenne la firma dei patti), gli accordi di mutuo
riconoscimento tra il Regno d'Italia e la Santa Sede, grazie ai quali
per la prima volta dall'Unità d'Italia, sono stabilite regolari
relazioni bilaterali tra Italia e Santa Sede. I Patti furono
negoziati tra il cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri per
conto della Santa Sede e il presidente del Consiglio dei ministri
nonché Duce d'Italia, Benito Mussolini per conto del Regno d'Italia.
Il rapporto tra Stato e Chiesa era precedentemente disciplinato
unilateralmente dalla cosiddetta «legge delle Guarentigie»,
approvata dal Parlamento italiano il 13 maggio 1871 dopo la presa di
Roma ma mai riconosciuta dai Pontefici, da Pio IX in poi, per cui la
somma stanziata anno per anno dal governo italiano veniva conservata
in un apposito conto, in attesa di concludere un accordo con la Santa
Sede.
I Patti Lateranensi constano di tre
distinti documenti:
1) il primo riconosce l'indipendenza e
la sovranità della Santa Sede ed è l'atto fondativo dello Stato
della Città del Vaticano, con il quale l'Italia riconosce al Papa la piena sovranità e indipendenza sulla sola ed esclusiva parte del territorio della città di Roma compreso nella cerchia delle Mura Leonine, oltre che su Piazza San Pietro. Questo territorio, pur estremamente ridotto, è riconosciuto a livello internazionale e assicura così l'indipendenza sovrana della Santa Sede rispetto a qualsiasi altro potere politico.
2) il secondo, la "Convenzione
Finanziaria", che fornisce i mezzi per l'autonomia economica della nuova formazione statale, con il versamento delle somme accantonate dal Regno d'Italia, previste dalla legge delle Guarentigie del 1870, più gli interessi, che ammontava a 3.160.501.113 lire (oggi circa
dieci miliardi di euro). La Convenzione finanziaria, «apprezzando i
paterni sentimenti del Sommo Pontefice», acconsentì a pagarne più
o meno la metà: «750 milioni in contanti e un miliardo in titoli di Stato consolidati al 5% al portatore» per i danni finanziari subiti dallo Stato pontificio in seguito alla fine del potere temporale. È inoltre prevista l'esenzione, per il nuovo Stato denominato «Città del Vaticano», dalle tasse e dai dazi sulle merci importate.
3) terzo, il Concordato che definisce le
relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa e il Governo,
mentre fino a quel momento, dalla nascita del Regno d'Italia, le
relazioni fra i due enti erano sintetizzate nel motto: «libera
Chiesa in libero Stato».
Il governo italiano acconsente inoltre a rendere le proprie leggi sul matrimonio e il divorzio conformi a quelle della Chiesa cattolica di Roma (Mussolini si pronuncia contro il divorzio e dovettero passare 34 anni prima che la legge sul divorzio venisse rimessa in discussione) e di rendere il clero esente dal servizio militare. I Patti garantirono alla Chiesa il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia, con importanti conseguenze sul sistema scolastico pubblico, come l'istituzione dell'insegnamento della religione cattolica, già presente dal 1923 e tuttora esistente seppure con modalità diverse. Con i Patti Lateranensi sembra acquietarsi lo scontro tra la Chiesa e lo Stato fascista, che raccoglie un vasto consenso popolare dalla pacificazione con il papa e le gerarchie ecclesiali, anche se l'imprevedibilità e il populismo insiti in Mussolini rendevano poco affidabile quella politica di «buon vicinato» che i cattolici si auguravano.
La Città del Vaticano (0,43 kmq con una popolazione di 911 residenti di cui 532 cittadini, il cui reddito pro-capite ammonta a 407.095 euro nel 2005, fonte www.vatican.va) è composta di tre enti o istituzioni: lo Stato, la Santa Sede e la Curia. Il primo è l'entità territoriale, la seconda è il vertice della Chiesa e la Curia è la struttura organizzativa. Tutte le istituzioni vaticane spesso rivendicano l'extraterritorialità e l'indipendenza dalle leggi degli altri Stati-Nazione. Nel Vaticano hanno sede tre istituti finanziari:
Il governo italiano acconsente inoltre a rendere le proprie leggi sul matrimonio e il divorzio conformi a quelle della Chiesa cattolica di Roma (Mussolini si pronuncia contro il divorzio e dovettero passare 34 anni prima che la legge sul divorzio venisse rimessa in discussione) e di rendere il clero esente dal servizio militare. I Patti garantirono alla Chiesa il riconoscimento del cattolicesimo quale religione di Stato in Italia, con importanti conseguenze sul sistema scolastico pubblico, come l'istituzione dell'insegnamento della religione cattolica, già presente dal 1923 e tuttora esistente seppure con modalità diverse. Con i Patti Lateranensi sembra acquietarsi lo scontro tra la Chiesa e lo Stato fascista, che raccoglie un vasto consenso popolare dalla pacificazione con il papa e le gerarchie ecclesiali, anche se l'imprevedibilità e il populismo insiti in Mussolini rendevano poco affidabile quella politica di «buon vicinato» che i cattolici si auguravano.
La Città del Vaticano (0,43 kmq con una popolazione di 911 residenti di cui 532 cittadini, il cui reddito pro-capite ammonta a 407.095 euro nel 2005, fonte www.vatican.va) è composta di tre enti o istituzioni: lo Stato, la Santa Sede e la Curia. Il primo è l'entità territoriale, la seconda è il vertice della Chiesa e la Curia è la struttura organizzativa. Tutte le istituzioni vaticane spesso rivendicano l'extraterritorialità e l'indipendenza dalle leggi degli altri Stati-Nazione. Nel Vaticano hanno sede tre istituti finanziari:
- l'APSA (Amministrazione del
Patrimonio della Sede Apostolica), che è la Banca Centrale del
Vaticano, svolge funzioni di tesoreria e gestisce gli stipendi dello
Stato. Fra i suoi compiti c'è anche quello di coniare moneta. Nel
1998 infatti, l'Ue ha autorizzato l'Apsa ad emettere 670 mila euro
l'anno. Con la possibilità di emetterne altri 201mila in occasione
di Concili ecumenici, Anni Santi o in occasione di un'apertura della
Sede vacante. Secondo quanto riportato dai dati ufficiali della
Prefettura per gli Affari Economici, per il 2002 il Vaticano e la
Santa Sede sarebbero in deficit di 29,5 milioni di euro. Nel bilancio
però non figurano strutture come le università pontificie, gli
ospedali cattolici (Bambini Gesù di Roma, ad esempio), i santuari
(Loreto, Pompei). Ma soprattutto non figura l'obolo, che ha portato
nel solo 2002 un gettito nelle casse della Città del Vaticano di
52,8 milioni di euro;
- il Ministero dell'Economia o
Prefettura per gli Affari economici;
- lo IOR, (Istituto per le Opere
di Religione), con il quale vengono gestiti circa un miliardo di
cattolici sparsi nel mondo e ufficialmente l'unico azionista di
questa banca è il papa. .
Lo IOR fu fondato nel 1887 da Leone
XIII, col nome di "Commissione per le Opere Pie", al fine
di convertire le offerte dei fedeli in un fondo facilmente
smobilizzabile. La prima riforma delle finanze vaticane risale al
1908, quando su iniziativa di papa Pio X l'istituto assunse il nome
di Commissione amministratrice delle Opere di Religione.
Papa Pio XI, soddisfatto della rinascita di uno Stato della Chiesa, il 14 febbraio 1929, in un discorso all’Università del Sacro Cuore, definisce Mussolini “uomo della Provvidenza”.
Papa Pio XI, soddisfatto della rinascita di uno Stato della Chiesa, il 14 febbraio 1929, in un discorso all’Università del Sacro Cuore, definisce Mussolini “uomo della Provvidenza”.
La trasformazione dello IOR in una
banca vera e propria avverrà solo nel 1941,
anche se il finanziamento più significativo che indusse il papato a
favorire tale trasformazione, fu quello concesso dal fascismo,
col Concordato (Patti Lateranensi) del 1929, che prevedeva, a
titolo di risarcimento per la perdita degli Stati pontifici
all'indomani dell'unificazione nazionale, qualcosa come 100
milioni di dollari (40 in contanti e 60 in obbligazioni; in lire
dell'epoca erano 1 miliardo e 750 milioni).
Per gestire questo ingente patrimonio, papa Pio XI ( 259º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1922 alla sua morte del 10 febbraio 1939, 1º sovrano del nuovo Stato della Città del Vaticano) istituisce l'Amministrazione speciale per le Opere di Religione, che affida a un laico esperto, l'ingegner Bernardino Nogara, un abile banchiere proveniente dalla Comit, membro della delegazione che dopo la prima guerra mondiale negoziò il trattato di pace e che successivamente sarà delegato alla Banca Commerciale di Istanbul.
Per gestire questo ingente patrimonio, papa Pio XI ( 259º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica dal 1922 alla sua morte del 10 febbraio 1939, 1º sovrano del nuovo Stato della Città del Vaticano) istituisce l'Amministrazione speciale per le Opere di Religione, che affida a un laico esperto, l'ingegner Bernardino Nogara, un abile banchiere proveniente dalla Comit, membro della delegazione che dopo la prima guerra mondiale negoziò il trattato di pace e che successivamente sarà delegato alla Banca Commerciale di Istanbul.
Grazie alla sua abilità, Nogara
trasformò l'Amministrazione in un impero edilizio, industriale e
finanziario. Le condizioni che il banchiere pose a Pio XI per
accettare l'incarico di gestire il patrimonio del Vaticano furono
due: gli investimenti dovevano essere liberi da qualsiasi
considerazione religiosa o dottrinale e
realizzabili in ogni parte del mondo. Il Papa accettò e si aprì così la
strada alle speculazioni monetarie e ad altre operazioni di mercato
nella Borsa valori, compreso l'acquisto di azioni di società che
svolgevano attività in netto contrasto con l'insegnamento cattolico
(armi, contraccettivi ecc.).
Nogara rilevò l'Italgas, fornitore
unico in molte città italiane, e fece entrare nel consiglio di
amministrazione, come rappresentante del Vaticano nella società,
l'avvocato Francesco Pacelli, fratello del cardinale Eugenio che poco
dopo sarà eletto Papa e assumerà il nome di Pio XII. Grazie alla
gestione di Nogara, il Banco di Roma, il Banco di Santo Spirito e la
Cassa di Risparmio di Roma entrarono ben presto nell'ambito
dell'influenza del Vaticano. Quando acquisiva quote di una società,
raramente Nogara entrava nel consiglio di amministrazione: preferiva
affidare quest'incarico a uno dei suoi uomini di fiducia, tutti
appartenenti all’elite vaticana che si occupava della gestione
degli interessi della Chiesa. I tre nipoti di Pio XII, i principi
Carlo, Marcantonio e Giulio Pacelli, ne facevano parte, i loro nomi
cominciarono ad apparire tra quelli degli amministratori di un elenco
sempre più lungo di società. Gli uomini di fiducia della Chiesa
erano presenti dappertutto: industrie tessili, comunicazioni
telefoniche, ferrovie, cemento, elettricità, acqua. Bernardino
Nogara sorvegliava ogni settore che promettesse margini di
remunerazione.
L'assunzione in Vaticano come
collaboratore soprannumerario impiegato al catalogo degli stampati,
di De Gasperi, avviene il 3 aprile 1929, dopo la firma dei Patti
Lateranensi. In quella sede intraprende lunghi anni
di studio e di osservazione degli avvenimenti politici italiani e
internazionali, nonché di approfondimento della storia del partito
cristiano del Centro in Germania e delle teorie economiche e sociali
maturate in seno alle varie correnti della cultura cattolica europea.
In questo periodo De Gasperi scrive articoli regolari su una rivista
vaticana chiamata "L'Illustrazione Vaticana" e mostra un
evidente coinvolgimento nella lotta tra cattolicesimo e comunismo
anche a scapito della perspicacia delle sue valutazioni sul
nazismo tedesco. In particolare giustifica l'annessione dell'Austria
al Reich criticando il "processo di scristianizzazione"
portato avanti a suo dire dal Partito Socialdemocratico austriaco e
appoggia le posizioni della chiesa tedesca del 1937, favorevoli al
nazismo in opposizione ai comunisti tedeschi.
Nel 1935, quando Mussolini ebbe bisogno
di armi per la campagna d'Etiopia, una considerevole quantità fu
fornita da una fabbrica di munizioni che Nogara aveva acquisito per
il Vaticano. E rendendosi conto, prima di molti altri,
dell'inevitabilità della seconda guerra mondiale, sempre Nogara
cambiò in oro parte del patrimonio Vaticano da lui gestito. Le sue
speculazioni sul mercato dell'oro continuarono per tutto il periodo
in cui fu alla guida dell'amministrazione dei beni del Vaticano.
Con la II guerra mondiale alle porte,
alla morte di Pio XI si elesse il nuovo Papa nella persona del
cardinale Eugenio Pacelli, che assunse il nome di Papa Pio XII (papa
dal 1939 al 1958). Era il cardinale preferito dal Terzo Reich. Prima
di diventare Segretario di Stato nel 1930, Pacelli era stato nunzio
in Germania dal 1917 al 1929 e, tra gli altri concordati, fece quello
con la Germania di Hitler, il Reichskonkordat, il 20 luglio 1933,
concordato che dava credibilità internazionale a quel regime e che
già aveva messo fuori legge il partito cattolico tedesco, il
Zentrumspartei. Nell'aprile del 1939, subito dopo la
sua elezione, con l'infinità di problemi in sospeso ed impellenti,
fu cura di Pio XII far togliere dall'Indice i libri del fascista
Maurras di Action Française (organizzazione molto apprezzata dai
cattolici di destra francesi), vecchio amore di Pio X, che erano
smaccatamente antisemiti oltreché anticomunisti.
Preti fascisti in marcia. |
Clero fascista. |
Giulio Andreotti da giovane. |
Il 27 giugno 1942 Pio XII decide di
cambiare nome all'Amministrazione speciale per le Opere di Religione
che diventa Istituto per le Opere di Religione. Nasce così un ente
bancario dotato di un'autonoma personalità giuridica e che si
dedicherà non soltanto al compito di raccogliere beni per la Santa
Sede, ma anche a quello di amministrare il denaro e le proprietà
ceduti o affidati all'istituto stesso da persone fisiche o giuridiche
per opere religiose e di carità cristiana. Il 31 dicembre 1942 il ministro delle
Finanze del governo italiano Paolo Thaon di Revel emise una circolare
in cui si affermava che la Santa Sede era esonerata dal pagare le
imposte sui dividendi azionari.
Nell'estate del 1942, alcuni esponenti
del Movimento Guelfo (Falck, Malvestiti, Clerici ecc.), si recarono a
Borgo Valsugana per coordinare con Alcide De Gasperi una azione
comune per la creazione di un nuovo partito che fosse la risultanza
dell'antico Partito Popolare e del nuovo Movimento Guelfo. Si
raggiunse così una intesa comune.
Nel settembre del 1942, quando la
sconfitta del regime si approssimava, i fondatori del futuro
partito democristiano cominciarono a incontrarsi clandestinamente nell'abitazione
di Giorgio Enrico Falck, noto imprenditore cattolico milanese.
Parteciparono agli incontri: Alcide De Gasperi, Mario Scelba, Attilio
Piccioni, Camillo Corsanego e Giovanni Gronchi provenienti dal
disciolto Partito Popolare Italiano di Don Sturzo; Piero Malvestiti e
il suo Movimento Guelfo d'Azione; Aldo Moro e Giulio Andreotti
dell'Azione Cattolica; Amintore Fanfani, Giuseppe Dossetti e Paolo
Emilio Taviani della FUCI e Giuseppe Alessi. Aderirono quasi subito
molti dirigenti cattolici, come Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati,
Mario Bendiscioli, Giorgio La Pira e, al suo rientro dall'esilio, Don
Sturzo.
Il 19 marzo 1943, il
gruppo si riunì a Roma, in casa di Giuseppe Spataro, per discutere e
approvare il documento, redatto da De Gasperi, "Le idee
ricostruttive della Democrazia Cristiana", considerato l'atto di
fondazione ufficiale del nuovo partito. Lo stemma del nuovo partito
fu lo stesso scudo crociato che era stato adottato precedentemente
dal Partito Popolare di Sturzo.
In mancanza di un potere decisionista,
che organizzi le forze armate alla luce del nuovo scenario, a Roma
c'è chi decide che strada prendere: combattere i nazi-fascisti per
liberare l'Italia, resistendo all'improvvisa e massiccia occupazione
tedesca e al governo-fantoccio filo tedesco dell'imminente Repubblica
Sociale Italiana. La Resistenza nasce a Roma, in un alloggio al
quartiere Salario, nel pomeriggio del 9 settembre 1943, il giorno
seguente alla dichiarazione di armistizio, con la costituzione del
CNL (Comitato di Liberazione Nazionale) durante una riunione cui
partecipano esponenti di tutte le forze di opposizione al fascismo, i
componenti di quello che fino ad allora si era definito “Comitato
delle Opposizioni”. Erano presenti l’indipendente Ivanoe Bonomi,
il democristiano Alcide De Gasperi, il liberale Alessandro Casati, il
socialista Pietro Nenni, il comunista Mauro Scoccimarro e Ugo La
Malfa per il partito d’azione. E' approvata una risoluzione che
dice: “Nel momento il cui il nazismo tenta di restaurare in Roma e
in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si
costituiscono in Comitato di Liberazione Nazionale per chiamare gli
italiani alla lotta e alla resistenza e per riconquistare all’Italia
il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”. Al
Comitato aderisce in seguito Meuccio Ruini, del partito della
Democrazia del Lavoro.
La DC partecipò così alla costituzione del Comitato di
Liberazione Nazionale, all'interno del quale cercò di
assumere la guida delle forze politiche più moderate
contrapponendosi ai partiti di sinistra PCI e PSIUP. L'atteggiamento
della DC, in linea con quello della Chiesa, era di evitare prese di
posizione troppo nette sul destino della monarchia nel dopoguerra e
di ridurre la portata della lotta armata, ad esempio schierandosi a
favore della dichiarazione di Roma città aperta.
Nel 1942-43, De Gasperi compone, insieme ad altri, l'opuscolo “Le idee
ricostruttive della Democrazia Cristiana” in cui esprime le idee
alla base del futuro partito della Democrazia Cristiana di cui sarà
cofondatore.
De Gasperi per cooptare Andreotti, gli
affida incarichi sempre più importanti. Prima lo mette al vertice
dei “Gruppi di studio e propaganda della Dc”, poi lo fa nominare
delegato al congresso nazionale della democrazia cristiana. Accanto a
sé adesso Giulio ha un nuovo amico, Franco Evangelisti, destinato a
diventare il suo braccio destro.
Alcide De Gasperi |
Simbolo della DC |
Partecipò ai primi incontri di
fondazione anche un gruppo attivo nella Resistenza, il Movimento
Cristiano Sociale di Gerardo Bruni, che però, essendosi posto su
posizioni socialiste e anticapitaliste, presto si dissociò e
successivamente diede vita a un partito autonomo ma di breve durata,
il Partito Cristiano Sociale. A Genova, invece, i giovani del
Movimento Cristiano Sociale si unirono ai più anziani militanti del
PPI per fondare il Partito Cristiano Sociale Democratico, che poi,
dopo un incontro di Taviani con Pella e De Gasperi, cambiò nome e
divenne la sezione ligure della DC.
Un evento fondamentale da cui scaturì
l'ossatura del pensiero economico del nascente partito fu la
settimana di studio al Monastero di Camaldoli tra il 18 e il 23
luglio del 1943. Qui una cinquantina di giovani cattolici promettenti
si confrontarono con tre grandi economisti: Sergio Paronetto,
Pasquale Saraceno ed Ezio Vanoni. Frutto del convegno fu
l'elaborazione di un vero e proprio programma in 76 punti conosciuto
come Codice di Camaldoli e che nel dopoguerra guidò l'azione della
DC in campo economico. La DC, appena costituita, vive una vita clandestina fino al 25 luglio 1943.
I servizi segreti americani, come é
pacificamente documentato dai dispacci dell’Oss, l'antenata della CIA, per risolvere la
questione del fronte sud italiano e riuscire finalmente a sbarcare in Italia,
avevano preso accordi con Cosa Nostra. Nel ‘42 avevano
trattano con Lucky Luciano organizzando uno sbarco di agenti prima e
di truppe alleate poi, nella Sicilia occupata dai nazisti. I primi
mafiosi e i primi 007 americani arriveranno nell’isola nel gennaio e nel
febbraio del ‘43. Dopo la liberazione, gli amministratori locali
legati al vecchio regime saranno sostituiti da uomini d’onore. A
guerra finita molti di loro diventeranno democristiani e formeranno
la base elettorale dei Dc seguaci di Bernardo Mattarella, padre del nostro attuale Capo di Stato. La vicenda
è fondamentale per comprendere i fenomeni successivi rappresentati
da Vito Ciancimino e Salvo Lima (pupillo proprio di Mattarella).
Lucky Luciano |
Di fronte all'evoluzione degli eventi
bellici della seconda guerra mondiale, con lo sbarco degli alleati in
Sicilia che prefigura ormai una disfatta e la conseguente perdita
di consenso del regime fascista, si crea all'interno del fascismo
stesso una fronda. Il 25 luglio del 1943 è quindi presentato da
Dino Grandi e approvato dal Gran Consiglio del Fascismo con 19 voti a favore su 28, la mozione di sfiducia a Mussolini, che è invitato a rinunciare a tutte le sue cariche. Dino Grandi, estensore dell'ordine del giorno, sarà decisivo con il suo voto, così come sarà essenziale la sua opera di persuasione nei confronti degli altri membri del Gran Consiglio.
Nell'ordine
del giorno inoltre, si chiede al Re di assumere, "con
l'effettivo comando delle forze armate di terra, di mare e
dell'aria", "quella suprema iniziativa di decisione"
che lo Statuto albertino gli riconosceva all'articolo 5.
Il sovrano, come noto, accoglie
l'invito e, fatto arrestare Mussolini, nomina a capo di un Governo che ripristini in parte le libertà dello Statuto albertino sabaudo, il generale Pietro Badoglio il quale - mentre annuncia
che comunque la guerra sarebbe proseguita - procede a eliminare le
riforme effettuate dal fascismo all'ordinamento statutario
ottocentesco (enti collegati al Partito nazionale fascista,
socializzazione dei mezzi di produzione, Tribunale speciale per la
difesa dello Stato), promettendo inoltre l'indizione di nuove
elezioni entro quattro mesi dalla fine del conflitto, nonostante il
mantenimento del divieto di istituzione di partiti politici. Il governo
Badoglio, pur ufficialmente vietando la ricostituzione dei partiti,
di fatto ne consente l'esistenza, incontrandone gli esponenti in due
occasioni prima dell'armistizio dell'8 settembre 1943.
Nel Governo Badoglio I, il
sessantesimo del Regno d'Italia, i ministri vengono nominati il 26
luglio 1943 e il governo rimane in carica dal giorno dopo al 24
aprile 1944, per un totale di 272 giorni, ovvero 9 mesi e 2 giorni.
E' un esecutivo tecnico-militare composto da sei generali, due
prefetti, sei funzionari e due consiglieri di stato. Il 5 agosto 1943 è soppressa la Camera
dei Fasci e delle Corporazioni, mentre il Senato del Regno resta in
carica.
Un giornale clandestino cattolico, Glos Pracy, così scriveva il 15 agosto 1943: Il Papa è commosso per la sorte della Polonia, ma non si è udita una sola sua parola di condanna della condotta degli invasori. Le dichiarazioni ingenue furono inventate dagli incaricati d'affari del Vaticano. La vera condotta di Pio XII ... era quella dell'ardente sostenitore della politica dell'asse. Politicamente, Pio XII si è allineato con l'Italia di Mussolini e di conseguenza con i nazisti. Riporto un'ultima citazione da altra stampa clandestina e lo faccio relativamente alla Polonia per i maggiori disastri in quel Paese e perché era nella quasi totalità cattolico da secoli. Il Wólnosc scriveva il 6 aprile 1943: Quando le bombe distruggevano le città polacche ... il Vaticano, verso il quale tutti dirigevano i loro occhi, stette in silenzio come se non sapesse ciò che accadeva in Polonia, Danimarca, Belgio, Olanda, Francia, Norvegia, Grecia, Yugoslavia, ... Il Vaticano si chiuse in un silenzio tenace ed i vescovi italiani consacravano gli stendardi fascisti e benedicevano i soldati nazisti che, diretti in Africa, visitavano il Vaticano. E vi è ancora la testimonianza del Papa su se stesso quando nel 1943 confessò ad un agente del servizio segreto tedesco: “Portiamo da sempre il popolo tedesco nel profondo del nostro cuore e che è questo popolo, tanto provato dal dolore, quello che esige, prima di qualunque altra nazione, i nostri speciali sentimenti di affetto e solidarietà.” Alla faccia del Vicario di Cristo!
Pietro Nenni |
Il 22 agosto 1943, a Roma il PSI,
rappresentato dai futuri presidenti della Repubblica Giuseppe Saragat
e Sandro Pertini, dal giurista Giuliano Vassalli, dallo scrittore
Ignazio Silone e dal futuro ministro della Giustizia Giuseppe Romita,
si fonde col Movimento di Unità Proletaria dell'avvocato Lelio
Basso, di Carlo Andreoni. Nasce così il Partito Socialista Italiano
di Unità Proletaria (PSIUP), alla cui segreteria viene chiamato il
romagnolo Pietro Nenni.
Il PSIUP durante la Resistenza
partecipa attivamente al Comitato di Liberazione Nazionale e si
avvicina in particolare al Partito Comunista Italiano, con una
politica di unità d'azione volta a modificare le istituzioni in
senso socialista. Questa politica, osteggiata dalla destra del
partito guidata da Giuseppe Saragat, è in buona parte legata alla
preoccupazione che divisioni interne alla classe operaia possano
favorire l'ascesa di movimenti di destra autoritaria, come era
avvenuto nel primo dopoguerra con il fascismo.
L'8 settembre 1943, dopo gli accordi
presi alla fine di luglio, un mese e mezzo prima, con gli Alleati
(Inghilterra, Stati Uniti e Francia), Badoglio, nuovo capo del
governo e dello stato maggiore militare, annuncia l'armistizio tra il
governo e gli Alleati, la nuova alleanza con gli stessi e l'arresto
di Mussolini. L'accordo con gli Alleati, stipulato alla fine di
luglio, non era stato reso pubblico per la mancanza di decisione dei
Savoia sul come rapportarsi con la Germania, prima alleata ed ora
nemica. Mentre nell'Italia centrale e settentrionale è stanziato
l'esercito tedesco, il nuovo nemico, non vengono dati nuovi ordini
alle truppe italiane, ormai allo sbando in Russia, Africa, Grecia e
Albania.
In seguito all'armistizio di Cassibile
dell'8 settembre, (con conseguente dichiarazione di non belligeranza
e denuncia dell'alleanza con la Germania nazista), il Re e il
Governo Badoglio fuggono da Roma (in cui erano presenti forze
tedesche) alla volta di Brindisi (libera dal controllo dei
nazisti e non ancora raggiunta dall'avanzata degli angloamericani).
Le forze armate sono lasciate allo sbando e il Paese si trova diviso
in due: il cosiddetto Regno del Sud, già liberato dagli
alleati, formalmente sotto la sovranità sabauda, e la Repubblica
Sociale Italiana (RSI), nelle regioni ancora occupate dai
nazisti, formalmente guidata da Mussolini.
Bandiera del CNL |
Mussolini viene liberato dove era
recluso, al Gran Sasso, dai paracadutisti tedeschi e crea la
Repubblica Sociale Italiana, con sede a Salò, sul lago di Garda, costituita
il 23 settembre col nome di Stato Nazionale Repubblicano. La
Repubblica Sociale Italiana (o RSI, o Repubblica di Salò) è creata per espressa volontà di Adolf Hitler, dopo che
il Regno d'Italia, nel contesto della Seconda guerra mondiale, aveva
concluso il 3 settembre 1943 l'armistizio di Cassibile con le forze
anglo-americane. Il suo primo consiglio dei ministri si tiene il 28
settembre 1943, alla Rocca delle Caminate, presso Forlì, per
nominare i responsabili del nuovo governo repubblicano fascista. Considerata uno "Stato
fantoccio" della Germania nazista (lo stesso Mussolini ne era
consapevole), la Repubblica Sociale Italiana non fu riconosciuta
dalla comunità internazionale.
Il primo atto politico del Governo Badoglio I
insediatosi a Brindisi è l'approvazione e la firma del così detto
armistizio lungo. Tale documento, firmato da Badoglio a bordo
della corazzata HMS Nelson alla fonda nelle acque di Malta, il 29
settembre 1943, rappresenta un'integrazione dettagliata dei principi
generali enunciati dall'armistizio corto firmato a Cassibile
il 3 settembre. Pur rendendo esecutivo il principio della resa
incondizionata, gli Alleati si impegnano ad ammorbidire le
condizioni della resa in proporzione all'aiuto che l'Italia avrebbe
fornito nella lotta contro i nazisti.
Solo il 13 ottobre il Governo Badoglio I dichiara guerra alla Germania, atto concordato da Badoglio con
gli Alleati nell'armistizio lungo, e consegnato all'ambasciata
tedesca a Madrid. Dal punto di vista politico tale dichiarazione è
molto importante poiché pone l'Italia all'interno delle forze
alleate, sia pur con la qualifica di cobelligerante e afferma lo
status di "combattente" per i soldati italiani, contro i
tedeschi, che già avevano eseguito fucilazioni nei loro confronti,
come quelle dell'eccidio di Cefalonia.
Dal punto di vista legale, il potere
del monarca viene quindi a mancare per la scissione del
territorio nazionale in zone distinte ed entrambe, per motivi
diversi, sottratte alla regia potestas: il Nord e il centro Italia,
inclusa Roma, la capitale, si trovava di fatto, per il tramite della
RSI, sotto il ferreo controllo nazifascista, al Sud le condizioni
dell'armistizio avevano privato il Re del potere statutario e della
sovranità di fatto, per via delle limitazioni derivanti
dall'armistizio. Di fronte a questa delegittimazione del potere
regio, perciò, si affermano come nuovi soggetti politici i
partiti italiani, ricostituitisi nonostante il formale
mantenimento del divieto e uniti nel Comitato di Liberazione
Nazionale (CLN): ne fanno parte il Partito Comunista Italiano, il
Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Democrazia del
Lavoro, il Partito d'Azione, la Democrazia Cristiana e il Partito
Liberale Italiano, che formano così la cosiddetta esarchia.
Formazione di partigiani. |
Il CLN si afferma, anche sulla
scena internazionale, come soggetto complesso, plurimo, che si
candida all'egemonia politica nel Paese con il Congresso di Bari
(28-29 gennaio 1944), in cui unanimemente i partiti aderenti chiedono
l'abdicazione del Re nonché la composizione di un Governo
con pieni poteri e con la partecipazione di tutti i sei partiti,
per affrontare la guerra e «al fine di predisporre con garanzia di
imparzialità e libertà la convocazione di una Assemblea
costituente appena cessate le ostilità».
Il Governo Badoglio II, il
sessantunesimo del Regno d'Italia si forma in seguito alla svolta di
Salerno dell'aprile 1944, con la quale il Partito Comunista Italiano
di Palmiro Togliatti accetta di collaborare con Pietro Badoglio e la
monarchia sabauda, in concomitanza alla «tregua istituzionale» in cui si stabilisce la necessità di trasferire i poteri del re al figlio (con un proclama del re del 12 aprile 1944), il quale doveva assumere la carica provvisoria di luogotenente del regno e impegnarsi ad indire l'elezione di un'Assemblea Costituente cui sarebbe stato affidato il compito di redigere una nuova carta costituzionale (decreto legislativo luogotenenziale n. 151 del 25 giugno 1944) a conflitto concluso.
E' il primo esecutivo aperto ai sei partiti
antifascisti riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale:
Democrazia Cristiana (DC), Partito Comunista Italiano (PCI), Partito
Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP, già PSI), Partito
Liberale Italiano (PLI), Partito Democratico del Lavoro (PDL),
Partito d'Azione (PdA) e partecipavano inoltre al governo, militari,
tecnici e indipendenti. Nominati i ministri il 24 aprile 1944, il
governo rimane in carica da tale data al 18 giugno 1944 (da le
dimissioni l'8 giugno, quattro giorni dopo la liberazione di Roma
dall'occupazione nazi-fascista), per un totale di 55 giorni, ovvero 1
mese e 25 giorni. Sarà l'ultima volta che il giuramento dei ministri
avviene nelle mani del re, il quale sarà esautorato e il suo
luogotenente provvisorio diverrà il figlio, Umberto II.
Nel Governo Bonomi II (il
Governo Bonomi I è stato in carica dal 4 luglio 1921 al 26 febbraio
1922), il sessantaduesimo del Regno d'Italia, i ministri sono
nominati il 18 giugno 1944 e rimane in carica da tale data al 12
dicembre 1944 (darà le dimissioni il 25 novembre) per un totale di
177 giorni, ovvero 5 mesi e 27 giorni. I ministri in verità avevano
già giurato il 12 giugno, ma si dovette attendere il placet degli
Alleati per ufficializzare la costituzione del governo ed entrare
in carica. Inizialmente ha sede a Salerno e dal 15 luglio 1944 si
sposta a Roma. E' composto da esponenti dei sei partiti antifascisti
riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale: Democrazia Cristiana
(DC), Partito Comunista Italiano (PCI), Partito Socialista Italiano
di Unità Proletaria (PSIUP, già PSI), Partito Liberale Italiano
(PLI), Partito Democratico del Lavoro (PDL), Partito d'Azione (PdA) e
partecipano inoltre al governo tecnici, militari e un indipendente. Durante il governo Ivanoe Bonomi II, De Gasperi è nominato ministro senza portafoglio.
Nel Governo Bonomi III,
il sessantatreesimo del Regno d'Italia, i ministri sono
nominati il 12 dicembre 1944 e rimane in carica da tale data al 21
giugno 1945 (da le dimissioni il 12 giugno), per un totale di 190
giorni, ovvero 6 mesi e 10 giorni. Composizione del governo:
Democrazia Cristiana (DC), Partito Comunista Italiano (PCI), Partito
Liberale Italiano (PLI) e Partito Democratico del Lavoro (PDL) oltre
a due militari e un indipendente. Dal dicembre del 1944 al dicembre del 1945, anche quindi nel governo di Ferruccio Parri, De Gasperi è Ministro degli Esteri. Nel Governo Bonomi III ci si preoccupò di estendere il diritto di voto alle donne con il D.L.L. 2 febbraio 1945, n. 23.
Il Governo Parri, il primo in tempo di pace, in carica dal 21 giugno 1945 al 10 dicembre 1945, per un totale di
172 giorni, ovvero 5 mesi e 19 giorni, è composto da: Democrazia
Cristiana (DC), 4 ministri e 5 sottosegretari, Partito Comunista
Italiano (PCI), 3 ministri e 5 sottosegretari, Partito Socialista
Italiano di Unità Proletaria (PSIUP già PSI), 4 ministri e 3
sottosegretari, Partito Liberale Italiano (PLI), 3 ministri e 4
sottosegretari, Partito d'Azione (PdA), Presidente del Consiglio, 2
ministri e 4 sottosegretari, Partito Democratico del Lavoro (PDL), 3
ministri e 3 sottosegretari oltre a militari ed indipendenti.
Il Vaticano, essendosi dichiarato neutrale durante la II guerra mondiale, poté, come la Svizzera, trattare tranquillamente affari con la Germania di Hitler. Finita la guerra il Vaticano non risarcì mai le vittime dell'olocausto, restituendo loro i preziosi che i nazisti avevano trasformato in lingotti ma anzi, la Banca Vaticana contribuì a nascondere l'oro nazista non solo nella stessa Santa Sede, ma anche presso il santuario di Fatima in Portogallo, controllato da elementi massonici, i quali solo apparentemente risultano anticlericali (è noto infatti che la loggia segreta P2 aveva ampi contatti con gli ambienti vaticani).
Lo IOR ha contribuito anche alla
scomparsa di buona parte dell'oro della Croazia indipendente, che
durante l'ultima guerra mondiale collaborava coi nazisti. Gli
ustascia (i cattolici nazisti) massacrarono impunemente ben
mezzo milione di serbi ortodossi, nonché decine di migliaia di ebrei
e di gitani. La leadership ustascia, finita la guerra, si era
rifugiata proprio in Vaticano e in alcune proprietà francescane
italiane. Uno dei mediatori che permise agli ustascia e anche ad
altri criminali nazisti di ottenere l'impunità, fu il segretario di
stato Montini, in seguito papa Paolo VI. In particolare gli ustascia ebbero
bisogno della Banca Vaticana proprio per gestire finanziariamente il
loro governo esiliato in Argentina e per spedire i propri criminali
in fuga verso il Sudamerica, l'Australia e altri luoghi con la
protezione della Cia. Ovviamente il Segretariato Vaticano è
a tutt'oggi assolutamente contrario a rendere pubblici gli archivi
relativi alla II guerra mondiale.
Il XXIV Congresso socialista, celebrato
a Firenze dall'11 al 17 aprile 1946, vede accendersi lo scontro fra
la maggioranza, guidata da Pietro Nenni e la minoranza di
Giuseppe Saragat, che comprendeva i simpatizzanti di "Critica sociale" di Ugo Guido Mondolfo e di "Iniziativa socialista" di Mario Zagari, che
sostenevano una linea politica più autonoma del PSIUP rispetto al
PCI.
Umberto II di Savoia, in qualità di
Luogotenente del Re, nomina il Governo De Gasperi I, l'ultimo
governo del Regno d'Italia, in carica dal 10 dicembre 1945 al 14
luglio 1946, per un totale di 216 giorni, ovvero 7 mesi e 4 giorni,
che è formato da: Democrazia Cristiana (DC), Partito Comunista
Italiano (PCI), Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria
(PSIUP), Partito Liberale Italiano (PLI), Partito d'Azione (PdA),
Partito Democratico del Lavoro (DL) ed è così organizzato:
Presidente del Consiglio dei
ministri: Alcide De Gasperi (DC), anche Capo provvisorio dello
Stato dal 13 giugno al 1º luglio 1946.
Vicepresidente del Consiglio dei
ministri: Pietro Nenni (PSIUP)
Sottosegretari alla Presidenza del
Consiglio dei ministri: Giustino Arpesani (PLI) e Giorgio Amendola
(PCI)
Aeronautica: Ministro, Mario
Cevolotto (DL)
Sottosegretari, Ernesto Pellegrino
(militare)
Affari Esteri: Ministro,
Alcide De Gasperi (DC)
Sottosegretari, Celeste Negarville
(PCI), Renato Morelli (PLI) con delega per gli Italiani all'estero
Africa Italiana: Ministro,
Alcide De Gasperi (DC) ad interim
Agricoltura e Foreste:
Ministro, Fausto Gullo (PCI)
Sottosegretari, Antonio Segni (DC)
Assistenza Postbellica:
Ministro, Luigi Gasparotto (DL)
Sottosegretari, Enrico Berardinone
(indipendente), Antonio Cifaldi (PLI)
Commercio con l'Estero
(istituito per scorporo dal Ministero dell'Industria e del Commercio
il 9
gennaio 1946): Ministro, Ugo La Malfa
(PdA), dal 9 gennaio al 20 febbraio 1946
poi,
Mario Bracci (PdA), dal 20 febbraio 1946
Sottosegretari, Enzo Storoni (PLI),
dal 9 gennaio 1946
Consulta Nazionale (soppressa
con decreto legislativo luogotenenziale del 22 dicembre 1945,
n. 826): Ministro, Emilio Lussu
(PdA), fino al 20 febbraio 1946
poi, Alberto Cianca
(PdA), dal 20 febbraio 1946
Costituente: Ministro, Pietro
Nenni (PSIUP)
Finanze: Ministro, Mauro
Scoccimarro (PCI)
Sottosegretari, Bruno Visentini (PdA)
Grazia e Giustizia: Ministro,
Palmiro Togliatti (PCI)
Sottosegretari, Dante Veroni (DL)
Guerra: Ministro, Manlio
Brosio (PLI)
Sottosegretari, Pompeo Colajanni (PCI)
e Luigi Chatrian (DC)
Industria e Commercio:
Ministro, Giovanni Gronchi (DC)
Sottosegretari, Enzo Storoni (PLI),
fino al 9 gennaio 1946, poi Rosario Pasqualino Vassallo junior (PDL),
Ivan Matteo Lombardo (PSIUP)
Interno: Ministro, Giuseppe
Romita (PSIUP)
Sottosegretari Giuseppe Spataro (DC)
Lavori Pubblici: Ministro,
Leone Cattani (PLI)
Sottosegretari, Giuseppe Bruno (PdA)
Lavoro e Previdenza Sociale:
Ministro, Gaetano Barbareschi (PSIUP)
Sottosegretari, Gennaro Cassiani (DC)
Marina: Ministro, Raffaele De
Courten (militare)
Sottosegretari, Pasquale Schiano (PdA)
e Angelo Corsi (PSIUP), con delega per la 'Marina mercantile'
Poste e Telecomunicazioni:
Ministro, Mario Scelba (DC)
Sottosegretari, Mario Fano
(indipendente)
Pubblica Istruzione: Ministro,
Enrico Molè (DL)
Sottosegretari, Achille Marazza (DC),
Enrico Paresce (DL) con delega per le Belle arti e spettacolo
Ricostruzione (soppresso con
decreto luogotenenziale del 22 dicembre 1945, n. 824 ed accorpato al
Ministero dell'Industria e del Commercio): Ministro, Ugo La Malfa
(PdA), fino al 22 dicembre 1945
Tesoro: Ministro, Epicarmo
Corbino (PLI)
Sottosegretari, Giovanni Persico (DL),
Pietro Mastino (PSd'Az), con delega per i Danni di guerra
Trasporti: Ministro, Riccardo
Lombardi (PdA)
Sottosegretari, Antonio Priolo (PCI)
Giuseppe Saragat |
Fondamentalmente la minoranza non era disposta a schierarsi con Mosca ed era preoccupata che eventuali rivendicazioni e conquiste della classe operaia-contadina potessero favorire l'affermazione di movimenti di destra autoritaria, innescati dai ceti medio e borghese, così come era
avvenuto nel primo dopoguerra con il fascismo.
A proposito del referendum del 2 giugno 1946 per la scelta fra monarchia o repubblica, la
Chiesa appoggia apertamente la causa monarchica trasformando
l'alternativa tra monarchia e repubblica in quella
tra cristianesimo e
comunismo. Il 1º giugno 1946, il giorno precedente il
referendum, lo stesso papa Pio XII, rivolge un appello agli Italiani
e senza accennare esplicitamente alla monarchia o alla repubblica,
invita i votanti affinché scelgano tra il materialismo e il
cristianesimo, tra i sostenitori e i nemici della civiltà cristiana.
Considerato che nella campagna elettorale il fronte repubblicano
annoverava in prima linea i partiti marxisti materialisti, sarebbe
stato difficile fraintendere il senso di questo appello papale.
Alla vigilia del referendum
istituzionale del 1946, la DC era decisa a pronunciarsi in favore
della Monarchia, ma poi cambiò idea, anche su indicazione di Mario Scelba,
che riteneva pericoloso lasciare la preferenza repubblicana in mano
ai social-comunisti.
La repubblica italiana. |
- il referendum istituzionale
per la scelta fra repubblica e monarchia, che sancirà la
nascita della Repubblica Italiana con il 54% dei voti (più di 12
milioni) a favore dello stato repubblicano, superando di 2 milioni i
voti dei monarchici, che contestarono l'esito della votazione,
- l'elezione (con un sistema proporzionale e l'assegnazione di 556 seggi distribuiti in 31 collegi elettorali) dell'Assemblea Costituente, a cui partecipano l'89% degli aventi diritto.
I partiti che componevano il Comitato di Liberazione Nazionale e che si erano considerati di pari peso, poterono quantificare la loro rappresentatività popolare.
Su una popolazione di 45.540.000 persone stimata
al 1° gennaio 1946, gli aventi diritto al voto sono 28.005.449 cittadini, (il 61,49%) uomini e donne maggiorenni (secondo gli ordinamenti di allora, che avessero compiuto i 21 anni).
E' la prima volta in Italia che
le donne hanno il diritto di voto e sono 12.998.131
mentre 11.949.056 sono gli uomini.
Manifesto per la costituente. |
Risultati referendum 1946 da: https://it.wikipedia.org/wiki/ Nascita_della_Repubblica _Italiana |
Per il referendum i votanti sono
24.946.878, l'89,08% degli aventi diritto. I voti validi sono
23.437.143 e le schede non valide (1.146.729 bianche
incluse)1.509.735. La Repubblica ottiene 12.718.641 consensi, il
54,27% mentre la Monarchia 10.718.502, il 45,73%.
Nelle elezioni politiche per
l'Assemblea Costituente, i votanti sono 24.947.187, l'89,08 %
degli aventi diritto. I voti validi saranno 23.010.479, i non validi
1.936.708 7,8 di cui 643.067 schede bianche.
La propaganda elettorale nel 1946. |
Manifesto del Partito Socialista, il PSIUP. |
Manifesto del PCI |
Il PSIUP consegue un grande risultato:
con il 20,68% dei voti e 115 deputati su 556, è il secondo partito
della Repubblica, dopo la Democrazia Cristiana (con il 35,21 % dei voti e 207 deputati) e il primo partito della sinistra, prima del PCI
(con il 18,93 % dei voti e 104 deputati). Forte di questo risultato, ma non considerando abbastanza la scarsa presenza del PSIUP fra i
giovani e nelle grandi aree urbane, Nenni insistette nella sua
politica di stretta alleanza politica coi comunisti.
Da notare che la somma di socialisti e comunisti, superando la DC, provocherà, sia nel Vaticano che negli USA, un allarme rosso foriero di misure mirate ad escludere le sinistre dal potere.
Enrico De Nicola |
Enrico De Nicola è eletto
dall'Assemblea Costituente come capo provvisorio dello Stato al primo
scrutinio, il 28 giugno 1946, con 396 voti su 501 votanti e 573
aventi diritto (il 69,1%), e assume la carica il 1º luglio 1946.
Enrico De Nicola (Napoli, 9 novembre 1877 - Torre del Greco, 1º
ottobre 1959), è un politico di area liberale giolittiana e avvocato
e sarà il primo presidente della Repubblica Italiana. L'elezione di
De Nicola a capo provvisorio dello Stato è il frutto di un lungo
lavoro "diplomatico" fra i vertici dei principali partiti
politici, i quali avevano convenuto che si dovesse eleggere un
presidente capace di riscuotere il maggior gradimento possibile
presso la popolazione affinché il trapasso al nuovo sistema fosse il
meno traumatico possibile. Si convenne perciò che si dovesse
scegliere un meridionale, a compensazione della provenienza
settentrionale della maggioranza dei leader politici e che
(stante il risicato - e da parte monarchica contestato - scarto dei
risultati del referendum istituzionale) dovesse trattarsi di un
monarchico. L'iniziale contrapposizione delle candidature di
Vittorio Emanuele Orlando (proposto da DC e destre) e di Benedetto
Croce (proposto dalle sinistre e dai laici) si protrasse sterilmente
per lungo tempo e tardò a essere composta, per evolvere infine nella
comune indicazione di De Nicola, grazie principalmente all'incessante
opera di convincimento condotta dal democristiano De Gasperi.
Successivamente anche dall'interessato venne un supplemento di
ritardo, esasperante per l'alternanza di orientamenti, ora positivi,
ora negativi, che pareva esternare. Di fronte alle difficoltà si
chiese all'avvocato Porzio di Napoli di convincere De Nicola che,
alla fine, accettò e fu eletto Capo provvisorio
dello Stato dall'Assemblea Costituente il 28 giugno 1946, ricoprì
tale carica dal 1º luglio dello stesso anno fino al 31 dicembre
1947. Il 1º gennaio 1948, a norma della prima disposizione
transitoria e finale della Costituzione, esercitò le attribuzioni e
assunse il titolo di presidente della Repubblica, mantenendolo fino
al successivo 12 maggio. De Nicola aveva ricoperto numerosi altri
incarichi pubblici ed in particolare è l'unico ad aver ricoperto sia
la carica di presidente del Senato che quella di presidente della
Camera dei deputati. Nella sua vita è stato anche il primo
presidente della Corte Costituzionale, trovandosi così ad aver
ricoperto quattro delle cinque maggiori cariche dello stato.
De Nicola, in qualità di Capo provvisorio dello Stato, nomina così il primo governo dell'Italia repubblicana, il De Gasperi II, composto da esponenti della Democrazia Cristiana, del Partito Comunista Italiano, del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (già, e poi nuovamente, PSI) e del Partito Repubblicano Italiano. Vi partecipa inoltre il liberale Epicarmo Corbino, a titolo di esperienza pregressa personale e nel quadro di unità nazionale derivato dal Comitato di Liberazione Nazionale. Il governo rimane in carica dal 14 luglio 1946 al 2 febbraio 1947, per un totale di 203 giorni, ovvero 6 mesi e 19 giorni e rassegnerà le dimissioni, andando in crisi il 20 gennaio 1947 in seguito alla scissione di Palazzo Barberini, in cui i fuorusciti dal PSIUP origineranno il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), il futuro PSDI, Partito Socialista Democratico Italiano. L'esecutivo era così composto:
Presidente del Consiglio dei ministri: Alcide De Gasperi (DC)
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri: Paolo Cappa (DC)
Ministri senza portafoglio: Pietro Nenni (PSIUP) con incarico per la Costituente, soppresso con decreto
legislativo del capo provvisorio dello Stato del 02/08/46 e Cino Macrelli (PRI)
Affari esteri: Ministro, Alcide De Gasperi (DC) ad interim fino al 18/10/46
poi, Pietro Nenni (PSIUP) dal 18/10/46
Sottosegretari, Antonio Giolitti (PCI) fino al 18/10/46, poi Giuseppe Brusasca (DC), Giuseppe Lupis (PSIUP)
Africa Italiana: Ministro, Alcide De Gasperi (DC), ad interim
Interno: Ministro, Alcide De Gasperi (DC), ad interim
Sottosegretari, Angelo Corsi (PSIUP)
Grazia e Giustizia: Ministro, Fausto Gullo (PCI)
Sottosegretari, Achille Marazza (DC)
Finanze: Ministro, Mauro Scoccimarro (PCI)
Sottosegretari, Salvatore Scoca (DC) fino al 18/10/46, poi Giuseppe Pella (DC)
Tesoro: Ministro, Epicarmo Corbino (PLI) fino al 18/09/46, poi Giovanni Battista Bertone (DC)
Sottosegretari, Raffaele Pio Petrilli (DC), Vincenzo Cavallari (PCI)
Guerra: Ministro, Cipriano Facchinetti (PRI)
Sottosegretari, Enrico Martino (PRI), Luigi Chatrian (DC) fino al 18/10/46
Aeronautica: Ministro, Mario Cingolani (DC)
Sottosegretari, Giosuè Fiorentino (PSIUP)
Marina Militare: Ministro, Giuseppe Micheli (DC)
Sottosegretari, Vito Mario Stampacchia (PSIUP) dal 18/10/46
Assistenza Postbellica: Ministro, Emilio Sereni (PCI)
Sottosegretari, Luigi Cacciatore (PSIUP), Giovanni Carignani (DC)
Industria e Commercio: Ministro, Rodolfo Morandi (PSIUP)
Sottosegretari, Roberto Tremelloni (PSIUP), Giuseppe Brusasca (DC) fino al 18/10/46, poi Mario Assennato (PCI)
Commercio con l'Estero: Ministro, Pietro Campilli (DC)
Sottosegretari, Giuseppe Chiostergi (PRI)
Agricoltura e Foreste: Ministro, Antonio Segni (DC)
Sottosegretari, Velio Spano (PCI)
Lavori Pubblici: Ministro, Giuseppe Romita (PSIUP)
Sottosegretari, Pier Carlo Restagno (DC)
Lavoro e Previdenza Sociale: Ministro, Ludovico D'Aragona (PSIUP)
Sottosegretari, Gennaro Cassiani (DC)
Trasporti: Ministro, Giacomo Ferrari (PCI)
Sottosegretari, Angelo Raffaele Jervolino (DC)
Marina Mercantile: Ministro, Salvatore Aldisio (DC)
Sottosegretari, Giuseppe Montalbano (PCI)
Poste e Telecomunicazioni: Ministro, Mario Scelba (DC)
Sottosegretari, Luigi De Filpo (PCI)
Pubblica Istruzione: Ministro, Guido Gonella (DC)
Sottosegretari, Giuseppe Salvatore Bellusci (PRI)
Composizione della assemblea costituente. |
Giorgio La Pira (politico e docente
siciliano, fra i primi ad aderire alla D.C., sindaco di Firenze, terziario
domenicano e francescano, appartenente all'Istituto Secolare dei
Missionari della Regalità di padre Agostino Gemelli e servo di Dio
per la Chiesa cattolica) sintetizzò le due concezioni costituzionali
e politiche alternative dalle quali si intendeva differenziare la
nascente Carta, distinguendone una "atomista, individualista, di
tipo occidentale, rousseauiana ed una "statalista, di tipo
hegeliano". Secondo i costituenti, riferì La Pira, si pensò di
differenziarla nel principio che, per il pieno sviluppo della persona
umana, a cui la nostra Costituzione doveva tendere, era necessario
non soltanto affermare i diritti individuali, non soltanto affermare
i diritti sociali, ma affermare anche l'esistenza dei diritti delle
comunità intermedie che vanno dalla famiglia alle comunità
religiose fino alla comunità internazionale.
Il 1º maggio 1947, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori,
spostata al 21 aprile, ossia al Natale di Roma, durante il regime
fascista. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli
Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello, in prevalenza contadini,
si riunirono in località Portella della Ginestra, nella vallata
circoscritta dai monti Kumeta e Maja e Pelavet, per manifestare
contro il latifondismo, a favore dell'occupazione delle terre incolte
e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti
elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile
di quell'anno e nelle quali la coalizione PSI - PCI aveva conquistato
29 rappresentanti su 90 (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21
della DC (crollata al 20% circa). Improvvisamente dal monte Pelavet
partirono sulla folla in festa numerose raffiche di mitra, che si
protrassero per circa un quarto d'ora e lasciarono sul terreno undici
morti (nove adulti e due bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni
morirono in seguito per le ferite riportate.
La linea politica di Nenni, che
riteneva indispensabile l'attiva collaborazione col PCI venne
confermata da un nuovo patto di unità d'azione PCI - PSIUP stretto
il 25 ottobre 1946, mentre il gruppo di Saragat trovava diretta
conferma alle proprie tesi, e cioè che l'alleanza col PCI avrebbe solo rafforzato quest'ultimo, dai risultati delle elezioni
amministrative del 10 novembre dello stesso anno: il Partito Comunista superava per la prima volta i socialisti,
divenendo la prima forza della sinistra italiana. Mentre Nenni,
tralasciando la riduzione del numero dei votanti socialisti,
sottolineava la crescita elettorale globale della sinistra
interpretandola come una vittoria, Saragat in un'intervista sostenne
invece che la dirigenza del partito paralizzava l'azione socialista,
con l'effetto ultimo che avrebbe portato lo stesso alla dissoluzione.
L'11 gennaio 1947, l'ala
democratico-riformista guidata da Giuseppe Saragat, al termine di una
concitata riunione presso Palazzo Barberini in Roma, esce dal PSIUP
e da vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), il futuro PSDI, Partito Socialista Democratico Italiano, riprendendo il nome deciso dal 2° Congresso socialista di Reggio
Emilia nel 1893 e poi adottato negli anni dell'esilio a Parigi. La scissione costa al PSIUP la
trasmigrazione nel nuovo partito di 50 parlamentari socialisti e di
una folta schiera di dirigenti e intellettuali, fra cui Paolo Treves,
Ludovico D'Aragona, Giuseppe Emanuele Modigliani e Angelica
Balabanoff. Il PSIUP guidato da Nenni, per evitare che il nuovo
partito di ispirazione socialista fondato da Saragat possa utilizzarne la denominazione, decide di riprendere il vecchio nome di PSI, Partito Socialista Italiano. Sembra che nel gruppo di socialisti che si riconoscevano in Saragat, aleggiasse la preoccupazione che eventuali rivendicazioni e conquiste della classe operaia, avrebbero potuto favorire l'ascesa di movimenti di destra autoritaria, come era avvenuto nel primo dopoguerra col fascismo.
Il Governo De Gasperi III è stato il secondo governo della Repubblica Italiana, in carica dal 2 febbraio 1947 al 1º giugno 1947, per un totale di 118 giorni, ovvero 3 mesi e 29 giorni. Questo governo, nato dal nuovo assetto politico causato dalla scissione di palazzo Barberini in casa socialista, si dimise poi a causa della rottura politica fra i democristiani ed i social-comunisti che si era creata a causa delle mire fortemente anti social-comuniste del presidente statunitense Harry Truman. Il governo era composto da : Democrazia Cristiana (DC), Partito Comunista Italiano (PCI), Partito Socialista Italiano (PSI) e vi partecipava inoltre il repubblicano Carlo Sforza, a titolo di esperienza pregressa personale e nel quadro di unità nazionale derivato dalla Resistenza. Sarà l'ultimo governo di unità nazionale antifascista.
Il Governo De Gasperi III è stato il secondo governo della Repubblica Italiana, in carica dal 2 febbraio 1947 al 1º giugno 1947, per un totale di 118 giorni, ovvero 3 mesi e 29 giorni. Questo governo, nato dal nuovo assetto politico causato dalla scissione di palazzo Barberini in casa socialista, si dimise poi a causa della rottura politica fra i democristiani ed i social-comunisti che si era creata a causa delle mire fortemente anti social-comuniste del presidente statunitense Harry Truman. Il governo era composto da : Democrazia Cristiana (DC), Partito Comunista Italiano (PCI), Partito Socialista Italiano (PSI) e vi partecipava inoltre il repubblicano Carlo Sforza, a titolo di esperienza pregressa personale e nel quadro di unità nazionale derivato dalla Resistenza. Sarà l'ultimo governo di unità nazionale antifascista.
Giuseppe Consoli - Portella della Ginestra, 1951. |
Nel mese successivo alla strage di
Portella della Ginestra, avvennero attentati con mitra e bombe a mano
contro le sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini,
Borgetto, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello, provocando in
tutto un morto e numerosi feriti: sui luoghi degli attentati vennero
lasciati dei volantini firmati dal bandito Salvatore Giuliano che
incitavano la popolazione a ribellarsi al comunismo.
La CGIL proclamò lo sciopero generale,
accusando i latifondisti siciliani di voler “soffocare nel sangue
le organizzazioni dei lavoratori”. Solo quattro mesi dopo si seppe
che a sparare a Portella della Ginestra e a compiere gli attentati
contro le sedi comuniste erano stati gli uomini del bandito
separatista Salvatore Giuliano, ex colonnello dell'E.V.I.S.,
l'Esercito volontario per l'indipendenza della Sicilia, formazione
paramilitare clandestina, creata da Antonio Canepa (conosciuto con lo
pseudonimo Mario Turri), che ne fu il primo comandante, nel febbraio
del 1945 e che rappresentò la formazione armata separatista
fiancheggiatrice del Movimento Indipendentista Siciliano. L'EVIS si
prefiggeva da un lato il sabotaggio del governo italiano con azioni
di guerriglia e dall'altro di imprimere al processo indipendentista
siciliano una soluzione repubblicana. Si sciolse di fatto il 29
dicembre 1945 con l'arresto del suo ultimo "comandante",
Concetto Gallo. Il rapporto dei carabinieri sulla
strage faceva chiaramente riferimento ad "elementi reazionari in
combutta con i mafiosi". Per alcuni studiosi, la strage di Portella della Ginestra è la prima della "strategia della tensione" da parte del potere democristiano-mafioso al fine di arginare le rivendicazioni delle sinistre.
Mario Scelba è stato ministro
dell'Interno dal 2 febbraio 1947 al 7 luglio 1953 e dal 26 luglio
1960 al 21 febbraio 1962. Di fronte alla strage di Portella
della Ginestra del 1º maggio 1947, l'atteggiamento del ministro
dell'interno fu inizialmente teso a minimizzare l'accaduto, definendo
l'eccidio un caso circoscritto di «banditismo feudale», negandone
la natura politica. A questo atteggiamento reticente, smentito dagli
stessi proclami istericamente anticomunisti del bandito Salvatore
Giuliano, seguì una vasta serie di operazioni militari che portarono
infine all'uccisione del bandito. Uno dei provvedimenti presi da
Scelba fu la creazione, il 26 agosto 1949, del Comando forze
repressione banditismo al cui vertice fu posto il colonnello dei
Carabinieri Ugo Luca proveniente dal Servizio Informazioni Militare e
da pochi giorni in servizio all'Ispettorato generale di polizia in
Sicilia. Aveva ai suoi ordini 27 ufficiali dei carabinieri e 16 della
polizia, e 2000 uomini (1.500 carabinieri e 500 poliziotti). Capo di
stato maggiore fu l'allora capitano dei carabinieri Carlo Alberto
Dalla Chiesa (che verrà poi ucciso dalla mafia nel 1982) mentre il responsabile del nucleo informazioni era il
tenente colonnello Giacinto Paolantonio.
Mario Scelba |
In pochi mesi fu fatto il vuoto intorno
a Giuliano, catturando o uccidendo diversi membri della banda e il 3
luglio 1950 a Castelvetrano uomini del corpo, al comando del capitano
Antonio Perenze, dichiararono di aver ucciso il bandito. In realtà
quella fu la versione ufficiale imposta dal Comando generale
dell'Arma, perché Giuliano era stato ucciso nel sonno dal cugino e
luogotenente Gaspare Pisciotta, che era informatore degli uomini del
colonnello Luca, che fu poi promosso generale e il reparto sciolto.
A proposito della strage di Portella
della Ginestra del 1º maggio 1947, il nome di Mario Scelba
quale mandante fu proferito sia da Gaspare Pisciotta, cugino, luogotenente e assassino di Salvatore Giuliano, che da altri banditi in relazione
ai gravissimi fatti avvenuti in Sicilia. Da diversi storici è stato
investigato quale elemento chiave delle connessioni di potere
che in un modo o in un altro avrebbero contribuito alla strage
medesima e che, al fine di eliminare definitivamente ogni traccia,
avrebbero poi deciso l'uccisione del capobanda di Montelepre,
avvenuta il 5 luglio 1950. Ricostruzioni e ipotesi su quei fatti
risultano, fra le tante, nell'opera “Il binomio Giuliano-Scelba”
di Carlo Ruta (1995), in “Salvatore Giuliano” di Giuseppe
Casarrubea (2001) e in “Segreti di Stato” di Paolo Benvenuti
(2003), tuttavia non fu mai portata alcuna prova e nulla fu mai
accertato. Secondo lo storico Giuseppe Carlo
Marino, docente ordinario dell'Università di Palermo, Scelba,
divenuto Ministro dell'Interno il 2 febbraio 1947, diede il via a una
politica repressiva antidemocratica verso gli scioperi
causando numerose vittime e feriti nel corso della sua funzione
pubblica. Sempre secondo il parere di tale studioso, l'avversione a
idee di giustizia sociale di stampo socialcomunista in nome di una
priorità di ordine economico portò a violare le libertà
costituzionali di opinione e assemblea agli appartenenti alle
formazioni sindacali e delle sinistre.
E' questo il momento cruciale che deciderà i destini della Repubblica italiana. Lo scenario politico-economico, non solo nazionale, presenta fondamentalmente quattro nuovi elementi rispetto al passato:
1) Gli ideali marxisti ottocenteschi dell'Internazionale Socialista che avevano ispirato le rivolte di disoccupati, operai e contadini mal-occupati nel biennio rosso in Italia, (1919-1920) che rivendicavano lavoro sostenibile e reddito dignitoso, erano stati anestetizzati, se non traditi, dagli inetti quadri del partito socialista e dei sindacati e la loro ritrosia a pretendere riforme in tal senso, aveva convinto alcuni di essi a costituire il Partito Comunista d'Italia nel 1921. Per tutta risposta, il re, gli apparati di stato, il mondo dei "moderati" e "benpensanti" avevano appoggiato, favorito o finanziato le reazioni squadriste dei fascisti, fino alla dittatura e alla soppressione dei diritti delle persone, come del resto è avvenuto e sta avvenendo tuttora altrove. Le "chiese", da parte loro, non potrebbero certo non ostacolare una politica laica e atea come quella di stampo marxista. Quindi, storicamente, alle rivendicazioni dei disoccupati, della classe operaia e contadina per una distribuzione dei redditi e delle risorse, si tende a rispondere con la repressione e il condizionamento: fisico e/o psicologico-mentale... quest'ultimo spesso appannaggio delle religioni.
2) A questo proposito, dall'unità d'Italia la Chiesa si era mantenuta perlopiù fuori dalle ingerenze politiche e il suo avvicinamento al Parlamento era iniziato solo nel 1909, con il patto Gentiloni (parente del nostro attuale presidente del consiglio) che permetteva l'elezione di clericali nelle liste liberali. Ci fu poi con la costituzione del Partito Popolare di don Luigi Sturzo che comunque riscosse una malcelata diffidenza dalla santa sede.
Il Regno d'Italia aveva sottratto il potere temporale al papa e Cavour proclamava: "Libera Chiesa in libero Stato" ma il fascismo, con Patti Lateranensi aveva sdoganato il clero, che da allora gestiva capitali, istruzione, produceva armamenti che vendeva allo Stato e benediva le truppe in partenza per colonizzare l'Africa.
Ora nel parlamento non c'era più ne la maggioranza liberale fieramente anticlericale del Regno d'Italia, ne l'accondiscendente dittatore fascista, ma un fronte social-comunista, diviso, di matrice ateo-marxista appena superiore come numero agli esponenti della DC, un partito prettamente clericale, generato fra le sottane stesse dei prelati che comunque guidava il paese con i suoi governi, allargati comunque anche ai partiti antifascisti compagni d'armi nella Resistenza... fattore abbastanza increscioso per il Vaticano, al cui interno era affluita anche la massoneria, che in altri tempi aveva fortemente contribuito all'unità di un'Italia laica e che si era ormai svilita a quello che è tutt'oggi: un assembramento di persone di ogni livello sociale volto a favorire gli interessi dei propri affiliati, svilendo i principi di meritocrazia e di pari opportunità per ogni persona
3) La conclusione della prima guerra mondiale aveva sancito la fine di un mondo governato dall'Europa, che si era fortemente indebitata con gli USA, diventati la prima potenza industriale e la valuta internazionalmente riconosciuta non era più la sterlina ma il dollaro, mentre la Russia, che era uscita a caro prezzo dall'orbita europea nel 1917 si era trasformata in una potenza al di fuori dell'economia internazionale e che era stata determinante per la sconfitta della Germania nazista. L'Europa, in primis la Francia, fra l'altro, non ha mai riconosciuto la propria responsabilità per la nefasta evoluzione del nazismo, vista la massiccia disoccupazione ed impoverimento avvenuti nella Germania post-imperiale per gli esorbitanti debiti di guerra richiesti.
Dal 4 all'11 febbraio 1945, alla Conferenza di Jalta, in Crimea, Churchill, Roosevelt e Stalin definirono il nuovo assetto europeo una volta vinta la guerra, che probabilmente consisteva nel reciproco diritto di controllo dei territori occupati durante il conflitto. L'alleanza in tempo di guerra tra Stati Uniti ed Unione Sovietica fu un'eccezione del normale tenore delle relazioni tra i due paesi. La rivalità strategica tra le due vaste nazioni, future superpotenze, risaliva al 1890 quando, dopo un secolo di amicizia, durante il quale, fra l'altro, la Russia aveva venduto agli USA l'Alaska, americani e russi divennero rivali fin dallo sviluppo della Manciuria e ancora durante il secondo conflitto mondiale, i sovietici non dimenticavano le ripetute assicurazioni, a lungo disattese, di Franklin D. Roosevelt, che USA e Regno Unito avrebbero aperto un secondo fronte sul continente europeo. Infatti, mentre gli USA combattevano nel Mediterraneo e in Italia, distruggendone inutilmente con bombardamenti città e infrastrutture nel nord e centro-nord, prestavano aiuto ai sovietici solo bombardando pesantemente l'Europa continentale: un'invasione Alleata su vasta scala del continente avvenne solo nel D-Day del giugno 1944, più di due anni dopo la richiesta dei sovietici. Per cui, alla fine della guerra, l'URSS aveva sofferto perdite tremende, fino a venti milioni di morti, per quanto fu con la battaglia di Stalingrado (l'odierna Volgograd) che i nazi-fascisti iniziarono la loro ritirata fino a Berlino stessa, che capitolò comunque all'Armata Rossa.
Nel mondo ora, vi sono due superpotenze vittoriose e di fatto svincolate dall'Europa, con economie e valori contrapposti, mire imperialistiche a parte.
1) Gli ideali marxisti ottocenteschi dell'Internazionale Socialista che avevano ispirato le rivolte di disoccupati, operai e contadini mal-occupati nel biennio rosso in Italia, (1919-1920) che rivendicavano lavoro sostenibile e reddito dignitoso, erano stati anestetizzati, se non traditi, dagli inetti quadri del partito socialista e dei sindacati e la loro ritrosia a pretendere riforme in tal senso, aveva convinto alcuni di essi a costituire il Partito Comunista d'Italia nel 1921. Per tutta risposta, il re, gli apparati di stato, il mondo dei "moderati" e "benpensanti" avevano appoggiato, favorito o finanziato le reazioni squadriste dei fascisti, fino alla dittatura e alla soppressione dei diritti delle persone, come del resto è avvenuto e sta avvenendo tuttora altrove. Le "chiese", da parte loro, non potrebbero certo non ostacolare una politica laica e atea come quella di stampo marxista. Quindi, storicamente, alle rivendicazioni dei disoccupati, della classe operaia e contadina per una distribuzione dei redditi e delle risorse, si tende a rispondere con la repressione e il condizionamento: fisico e/o psicologico-mentale... quest'ultimo spesso appannaggio delle religioni.
2) A questo proposito, dall'unità d'Italia la Chiesa si era mantenuta perlopiù fuori dalle ingerenze politiche e il suo avvicinamento al Parlamento era iniziato solo nel 1909, con il patto Gentiloni (parente del nostro attuale presidente del consiglio) che permetteva l'elezione di clericali nelle liste liberali. Ci fu poi con la costituzione del Partito Popolare di don Luigi Sturzo che comunque riscosse una malcelata diffidenza dalla santa sede.
Il Regno d'Italia aveva sottratto il potere temporale al papa e Cavour proclamava: "Libera Chiesa in libero Stato" ma il fascismo, con Patti Lateranensi aveva sdoganato il clero, che da allora gestiva capitali, istruzione, produceva armamenti che vendeva allo Stato e benediva le truppe in partenza per colonizzare l'Africa.
Ora nel parlamento non c'era più ne la maggioranza liberale fieramente anticlericale del Regno d'Italia, ne l'accondiscendente dittatore fascista, ma un fronte social-comunista, diviso, di matrice ateo-marxista appena superiore come numero agli esponenti della DC, un partito prettamente clericale, generato fra le sottane stesse dei prelati che comunque guidava il paese con i suoi governi, allargati comunque anche ai partiti antifascisti compagni d'armi nella Resistenza... fattore abbastanza increscioso per il Vaticano, al cui interno era affluita anche la massoneria, che in altri tempi aveva fortemente contribuito all'unità di un'Italia laica e che si era ormai svilita a quello che è tutt'oggi: un assembramento di persone di ogni livello sociale volto a favorire gli interessi dei propri affiliati, svilendo i principi di meritocrazia e di pari opportunità per ogni persona
3) La conclusione della prima guerra mondiale aveva sancito la fine di un mondo governato dall'Europa, che si era fortemente indebitata con gli USA, diventati la prima potenza industriale e la valuta internazionalmente riconosciuta non era più la sterlina ma il dollaro, mentre la Russia, che era uscita a caro prezzo dall'orbita europea nel 1917 si era trasformata in una potenza al di fuori dell'economia internazionale e che era stata determinante per la sconfitta della Germania nazista. L'Europa, in primis la Francia, fra l'altro, non ha mai riconosciuto la propria responsabilità per la nefasta evoluzione del nazismo, vista la massiccia disoccupazione ed impoverimento avvenuti nella Germania post-imperiale per gli esorbitanti debiti di guerra richiesti.
Dal 4 all'11 febbraio 1945, alla Conferenza di Jalta, in Crimea, Churchill, Roosevelt e Stalin definirono il nuovo assetto europeo una volta vinta la guerra, che probabilmente consisteva nel reciproco diritto di controllo dei territori occupati durante il conflitto. L'alleanza in tempo di guerra tra Stati Uniti ed Unione Sovietica fu un'eccezione del normale tenore delle relazioni tra i due paesi. La rivalità strategica tra le due vaste nazioni, future superpotenze, risaliva al 1890 quando, dopo un secolo di amicizia, durante il quale, fra l'altro, la Russia aveva venduto agli USA l'Alaska, americani e russi divennero rivali fin dallo sviluppo della Manciuria e ancora durante il secondo conflitto mondiale, i sovietici non dimenticavano le ripetute assicurazioni, a lungo disattese, di Franklin D. Roosevelt, che USA e Regno Unito avrebbero aperto un secondo fronte sul continente europeo. Infatti, mentre gli USA combattevano nel Mediterraneo e in Italia, distruggendone inutilmente con bombardamenti città e infrastrutture nel nord e centro-nord, prestavano aiuto ai sovietici solo bombardando pesantemente l'Europa continentale: un'invasione Alleata su vasta scala del continente avvenne solo nel D-Day del giugno 1944, più di due anni dopo la richiesta dei sovietici. Per cui, alla fine della guerra, l'URSS aveva sofferto perdite tremende, fino a venti milioni di morti, per quanto fu con la battaglia di Stalingrado (l'odierna Volgograd) che i nazi-fascisti iniziarono la loro ritirata fino a Berlino stessa, che capitolò comunque all'Armata Rossa.
Nel mondo ora, vi sono due superpotenze vittoriose e di fatto svincolate dall'Europa, con economie e valori contrapposti, mire imperialistiche a parte.
Nonostante i precedenti, a
Jalta, Franklin Delano Roosevelt doveva essere sinceramente convinto
dell'esigenza di una pace mondiale duratura e probabilmente non pensava di
aprire le ostilità contro Stalin, come invece avrebbe fatto Winston
Churchill... ma morì il 12 Aprile 1945. Gli successe Harry S.
Truman, che diventò presidente degli USA dall'aprile 1945 e che era
determinato ad aprire i mercati mondiali al capitalismo e a modellare
il mondo del dopoguerra secondo i principi stilati nella Carta
Atlantica: autodeterminazione, pari accesso economico e un
ricostruito capitalismo in Europa. Ma non solo: Truman, e Eisenhower
dopo di lui, si impegnarono soprattutto in una competizione
internazionale con l'URSS e il blocco comunista. La lotta al
comunismo ebbe risvolti anche all'interno degli USA, dando luogo ad
una vera e propria “caccia al comunista”, il Maccartismo mentre all'esterno, vista l'impossibilità di fronteggiarsi con le armi, a causa della grande potenza distruttiva degli armamenti nucleari che entrambe le superpotenze possedevano, prese avvio la Guerra Fredda fra i due blocchi.
Nello stesso1947 scatta in aiuto dell'Europa
distrutta, il Piano Marshall, che serviva a dissuadere
le simpatie verso il mondo comunista e a ricostruire il capitalismo
in Europa da una parte e a finanziare una ricostruzione dai danni
provocati in larga parte dai bombardamenti angloamericani stessi
dall'altra.
4) L'Italia, da parte sua, con ancora le truppe d'occupazione alleate sul suo territorio, il 10 febbraio 1947 firma il
trattato di pace, a Parigi, tra lo Stato italiano, sconfitto, e le potenze
vincitrici della seconda guerra mondiale, che mette formalmente fine
alle ostilità.
Già l'Italia era stata penalizzata nel trattato di pace di Parigi finita la prima guerra mondiale, per quanto potenza vincitrice poiché alla fine del 1917, dopo la rivoluzione bolscevica d'ottobre, disintegrato l'impero degli zar, il governo rivoluzionario russo decise di uscire dallo stato di guerra, firmando poi il Trattato di Brest Litovsk con gli imperi centrali il 3 marzo '18, mentre dava immediata e massima pubblicità ai patti diplomatici segreti rinvenuti negli archivi zaristi. Tra di essi si rinviene il "Patto di Londra", la cui pubblicazione ebbe vasta risonanza internazionale, causando grave imbarazzo alle potenze firmatarie e suscitando inquietudine presso l'opinione pubblica mondiale, ponendo in scacco il metodo della "diplomazia segreta", seguito da decenni dalle potenze europee. L'emergere del Patto di Londra diede il via ad una modifica degli orientamenti politici internazionali che influenzò notevolmente sulla sua non completa attuazione a guerra finita. La risoluta opposizione alla diplomazia segreta e la sua denuncia quale metodo inaccettabile nelle relazioni internazionali, fu uno dei principali motivi ispiratori della stesura, da parte del presidente degli Stati Uniti d'America, Woodrow Wilson, dei suoi celebri "Quattordici punti" e, non a caso, il presidente statunitense si oppose risolutamente alla completa realizzazione delle rivendicazioni territoriali italiane basate sul Patto di Londra non riconoscendo ad esso, come ad accordi similari con altri paesi, alcuna validità.
Dopo gli eventi dolorosi patiti dal popolo italiano fra cui sono da ricordare, oltre agli eccidi, le torture, le impiccagioni e le fucilazioni dei fascisti repubblichini con le SS e le SA naziste, le stragi di comunità di civili da parte delle truppe tedesche, le stragi da bombardamenti aerei e de terra “alleati”, gli stupri sistematici delle truppe franco-marocchine, l'esodo dalle loro terre di oltre 300.000 istriani, fiumani e dalmati tra il 1945 e il 1947, quello che l’Italia firma il 10 febbraio 1947 con le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, più che un “trattato di pace” è un “diktat” punitivo imposto senza possibilità di negoziato a un Paese nemico sconfitto che si è arreso “senza condizioni” nel settembre 1943 e non viene tenuta in considerazione la Resistenza, la guerra civile italiana che ha liberato l'Italia dalla RSI, lo stato-fantoccio nazi-fascista e che ha partecipato alla Liberazione dell'Italia a nord della Linea Gotica: cessione alla Iugoslavia di quasi tutta la Venezia Giulia (l’alta valle dell’Isonzo con l’entroterra fino al crinale delle Alpi Giulie, gran parte del Carso goriziano e triestino, l’Istria), delle città di Fiume e Zara e dell’isole della Dalmazia (Cherso, Lussino, Lagosta, Pelagosa); perdita di Trieste, costituita in Territorio libero (fino al 1954); cessione alla Francia di un’area di 770 kmq sul confine occidentale (i comuni di Briga e Tenda, il passo del Monginevro, la Valle Stretta del monte Thabor, parte del Moncenisio con le centrali idroelettriche, parte del Piccolo San Bernardo); rinuncia a tutti i possedimenti coloniali (Etiopia, Eritrea, Somalia, Libia, Albania, isole del Dodecaneso, concessione cinese di Tientsin o Tianjin); consegna di gran parte della flotta e di molti beni italiani all’estero; pagamento di ingenti indennizzi; disarmo; smilitarizzazione delle zone di confine per una fascia di 20 km.
Già l'Italia era stata penalizzata nel trattato di pace di Parigi finita la prima guerra mondiale, per quanto potenza vincitrice poiché alla fine del 1917, dopo la rivoluzione bolscevica d'ottobre, disintegrato l'impero degli zar, il governo rivoluzionario russo decise di uscire dallo stato di guerra, firmando poi il Trattato di Brest Litovsk con gli imperi centrali il 3 marzo '18, mentre dava immediata e massima pubblicità ai patti diplomatici segreti rinvenuti negli archivi zaristi. Tra di essi si rinviene il "Patto di Londra", la cui pubblicazione ebbe vasta risonanza internazionale, causando grave imbarazzo alle potenze firmatarie e suscitando inquietudine presso l'opinione pubblica mondiale, ponendo in scacco il metodo della "diplomazia segreta", seguito da decenni dalle potenze europee. L'emergere del Patto di Londra diede il via ad una modifica degli orientamenti politici internazionali che influenzò notevolmente sulla sua non completa attuazione a guerra finita. La risoluta opposizione alla diplomazia segreta e la sua denuncia quale metodo inaccettabile nelle relazioni internazionali, fu uno dei principali motivi ispiratori della stesura, da parte del presidente degli Stati Uniti d'America, Woodrow Wilson, dei suoi celebri "Quattordici punti" e, non a caso, il presidente statunitense si oppose risolutamente alla completa realizzazione delle rivendicazioni territoriali italiane basate sul Patto di Londra non riconoscendo ad esso, come ad accordi similari con altri paesi, alcuna validità.
Dopo gli eventi dolorosi patiti dal popolo italiano fra cui sono da ricordare, oltre agli eccidi, le torture, le impiccagioni e le fucilazioni dei fascisti repubblichini con le SS e le SA naziste, le stragi di comunità di civili da parte delle truppe tedesche, le stragi da bombardamenti aerei e de terra “alleati”, gli stupri sistematici delle truppe franco-marocchine, l'esodo dalle loro terre di oltre 300.000 istriani, fiumani e dalmati tra il 1945 e il 1947, quello che l’Italia firma il 10 febbraio 1947 con le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale, più che un “trattato di pace” è un “diktat” punitivo imposto senza possibilità di negoziato a un Paese nemico sconfitto che si è arreso “senza condizioni” nel settembre 1943 e non viene tenuta in considerazione la Resistenza, la guerra civile italiana che ha liberato l'Italia dalla RSI, lo stato-fantoccio nazi-fascista e che ha partecipato alla Liberazione dell'Italia a nord della Linea Gotica: cessione alla Iugoslavia di quasi tutta la Venezia Giulia (l’alta valle dell’Isonzo con l’entroterra fino al crinale delle Alpi Giulie, gran parte del Carso goriziano e triestino, l’Istria), delle città di Fiume e Zara e dell’isole della Dalmazia (Cherso, Lussino, Lagosta, Pelagosa); perdita di Trieste, costituita in Territorio libero (fino al 1954); cessione alla Francia di un’area di 770 kmq sul confine occidentale (i comuni di Briga e Tenda, il passo del Monginevro, la Valle Stretta del monte Thabor, parte del Moncenisio con le centrali idroelettriche, parte del Piccolo San Bernardo); rinuncia a tutti i possedimenti coloniali (Etiopia, Eritrea, Somalia, Libia, Albania, isole del Dodecaneso, concessione cinese di Tientsin o Tianjin); consegna di gran parte della flotta e di molti beni italiani all’estero; pagamento di ingenti indennizzi; disarmo; smilitarizzazione delle zone di confine per una fascia di 20 km.
Alcide De Gasperi cerca di far
valere i meriti acquisiti, dopo la resa, dalla cobelligeranza
antitedesca delle nostre residue forze armate e delle formazioni
partigiane con più di 150.000 caduti, dalla sollevazione che ha liberato le regioni del nord il 25 aprile 1945, dalla scelta
democratica e repubblicana dell’Italia sancita con il voto popolare
del 2 giugno 1946: nessuna delle sue proposte di alleggerimento dei
castighi e degli indennizzi stabiliti da Usa,
Urss, Gran Bretagna e Francia, viene accolta.
Dal discorso che lo statista democristiano tenne alla
Conferenza di pace di Parigi il 10 agosto 1946, quando finalmente fu
ammesso alla tribuna: “Prendendo la parola in questo consesso
mondiale sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è
contro di me: è soprattutto la mia qualifica di ex nemico, che mi fa
considerare come imputato; è l’essere citato qui dopo che i più
influenti di voi hanno già formulato le loro conclusioni”. Tre
giorni prima, alla partenza da Roma, De Gasperi aveva dichiarato ad
un redattore dell’Ansa: “Non so nemmeno se parto come imputato.
Direi che la mia posizione è per quattro quinti quella di imputato
come responsabile di una guerra che non ho fatto e che il popolo non
ha voluto, per un quinto quella di cobelligerante. La figura di
cobelligerante è riconosciuta nel preambolo del Trattato come
principio, ma nel testo si tiene invece conto dei quattro quinti,
rappresentati dalla guerra perduta e non del quinto costituito dalla
nuova guerra che abbiamo combattuto a fianco degli Alleati. Tutto lo
sforzo che bisogna fare è ricordare agli Alleati che li abbiamo
chiamati così perché li abbiamo creduti tali”.
Il Diktat di Parigi suscitò profonda
indignazione tra le forze politiche italiane, e molti proponevano di
non firmarlo. Fra questi: Vittorio Emanuele Orlando, primo ministro
della Vittoria del 1918; Luigi Sturzo, fondatore nel 1919 del Partito
Popolare Italiano; il filosofo liberale Benedetto Croce.
De Gasperi, però, avvertiva che la
situazione determinata dalla disfatta era tale per cui, anche se le
condizioni imposte dai vincitori fossero state peggiori, l’Italia
non avrebbe potuto fare altro che eseguirle. Tuttavia, distingueva
tra l’atto imposto della firma e la sua accettazione morale,
ricordando che nel 1919 i tedeschi avevano firmato ma non accettato
il Trattato di Versailles. La firma - sosteneva - era necessaria per
porre fine all’occupazione militare, ripristinare l’indipendenza
della nazione, chiudere un capitolo doloroso della storia d’Italia
e aprirne uno nuovo, di ricostruzione e di pace.
In effetti, il castigo dell’Italia
sconfitta avrebbe potuto essere di gran lunga più duro: si salvò
l’Alto Adige, grazie anche all’accordo “De Gasperi-Grüber”
con l’Austria del 5 settembre 1946 sulle garanzie alla minoranza di
lingua tedesca; si salvò la Valle d’Aosta, che la Francia del
generale De Gaulle aveva tentato di annettersi occupandola
militarmente nel marzo del 1945 e soprattutto, si scongiurò una
divisione punitiva dello Stato italiano come quella inflitta dai
vincitori alla Germania fino al 1989 e all’Austria fino al 1955,
grazie all’insurrezione partigiana del 25 aprile 1945, che pose
fine alla Repubblica di Salò impedendo trattative di pace separate
con i fascisti repubblichini.
La decisione di firmare il Trattato,
sia pure con riserva di ratifica da parte dell’Assemblea
Costituente, fu presa il 7 febbraio 1947 dal Consiglio dei ministri,
che ne affidò il triste compito a un ambasciatore, Antonio Meli Lupi
(marchese) di Soragna, il quale avrebbe conferito al gesto il basso
profilo di un adempimento burocratico. Spedito a Parigi come
plenipotenziario, l’anziano diplomatico firmò il librone del
Trattato alle ore 11,15 del 10 febbraio, nella Sala dell’Orologio
del Quai d’Orsay e, in mancanza di un sigillo della Repubblica
Italiana da apporre su un bollo di ceralacca, vi lasciò l’impronta
del suo anello con lo stemma gentilizio. In quel momento, tutta
l’Italia era in lutto, con le bandiere a mezz’asta, e
immobilizzata in segno di protesta da uno sciopero generale di dieci
minuti.
Il giorno precedente, il Nuovo Corriere
della Sera aveva così descritto la disfatta: “L’Italia è
mutilata nel suo territorio, disarmata per ogni eventualità di
difesa, privata della flotta e delle colonie, umiliata e rovinata,
senza contare le distruzioni innumerevoli delle sue città, grandi e
piccole”.
L’Assemblea Costituente approvò la
ratifica il 31 luglio 1947, dopo un acceso dibattito, con 262 voti
favorevoli (democristiani, repubblicani, socialdemocratici), 68
contrari, 80 astensioni (dei comunisti) e l’uscita dall’aula dei
socialisti di Nenni.
Il Trattato entrò in vigore il vigore
il 15 settembre successivo, e da quella data cominciarono a decorrere
i 90 giorni previsti per lo sgombero delle truppe di occupazione, che
si concluse una settimana prima del voto finale con cui, il 22
dicembre, l’Assemblea Costituente varò la Costituzione della
Repubblica.
Dopodiché, il Diktat della sconfitta
fu rapidamente rimosso dalla coscienza degli italiani, e ottenne
pochissimo spazio nei testi di storia, perché la nuova Italia
democratica voleva scrollarsi di dosso le responsabilità della
guerra fascista, combattuta dalla parte di Hitler, e apparire
piuttosto come vincitrice, nel 1945, con la guerra di liberazione dal
nazifascismo, in modo da porre a fondamento della Costituzione della
Repubblica un riscatto morale dell’identità nazionale.
Proprio questo è stato il significato
dell’omaggio ai caduti delle Fosse Ardeatine come primo atto
pubblico compiuto dal nuovo presidente della Repubblica, Sergio
Mattarella, eletto il 31 gennaio 2015.
La strategia dei governi democristiani da qui in poi, sarà quella di orientare gli
italiani verso una politica di riconciliazione con i paesi che prima erano stati nemici poi nuovi alleati, di auspicare la costruzione di un’Europa unita, di allearsi decisamente con la democrazia
americana condividendone l'anticomunismo, elemento centrale per il Vaticano e intrattenere politiche di buon vicinato con la Iugoslavia comunista (per via della questione di Trieste e poiché non allineata a Mosca), in un'allerta militare e dei servizi segreti per incombenti minacce dal blocco
sovietico. Infine, non prestare ascolto alle rivendicazioni sociali e non accettare alleanze con le sinistre per non dare spazio ad un risveglio di
risentimenti nazionalistici, potenzialmente eversivi, che la destra neofascista cercava di
fomentare.
Nel maggio del ‘47, il presidente del Consiglio De Gasperi
si reca negli Stati Uniti d'America, ottenendo dal presidente Truman
l'assicurazione di poderosi aiuti economici per la ricostruzione del
Paese, in cui il deficit statale era ingente, il carovita non permetteva a
buona parte della popolazione una vita dignitosa e in cui la guerra aveva
distrutto edifici e infrastrutture. Il Piano Marshall divenne così un
eccellente argomento propagandistico: esaltato dalla DC, fortemente
osteggiato dalle sinistre poiché subordinato all'emarginazione di socialisti e comunisti dal governo italiano, che allora
comprendeva ancora i partiti membri del Comitato di Liberazione
Nazionale.
Il Governo De Gasperi IV è stato il terzo governo della Repubblica Italiana, in carica dal 1º giugno 1947 al 24 maggio 1948, per un totale di 357 giorni, ovvero 11 mesi e 22 giorni.
De Gasperi pone fine al periodo dei governi di “Unità
antifascista”, frutto delle intese intercorse all'interno del CLN.
Il Governo De Gasperi IV è stato il terzo governo della Repubblica Italiana, in carica dal 1º giugno 1947 al 24 maggio 1948, per un totale di 357 giorni, ovvero 11 mesi e 22 giorni.
La composizione del governo: Democrazia
Cristiana (DC), Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI),
Partito Repubblicano Italiano (PRI) e Partito Liberale Italiano
(PLI).
Nel IV Governo De Gasperi, varato con l'appoggio di una coalizione centrista a guida DC che includeva anche il PSLI e in cui Saragat ottiene l'incarico di Vicepresidente del Consiglio dei ministri, il PSI e il PCI, presenti nei precedenti governo finirono esclusi, andando all'opposizione per la prima volta dalla costituzione della Repubblica Italiana e Giulio Andreotti diventa sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il suo grande sponsor, l’uomo che spinge per la sua nomina è Giovan Battista Montini (il futuro Paolo VI, n.d.r.). Andreotti ha 28 anni e ricoprirà l’incarico fino al gennaio del 1954.
Per conto di De Gasperi Andreotti
svolge missioni delicate. Quando all'inizio del ‘48 il governo italiano si
trova tra le mani il documento costitutivo del Cominform, l’ufficio
d’informazione creato un anno prima dai paesi del blocco sovietico,
Andreotti va a Parigi e consegna il carteggio al governo francese
perché lo faccia pubblicare. Il rapporto sul Cominform provoca
sdegno in Italia e assieme all’emozione causata dall’invasione
sovietica della Cecoslovacchia contribuirà alla vittoria della Dc
nelle elezioni del successivo 18 aprile.
Il simbolo del PCI ridisegnato da Renato Guttuso. |
La fondazione del Cominform nel settembre 1947 è l'evento determinante della nuova impostazione della politica estera dell'Unione Sovietica, che esprime
l'esigenza di ripristinare il coordinamento tra il Partito comunista
russo e i partiti comunisti occidentali, a cui viene chiesta un'azione
di opposizione incisiva verso i governi nazionali e il pieno
allineamento all'URSS nella politica internazionale. Le critiche
di Zdanov alla linea "parlamentare", del PCI sono durissime. Mosca infatti, avalla possibilità insurrezioniste e ciò riapre la frattura tra moderati e
intransigenti all'interno del PCI, ma de facto, al momento delle
decisioni, la direzione sovietica sostiene Togliatti e i moderati, decidendo di non esprimersi formalmente sulla situazione
italiana, pur restando incisiva la sua azione di propaganda e la sua dissuasione nel PCI a sostenere e attivare nuove mobilitazioni sociali: strategia volta non a scatenare una grande guerra, ma a indebolire il
blocco occidentale dall'interno, per consolidare la propria
posizione.
La strategia del "partito nuovo"
di Togliatti risulta quindi, in qualche modo, avallata dal PCUS: dopo
un autunno in cui sostiene l'organizzazione aggressiva del
malcontento popolare, il Partito trasforma la mobilitazione in
campagna elettorale e concentra i suoi sforzi sulla conquista
della maggioranza alle elezioni del 1948, lanciando quali parole
d'ordine: rispetto della legalità costituzionale e azione contro
l'imperialismo guerrafondaio, per la pace internazionale.
Lo scontro si sposta ben presto nelle
piazze, con scioperi e proteste in diverse occasioni cui seguiranno le
ferme risposte del governo che non potevano non rendere ancora più
crudo lo scontro in atto. La fine della collaborazione tra tutti i
partiti antifascisti non bloccò comunque i lavori, già avanzati,
dell'Assemblea Costituente, che avrebbero dovuto terminare il 25 febbraio 1947 e si prolungarono invece fino al 22 dicembre 1947, con
l'approvazione definitiva della Costituzione con 458 voti favorevoli e 62 contrari. A seguito di ciò
l'Assemblea Costituente è sciolta e vengono indette nuove elezioni politiche.
Costituzione della Repubblica italiana, da: http://cmaps public2.ihmc.us/rid=1M51LJ77F-19Z5NRJ-1P5M/ Costituzione%20della%20Repubblica%20Italiana.cmap |
Nell'articolo 7 della Costituzione della Repubblica Italiana sono riconosciuti i Patti lateranensi: "Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale [cfr. art. 138]".
Palmiro Togliatti |
...Nel 1947 i Patti Lateranensi, lungi
dall’essere abrogati dopo la caduta del fascismo, furono annessi
alla Costituzione repubblicana tramite il famigerato articolo 7,
grazie al tradimento di Palmiro Togliatti. I comunisti votarono
infatti a favore, insieme a democristiani e qualunquisti, mentre
socialisti, repubblicani e azionisti votarono contro, e i liberali si
divisero fra i due schieramenti: fu il primo caso, anche se purtroppo
non l’ultimo, degli sciagurati compromessi antistorici che una
sinistra “sinistra” ha più volte regalato ai clericali, per il
loro interesse e la sua vergogna. Come degno ringraziamento a
Togliatti, un decreto del Sant’Uffizio del 1° luglio1949 vietava ai
cattolici, pena la scomunica, di aderire a (o anche solo collaborare
con) partiti o movimenti di ispirazione comunista...
Nonostante i mutamenti nelle strutture
sociali e nel costume che si sviluppano nel dopoguerra,
l'Italia (soprattutto grazie all'influenza delle
gerarchie della Chiesa cattolica sul potere politico)
rimane a lungo senza una legislazione sul divorzio.
Mentre le persone facoltose potevano rivolgersi al Tribunale ecclesiastico della Sacra Rota, con costi elevati, oppure far deliberare in Italia sentenze di divorzio pronunciate da tribunali di Paesi dove la legislazione locale consentiva il divorzio anche di cittadini stranieri (segnatamente il Messico e la Repubblica di San Marino), il resto dei coniugi che si separavano doveva rassegnarsi a non poter regolarizzare le unioni con i/le loro nuovi compagni/e ed i figli nati da esse, i quali, fino alla riforma del diritto di famiglia nel 1975, continuarono a subire discriminazioni.
In vista delle elezioni, l'ala "destra" del PSI si unisce al PSLI, il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (nato dalla cosiddetta "scissione di Palazzo Barberini" nel 1947) a formare la lista Unità Socialista, mentre liberali e qualunquisti si uniscono nel Blocco Nazionale. Il PSLI di Saragat si
presenta come forza indipendente "autenticamente socialista e
democratica", schierata su un terreno di sinistra riformista e
autonomista rispetto alla scena politica italiana, ma aperta anche al
contributo di altre forze laico-riformiste di centro e di
centrosinistra, nonché naturalmente a qualunque spezzone
socialista e di sinistra che avversasse il PCI e l'Unione Sovietica.
Tra gli altri aderisce alla proposta anche il gruppo
fuoriuscito dal PSI guidato da Ivan Matteo Lombardo e comprendente,
tra gli altri, intellettuali quali Ignazio Silone, Piero Calamandrei
e Franco Venturi.
Tale operazione ingrossa e rafforza la lista Unità Socialista.
In vista delle elezioni che si approssimavano, la mobilitazione popolare fu ingente: centinaia di migliaia furono i militanti che in ogni parte d'Italia organizzavano comizi, affiggevano manifesti (quelle del 1948 furono le prime elezioni in cui divenne rilevante il ruolo della propaganda cartellonistica), praticavano proselitismo convincendo casa per casa gli elettori indecisi.
Per vastità della mobilitazione, numero di votanti e importanza della posta in gioco, le elezioni del 1948 segnano un unicum nella storia delle consultazioni elettorali italiane.
La Democrazia Cristiana ottiene un
notevole aumento di consensi in tutto il Paese. Particolarmente
rilevanti sono quelli delle regioni centro-meridionali, con
incrementi che superano il 20% dei voti nella Ciociaria e in
Provincia di Salerno. Meno imponenti, seppur superiori al 5%, quelli
delle regioni centrali, mentre nel nord la percentuale di voti
guadagnati è allineata con quella nazionale. A seguito di ciò, la
distribuzione del consenso democristiano risulta più omogeneo
rispetto alle precedenti elezioni, anche se la DC resta ancora molto
radicata nell'Alta Lombardia e nel Triveneto, superando il 70% dei
consensi a Vicenza e Bergamo, ed in provincia di Lucca, in Abruzzo e
nel Lazio. Si confermano invece ostili al partito le regioni del
centro Italia. Infine si portano al di sopra della media nazionale le
percentuali del sud mentre quelle del nord ovest scendono al di sotto
del risultato nazionale.
Manifesto della DC del 1948. |
Manifesto del FDP nel '48. |
Mentre le persone facoltose potevano rivolgersi al Tribunale ecclesiastico della Sacra Rota, con costi elevati, oppure far deliberare in Italia sentenze di divorzio pronunciate da tribunali di Paesi dove la legislazione locale consentiva il divorzio anche di cittadini stranieri (segnatamente il Messico e la Repubblica di San Marino), il resto dei coniugi che si separavano doveva rassegnarsi a non poter regolarizzare le unioni con i/le loro nuovi compagni/e ed i figli nati da esse, i quali, fino alla riforma del diritto di famiglia nel 1975, continuarono a subire discriminazioni.
Manifesto del FDP nel '48 |
Manifesto della DC nel '48 |
Terminata l'esperienza al governo e
divenuto evidente che l'Italia guidata da De Gasperi prendeva ordini dal Vaticano e dagli USA (in chiave anti-socialcomunista, puntava
sull'occidente e la NATO, il patto atlantico di alleanza militare
in funzione anti-sovietica che sarà firmato a Washington D.C. il 4
aprile 1949), PCI e PSI decidono di fondare un'alleanza elettorale,
presentando liste comuni: nasce così il Fronte Democratico
Popolare.
La contrapposizione tra DC e FDP crea una sorta di bipolarismo che rispecchia fedelmente la divisione
politica internazionale: la Guerra Fredda appena esplosa.
La nuova divisione del mondo in due sfere d'influenza ebbero una grossa
ripercussione sulle elezioni italiane.
La Chiesa cattolica intervenne direttamente nella contesa, la fede giocò un ruolo rilevante nella campagna elettorale e fu probabilmente un potente fattore di mobilitazione per i cattolici non interessati alla dialettica politica.
Pio XII, promuove una grande mobilitazione dei cattolici riformando l'Azione Cattolica.
Sostiene inoltre l'azione mediatica del "Movimento per un mondo migliore " di padre Riccardo Lombardi e Luigi Gedda.
Luigi Gedda, cattolico piuttosto intransigente ed integralista fonda, alla vigilia delle elezioni, i Comitati Civici a sostegno della Democrazia Cristiana contro il Fronte Democratico Popolare formato da Partito Socialista Italiano e Partito Comunista Italiano.
In vista delle elezioni del 1948,
Scelba, come ministro dell'Interno, prepara lo Stato al possibile scoppio di una guerra civile,
rafforzando la polizia, espellendo da essa elementi considerati (dal
punto di vista scelbiano) di dubbia fedeltà, conseguenti ad
arruolamenti provvisori avvenuti sul finire della guerra (polizia
partigiana), e sostituendoli con uomini di fiducia (chiamati in
maniera dispregiativa «scelbiatti») la cui risolutezza e
spicciatività provoca tumulti sia in piazza che in Parlamento. Gli
effettivi della polizia, dal luglio del 1947 al gennaio del 1948,
aumenteranno di 30 mila unità, fino a raggiungere una forza
complessiva di 70 mila uomini, in aggiunta ai 75 mila effettivi
dell'arma dei carabinieri e ai circa 45 mila agenti della guardia di
finanza. Il titolare dell'interno impegna la macchina organizzativa
del ministero e delle questure nel lavoro per la costituzione e la
dislocazione nelle aree nevralgiche del territorio nazionale di
reparti mobili e di pronto intervento. La gestione di Scelba determina una
rapida riorganizzazione del Corpo delle Guardie di Pubblica
Sicurezza. La celere, nata sotto il suo predecessore Giuseppe Romita,
cresce perfezionando l'equipaggiamento (è dotata di mitragliatrici
pesanti e addirittura di mortai) e distinguendosi come un vero e
proprio reparto di pronto impiego militare, idoneo a situazioni
belliche che l'insorgente guerra fredda rende non improbabili. I
reparti della celere divennero unità assai organiche e coese la cui
complessità e consistenza quantitativa variavano in funzione dei
problemi d'ordine pubblico previsti. Con le elezioni del 1948, Scelba diventerà deputato alla Camera dei deputati, dove sarà costantemente
rieletto fino al 1968, quando passerà al Senato.
Manifesto della DC nel '48. |
Manifesto del FDP nel '48. |
La Chiesa cattolica intervenne direttamente nella contesa, la fede giocò un ruolo rilevante nella campagna elettorale e fu probabilmente un potente fattore di mobilitazione per i cattolici non interessati alla dialettica politica.
Manifesto della DC nel '48 |
Manifesto del FDP nel '48. |
Pio XII, promuove una grande mobilitazione dei cattolici riformando l'Azione Cattolica.
Sostiene inoltre l'azione mediatica del "Movimento per un mondo migliore " di padre Riccardo Lombardi e Luigi Gedda.
Luigi Gedda, cattolico piuttosto intransigente ed integralista fonda, alla vigilia delle elezioni, i Comitati Civici a sostegno della Democrazia Cristiana contro il Fronte Democratico Popolare formato da Partito Socialista Italiano e Partito Comunista Italiano.
Manifesto del FDP nel '48. |
Manifesto dell DC nel '48. |
Manifesto della DC nel '48. |
Manifesto del FDP nel '48. |
Tale operazione ingrossa e rafforza la lista Unità Socialista.
In vista delle elezioni che si approssimavano, la mobilitazione popolare fu ingente: centinaia di migliaia furono i militanti che in ogni parte d'Italia organizzavano comizi, affiggevano manifesti (quelle del 1948 furono le prime elezioni in cui divenne rilevante il ruolo della propaganda cartellonistica), praticavano proselitismo convincendo casa per casa gli elettori indecisi.
Manifesto della DC nel '48. |
Manifesto della DC nel '48. |
Rispetto alle precedenti elezioni le
maggiori novità erano rappresentate da:
- la coalizione PSI-PCI, unita nel
Fronte Democratico Popolare,
- la nuova formazione dei fuorusciti
dal PSIUP ora nel PSLI, con altri movimenti nella lista Unità Socialista,
- la nuova formazione del MSI, il Movimento Sociale Italiano, che
raccoglieva i nostalgici del fascismo e i neofascisti.
Le maggiori liste in corsa alle
elezioni del '48 erano:
Lista: Collocazione: Ideologia:
Democrazia Cristiana Centro Cristianesimo democratico, Segretario:
Centrismo, Popolarismo,
Antifascismo, Anticomunismo Attilio
Piccioni
Fronte Democratico Popolare Sinistra Socialcomunismo, Comunismo,
Marxismo-Leninismo, Antifascismo Palmiro Togliatti
Unità Socialista Centro-sinistra Socialdemocrazia, Socialismo Ivan Matteo Lombardo
Blocco Nazionale Centro-destra Liberalismo, Conservatorismo liberale,
Anticomunismo Roberto d'Aprigliano
Partito Nazionale Monarchico Destra Monarchismo, Conservatorismo
Partito Nazionale Monarchico Destra Monarchismo, Conservatorismo
nazionale, Anticomunismo Alfredo Covelli
Partito Repubblicano Italiano Centro Repubblicanesimo, Mazzinianesimo,
Centrismo Giulio Andrea Belloni
Movimento Sociale Italiano Estrema
destra Neofascismo, Nazionalismo,
Socialismo nazionale, Anticomunismo,
Anticapitalismo Giorgio Almirante
Elezioni del '48 da: https://www. uninfonews.it/25174-2/ |
Domenica 18 aprile 1948, si svolgono le elezioni politiche per la Camera e il Senato.
Nell'elezione della Camera dei
deputati, su una popolazione stimata in 46.000.000 (nel censimento
del 1936 gli abitanti erano 42.398.489 e 47.515.537 in quello del
1951) hanno diritto di voto 29.117.554 cittadini/e, pari al 63,29%,
di cui i votanti sono 26.855.741, il 92,23% degli aventi diritto.
I risultati:
I risultati:
Lista Voti (%) Voti Seggi
ottenuti su 574
Democrazia Cristiana (DC) 48,51 12.740.042 305
Fronte Democratico Popolare (FDP) 30,98 8.136.637 183
Unità Socialista (US) 7,07 1.858.116 33
Blocco Nazionale (BN) 3,82 1.003.727 19
Partito Nazionale Monarchico (PNM) 2,78 729.078 14
Partito Repubblicano Italiano (PRI) 2,48 651.875 9
Movimento Sociale Italiano (MSI) 2,01 526.882 6
Partito Popolare Sudtirolese (PPST) 0,47 124.243 3
Partito dei Contadini d'Italia (Pcd'I) 0,37 95.914 1
Partito Cristiano Sociale (PCS) 0,28 72.854 0
Partito Sardo d'Azione (Psd'Az) 0,24 61.928 1
Mov. Nazionalista Dem. Sociale (MNDS) 0,21 56.096 0
Unione Movimenti Federalisti (UMF) 0,20 52.655 0
Blocco Popolare Unionista (BPU) 0,14 35.899 0
Altre liste 0,44 118.512 0
Totale 100,00 26.264.458 574
Mentre al Senato della Repubblica, su
25.874.809 cittadini/e aventi diritto al voto, ne votano 23.842.919,
il 92,15%. I partiti maggioritari nelle singole circoscrizioni
elettorali sono:
Lista Voti (%) Voti Seggi su 237
Democrazia Cristiana (DC) 48,11 10.899.640 131
Fronte Democratico Popolare (FDP) 30,76 6.969.122 72
Blocco Nazionale (BN) 5,40 1.222.419 7
Unità Socialista (US) 4,16 943.219 8
Unità Socialista - Part. Rep. It.
(US-PRI) 2,68 607.792 4
Partito Repubblicano Italiano (PRI) 2,62 594.178 4
Indipendenti (IND.) 2,40 544.039 4
Partito Nazionale Monarchico (PNM) 1,74 393.510 3
Movimento Sociale Italiano (MSI) 0,72 164.092 1
Edelweiss (SVP) 0,42 95.406 2
Partito dei Contadini d'Italia (Pcd'I) 0,29 65.925 0
Partito Sardo d'Azione (Psd'Az) 0,29 65.743 1
Unione Movimenti Federalisti (UMF) 0,19 42.880 0
Mov. Nazionalista Dem. Sociale (MNDS) 0,12 27.152 0
Altre liste 0,10 22.108 0
Totale 100,00 22.657.290 237
Risultati per la Camera nel 1948, da: https://commons .wikimedia.org/w/index. php?curid=10038420 |
Il Fronte Democratico Popolare non
conferma i risultati di PCI e PSIUP nelle precedenti elezioni, ma la
distribuzione geografica di questo calo di consensi non è per niente
omogenea. Infatti è nel nord Italia che può essere localizzata
l'emorragia di voti, con decrementi generalmente superiori al 10% e
talvolta anche oltre il 20%, che sono solo in parte compensati dal
risultato dei socialdemocratici. Anche nel centro Italia si
registrano decisi cali per le forze di sinistra, ma più contenuti.
In netta controtendenza i risultati del centro-sud, dove il FDP
incrementa i propri consensi, soprattutto in Calabria e Campania. In
queste zone, tuttavia, sia i socialisti che i comunisti si erano
rivelati particolarmente deboli e infatti, nonostante gli incrementi,
le percentuali restano inferiori alla media nazionale, salvo alcune
eccezioni come il sud della Sicilia e la Provincia di Foggia. Le
sinistre si confermano molto deboli anche nel Triveneto e nell'Alta
Lombardia. Nonostante il calo di consensi, gli ottimi risultati delle
precedenti elezioni rendono le cosiddette regioni rosse (Emilia
Romagna, Toscana e Umbria) le zone più forti del FDP, con risultati
anche superiori al 60%. A queste si aggiungono, seppur con risultati
più modesti, anche il nord ovest, il mantovano ed il Polesine.
L'Unità Socialista ottiene ottimi
risultati nel nord Italia, dove si aggira tra l'8 ed il 10% dei voti.
Particolarmente rilevanti sono i risultati tra le province di Belluno
e Udine, dove tocca il 15%. Nel centro Italia i consensi sono in
linea con la media nazionale (anche se in qualche caso inferiori),
mentre i risultati del sud Italia sono nettamente al di sotto della
media, con qualche eccezione come la Basilicata e la Sicilia
orientale, dove riscuote ottimi consensi. L'Unità Socialista, con il suo 7,1% di voti alla Camera dei deputati e il 4,2% al Senato contribuisce ad impedire in Italia la vittoria del "Fronte Democratico Popolare" costituito dall'alleanza fra PCI e PSI, mirante alla formazione di un governo delle sinistre in grado di avviare le riforme di struttura. L'ottimo piazzamento del PSLI consente ai socialdemocratici di costituire in Parlamento un gruppo consistente, formato da trentatré deputati, mentre al Senato la situazione è ancor più rosea, dato che, con il contributo dei senatori aventiniani di diritto provenienti dall'esperienza del PSU, alla Camera alta si riuscirà a comporre una pattuglia socialdemocratica di ben ventitré membri.
Il Blocco Nazionale perde gran parte
del consenso che avevano accumulato, nelle precedenti elezioni, l'UDN
e il FUQ. Nel centro-nord il calo è piuttosto contenuto, ma in
queste zone i due partiti non avevano ottenuto grande successo. Al
contrario al sud, con pochissime eccezioni, si assiste a dei veri e
propri tracolli, spesso superiori al 20%, con punte del -30%
registrate in Provincia di Napoli. Nonostante ciò i liberali si
confermano radicati quasi esclusivamente al sud dove ottengono
risultati molto al di sopra della media nazionale, con l'eccezione
della Sicilia centrale. Nel centro-nord si registrano risultati
rilevanti solo nel Piemonte Occidentale ed in Friuli.
Il Partito Nazionale Monarchico risulta
stabile rispetto alle precedenti elezioni. Ciò è conseguenza di un
calo di consensi nel nord, non compensato dal fatto che si presenta
in molte circoscrizioni dove prima era assente, e di una leggera
crescita al sud. In quest'area però il confronto è molto variegato.
Si alternano crescite considerevoli in Campania, Sicilia e Basilicata
e drastici cali in Calabria e nel Salento, dove arriva a perdere
anche il 20% dei voti. Il PNM conferma il suo forte radicamento nel
Mezzogiorno, con l'eccezione di Calabria e Sardegna. Pessimi
risultati invece provengono dalle regioni del centro-nord, dove molto
spesso non raggiunge il punto percentuale.
Il Partito Repubblicano Italiano
arretra su tutto il territorio nazionale. In particolare perde molti
consensi nel centro Italia, che però si conferma ancora la zona più
forte dei repubblicani, soprattutto nella Romagna, nelle Marche e
sulla costa Toscana. Altre zone in cui percepisce un buon consenso
sono la Calabria e la Provincia di Trapani. Nel resto del Paese il
PRI risulta piuttosto debole e generalmente in calo rispetto alle
precedenti consultazioni.
Il Movimento Sociale Italiano vede
pervenire la maggior parte dei suoi consensi dal centro-sud, dove
ottiene risultati superiori al 5% in Calabria e nelle province di
Roma e Napoli. Al Nord invece risulta molto debole, spesso sotto l'1%
dei voti.
Rispetto alle precedenti elezioni la DC
conferma il primato in quasi tutte le province, conquistando Ancona e
Aosta e perdendo Vercelli. Inoltre i vantaggi aumentano
considerevolmente soprattutto nelle zone più forti dei
democristiani, cioè nel nord-est e nel centro-sud, dove talvolta
riesce a distaccare il secondo partito di più del 50%. Meno
consistenti i distacchi in Calabria, in alcune parti della Puglia e
nel sud della Sicilia mentre il nord-ovest si conferma una zona molto
contesa, con vantaggi da parte di entrambi i pariti molto risicati.
Il FDP si rafforza notevolmente nelle regioni rosse accumulando
vantaggi anche superiori al 30%.
Il 23 maggio 1948 nel conseguente V
Governo De Gasperi entrano a farne parte due ministri
socialdemocratici: Saragat come Vicepresidente del Consiglio e
Ministro della Marina mercantile e Lombardo al ministero
dell'industria.
Dopo le elezioni del '48, verrà meno avvertito il pericolo di insurrezione generale armata delle sinistre. Si passa al tempo delle manifestazioni, violente ma in genere non armate. Nell'Italia di quegli anni, le manifestazioni sono organizzate soprattutto dai partiti Comunista e Socialista, per cui Scelba si fa rapidamente fama di nemico e persecutore delle rivendicazioni di piazza.
Il giovane Andreotti comincia
da subito a imparare l’importanza degli archivi, dei servizi
segreti e della stampa. De Gasperi gli affida in custodia l’elenco
segreto degli intellettuali italiani che erano stati finanziati dal
Miniculpop, il ministero della cultura popolare fascista. Le
potenzialità ricattatorie di quei documenti sono evidenti. Ma non basta. Andreotti, con l’ormai
inseparabile Evangelisti, si occupa anche di propaganda elettorale.
E’ un mago della politica clientelare a tutti i livelli letta, a
suo dire, con l’ottica della carità cristiana. E’ lui per
esempio a decidere a chi intestare buona parte delle migliaia di
assegni da 2.000 lire inviati come sussidio dalla presidenza del
Consiglio nei primi anni della Repubblica a famiglie di elettori
bisognosi. E sarà lui ad organizzare periodicamente ricevimenti per
dipendenti pubblici sulla via della pensione che potranno tornare a
casa vantandosi di essere stati “invitati da Andreotti”. Nasce così in Ciociaria la sua prima
base elettorale. A Frosinone, la fabbrica di materassi Permaflex apre
una propria succursale. La dirigerà, a partire da metà degli anni
’50 un ex fascista repubblichino, il futuro capo della P2, Licio Gelli. La
Permaflex gode dei finanziamenti della Cassa per il mezzogiorno.
Nel 1949, gli iscritti al PCI
sono scomunicati da Pio XII.
Bernardino Nogara |
Furono rafforzati i legami con diverse banche. Già dai primi del Novecento i Rothschild di Londra e di Parigi trattavano con il Vaticano, ma con la gestione Nogara gli affari e i partner bancari aumentarono vertiginosamente: Credit Suisse, Hambros Bank, Morgan Guarantee Trust, The Bankers Trust di New York (di cui Nogara si serviva quando voleva comprare e vendere titoli a Wall Street), Chase Manhattan, Continental Illinois National Bank. E Nogara assicurò al Vaticano partecipazioni in società che operavano nei settori più diversi: alimentare, assicurativo, acciaio, meccanica, cemento e beni immobili. Un susseguirsi di successi finanziari senza precedenti per la Chiesa cattolica.
Fedele alla chiesa e agli americani, Andreotti negli anni ’50 guarda a destra per allargare
l’elettorato. Mentre in parlamento e sui giornali infuria la
polemica sulla legge truffa (un premio di maggioranza del 15 per
cento dei seggi che doveva essere garantito al partito che superasse
il 50 per cento dei consensi), Andreotti tiene un comizio ad
Arcinazzo in Ciociaria dove, equipaggiate di cestini merenda forniti
dall’organizzazione, accorrono 5.000 persone. Tra di loro c’é
anche l’ex maresciallo d’Italia, il repubblichino Rodolfo
Graziani. Il maresciallo, che proprio ad Arcinazzo qualche mese prima
aveva organizzato un campo di simpatizzanti missini (definito
“paramilitare” dalla stampa), davanti ad Andreotti, dice “se
qualcosa abbiamo ottenuto in questa valle, l’abbiamo avuto da
quando De Gasperi è al governo”. I due al termine del discorso si
abbracciano. Scoppia lo scandalo.
Giulio è dunque un conservatore. E non
solo in politica, dove si colloca decisamente più a destra di De
Gasperi. Anche nel mondo della cultura. Nelle sue vesti di
sottosegretario presidenza del Consiglio con delega alla Spettacolo e
allo Sport, non si limita a ricostruire il cinema italiano, ma tenta
anche di condizionarlo. Nel ‘52 manda una lettera a Vittorio De
Sica in cui critica il pessimismo di “Umberto D”, la storia di un
orfano, e gli chiede di far brillare “un raggio di sole in più”.
Secondo i giornali ad Andreotti non piace il neorealismo perché “i
panni sporchi si lavano in famiglia”. Lui, come spesso è accaduto,
negherà di aver pronunciato la frase.
Stemma di Gladio |
Il 21 novembre 1951 veniva conclusa dal
SIFAR e dal Servizio americano un'intesa di reciproca collaborazione
relativa alla organizzazione ed alla attività del complesso
clandestino postoccupazione comunemente denominato "Stay-Behind"
(stare indietro), il quale prevedeva la costituzione di reti di
resistenza addestrate ad operare, in caso di occupazione nemica del
territorio, nei seguenti campi:
- raccolta delle informazioni,
- sabotaggio,
- guerriglia,
- propaganda ed esfiltrazione.
Tale ultima attività rivestiva nel
complesso operativo di particolare importanza e delicatezza, attesa
la necessità di mantenere i collegamenti fra le zone occupate ed il
territorio libero.
Con la conclusione di tale intesa
vennero definitivamente poste le basi per la realizzazione
dell'operazione indicata in codice con il nome di "Gladio".
Elemento essenziale dell'intera operazione era l'installazione in
Sardegna di un Centro destinato a:
- fungere da base di ripiegamento;
- dirigere le operazioni delle reti
clandestine post-occupazione;
- addestrare il personale.
Tale Centro, denominato Centro
addestramento guastatori (CAG), la cui costituzione venne finanziata
con fondi USA, è stato utilizzato in seguito non solo per l'attività
addestrativa degli appartenenti alla "Gladio", ma anche per
quella di personale operativo dei Servizi di informazione e sicurezza
italiani ed appartenenti a Paesi alleati e di unita' delle "forze
speciali" nazionali e NATO. L'opzione Sardegna, quale territorio
destinato ad ospitare la "base operativa" della "Gladio",
non fu casuale, ma era coordinata con i piani all'epoca predisposti
dallo Stato Maggiore Difesa italiano, che prevedevano l'attuazione di
tutti gli sforzi per "mantenere" l'isola nell'ipotesi di
invasione straniera del territorio nazionale. Una volta costituito
l'organismo clandestino di resistenza, l'Italia fu chiamata a
partecipare quale membro effettivo ai lavori di alcuni organismi
operanti in ambito NATO."
Papa Pacelli: Pio XII |
Alcide De Gasperi |
L'abilità di Andreotti, i suoi contatti, la
sua capacità di raccogliere decine di miglia di preferenze, la sua
giovane età, gli attirano addosso odi e malumori. Anche nel suo
partito molti lo vorrebbero fare fuori. L’occasione sembra arrivare
nel ‘53 quando, con De Gasperi malato, nella Dc si scatena la
guerra per la successione. In pole position c’è l’ex segretario
della Dc Attilio Piccioni, vice-presidente del Consiglio in carica.
L’11 aprile del ’53 però, sulla spiaggia di Torvaianica viene
trovata morta - senza né calze, né reggicalze - una ragazza
poco più che ventenne: Wilma Montesi. Inizialmente si parla di
disgrazia. Poi salta fuori una storia oscura, fatta di festini e
cocaina, che sembra coinvolgere direttamente un figlio del vice-primo
ministro. Emergono una serie di coperture politiche democristiane
attivate per soffocare lo scandalo. Piccioni esce di scena distrutto.
Ancor oggi non é chiaro chi abbia
manovrato l’intera vicenda. Tutti gli storici sono comunque
concordi nell’asserire che l’"affaire" fu utilizzato da correnti
interne alla Dc per evitare che Piccioni succedesse a De Gasperi.
Molti puntano il dito su Amintore Fanfani. Andreotti dal canto suo ha
dimostrato di sapere benissimo come andarono realmente le cose. E nel
marzo del ‘74, quando si vedrà minacciato dal primo scandalo dei
petroli, dirà in un’intervista all’amico giornalista Lino
Jannuzzi: “Se veramente ci fosse qualcuno che mi vuole tirare
dentro […] ha sbagliato i suoi calcoli. Proprio in questo periodo
stavo cercando di ricostruire come nacque veramente l’affare
Montesi, e chi lo manovrò”. L’abitudine di andare a rivangare il
passato e di minacciare, quando attaccato, rivelazioni clamorose sarà
una costante della sua vita. All’epoca dello scandalo Montesi
risale anche il primo grande mistero della storia della Repubblica.
Gaspare Pisciotta a sinistra e Salvatore Giuliano a destra. |
Dopo la morte di Pisciotta sarà
proprio Scelba ad andare al governo tenendo per sé ad interim anche
la carica di ministro degli Interni. Questo governo cercò forti relazioni
con gli Stati Uniti e contribuì a risolvere le questioni in sospeso
in tempo di guerra, come il recupero di Trieste. Scelba lascierà la Presidenza del Consiglio
dopo l'elezione a Presidente della Repubblica di Giovanni Gronchi, il
6 luglio 1955. Il giovane Andreotti invece
resta fuori dal governo e in giugno parte per gli Stati Uniti; al suo ritorno fonda
una corrente tutta sua che si chiama “Primavera”. E’ collocata su
posizioni di destra, ma ha seguito solo nel Lazio e nel mondo del
Vaticano. Gli andreottiani infatti, saranno per anni destinati ad
essere una forza minoritaria della Dc, finché nel ’69 non viene
stretto un accordo con il fanfaniano Salvo Lima, ex sindaco di
Palermo, figlio di un uomo d’onore e citato 149 volte nelle
conclusioni della commissione antimafia. Nel 1956 Carlo Alberto Dalla
Chiesa, ancora colonnello, aveva parlato per la prima volta di lui
in un’intervista a Giorgio Bocca “La mafia non c’è”, aveva
detto con amara ironia, “Ci sono solo delle strane combinazioni.
Per esempio c’è un tale Salvatore Lima. Lo hanno votato in massa
tutti i dipendenti dell’azienda tranviaria diretta da un amico di
Vassallo. Non conosce Vassallo? Faceva il carrettiere, poi ha
costruito mezza Palermo”.
Massimo Spada |
Giuseppe Ciarrapico |
Il 26 febbraio 1991 Giulio Andreotti,
all’epoca presidente del Consiglio, prendendo tutti in contropiede
- specie l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga,
nonché i vertici del SISMI - invia alla commissione Stragi una
relazione su Gladio. Fra altre informazioni, nella lettera
si afferma: "A partire dal 1959, entrammo a far
parte del Comitato clandestino di pianificazione (CPC), operante
nell'ambito dello SHAPE (Supreme headquarters allied powers Europe).
Detto Comitato aveva il compito di studiare la condizione
dell'attività informativo-offensiva in caso di guerra, con
particolare riferimento ai territori di possibile occupazione da
parte del nemico: in esso erano già rappresentati gli USA, la Gran
Bretagna, la Francia, la Germania ed altri paesi della NATO.
Tra il febbraio e il marzo 1960 cade il
governo Segni II, a causa di tensioni interne alle forze politiche
che lo sostenevano, dovute alla richiesta di apertura ai socialisti.
Ad Antonio Segni viene chiesto di provare a costituire un nuovo
esecutivo centrista, ma i tentativi non hanno successo.
Quando è chiaro come i voti missini
siano determinanti per il governo, Tambroni è oggetto di feroci
critiche e di accuse di filo-fascismo e, su richiesta del direttivo
del partito (l'11 aprile), il governo rassegna le dimissioni, accolte
negativamente dal MSI: la conseguenza immediata è il ritiro
dell'appoggio dei missini in molte delle giunte locali a guida
democristiana che si reggono anche sui loro voti (oltre alla capitale
vi sono altre 30 amministrazioni locali appoggiate dal MSI) ed è
deciso di convocare il sesto congresso del Movimento Sociale
Italiano a Genova, città decorata di medaglia d'oro della
Resistenza e da cui era partita l'insurrezione del 25 aprile, come
un'occasione per indebolire il governo Tambroni..
Gli esiti del Congresso della DC di Napoli, portano nel marzo 1962 alla formazione del quarto governo Fanfani basato su una coalizione DC-PSDI-PRI con
l'astensione dei socialisti, fonte di grande apprensione sia in Vaticano che nella NATO. Il nuovo Governo avvia subito una serie
di riforme, richieste soprattutto da parte socialista,
tra le quali la più significativa fu la nazionalizzazione
dell'energia elettrica, con l'obiettivo di ridurre i costi
dell'elettricità e il peso dei monopoli privati. Altri provvedimenti
varati dal governo Fanfani sono l'istituzione della Commissione
nazionale per la programmazione economica, con il compito di
preparare il programma di sviluppo economico al fine di eliminare gli
squilibri economici tra le diverse aree geografiche e i diversi
settori produttivi del paese. Viene inoltre proposta una nuova
tassa sui dividendi azionari e sui profitti immobiliari,
al fine di colpire la speculazione nelle aree edificabili delle
grandi città.
Questi indirizzi programmatici ispirati
alla riforma delle strutture economico- sociali del paese, subiscono
un primo momento di arresto con le elezioni del 28 aprile 1963, che
vedono una notevole flessione (- 4,1%) della DC, una più lieve
flessione socialista e un consistente incremento del PCI (+ 2,6) e
del PLI (+ 3,5). Appare in quel momento difficile - soprattutto per
le resistenze della sinistra del PSI - varare un governo di
centro-sinistra. Il nuovo presidente della Repubblica Antonio Segni
(eletto nel maggio 1962), ripiega su un ministero di transizione,
presieduto da Giovanni Leone.
Antonio Segni |
A marzo del 1960 l'esponente
democristiano Fernando Tambroni riceve l'incarico di formare un
governo per sostituire quello guidato da Antonio Segni appena
dimessosi. L'obiettivo politico era quello di superare l'emergenza,
attraverso un "governo provvisorio", in grado di consentire
lo svolgimento della XVII Olimpiade a Roma e di approvare il bilancio
dello Stato.
L'8 aprile il governo monocolore
democristiano proposto da Tambroni ottiene la fiducia della Camera,
per soli tre voti di scarto (300 sì e 293 no), con il determinante
appoggio dei deputati appartenenti al MSI, il Movimento Sociale
Italiano, formazione neofascista. La circostanza causa l'abbandono
dei ministri appartenenti alla sinistra della DC: Bo, Pastore e
Sullo.
Fernando Tambroni |
Dopo nuovi tentativi, da parte di
Amintore Fanfani di formare il governo con una maggioranza diversa,
si arriva al 21 aprile, quando il presidente Giovanni Gronchi decide
di respingere le dimissioni di Tambroni. Il 29 aprile il politico
democristiano ottiene la fiducia anche al senato, nuovamente grazie
all'appoggio esterno del MSI (128 voti favorevoli e 110 contrari).
Nel frattempo monta l'opposizione contro il governo Tambroni,
accusato da sinistra di aprir le porte ai neofascisti.
- Il 2 giugno il senatore comunista
Umberto Terracini (che fu presidente dell'Assemblea costituente),
durante un discorso tenuto a Pannesi, nel comune di Lumarzo (un
comune della Val Fontanabuona, in provincia di Genova), nella
ricorrenza della Festa della Repubblica, invita le forze che si
rifanno ai valori della Resistenza a organizzare una riunione contro
il congresso del MSI, ritenuto una provocazione contro Genova.
- Il 5 giugno l'Unità, nella sua
edizione genovese, pubblica una lettera-appello scritta da un
operaio, in cui si chiedeva che la città prendesse posizione contro
l'annunciato congresso del MSI.
- Il giorno successivo, il 6 giugno, su
iniziativa della federazione del PSI, i rappresentanti locali dei
partiti comunista, radicale, socialdemocratico, socialista e
repubblicano, dopo essersi riuniti per decidere una posizione comune
sul congresso, fanno stampare un manifesto in cui, denunciando il
congresso missino come una grave provocazione, additano al disprezzo
del popolo genovese nei confronti degli eredi del fascismo.
- Il 13 giugno, alla richiesta di non
fare svolgere il congresso si aggiunge in maniera ufficiale la Camera
del lavoro.
- Due giorni dopo, il 15 giugno, una
manifestazione indetta con lo scopo di protestare contro lo
svolgimento dello stesso, vede la partecipazione stimata di 20.000
persone e si registrarono i primi scontri (poi sedati dai
carabinieri), nella zona di via San Lorenzo (strada adiacente
all'omonima cattedrale), tra un gruppo di manifestanti e alcuni
neofascisti.
- Il 24 giugno, un comizio di protesta
contro il congresso, indetto dalla Camera del lavoro, che si doveva
svolgere nella zona del porto, è vietato dalla Questura, con la
motivazione che l'autorizzazione non era stata chiesta coi tre giorni
di anticipo previsti dalla legge.
- Il 25 giugno, durante un nuovo corteo
di protesta organizzato dalle federazioni giovanili del PCI, del PSI,
del PSDI, del PRI e dei radicali, a cui aderiscono anche i portuali,
vi sono nuovi scontri, questa volta in via XX Settembre, tra
manifestanti e polizia. Nel corso di quel corteo si decide d'indire
per il 2 luglio un comizio, nel quale sarebbe intervenuto Ferruccio
Parri, leader del Partito d'Azione che con il nome di battaglia
“Maurizio” fu capo partigiano durante la guerra di liberazione
dal regime fascista in Italia, decorato dagli USA con la Bronze Star
Medal. E' stato inoltre il primo presidente del Consiglio a
capo di un governo di unità nazionale istituito alla fine della
seconda guerra mondiale. .
- Il 27 giugno 1960 al presidente del
consiglio Tambroni è consegnato, da parte dei dirigenti del MSI, un
rapporto in cui si dice che il deputato missino ligure Giuseppe
Gonella aveva raccolto informazioni che portavano a ritenere il
prossimo congresso a rischio di disordini. Secondo questa nota, in
parte a causa delle condizioni precarie di povertà e disoccupazione
in cui vivevano i lavoratori del porto, in cerca di uno sfogo per il
malcontento accumulato e in parte per la configurazione stessa del
centro storico, che poteva favorire eventuali scontri, la situazione
sarebbe potuta degenerare. Nella nota il MSI informava Tambroni che
era stato ipotizzato dal segretario Michelini di chiedere al governo
la proibizione del congresso per motivi d'ordine pubblico, in modo da
evitare il pericolo, senza però che si sapesse che la decisione era
stata richiesta dagli stessi missini, ma la proposta era stata
fermamente respinta dagli altri dirigenti del partito. In
conclusione, il MSI rendeva noto d'aver deciso di celebrare il
congresso, ma anche di far giungere a Genova "almeno un
centinaio di attivisti romani, scelti tra i più pronti a menar le
mani": decisione quest'ultima che viene resa pubblica tramite la
stampa, e sottoposta a critiche nei giorni successivi agli scontri. A
rendere ancora più incandescente la situazione interviene la
notizia, riportata dal quotidiano Il Giorno, della partecipazione ai
lavori del congresso di Carlo Emanuele Basile, sottosegretario
all'Esercito e prefetto della città ai tempi della Repubblica
Sociale Italiana. Basile era conosciuto a Genova per gli editti del
marzo 1944 contro lo sciopero bianco e le proteste indette dagli
operai, a cui succedette nel mese di giugno la deportazione di alcune
centinaia di lavoratori nei campi di lavoro della Germania nazista.
Per le sue azioni durante la guerra, Basile venne prima assolto, poi
condannato a morte, per poi essere nuovamente assolto dopo ulteriori
ricorsi, grazie anche a una serie di amnistie e condoni, continuando
nel dopoguerra la sua attività politica all'interno del MSI. È
stato ipotizzato che la presenza di Basile fosse un errore dovuto a
un caso di omonimia, e che a essere ospite al congresso sarebbe stato
Michele Basile, avvocato di Vibo Valentia e futuro senatore del MSI
nella IV Legislatura, ma secondo Donato Antoniello e Luciano
Vasapollo, in “Eppure il vento soffia ancora” (2006), la presenza
di Carlo Emanuele Basile sarebbe stata annunciata dai dirigenti del
MSI insieme con quella di Junio Valerio Borghese. I due saggisti
citano come riferimento il libro di Nicola Tranfaglia “Le Piazze”.
L'ipotesi relativa alla possibile presenza di Borghese è
saltuariamente ricordata dalla pubblicistica che tratta di questi
avvenimenti (anche solo per smentirla).
- Il 28 giugno venne indetta una
manifestazione di protesta, nel corso della quale Sandro Pertini,
affermando la sua opposizione al congresso, dice:
Sandro Pertini |
« La polizia sta cercando i
sobillatori di queste manifestazioni, non abbiamo nessuna difficoltà
ad indicarglieli. Sono i fucilati del Turchino, di Cravasco, della
Benedicta, i torturati della casa dello studente che risuona ancora
delle urla strazianti delle vittime, delle grida e delle risate
sadiche dei torturatori. »
A questa manifestazione partecipano
circa 30.000 persone. Il discorso di Pertini, particolarmente
appassionato, verrà soprannominato in genovese "u brichettu"
(letteralmente "il fiammifero") per aver simbolicamente
"incendiato" la popolazione genovese.
- Il 29 giugno la Camera del Lavoro
cittadina indice uno sciopero generale nella provincia genovese per
la giornata del 30, dalle 14 alle 20, a cui si sarebbe aggiunto un
lungo corteo per le strade della città, mentre il presidente
dell'ANPI invita tutti gli iscritti a partecipare alla manifestazione
del 30.
A complicare questa situazione di
tensione si aggiungono alcune decisioni prese dalle forze dell'ordine
che vengono in parte percepite come ulteriori provocazioni: la visita
del comandante generale dell'Arma dei Carabinieri per un'ispezione
della città, la sostituzione del questore Alfredo Ingrassia (che
aveva chiesto il pensionamento) con Giuseppe Lutri, noto per la sua
attività anti-resistenziale a Torino durante la dittatura fascista,
e l'arrivo della Celere di Padova, specializzata in tattiche di
anti-guerriglia urbana.
- Oltre ai partiti e ai sindacati,
durante il mese di giugno anche l'Università (soprattutto l'Istituto
di Fisica diretto da Ettore Pancini) si attiva con un appello,
firmato da intellettuali di vario orientamento politico, contro lo
svolgimento del congresso e numerosi studenti e ricercatori
partecipano alle varie manifestazioni.
- Il 30 giugno, sia l'accesso alla zona
di Portoria, sia alcuni cantieri del nascente centro dirigenziale di
Piccapietra, vengono bloccati e presidiati dalle forze dell'ordine,
mentre viene chiuso per lavori (fittizi) il vicino parco
dell'Acquasola. Tra i sindacati, la UIL si opporrà alla
manifestazione prevista, mentre la CISL lascerà ai propri iscritti
libertà di scelta sulla partecipazione o meno.
La manifestazione, seppur in
un'atmosfera tesa, si svolge inizialmente senza particolari problemi:
partendo dal primo pomeriggio da piazza dell'Annunziata, i
manifestanti proseguono per via Cairoli, via Garibaldi, via XXV
Aprile, piazza De Ferrari, via XX Settembre (dove vengono depositati
alcuni fiori davanti al sacrario dei caduti, situato sotto al ponte
Monumentale), per poi terminare in piazza della Vittoria, dove viene
svolto un comizio dal segretario della Camera del Lavoro. Nelle foto
della manifestazione si vedono sia politici sia comandanti partigiani
che sfilano preceduti dai Gonfaloni della città.
Al termine della manifestazione parte
dei manifestanti risalgono verso piazza De Ferrari, fermandosi lungo
la strada sia davanti al teatro Margherita (controllato da gruppi di
Carabinieri, che verranno provocatoriamente fischiati) sia davanti al
Sacrario dei Caduti, dove vengono cantati degli inni della
Resistenza. I manifestanti giungono così in piazza de Ferrari, dove
molti si fermano nei dintorni della fontana centrale: qui sono
presenti alcuni mezzi motorizzati della polizia, oltre ad agenti a
piedi, e la situazioni comincia a peggiorare. Alle provocazioni dei
manifestanti, che intonano canti partigiani e slogan contro le forze
dell'ordine, queste provano a disperdere la folla con un idrante, per
poi cominciare alcune cariche intorno alla fontana.
A questo punto lo scontro diviene
aperto: le camionette e le jeep della celere effettuano cariche sia
nella piazza, sia nelle vie limitrofe, sia sotto i porticati della
parte alta di via XX Settembre. I manifestanti, che continuano a
fluire nella zona, nel frattempo si procurano attrezzi da lavoro,
spranghe di ferro e alcuni pali di legno dai vicini cantieri edili,
con cui colpiscono le camionette che si fermano e gli agenti a terra,
mentre le forze dell'ordine cominciano a impiegare, oltre che i
lacrimogeni, anche alcune armi da fuoco (ma solo una persona
risulterà ricoverata per ferite da arma da fuoco). Alcune delle
camionette della celere vengono incendiate (segni in parte ancora
visibili sui mosaici del pavimento del porticato). Si registra il
fatto che alcuni degli esponenti delle forze dell'ordine, tra cui il
comandante della celere finito nella vasca della fontana, rimasti
isolati e soggetti a violenze, vengono portati fuori dagli scontri da
alcuni dei manifestanti.
Nella descrizione di un giornalista del
Corriere della Sera gli scontri vengono raccontati in questo modo:
« Giovanotti muscolosi si applicavano
a divellere cassette di immondizie, a staccare dalle pareti di un
portico riquadri con i programmi dei cinematografi, a spaccare i
cavalletti che recingevano un piccolo cantiere di lavori in piazza De
Ferrari. Nelle mani dei manifestanti comparvero, stranamente bombe
lacrimogene. La sassaiola contro la polizia era incessante. Un agente
fu buttato nella vasca della fontana di piazza De Ferrari, altri
vennero colpiti dalle pietre e andarono sanguinanti a medicarsi »
Gli scontri si spostano anche nei
vicini "caruggi", gli stretti vicoli tipici del centro
storico genovese, dove la popolazione residente "bombarda"
con vasi e pietre lasciati cadere dalle finestre gli esponenti delle
forze dell'ordine che inseguono i manifestanti. Gli scontri
proseguono e gli organizzatori della manifestazione temono che, per
porvi fine, venga ordinato alle forze dell'ordine di aprire il fuoco
sulla folla, azione che avrebbe causato numerosi morti. Il presidente
dell'ANPI, Giorgio Gimelli, si accorda quindi con alcuni
ex-partigiani, tra cui un funzionario di polizia, per impegnare gli
aderenti all'associazione per fermare gli scontri, avendo in cambio
l'assicurazione che le forze dell'ordine si sarebbero ritirate senza
effettuare nessun arresto. Al termine degli scontri si registrano 162
feriti tra gli agenti e circa 40 feriti tra i manifestanti.
Manifestazioni e scioperi di protesta
contro il governo Tambroni si svolgeranno nello stesso giorno anche a
Roma, Torino, Milano, Livorno e Ferrara.
- Il 1º luglio si registrano diversi
scontri tra forze dell'ordine e manifestanti in diverse parti
d'Italia, tra cui Torino (manifestazione organizzata dal Pci,
svoltasi in piazza Solferino) e San Ferdinando di Puglia (assemblea
indetta dalla locale Camera del Lavoro). In un suo discorso alla
Camera dei Deputati relativo agli scontri del giorno precedente,
Sandro Pertini accuserà degli stessi la Polizia ("a provocare
gli incidenti non sono stati i carabinieri, non le guardie di
finanza: è stata la polizia"), accusandola di aver mantenuto un
comportamento fazioso anche nelle manifestazioni dei giorni
precedenti al 30 giugno.
- La Camera del Lavoro di Genova indice
uno sciopero generale per il 2 luglio, il primo giorno del congresso
dell'MSI. Il prefetto Luigi Pianese convoca i responsabili della
manifestazione e dell'MSI, proponendo un compromesso: il congresso
del partito si sarebbe tenuto, ma al teatro Ambra di Nervi (come il
teatro Margherita di proprietà della SARP di Fausto Gadolla,
imprenditore genovese e al tempo da poco ex presidente del Genoa),
mentre l'ANPI e le altre forze della sinistra avrebbero effettuato
una manifestazione altrove. I missini però rifiutano l'accordo,
sostenendo che avrebbero accettato il trasferimento solo se ai
manifestanti fosse stato vietato di sfilare per il centro della
città. La tensione in città comincia quindi a salire di nuovo. Il
prefetto fa arrivare in città diversi reparti delle forze
dell'ordine e dell'esercito, schierandoli in zone in cui potessero in
qualche modo impedire l'afflusso dei manifestanti provenienti dai
quartieri industriali verso il centro della città.
Il prefetto e il questore ritengono che
il PCI e l'ANPI avrebbero potuto far intervenire alla manifestazione
alcuni ex-partigiani per dar vita a incidenti di piazza, e valutano
quindi come possibile l'uso delle armi da fuoco. Il questore tuttavia
ritiene che il teatro Margherita sia troppo vicino al sacrario dei
caduti (50 metri circa) e che quindi l'unico modo per evitare nuovi
scontri sia lo spostamento della sede del congresso. Il giorno
seguente la stessa SARP nega la disponibilità del teatro Margherita,
dicendosi disponibile a ospitare l'incontro presso il teatro Ambra,
ma il direttivo del Movimento Sociale, guidato da Arturo
Michelini, respinge la proposta e decide di annullare la
manifestazione denunciando: "le gravissime responsabilità
che da un lato i sovversivi e dall'altro il governo si sono assunti
nel rendere praticamente irrealizzabile un congresso di partito e nel
tollerare una sfrontata violazione del codice penale vigente".
L'MSI rinuncia quindi al congresso, per ragioni "morali,
politiche ed organizzative". La Camera del Lavoro e i sindacati
annullano lo sciopero previsto per il 2 luglio, mentre il giorno 3 si
svolge una manifestazione che vedrà la partecipazione di diversi
politici ed esponenti dell'antifascismo, tra cui Luigi Longo, Umberto
Terracini, Pietro Secchia, Franco Antonicelli e Domenico Riccardo
Peretti Griva. Durante la manifestazione si sosterrà che i
manifestanti arrestati hanno dovuto agire per legittima difesa.
Nel periodo seguente si hanno
diversi scontri in diverse parti d'Italia, spesso nati da
manifestazioni di protesta dei lavoratori o da tentativi di
commemorare avvenimenti della lotta antifascista. Al contrario di
Genova, in queste occasioni si registrerà un uso frequente delle
armi da fuoco da parte delle forze dell'ordine, con diversi morti e
numerosi feriti tra i manifestanti.
- Il 5 luglio a Licata gli scontri a
seguito di una manifestazione di protesta del sindacato e del
relativo blocco della stazione ferroviaria vedranno un morto e 24
feriti. A Milano viene distrutta la sede del Partito Radicale, a Roma
alcuni ordigni esplosivi vengono gettati contro una sede locale del
PCI, mentre a Ravenna, durante le ore notturne, un gruppo di
neofascisti incendia l'abitazione di Arrigo Boldrini, segretario
nazionale dell'ANPI.
- Il 6 luglio a Roma presso la Porta
San Paolo è indetta una nuova manifestazione contro il governo, che
prevede la deposizione di alcune corone di fiori presso la lapide
ricordo degli scontri del settembre 1943. La manifestazione, vietata
all'ultimo, venne ugualmente organizzata (con anche la partecipazione
di una cinquantina di parlamentari provenienti dal PCI, PSI e PRI) e
i reparti a cavallo della polizia caricano violentemente i
manifestanti con il tentativo di disperderli. Lo scontro che ne segue
porta a incidenti nel corso dei quali viene tra l'altro ferito
l'agente Antonio Sarappa, che morirà circa due mesi dopo a causa
delle ferite riportate. Dopo gli scontri si registrano numerosi fermi
e arresti nel quartiere Testaccio: la rivista L'Espresso nel
successivo numero del 17 luglio a questo proposito scriverà "Per
molte ore, in quelle zone, chiunque non aveva la cravatta veniva
fermato interrogato, spesso bastonato".
- Il 7 luglio una manifestazione
sindacale a Reggio Emilia, con 20.000 partecipanti (contro i soli 600
posti della Sala Verdi concessa dalla questura per la
manifestazione), finisce in tragedia quando la polizia e i
carabinieri sparano sulla folla in rivolta, provocando 5 morti. In
totale le forze dell'ordine esploderanno 500 colpi durante quegli
scontri.
- L'8 luglio il democristiano Cesare
Merzagora, presidente del Senato, propone una "tregua" di
due settimane, chiedendo che vengano sospese tutte le manifestazioni
di protesta indette dai partiti di sinistra, dall'ANPI e dai
sindacati, e che nel frattempo vengano ritirate nelle caserme le
forze di polizia. La proposta viene accettata dal PCI, PSI, PSDI, PRI
e dal Partito radicale, con riserva dalla DC, e vede l'opposizione
dei partiti di destra.
Nel pomeriggio dello stesso giorno
avvengono nuovi scontri a Palermo (con due morti e 36 feriti da arma
da fuoco per alcuni, mentre altre fonti riportano 4 morti, e circa
300 fermati) e Catania (un morto). Sempre l'8 luglio a Firenze, una
manifestazione di protesta relativa ai recenti avvenimenti di Reggio
Emilia viene caricata dalla polizia.
Comincia a circolare l'ipotesi (sposata
per esempio dal The New York Times in un articolo che parla degli
scontri dell'11 luglio intitolato "Violence in Italy") che
le manifestazioni che stavano avvenendo in tutta Italia e le relative
violenze siano organizzate dal PCI, in riferimento anche ad un
recente viaggio di Togliatti a Mosca, dal 21 giugno al 4 luglio.
- Il 13 luglio la direzione della DC
emette un documento in cui dichiara esaurito il compito del governo,
dicendosi pronta e favorevole a cercare la creazione di un nuovo
esecutivo. Il giorno seguente Tambroni, nel riferire alla Camera dei
deputati, riprende la tesi delle violenze organizzare dal PCI, e il
collegamento di queste con il viaggio a Mosca di Togliatti. Durante
il consiglio dei ministri nega l'ipotesi di dimissioni, evidenziando
che queste avrebbero potuto sembrare un "cedimento alla piazza",
mettendo al corrente i ministri che gli scontri avrebbero destato
preoccupazioni anche all'estero, compresi gli Stati Uniti.
- Il 18 luglio la rivista Il Mulino
pubblica un appello, sottoscritto da 61 intellettuali cattolici, in
cui afferma la necessità di rifiutare le politiche autoritarie e le
alleanze contro le forze politiche neofasciste, anche quando queste
servono a difendere i "valori cristiani contro il marxismo".
A seguito delle proteste e dello
sfaldarsi della propria maggioranza il Governo Tambroni si dimette il
19 luglio.
Emerge, da parte dei partiti del centro
democratico, la convinzione che occorra voltare pagina e costituire
una maggioranza in grado di assicurare al paese una nuova e
costruttiva fase politica. Matura così un comune orientamento,
tendente a collaborare con il partito di maggioranza nel difficile
momento politico che il paese sta attraversando. Il 22 luglio 1960
Gronchi conferisce a Fanfani l'incarico di formare il nuovo governo.
Nella circostanza il lavoro di Fanfani è particolarmente agevolato
dal fatto che l'accordo tra i partiti era giò stato raggiunto e
stava prendendo corpo un governo che Moro definva delle "convergenze
democratiche" il cui fatto nuovo è rappresentato
dall'astensione del partito socialista, dopo molti anni di
dura opposizione.
Dal 15 al 20 marzo 1961, al teatro
Lirico di Milano si svolge uno dei più importanti congressi
nella storia del PSI, destinato ad aprire nuovi e importanti
sbocchi al quadro politico italiano, favorendo la svolta di
centro-sinistra che da anni è oggetto di un lento e faticoso
processo di maturazione. Il compito di Nenni, in questo Congresso,
non era facile, dovendo fronteggiare l'opposizione della sinistra
interna, che rifiutava qualsiasi ipotesi di collaborazione con la
Democrazia cristiana.
La mozione presentata da Nenni, che
prevale con il 55,09% dei voti, ribadisce il significato
dell'autonomia del partito (dal PCI) e la scelta incondizionata
del metodo democratico. Il leader socialista mira ad un governo
non più risultato dell'emergenza, ma politicamente qualificato nella
chiara prospettiva di una politica di collaborazione di
centro-sinistra.
Il 27 gennaio 1962 si svolge a Napoli
l'VIII Congresso nazionale della DC. La lunga relazione di Moro tocca
tutti gli aspetti della vita politica italiana, riperre le vicende
degli ultimi mesi, sottolinea il ruolo svolto dalle forze politiche,
tocca i problemi internazionali e gli aspetti economici e sociali,
analizza i problemi del governo, il programma e le finalità della
Democrazia cristiana, ecc. Un discorso di eccezionale ampiezza, tutto
attraversato però dall'esigenza di far capire ai congressisti, la
necessità di una svolta politica che appare inderogabile e
necessaria per il paese e per la Democrazia cristiana. La mozione
conclusiva, che si richiama alle tesi di Moro, viene approvata a
grandissima maggioranza dal Congresso. Nel giro di un paio d'anni
Aldo Moro era riuscito a condurre tutto il partito ad una
svolta politica di grande significato nella storia del paese: il
centro-sinistra.
Amintore Fanfani |
Giovanni Leone |
Papa Roncalli: Giovanni XXIII |
In quegli
anni la formazione di un governo di centro-sinistra, voluto da Aldo Moro, non sarà infatti ostacolata dalle gerarchie ecclesiastiche.
Papa Montini: Paolo VI |
Durante il suo pontificato, L'Azione
Cattolica guidata da Vittorio Bachelet compì la "scelta
religiosa", che segnava la fine del collateralismo
dell'associazione alla politica della Democrazia Cristiana.
Contemporaneamente però, l'Azione Cattolica smise di essere l'unica
associazione cattolica laicale in Italia.
Paul Marcinkus |
Michele Sindona |
Quest'ultimo incarica Sindona di eludere la
legislazione fiscale sottraendo alla tassazione l'ingente patrimonio
azionario vaticano (che esulava dai privilegi fissati dal
Concordato). Sindona non tradisce le aspettative del Pontefice e
trasferisce gli investimenti nel mercato esentasse degli eurodollari,
tramite un rete di banche off-shore domiciliate nei paradisi fiscali.
I Madonìa erano in affari con Sindona attraverso lo IOR del
Vaticano.
Licio Gelli (ex fascista e repubblichino, collaboratore da sempre dei servizi segreti americani) si iscrive alla massoneria nel 1963 e tre anni dopo, il gran maestro Giordano Gamberini lo trasferisce a dirigere la loggia "Propaganda 2", la P2, di cui diventerà "maestro venerabile" nel 1975.
Il 4 dicembre 1963, dopo la fase
transitoria del "governo ponte" guidato da Giovanni Leone,
si raggiunge l'accordo storico fra Dc e Psi - tanto voluto da Aldo
Moro - che porta alla costituzione del primo governo della nuova
storia repubblicana italiana con partecipazione dei socialisti.
Pietro Nenni, leader del Psi, è vicepresidente del Consiglio; 6 sono
i ministri socialisti. Al momento di porre la fiducia, però, alcuni
parlamentari socialisti manifestano il loro disaccordo (25 deputati e
13 senatori escono dall'aula) e fonderanno il nuovo Partito
Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Fra i dissidenti,
tuttavia, c'è anche qualche democristiano, come ad esempio Mario
Scelba, capofila della corrente Centrismo. Consumate tutte le
polemiche, il governo ottiene la fiducia (alla Camera 350 sì, 233
no, 4 astensioni; al Senato 175 sì, 111 no). Il governo Moro I, presieduto da Aldo
Moro e formato da esponenti della Democrazia Cristiana, del Partito
Socialista Italiano, del Partito Socialista Democratico Italiano e
del Partito Repubblicano Italiano, è stato il diciannovesimo governo
della Repubblica Italiana, il secondo della IV legislatura. È
rimasto in carica dal 5 dicembre 1963 al 23 luglio 1964 per un totale
di 231 giorni, ovvero 7 mesi e 18 giorni.
Dalla relazione su Gladio del 26 febbraio 1991 che Andreotti invia alla commissione Stragi: "Nel 1964, il nostro Servizio informazioni entrò nel Comitato Clandestino Alleato (CCA), organismo destinato a studiare e risolvere tutti i problemi di collaborazione fra i diversi Paesi per il funzionamento delle reti di evasione e fuga. Di questo Comitato facevano parte: Gran Bretagna, Francia, USA, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Germania Occidentale. Inoltre, il necessario raccordo strategico nell'ambito dell'Alleanza Atlantica tra le attività di guerra non ortodossa, affidate alle reti clandestine di resistenza, e le operazioni non tradizionali effettuate, in territorio nemico o invaso dal nemico, dalle forze militari regolari, veniva attuato attraverso apposite direttive emanate dal Comando Supremo Alleato in Europa."
Il tentativo di colpo di stato di De Lorenzo, il piano "solo", era stato tenuto ovviamente
segreto, sebbene alcune voci avessero sin dall'inizio preso a
circolare (sempre più insistentemente, provocando nel 1965 la
metamorfosi del SIFAR, evolutosi nel pressoché identico SID,
formalizzata l'anno successivo). La sua scoperta pubblica si ebbe
soltanto qualche anno dopo, grazie ad alcuni articoli L'Espresso
diretto da Eugenio Scalfari, che diede inizio a una campagna
giornalistica che ricostruiva le vicende del «bimestre nero»
dandone i connotati di un golpe incompiuto ma innegabile. Alla
«bomba» dell'Espresso seguirono una causa giudiziaria tra De
Lorenzo da una parte, Scalfari e Lino Jannuzzi (autore degli
articoli) dall'altra; dopo una condanna dei giornalisti in primo
grado tutto si concluse con una remissione di querela. Immediatamente De Lorenzo fu rimosso
dal suo incarico allo Stato Maggiore dell'Esercito e furono avviate
procedure di inchiesta da parte di diversi enti; per i carabinieri fu
il vice-comandante generale, il generale Giorgio Manes, già
precedentemente in urto col De Lorenzo (ed anche con uno dei suoi
successori, Ciglieri) e uno fra i primi ad ammettere pubblicamente
l'esistenza del piano, a dirigere un'investigazione che si risolse
nel famoso «rapporto Manes». Manes, in realtà, era ben partecipe
(come subordinato) del piano e anzi taluni suoi appunti privati del
tempo furono in seguito esaminati in sede giudiziaria per ricostruire
le fasi dell'approntamento del piano.
Nel 1965, in concomitanza con la
presentazione alla Camera dei deputati di un progetto di legge per
il divorzio da parte del deputato socialista Loris Fortuna,
inizia la mobilitazione del Partito Radicale per sensibilizzare
l'opinione pubblica sul tema dell'istituzione del divorzio in Italia.
Licio Gelli nel '41. |
Aldo Moro |
Il 27 dicembre 1963 il governo istituisce la
Regione Molise, la ventesima regione d'Italia, dallo scorporo dalla
precedente Abruzzi e Molise.
Il 26 gennaio 1964, Moro si dimette da
segretario della Dc, lasciando l'eredità a Mariano Rumor (della
corrente dorotea) e al vice Arnaldo Forlani (fanfaniano).
Il 22 febbraio 1964 scattano i nuovi
provvedimenti del governo: viene disciplinata la vendita a rate e
viene varata una riforma finanziaria per trattenere la fuga di
capitali (tra le altre cose, il governo riduce al 5% la quota di
possesso sui titoli nominativi e mantiene al 30% quella sui titoli
anonimi).
Il 25 marzo 1964, il capo dell'Arma dei
Carabinieri, il generale Giovanni De Lorenzo, si incontra con i
comandanti delle divisioni di Milano, Roma e Napoli e aveva pone in
essere un piano finalizzato a far fronte a una situazione di estrema
emergenza da parte dei carabinieri e solo essi (Piano Solo).
Il piano prevedeva di occupare anche questure, sedi di partiti e
sindacati. La riunione era stata autorizzata ufficialmente dal Capo
di stato maggiore della difesa, generale Rossi.
Il 27 maggio 1964 i provvedimenti
governativi suscitano la crisi: il ministro socialista del
Bilancio, Antonio Giolitti, dice di non essere d'accordo e di
prevedere un aggravamento della situazione e anche il collega
democristiano del Tesoro, Emilio Colombo, afferma di prevedere un
collasso dell'economia a causa dell'eccessivo aumento dei salari
rispetto al reddito. Pochi giorni dopo, ad avallare questa
situazione è il governatore della Banca d'Italia, Guido Carli, il
quale afferma che a pagarne le conseguenze sarebbe stato l'intero
sistema produttivo.
Il 2 giugno 1964, la tradizionale parata militare della Festa della Repubblica è eseguita da un numero di militari straordinariamente più elevato del solito. In occasione delle successive celebrazioni per il 150º anniversario della fondazione dell'Arma dei carabinieri, rimandata dal 7 al 14 giugno per precedenti impegni del Presidente della Repubblica, il comandante generale Giovanni De Lorenzo fa sfilare l'appena rodata brigata meccanizzata, con un'impressionante dotazione di armi e mezzi pesanti. Dopo la sfilata, adducendo motivazioni di ordine logistico, il Comando generale comunica che le truppe affluite nella Capitale per le celebrazioni vi si sarebbero trattenute sino alla fine del mese successivo. A Roma arrivano anche i paracadutisti dei corpi speciali e alcuni gruppi di sottufficiali, addestrati nei mesi precedenti nell'utilizzo di apparecchiature elettroniche di trasmissione, si trasferiscono in gran segreto e massima riservatezza a Milano e a Roma per essere preparati, in caso di attuazione del piano, così da poter occupare subito le sedi della Rai.
Il 25 giugno 1964, il governo Moro I cade
su un provvedimento che riguarda l'istruzione privata. Solo 7 voti di
scarto determinano il rifiuto del progetto governativo di assegnare
fondi per 149 milioni di lire (una cifra irrisoria, ma gli oppositori
la prendono come questione di principio). Nel calderone ci sono anche
la tassa sulle automobili, l'aumento della benzina e soprattutto il
nuovo piano urbanistico pensato dal ministro socialista Giovanni
Pieraccini.
Il 26 giugno 1964 lo scontro è
infuocato: socialisti, socialdemocratici, repubblicani, ma anche una
parte della stessa Dc non sostengono i provvedimenti. Il governo non
può più stare in piedi e Moro si dimette.
La contrapposizione politica che si stabilì, a livelli quasi di scontro, fra Segni, il Capo dello Stato ed il premier uscente Aldo Moro riguardava il centrosinistra: alle proposte di Moro (cui peraltro Antonio Segni doveva buona parte delle sue fortune politiche, compreso il Quirinale), che avrebbe aperto alla sinistra con maggior fiducia, col sostegno di una parte della DC ed un tiepido avvicinamento del PCI, Segni rispose proponendo, o forse minacciando, un governo di tecnici sostenuto dai militari.
La ricomposizione di un'eventuale
governo di centro-sinistra non sarebbe piaciuta al presidente della
Repubblica democristiano Antonio Segni, poiché vedeva, in
prospettiva, rischi gravi di destabilizzazione per la democrazia
italiana, anche se negli Stati Uniti, la presidenza Kennedy aveva in
qualche modo mitigato la netta chiusura americana nei confronti di
tali nuove esperienze di governo. Segni si consulta ripetutamente con
i comandanti delle Forze Armate, in particolare con il capo del
SIFAR, il servizio segreto, nonché comandante dell'Arma dei
Carabinieri, generale Giovanni De Lorenzo. Contemporaneamente, il 15
luglio - fatto inedito ed irripetuto per un comandante militare- De
Lorenzo è convocato ufficialmente da Segni nel corso delle
consultazioni per la nomina del nuovo governo e immediatamente dopo,
viene consultato anche il Capo di Stato maggiore della Difesa,
generale Aldo Rossi.
L'uomo cui Segni prevedeva di dover far
riferimento per l'affidamento delle funzioni di governo sarebbe stato
il Presidente del Senato Cesare Merzagora, che si era poco tempo
prima fatto notare per una singolare affermazione in cui dichiarava
di attendersi che i partiti politici avrebbero avuto vita breve,
invocando un governo di emergenza.
Il 17 luglio '64, invece, Moro si reca al
Quirinale, con l'intenzione di accettare l'incarico per formare un
nuovo governo di centro-sinistra. Durante le trattative infatti, il
PSI, su impulso di Pietro Nenni, aveva accettato il ridimensionamento
dei suoi programmi riformatori. La crisi rientrò, nessun carabiniere
dovette muoversi. Moro, insieme a Nenni (che nel 1967
rievocherà quel periodo come quello del «tintinnio di sciabole»),
optò per un più tranquillo e morbido ritorno alla formula
governativa precedente, che avrebbe evitato rischi alquanto
inquietanti, e il PSI rilasciò prudenti comunicati di rinuncia ad
alcune richieste di riforme che prima aveva avanzato come
prioritarie.
Il 7 agosto '64, giorno successivo
all'insediamento del nuovo governo, Segni fu colpito da un ictus
cerebrale nel corso di un'accesissima discussione con Moro e Saragat;
la supplenza del Quirinale fu assunta dal presidente del Senato
Cesare Merzagora. Qualche mese dopo, perdurando la
condizione di impedimento, Segni si dimise definitivamente e al suo
posto fu eletto Giuseppe Saragat. Nel dicembre del 1965, dopo aver
lasciato l'Arma, De Lorenzo diventò Capo di Stato Maggiore
dell'Esercito al posto del generale Giuseppe Aloja.
Giovanni De Lorenzo |
Fu istituita una commissione
parlamentare d'inchiesta che, insieme alle inchieste militari,
censurò con espressioni dure il comportamento tenuto da De Lorenzo,
ma ritenne che il suo piano illegittimo (perché approntato
all'insaputa dei responsabili governativi e delle altre forze
dell'ordine e affidato unicamente ai carabinieri) fosse
irrealizzabile e fantasticante, bollandolo come «una deviazione
deprecabile» ma non come un tentativo di colpo di Stato. Parte del materiale raccolto dagli
organismi che avevano indagato fu coperto da omissis per motivi di
sicurezza, facendo mancare perciò il necessario materiale d'esame, e
anche la lista degli «enucleandi» andò perduta (mentre dei
fascicoli SIFAR si dispose la distruzione).
Nel frattempo, nel 1968, De Lorenzo
diventò deputato nelle fila del Partito Democratico Italiano di
Unità Monarchica (e dal 1971 nel Movimento Sociale Italiano) e, nel
nuovo ruolo, con la mozione n.484 del 9 ottobre 1968, tentò di
organizzare e decidere come si sarebbero svolti i lavori di inchiesta
parlamentare che lo riguardavano. Nel 1990 il governo presieduto da
Giulio Andreotti deliberò la rimozione degli omissis ed emerse che
anche la sede del PSI avrebbe dovuto essere occupata, con 20.000 carabinieri da impiegare.
Loris Fortuna |
Marco Pannella ad un comizio. |
Sede dello IOR. |
I clienti dello IOR possono essere solo esponenti del mondo ecclesiastico: ordini religiosi, diocesi, parrocchie, istituzioni e organismi cattolici, cardinali, vescovi e monsignori, laici con cittadinanza vaticana, diplomatici accreditati alla Santa Sede. A questi si aggiungono i dipendenti del Vaticano e pochissime eccezioni, selezionate con criteri non conosciuti.
Il conto può essere aperto in euro o in valuta straniera: circostanza, questa, inedita rispetto alle altre banche. Aperto il conto, il cliente può ricevere o trasferire i soldi in qualsiasi momento da e verso qualsiasi banca estera. Senza alcun controllo. Per questo, negli ambienti finanziari, si dice che lo IOR è l'ideale per chi ha capitali che vuole far passare inosservati. I suoi bilanci sono noti a una cerchia ristrettissima di cardinali, qualsiasi passaggio di denaro avviene nella massima riservatezza, senza vincoli né limiti.
Lo IOR è indipendente dagli altri due istituti finanziari vaticani e sulla sua attività si sa soltanto che è gestito da cardinali di alto livello e da banchieri internazionali.
Salvo Lima con Giulio Andreotti e dietro Flaminio Piccoli. |
Per quasi 20 anni egli ha diretto lo IOR, capendo subito che direzione prendere: verso i paradisi fiscali (off-shore) e i giochi sporchi delle scatole cinesi. La sede dello IOR cominciò ad essere frequentata da personaggi mafiosi o corrotti: Salvo Lima, Ignazio Salvo, Michele Sindona, ecc.
Come capo della Banca Vaticana, e di una banca che non pubblica un bilancio annuale e non dà informazioni sui propri investimenti, Marcinkus fece accordi anche con Michele Sindona, uomo d'affari siciliano con agganci nel mondo della mafia, presidente della Banca Privata, che in quegli anni comprò o fondò moltissimi tra istituti di credito e società finanziarie, spesso creati in paradisi fiscali grazie alle prerogative derivanti dalla extraterritorialità dello IOR.
Principato del Liechtenstein. |
Tra i paradisi fiscali più importanti va annoverato lo staterello del Liechtenstein (30 mila abitanti di cui 5000 nella capitale Vaduz, con centinaia di banche e società finanziarie), il quale venne separato dalla diocesi svizzera di Coira e proclamato Arcidiocesi di Vaduz, immediatamente soggetta alla Santa Sede. Il Principe regnante del Liechtenstein, titolare di una immensa ricchezza (controlla la più importante banca del principato) è devotissimo di Santa Romana Chiesa.
Altri paradisi fiscali utilizzati dal Vaticano sono quello delle isole Cayman - diocesi di Kingston in Giamaica - e delle Turks and Caicos - diocesi di Nassau, alle Bahamas - sottratte alle rispettive diocesi, e proclamate “sui iuris”, e affidate a due eminenti Arcivescovi americani di grandi aderenze nella Segreteria di Stato Vaticana.
Isole Cayman, Giamaica e Bahamas. |
Le isole Bahamas. |
Lo IOR finirà più volte nel mirino della Sec americana (che la multerà per operazioni finanziarie illecite) e della Banca d'Italia.
La strategia della tensione in Italia è una teoria politica che indica generalmente un periodo storico molto tormentato della storia d'Italia, in particolare negli anni settanta del XX secolo, conosciuto come anni di piombo. L'arco temporale si concentrerebbe in un periodo storico che andrebbe dalla strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) alla strage di Bologna (2 agosto 1980), sebbene alcuni studiosi retrodatino l'inizio di tale strategia alla strage di Portella della Ginestra (1º maggio 1947) o al Piano Solo (1964), il fallito colpo di Stato progettato dal generale dell'Arma dei Carabinieri e capo del SIFAR, Giovanni De Lorenzo.
La strategia della tensione in Italia è una teoria politica che indica generalmente un periodo storico molto tormentato della storia d'Italia, in particolare negli anni settanta del XX secolo, conosciuto come anni di piombo. L'arco temporale si concentrerebbe in un periodo storico che andrebbe dalla strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) alla strage di Bologna (2 agosto 1980), sebbene alcuni studiosi retrodatino l'inizio di tale strategia alla strage di Portella della Ginestra (1º maggio 1947) o al Piano Solo (1964), il fallito colpo di Stato progettato dal generale dell'Arma dei Carabinieri e capo del SIFAR, Giovanni De Lorenzo.
Questo periodo è stato caratterizzato
dalla commistione di un terrorismo neofascista molto violento e da un
mai chiarito terrorismo di Stato sostenuto da alcuni
settori militari e politici che intendevano attuare un colpo di
Stato in funzione anticomunista, specialmente dopo il
movimento del Sessantotto e l'autunno caldo. Tale terrorismo si
espresse soprattutto in stragi rivolte senza movente contro cittadini
comuni o contro gruppi di antifascisti e militanti di sinistra (al
punto che molti di loro, parlando di "democrazia limitata",
optarono per la scelta della lotta armata e del terrorismo,
contrapponendosi allo stato italiano).
Si inscrive nella strategia della
tensione il periodico verificarsi di stragi od attentati,
tendenzialmente compiuti con esplosivi in luoghi pubblici o mezzi di
locomozione di massa; la maggioranza non furono rivendicati ma ebbero
(come ricostruito) come movente il favorire velleità di golpe o
agire come minaccia e intimidazione nei confronti del fronte
antifascista di sinistra (o di magistrati che indagavano
sull'eversione nera), con l'eccezione della bomba del 1984, legata
alla mafia:
- Il 25 aprile 1969 scoppia una bomba
al padiglione FIAT della Fiera di Milano, provocando diversi feriti
gravi, ma nessun morto, e un'altra bomba viene ritrovata all'Ufficio
Cambi della Stazione Centrale. Qualche mese dopo, il 9 agosto vengono
fatte scoppiare otto bombe su diversi treni, che provocano dodici
feriti.
- Il 12 dicembre 1969 una bomba esplose
all'interno della sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura in
Piazza Fontana a Milano, provocando diciassette vittime e ottantotto
feriti; nello stesso giorno viene trovata una seconda bomba inesplosa
nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della
Scala, mentre altre tre bombe esplosero a Roma, una nel passaggio
sotterraneo che collega l'entrata di via Veneto della Banca Nazionale
del Lavoro con quella di via di San Basilio (tredici feriti) e altre
due nei pressi dell'Altare della Patria (quattro feriti)
- Il 22 luglio 1970 un treno deraglia
sui binari sabotati precedentemente da una bomba nei pressi della
stazione di Gioia Tauro, uccidendo sei persone e ferendone una
sessantina.
- Il 31 maggio 1972, una Fiat 500
imbottita di esplosivo esplose nei pressi di Peteano, frazione di
Sagrado, in provincia di Gorizia, uccidendo tre carabinieri e
ferendone altri due.
- Il 17 maggio 1973 l'anarchico
Gianfranco Bertoli lanciò una bomba a mano sulla folla durante una
cerimonia davanti la Questura di Milano, provocando quattro vittime e
una quarantina di feriti.
- Il 28 maggio 1974, durante una
manifestazione sindacale in Piazza della Loggia a Brescia, una bomba
nascosta in un cestino portarifiuti uccise otto persone mentre un
centinaio rimasero ferite.
- Il 4 agosto 1974 una bomba esplose su
una carrozza del treno Italicus all'uscita della Grande galleria
dell'Appennino, nei pressi di San Benedetto Val di Sambro, in
provincia di Bologna, provocando dodici vittime e centocinque feriti.
- Il 2 agosto 1980 una bomba esplose
nella sala d'aspetto della stazione di Bologna, uccidendo
ottantacinque persone e provocando circa duecento feriti.
- Il 23 dicembre 1984 una bomba esplose
su una carrozza del Rapido 904, ancora presso la Grande galleria
dell'Appennino a San Benedetto Val di Sambro, in cui diciassette
persone persero la vita e oltre duecentosessanta rimasero ferite.
Talvolta sono stati considerati parte
di una strategia della tensione o affini ad essa, anche la strage di
Alcamo Marina e l'omicidio di Giorgiana Masi. I giudici Vittorio
Occorsio e Mario Amato, che indagavano sui rapporti tra neofascismo e
stragismo, vennero invece assassinati da due militanti di estrema
destra.
Gli elementi probatori, le prove, sono
state spesso frammentarie, in parte andate perdute o distrutte (ad
arte o involontariamente a seconda delle opinioni). In particolare,
fu accertata l'attiva interferenza di servizi segreti italiani.
Da documenti pubblicati sul sito Wikileaks, hackerati dal 2010
al 2013 dai server del governo statunitense, sono emersi i cosiddetti
"Kissinger Cables", comunicazioni diplomatiche inviate, tra
gli altri, anche dall'ambasciata di Roma, e diretti al Dipartimento
di Stato di Washington DC, durante l'ultima parte del segretariato di
Henry Kissinger e il periodo immediatamente successivo (1973-1976):
da questi cablogrammi emerge l'insofferenza della diplomazia
americana per la repressione dei vari progetti eversivi dell'estrema
destra neofascista da parte della magistratura italiana, che viene
accusata di volere una svolta a sinistra. Emerge inoltre la richiesta
fatta al governo italiano di controllare gli apparati dello Stato per
impedirne la politicizzazione e penetrazione da parte dei comunisti.
Molte comunicazioni riguardano il ruolo dei servizi segreti italiani
e del capo del SID Vito Miceli e l'avversione per il ministro
democristiano Paolo Emilio Taviani, considerato troppo morbido con
l'estrema sinistra, e troppo preoccupato nei confronti del
neofascismo.
Altri documenti dello stesso sito
riguardano un possibile coinvolgimento dell'aviazione statunitense
nella strage di Ustica (cablogrammi inviati dall'ambasciatore
nel 1992 e nel 2003); in uno l'ambasciatore ribadisce che sosterrebbe
l'ipotesi della bomba a bordo, proposta da Carlo Giovanardi, in
quanto negherebbe le responsabilità della NATO, se non ci fossero le
prove del missile ormai rese pubbliche; l'ambasciatore rivela inoltre
del timore americano di una nuova "fuga di notizie".
Vincenzo Vinciguerra, terrorista
neofascista di Ordine Nuovo e poi di Avanguardia Nazionale,
condannato e reo confesso per la strage di Peteano, ha reso
dichiarazioni spontanee ai magistrati (non motivate dall'avere sconti
di pena come quelle di altri «pentiti» neofascisti sulle stragi,
per questo ritenute più attendibili) sui coinvolgimenti dell'estrema
destra nella strategia della tensione e, riguardo alla strage di
Bologna, ha fatto riferimento alla struttura clandestina
anticomunista della NATO in Italia, nota poi come Organizzazione
Gladio, e ai suoi settori deviati; queste allusioni e rivelazioni
furono da lui ripetute in varie interviste successive. Ha inoltre
paragonato la dinamica a quella di una tentata strage, fallita, il 28
agosto 1970 alla stazione di Verona (oltre che a quella del 30 luglio
1980). Ha poi affermato la colpevolezza di Mambro e Fioravanti nella
strage del 2 agosto (e quindi il fatto che anche i NAR furono spinti
a partecipare alla strategia della tensione, come era accaduto agli
altri gruppi di estrema destra, in cambio di protezione), e che, a
suo parere, avrebbero avuto coperture politiche anche da parte del
MSI e dei suoi eredi diretti. Queste pressioni - di persone che poi
avrebbero avuto importanti ruoli governativi e amministrativi negli
anni novanta e duemila - attribuì, sempre secondo il suo personale
parere, i benefici di legge a loro concessi, nonostante i numerosi
ergastoli comminati. Vinciguerra non sarà testimone diretto nel
processo di Bologna. Nel 1991 un documento cercò di attribuire la
strage del 2 agosto ai «gladiatori»: il testo, datato 19 maggio
1982, era catalogato con un semplice «numero 18», riferiva che
l'esplosivo usato proveniva da un deposito di Gladio, e apparivano le
firme di Paolo Inzerilli (capo di stato maggiore del SISMI nel 1991)
e dell'ammiraglio Fulvio Martini. In seguito si scoprì che il
documento era falso, scritto su carta intestata dei servizi segreti e
arrivato per vie anonime, poiché nel 1982 Martini non era ancora
arrivato ai vertici del controspionaggio militare (era vicesegretario
generale della Difesa), mentre Inzerilli non poteva siglare i
documenti in quanto era direttore di divisione del SISMI. Un'altra
incongruenza riguardava l'uso del materiale esplosivo per Bologna,
poiché quello di Gladio era stato ritirato completamente nel 1972.
« Il 28 giugno 1980, con una
telefonata al “Corriere della sera”, utilizzando la sigla dei Nar
e il nome di un confidente di Questura, Marco Affatigato, si avvia il
primo depistaggio, quello che pretende che il Dc-9 Itavia sia esploso
per la deflagrazione al suo interno di una bomba trasportata dal
“terrorista” dei Nar. (...) Le stragi italiane non sono un
mistero e, soprattutto, non sono ideologicamente definibili come
“fasciste”. Portella della Ginestra, affidata al mafioso
Salvatore Giuliano, è riferibile a settori della Democrazia
cristiana, Partito liberale e monarchici; quella di piazza Fontana
doveva servire, insieme ai sanguinosi incidenti che sarebbero seguiti
alla manifestazione indetta dal Msi a Roma il 14 dicembre 1969, a far
proclamare dal governo presieduto da Mariano Rumor lo stato di
emergenza; la strage compiuta dal confidente del Sid Gianfranco
Bertoli il 17 maggio 1973, a Milano, aveva come obiettivo il
“traditore” Mariano Rumor; quelle di Brescia (28 maggio 1974),
dell'Italicus (4 agosto 1974) e di Savona (20 novembre 1974) sono
derivate dallo scontro durissimo e feroce all'interno
dell'anticomunismo italiano ed internazionale. La strage di Ustica,
impossibile da spiegare all'opinione pubblica perché un aereo civile
delle dimensioni di un Dc-9 non si può confondere con un minuscolo
caccia militare, era in grado di destabilizzare sia l'ordine pubblico
che quello politico. Indirizzare lo sdegno della popolazione nei
confronti dello “stragismo fascista” è stato il modo, ritenuto
più idoneo, per neutralizzare il pericolo. [...] La strage di
Bologna, spostando l'attenzione pubblica sullo “stragismo
fascista”, ha consentito di guadagnare tempo, di far lavorare in
relativa tranquillità i depistatori militari ed i giudici romani
chiamati a paralizzare le indagini sull'abbattimento del Dc-9 ad
Ustica, ha avvalorato infine la tesi della bomba che, non a caso, è
quella che ha retto per più tempo in contrapposizione a quella del
missile. » (Vincenzo Vinciguerra, ex terrorista nero, autore della
strage di Peteano, un atto terroristico avvenuto il 31
maggio 1972 a Peteano, frazione del comune di Sagrado, in provincia
di Gorizia, compiuta dal reo confesso Vincenzo Vinciguerra, da Carlo
Cicuttini e Ivano Boccaccio, neofascisti aderenti ad Ordine Nuovo. La
strage, definita anche trappola di Peteano per le modalità con cui
si svolse, provocò la morte di tre uomini dell'Arma dei Carabinieri:
il brigadiere Antonio Ferraro di 31 anni e i carabinieri Donato
Poveromo e Franco Dongiovanni di 33 e 23 anni. Rimasero gravemente
feriti il tenente Angelo Tagliari e il brigadiere Giuseppe Zazzaro.)
Dopo la strage di piazza Fontana alcuni
movimenti radicali, in particolare dell'estrema sinistra, adottarono
gli slogan «strage di stato» o «terrorismo di stato» per indicare
la loro convinzione che vi fosse la partecipazione nascosta (o il
benestare) di settori dello Stato in azioni terroristiche ai danni
del proprio popolo: tale teoria sarebbe consistita nella divisione,
manipolazione e controllo dell'opinione pubblica mediante l'uso di
paura, propaganda, disinformazione, manovre psicologiche, agenti
provocatori e attentati terroristici compiuti mediante l'utilizzo
della tecnica del False flag (cioè congegnati in modo tale da farli
apparire ideati ed eseguiti da membri di organizzazioni dell'estrema
sinistra o gruppi anarchici), nei quali era coinvolto un coacervo di
forze e soggetti tra loro differenti (gruppi terroristici della
destra neofascista, logge coperte della massoneria, parti deviate dei
servizi segreti, nonché strutture e organizzazioni segrete, come ad
esempio Rosa dei venti, e, talvolta, formazioni paramilitari,
finanziate e addestrate direttamente dalla CIA come Gladio,
un'organizzazione stay behind nata inizialmente per contrastare le
azioni di spionaggio ed un eventuale attacco delle forze del Patto di
Varsavia e dell'Unione Sovietica ai paesi della NATO).
Il giudice Guido Salvini che indagò su
piazza Fontana, l'attentato che inaugurò la strategia della tensione, ha dichiarato
che: « Anche nei processi conclusisi con
sentenze di assoluzione per i singoli imputati è stato comunque
ricostruito il vero movente delle bombe: spingere l'allora Presidente
del Consiglio, il democristiano Mariano Rumor, a decretare lo stato
di emergenza nel Paese, in modo da facilitare l'insediamento di un
governo autoritario. [...] Erano state seriamente progettate in
quegli anni, anche in concomitanza con la strage, delle ipotesi
golpiste per frenare le conquiste sindacali e la crescita delle
sinistre, viste come il “pericolo comunista”, ma la risposta
popolare rese improponibili quei piani. L'on. Rumor fra l'altro non
se la sentì di annunciare lo stato di emergenza. Il golpe venne
rimandato di un anno, ma i referenti politico-militari favorevoli
alla svolta autoritaria, preoccupati per le reazioni della società
civile, scaricarono all'ultimo momento i nazifascisti. I quali
continuarono per conto loro a compiere attentati. »
Nel 1970, nel corso del pontificato di
Paolo VI, al referendum abrogativo sull'impedimento del divorzio, gli
italiani votano per l'introduzione in Italia dell'istituto del
divorzio, fortemente contrastato dai cattolici, che
promuoveranno il successivo referendum abrogativo del 1974 ma ne
risulteranno sconfitti.
Il 1º dicembre 1970 il divorzio
viene introdotto nell'ordinamento giuridico italiano,
venendo approvata la legge 1º dicembre 1970, n. 898 "Disciplina
dei casi di scioglimento del matrimonio", la cosiddetta legge
Fortuna-Baslini, risultato della combinazione del progetto di legge
di Loris Fortuna con un altro pdl presentato dal deputato liberale
Antonio Baslini, nonostante l'opposizione della Democrazia
Cristiana, del Movimento Sociale Italiano, della Südtiroler
Volkspartei e dei monarchici del Partito Democratico Italiano di
Unità Monarchica. I voti favorevoli sono stati invece quelli del Partito
Socialista Italiano, del Partito Socialista Italiano di Unità
Proletaria, del Partito Comunista Italiano, del Partito Socialista
Democratico Italiano, del Partito Repubblicano Italiano e del Partito
Liberale Italiano. Nello stesso anno il Parlamento approva le norme
che istituiscono il referendum abrogativo con la legge n.352
del 1970, in corrispondenza alle ampie polemiche in merito
all'introduzione del divorzio in Italia.
Con colpo di stato Borghese (citato anche come
golpe dei forestali o golpe dell'Immacolata) si indica un tentato
colpo di Stato in Italia durante la notte tra il 7 e l'8 dicembre
1970 (chiamata anche notte di Tora Tora, in ricordo dell'attacco
giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941) e organizzato da Junio
Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto
rapporto con Avanguardia Nazionale. Borghese, noto anche con il
soprannome di principe nero, era in precedenza conosciuto per essere
stato il comandante della Xª Flottiglia MAS fin dal 1º maggio 1943
e dopo l'8 settembre 1943 con il proprio reparto aveva aderito alla
Repubblica Sociale Italiana. Il golpe fu annullato dallo stesso
Borghese mentre era in corso di esecuzione, per motivi mai chiariti. La loggia massonica P2 ebbe una parte rilevante nel tentativo di colpo di stato del principe Julio Valerio Borghese.
Julio Valerio Borghese |
Gabrio Lombardi |
Nilde Iotti |
Il 12 maggio 1974, con il Referendum
sul divorzio, gli italiani sono chiamati a decidere se abrogare la
legge Fortuna-Baslini che aveva istituito in Italia il divorzio.
Partecipano al voto l'87,7% degli aventi diritto, votano no il 59,3%,
mentre i sì sono il 40,7%: la legge sul divorzio rimane in
vigore.
Michele Sindona |
Il cosiddetto "golpe bianco" è stato il
progetto di un presunto colpo di stato di stampo liberale e
presidenzialista in Italia, promosso da ex partigiani antifascisti e
anticomunisti che venne predisposto nell'agosto del 1974, al fine di
costringere l'allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone a
nominare un governo che mettesse mano alle riforme istituzionali, per
ostacolare, nell'ambito della guerra fredda contro l'Unione
Sovietica, l'ascesa del Partito Comunista Italiano o di altri gruppi
comunisti e realizzare una repubblica semipresidenziale come quella
di Charles de Gaulle in Francia, relegando fuori dalla vita politica
anche i gruppi post-fascisti come il Movimento Sociale Italiano. Il progetto ebbe come principali
promotori il monarchico Edgardo Sogno (ex PLI) ed il repubblicano
Randolfo Pacciardi e venne portato alla luce dall'allora magistrato
Luciano Violante (in seguito deputato comunista e del PDS), ma non
venne attuato né venne mai accertato a livello giudiziario,
rimanendo al solo stato di ideazione teorica. La locuzione "golpe bianco"
(in alternativa "golpe silenzioso" o "golpe morbido")
è entrata poi nel linguaggio comune per indicare più in generale un
colpo di Stato svolto senza ricorso alla forza, da parte di un
governo che eserciti il potere in modo anticostituzionale.
Gian Adelio Maletti, l'ex capo
dell'ufficio D del SID (dal 1971 al 1975), ora cittadino sudafricano
e con diverse condanne pendenti in Italia (tra cui quelle relative ai
depistaggi dei servizi nelle indagini sulla strage di piazza Fontana)
il 4 agosto 2000 rilascia un'intervista al quotidiano "La Repubblica" in cui parla del coinvolgimento della CIA nelle stragi compiute dai
gruppi di destra: secondo Maletti non sarebbe stata determinante
nella scelta dei tempi e degli obbiettivi, ma avrebbe fornito ad
Ordine Nuovo e ad altri gruppi di destra attrezzature ed esplosivo
(tra cui, in base a quanto riferisce Maletti sulle indagini
effettuate allora dal SID, anche quello impiegato nella strage di
piazza Fontana) con lo scopo di creare un clima favorevole ad un
colpo di stato simile a quello avvenuto nel 1967 in Grecia e del
fatto che al SID, nonostante questo servizio informasse il governo di
quanto scoperto, non fu mai chiesto di intervenire.
Pier Paolo Pasolini |
« Io so. Io so i nomi dei responsabili
di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è
una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione
del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del
12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di
Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del
"vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti
ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali
delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori
materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito
le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase
anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia
e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto
della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia),
hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata
anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e
per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità
antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".Io
so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le
disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali
(per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale
colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare
in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni,
fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la
successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e
importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel
generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a
Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei
personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai
tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai
malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione,
come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti
(attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono
un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che
succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare
tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche
lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un
intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove
sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero » (Pier
Paolo Pasolini, Corriere della Sera, 14 novembre 1974.)
Poi rincarò la dose, e fece i nomi di
importanti politici, circa due mesi prima il suo omicidio, che
avvenne il 2 novembre 1975: « Andreotti, Fanfani, Rumor, e almeno
una dozzina di altri potenti democristiani, dovrebbero essere
trascinati sul banco degli imputati. E quivi accusati di una quantità
sterminata di reati: indegnità, disprezzo per i cittadini,
manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con
gli industriali, con i banchieri, collaborazione con la Cia, uso
illegale di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano,
Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di colpirne
gli esecutori), distruzione paesaggistica e urbanistica dell'Italia,
responsabilità della degradazione antropologica degli italiani,
responsabilità dell'esplosione "selvaggia" della cultura
di massa e dei mass-media, corresponsabilità della stupidità
delittuosa della televisione. Senza un simile processo penale, è
inutile sperare che ci sia qualcosa da fare per il nostro paese. È
chiaro infatti che la rispettabilità di alcuni democristiani (Moro,
Zaccagnini) o la moralità dei comunisti non servono a nulla. »
(Pier Paolo Pasolini, Processare la Dc.)
Il Banco Ambrosiano era nato nel 1893 come istituto bancario cattolico. Roberto Calvi, nato nel 1920, era entrato in servizio all'Ambrosiano nel 1946. Alla fine degli anni '60 aveva conosciuto il "banchiere della mafia" Michele Sindona, vicino ad Umberto Ortolani, il numero due della P2, e le relazioni d'affari tra i due erano divenute fiorenti. Nel 1971 Calvi diventa direttore generale del Banco Ambrosiano e Sindona lo mette in contatto con monsignor Marcinkus, fatto da Paolo VI presidente dell'Istituto per le Opere Religiose nel 1969, e con Licio Gelli, capo della P2. Nel 1975 Calvi è affiliato alla P2 e viene eletto presidente del consiglio d'amministrazione dell'Ambrosiano.
Così Calvi, Sindona e Marcinkus fondano in società una banca nel paradiso fiscale delle Bahamas, la Cisalpine Overseas Bank., per sottrarsi al controllo delle autorità monetarie italiane: alle imprese del trio partecipavano la massoneria, i servizi segreti e la mafia.
Dagli anni '70 fino al crac del 1983, il Banco Ambrosiano sarà il maggiore strumento nazionale di riciclaggio di denaro sporco, proveniente dalla mafia, dalla P2, dai servizi segreti deviati, dai traffici illeciti di faccendieri e dai politici. Calvi farà di tutto per espandere l'attività della banca all'estero (Sudamerica, Cina, Svizzera, Bahamas), trasferendo cifre astronomiche su conti segreti (Licio Gelli, Pippo Calò, Francesco Pazienza, Flavio Carboni, Umberto Ortolani), operando scalate azionarie e tentando di acquistare quotidiani (p.es. il Corriere della Sera nel 1976).
Nel Lussemburgo ritroviamo Calvi non
solamente nelle holding dei gruppo Ambrosiano, ma anche come membro
dei consiglio d'amministrazione della Kreclietbank Luxembourg (che
occupa, in Cedel, un posto di primo piano). D'altra parte, la
principale loggia massonica lussemburghese lo accetta tra le sue
fila, mentre rifiuta l'ammissione a Michele Sindona, sapendo che
questi era stato condannato in Italia nel 1976 e che era stato
arrestato negli Stati Uniti.
Lussemburgo |
Dopo aver riversato vistosi capitali
del Banco nelle casse dello IOR, fidandosi delle promesse che alcuni leader
della DC, tra cui anzitutto Andreotti, gli avevano fatto circa
l'acquisizione di altri gruppi bancari, Calvi si ritrovò invece ad
avere un debito colossale di circa 1,2-1,5 miliardi di dollari (500
miliardi di lire), di cui non è in grado di rendere conto alla Banca
d'Italia (ma si pensa che il buco s'aggirasse sui 3.000 miliardi di
lire).
Nel 1978 vi è un'ispezione
effettuata dalla Banca d'Italia all'Ambrosiano.
Aldo Moro (Maglie, 23 settembre 1916 -
Roma, 9 maggio 1978) è stato un politico, accademico e giurista
italiano, cinque volte Presidente del Consiglio dei ministri,
segretario politico e presidente del consiglio nazionale della
Democrazia Cristiana. Fu tra i fondatori della Democrazia cristiana e
suo rappresentante alla Costituente e ne divenne il segretario (nel
1959). Nello stallo dei governi italiani del dopoguerra, preoccupati
di non coinvolgere le sinistre nell'esecutivo ma piuttosto le destre,
caldeggiava invece coalizioni di centro-sinistra, finché non le
realizzò. Fu più volte ministro e come presidente del Consiglio
guidò diversi governi di centro-sinistra (nel 1963-68), promuovendo nel
periodo 1974-76 la cosiddetta strategia dell'attenzione verso il
Partito Comunista Italiano, attenzione che pagò a caro prezzo.
Aldo Moro |
Fu rapito dalle Brigate Rosse il 16
marzo 1978 mentre preparava un governo che in qualche modo avrebbe
coinvolto il PCI e ucciso il 9 maggio successivo.
Ferdinando Imposimato (nato a Maddaloni
il 9 aprile 1936), magistrato, politico e avvocato italiano,
presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione. In
qualità di ex giudice istruttore della vicenda dice: “L’uccisione
di Moro è avvenuta per mano delle Brigate Rosse, ma anche e
soprattutto per il volere di Giulio Andreotti (all'epoca presidente del consiglio, n.d.r.), Francesco Cossiga (all'epoca ministro dell'interno, n.d.r.) e
del sottosegretario Nicola Lettieri”.
Poi ha aggiunto: “Se non mi
fossero stati nascosti alcuni documenti li avrei incriminati per
concorso in associazione per il fatto. I servizi segreti avevano
scoperto dove le BR lo nascondevano, così come i carabinieri. Il
generale Dalla Chiesa avrebbe voluto intervenire con i suoi uomini e
la Polizia per liberarlo in tutta sicurezza, ma due giorni prima
dell’uccisione ricevettero l’ordine di abbandonare il luogo
attiguo a quello della prigionia”.
“Quei politici - ha detto Imposimato
- sono responsabili anche delle stragi: da Piazza Fontana a quelle di
Via D’Amelio. Lo specchietto per le allodole si chiama Gladio (apparato militare segreto filo-NATO per impedire alle sinistre di governare, n.d.r.). A
Falcone e Borsellino rimprovero soltanto di non aver detto quanto
sapevano, perché avevano capito e intuito tutto, tacendo per
rispetto delle istituzioni. Per ucciderli Cosa Nostra ha eseguito il
volere della Falange Armata, una frangia dei servizi segreti”.
Francesco Cossiga |
Strage di Piazza Fontana |
Probabilmente le Brigate Rosse, con la loro struttura clandestina e piramidale, non sapevano da chi erano realmente mossi.
Donne che rivendicano i propri diritti. |
Banco Ambrosiano |
Papa Luciani |
Il 26 agosto 1978 è quindi eletto papa Albino
Luciani, che sceglie il nome di Giovanni Paolo I, nel segno
della continuazione del percorso dei suoi due predecessori. Il suo
pontificato sarà tra i più brevi nella storia della Chiesa
cattolica: la sua morte avvenne dopo soli 33 giorni dalla sua
elezione al soglio di Pietro. Nel 2003 è stata aperta la causa per
la sua canonizzazione. Non sono mai state chiarite le cause della
morte, anche se nella sua citazione: « Noi siamo oggetto da
parte di Dio di un amore intramontabile. È papà; più
ancora è madre. » (Papa Giovanni Paolo I durante l'Angelus del
10 settembre 1978) potrebbe aver paventato la fine del patriarcato
nella chiesa.
In un suo libro del 1984, "In nome di Dio. La morte di papa Luciani", il giornalista inglese David Yallop ipotizza che Luciani fosse stato vittima di una congiura "di palazzo". Secondo Yallop, l'intenzione di operare un ricambio immediato ai vertici delle finanze vaticane (a partire da Marcinkus), e di allontanare gli ecclesiastici in odore di massoneria non sarebbe estranea alla morte del papa che venne trovato morto con in mano il libro "L'imitazione di Cristo"; si disse poi che si trattava in realtà di fogli di appunti, di un discorso da tenere ai gesuiti ed infine qualcuno ipotizzò che tra le sue mani vi fosse l'elenco delle nomine che intendeva rendere pubbliche il giorno dopo (anche su chi ritrovò effettivamente il corpo del papa vi sono diverse versioni, così come sull'ora reale della morte).
Mino Pecorelli da: http://ww w.crisinellachiesa.it/artico li/massoneria/massoneria_ conquista_chiesa/la_ massoneria_alla_conq uista_della_chiesa.htm |
In coincidenza con l’elezione di Luciani venne pubblicato un elenco di 131 ecclesiastici iscritti alla massoneria, buona parte dei quali, erano del Vaticano. La lista era stata diffusa da un piccolo periodico "O.P. Osservatore Politico" di quel Mino Pecorelli destinato a scomparire un anno dopo l’elezione di Albino Luciani in circostanze mai chiarite. Secondo molti, "O.P." era una sorta di strumento di comunicazione adoperato dai servizi segreti italiani per far arrivare messaggi all’ambiente politico. Pecorelli, tra l’altro, era legato a filo doppio con Gelli come lo erano Sindona e Calvi.
Nella lista ecclesiastico-massonica comparivano, tra altri, i nomi di: Jean Villot (Segretario di Stato), Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano), Paul Marcinkus, il vicedirettore de "L’osservatore Romano" don Virgilio Levi, Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana).
Nel suo libro, David Yallop, passa in rassegna tutti gli elementi di quel fatidico 1978, fino a sospettare sei persone dell’omicidio di Albino Luciani: il Segretario di Stato Jean Villot, il cardinale di Chicago John Cody, il presidente dello IOR Marcinkus, il banchiere Michele Sindona, il banchiere Roberto Calvi e Licio Gelli, maestro venerabile della Loggia P2.
Papa Wojtyla |
Giorgio Ambrosoli |
Sotto il pontificato di Giovanni Paolo II la posizione di Marcinkus divenne ancora più forte: diventerà praticamente l'uomo più potente del Vaticano dal 1971 al 1989. Marcinkus si sentiva in credito con Giovanni Paolo II, perché in America aveva coperto lo scandalo dei preti polacchi di Filadelfia, che avevano fatto delle truffe: molti preti polacchi furono chiamati dal papa e collocati vicini a lui.
Essendo lo IOR una banca che non doveva rendere conto a nessuno se non al papa, in quegli anni la Banca Vaticana gestì e raccolse capitali enormi, spesso di incerta provenienza (“Immobiliare Roma”, “Tangentone Enimont”, “Banca di Roma”, fino alla popolare di Lodi...). Soldi che vengono utilizzati per finanziare gruppi e movimenti di opposizione ai regimi comunisti, in particolare Solidarnosc in Polonia.
Attraverso Sindona, era entrato in rapporto con Marcinkus, Calvi e Gelli anche l'imprenditore Umberto Ortolani, considerato come la vera "mente"
della loggia P2, avendo favorito lo sviluppo degli affari di Licio
Gelli in Sud America e con il Vaticano, tramite l'Istituto per le
Opere di Religione (IOR) di mons. Marcinkus. Si costituiva così una sorta di comitato d'affari che operava attraverso banche e consociate estere, spostando capitali, manovrando fondi neri o provenienti da operazioni o fonti illecite, ma anche esportando valuta aggirando le norme bancarie.
Umberto Ortolani |
Il vescovo Paul Marcinkus faceva chiaramente capire che la Banca Vaticana godeva di privilegi assoluti nell'esportazione all'estero dei capitali. Ed egli era in grado di servirsi dei noti finanzieri e bancarottieri Michele Sindona, colluso coi poteri mafiosi italo-americani, avvelenato in carcere e Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, trovato poi impiccato a Londra; nonché del capo della P2, Licio Gelli, arrestato per attività sovversiva, e del vescovo Hnilica, che per tutti gli anni '80 trasferì in Vaticano i fondi anticomunisti provenienti dall'Europa dell'est e i fondi cospicui provenienti dai pellegrinaggi di Medjugorje in Bosnia.
Agostino Casaroli |
In quel periodo nel Vaticano si fronteggiavano due fazioni politiche contrapposte: una, massonica-moderata, denominata "Mafia di Faenza" a cui facevano capo Casaroli, Samorè, Silvestrini e Pio Laghi e l'altra, integralista, legata all'Opus Dei, a cui facevano capo Marcinkus, Virgilio Levi, vice direttore dell'"Osservatorio Romano" e Luigi Cheli, Nunzio pontificio presso l'ONU.
Nella sera di venerdì 27 giugno 1980 avviene la strage di Ustica, un disastro aereo avvenuto quando un aereo di linea Douglas DC-9-15 della compagnia aerea italiana Itavia, decollato dall'Aeroporto di Bologna e diretto all'Aeroporto di Palermo, si squarcia in volo all'improvviso e cade nel braccio di mare compreso tra le isole tirreniche di Ustica e Ponza, chiamata posizione Condor. Nell'evento perdono la vita tutti gli 81 occupanti dell'aereo. Molti aspetti di questo disastro, a partire dalle cause stesse, non sono ancora stati chiariti. Nel corso degli anni, sulla strage di Ustica si sono dibattute principalmente le ipotesi di un coinvolgimento internazionale (in particolare francese, libico e statunitense, con una delle tre aviazioni che avrebbe colpito per errore il DC-9 con un missile diretto al nemico), di un cedimento strutturale o di un attentato terroristico (un ordigno esplosivo nella toilette del velivolo). Nel 2007 l'ex-presidente della Repubblica Cossiga, all'epoca della strage presidente del Consiglio, ha attribuito la responsabilità del disastro a un missile francese «a risonanza e non ad impatto», destinato ad abbattere l'aereo su cui si sarebbe trovato il dittatore libico Gheddafi. Tesi analoga è alla base della conferma, da parte della Corte di Cassazione, della condanna al pagamento di un risarcimento ai familiari delle vittime, inflitta in sede civile ai Ministeri dei Trasporti e della Difesa dal Tribunale di Palermo.
Nel marzo 1981 vengono trovati nella casa di Licio Gelli (ex fascista e repubblichino, collaboratore da sempre dei servizi segreti americani), i tabulati della loggia massonica "Propaganda 2", la P2, durante le indagini giudiziarie sul caso Sindona.
L'allora presidente del Consiglio, Forlani, si rifiuta di
pubblicizzarli ma sarà la commissione parlamentare formata a proposito del caso Sindona a farlo. Sui tabulati, gli iscritti alla P2 erano 953, (http://www.strano.net/stragi/stragi/p2/elep2.htm) ne
mancavano però altri 1650. Tutti avevano giurato fedeltà alla massoneria. Il
governo Forlani fu costretto a dimettersi, sostituito dal governo del repubblicano Spadolini. Tra gli iscritti figuravano esponenti
politici, giornalisti, autorità civili e militari (soprattutto dei
servizi segreti), personaggi del mondo economico e dello spettacolo. Fu approvata una legge che sancì lo
scioglimento della P2 e il divieto di costituire associazioni
segrete, soprattutto se a scopo eversivo, come appunto la P2.
La commissione parlamentare d'inchiesta
che ha messo in luce l'attività eversiva della P2 era capeggiata
dalla democristiana, ex partigiana, Tina Anselmi (negli anni 1981-1984). La commissione non
riuscirà a scoprire i referenti internazionali della loggia.
La strategia della P2 è l'occupazione
del sistema politico ed economico attraverso il controllo delle
nomine di vertice, in funzione soprattutto anticomunista. Licio Gelli investiva il denaro dei
Corleonesi di Totò Riina nella banca dello IOR in Vaticano, ha detto
il pentito Francesco Marino Mannoia.
Il 17 maggio 1981 il popolo italiano è
chiamato a pronunciarsi, attraverso un referendum, sulla richiesta di
abrogazione della legge 194 approvata il 22 maggio 1978, che
consente ancora oggi l'aborto volontario entro i primi 90 giorni dal
concepimento. I 'sì' sono l'11,6% e i 'no' l'88,4%. In questo modo
gli italiani decidono di mantenere in vigore la legge.Nella sera di venerdì 27 giugno 1980 avviene la strage di Ustica, un disastro aereo avvenuto quando un aereo di linea Douglas DC-9-15 della compagnia aerea italiana Itavia, decollato dall'Aeroporto di Bologna e diretto all'Aeroporto di Palermo, si squarcia in volo all'improvviso e cade nel braccio di mare compreso tra le isole tirreniche di Ustica e Ponza, chiamata posizione Condor. Nell'evento perdono la vita tutti gli 81 occupanti dell'aereo. Molti aspetti di questo disastro, a partire dalle cause stesse, non sono ancora stati chiariti. Nel corso degli anni, sulla strage di Ustica si sono dibattute principalmente le ipotesi di un coinvolgimento internazionale (in particolare francese, libico e statunitense, con una delle tre aviazioni che avrebbe colpito per errore il DC-9 con un missile diretto al nemico), di un cedimento strutturale o di un attentato terroristico (un ordigno esplosivo nella toilette del velivolo). Nel 2007 l'ex-presidente della Repubblica Cossiga, all'epoca della strage presidente del Consiglio, ha attribuito la responsabilità del disastro a un missile francese «a risonanza e non ad impatto», destinato ad abbattere l'aereo su cui si sarebbe trovato il dittatore libico Gheddafi. Tesi analoga è alla base della conferma, da parte della Corte di Cassazione, della condanna al pagamento di un risarcimento ai familiari delle vittime, inflitta in sede civile ai Ministeri dei Trasporti e della Difesa dal Tribunale di Palermo.
« Il 28 giugno 1980, con una
telefonata al “Corriere della sera”, utilizzando la sigla dei Nar
e il nome di un confidente di Questura, Marco Affatigato, si avvia il
primo depistaggio, quello che pretende che il Dc-9 Itavia sia esploso
per la deflagrazione al suo interno di una bomba trasportata dal
“terrorista” dei Nar. (...) Le stragi italiane non sono un
mistero e, soprattutto, non sono ideologicamente definibili come
“fasciste”. Portella della Ginestra, affidata al mafioso
Salvatore Giuliano, è riferibile a settori della Democrazia
cristiana, Partito liberale e monarchici; quella di piazza Fontana
doveva servire, insieme ai sanguinosi incidenti che sarebbero seguiti
alla manifestazione indetta dal Msi a Roma il 14 dicembre 1969, a far
proclamare dal governo presieduto da Mariano Rumor lo stato di
emergenza; la strage compiuta dal confidente del Sid Gianfranco
Bertoli il 17 maggio 1973, a Milano, aveva come obiettivo il
“traditore” Mariano Rumor; quelle di Brescia (28 maggio 1974),
dell'Italicus (4 agosto 1974) e di Savona (20 novembre 1974) sono
derivate dallo scontro durissimo e feroce all'interno
dell'anticomunismo italiano ed internazionale. La strage di Ustica,
impossibile da spiegare all'opinione pubblica perché un aereo civile
delle dimensioni di un Dc-9 non si può confondere con un minuscolo
caccia militare, era in grado di destabilizzare sia l'ordine pubblico
che quello politico. Indirizzare lo sdegno della popolazione nei
confronti dello “stragismo fascista” è stato il modo, ritenuto
più idoneo, per neutralizzare il pericolo. [...] La strage di
Bologna, spostando l'attenzione pubblica sullo “stragismo
fascista”, ha consentito di guadagnare tempo, di far lavorare in
relativa tranquillità i depistatori militari ed i giudici romani
chiamati a paralizzare le indagini sull'abbattimento del Dc-9 ad
Ustica, ha avvalorato infine la tesi della bomba che, non a caso, è
quella che ha retto per più tempo in contrapposizione a quella del
missile. » (Vincenzo Vinciguerra, ex terrorista nero, autore della
strage di Peteano, un atto terroristico avvenuto il 31
maggio 1972 a Peteano, frazione del comune di Sagrado, in provincia
di Gorizia, compiuta dal reo confesso Vincenzo Vinciguerra, da Carlo
Cicuttini e Ivano Boccaccio, neofascisti aderenti ad Ordine Nuovo. La
strage, definita anche trappola di Peteano per le modalità con cui
si svolse, provocò la morte di tre uomini dell'Arma dei Carabinieri:
il brigadiere Antonio Ferraro di 31 anni e i carabinieri Donato
Poveromo e Franco Dongiovanni di 33 e 23 anni. Rimasero gravemente
feriti il tenente Angelo Tagliari e il brigadiere Giuseppe Zazzaro.)
Il 2 agosto 1980 avviene la strage di Bologna. Il giornalista Roberto Scardova,
assieme a Paolo Bolognesi (presidente dell'Associazione tra i
familiari delle vittime della strage di Bologna del 2 agosto 1980 e
deputato del Partito Democratico), ipotizza un'unica strategia
anticomunista internazionale, attuata in Grecia con la dittatura dei
colonnelli, in Italia con la strategia della tensione, comprendente
falsi golpe di avvertimento e reali stragi, di cui Bologna fu il
culmine, e in America Latina con i colpi di Stato (Cile, dittatura
argentina) dell'operazione Condor, con mandanti originari uomini dei
servizi segreti anglo-americani, importanti politici italiani e
stranieri. La strategia della tensione sarebbe partita da prima della
fine della seconda guerra mondiale con la costituzione, in ambito
fascista, della struttura parastatale denominata Noto servizio o
«Anello», il cui capo durante la Repubblica, secondo quanto detto
anche da Licio Gelli, sarebbe stato Giulio Andreotti. Lo stragismo
avrebbe quindi da sempre usato manovalanza neofascista, neonazista,
criminali comuni e mafiosi e avrebbe goduto di finanziamenti esterni
provenienti dall'estero (sia dalla NATO, sia dal petrolio della Libia
di Gheddafi, in affari segreti con i governi di Andreotti e con l'ENI
di Eugenio Cefis) e da faccendieri italiani. Bolognesi e Scardova
aggiungono all'elenco dei fatti anche gli omicidi di Pier Paolo
Pasolini, Mauro De Mauro ed Enrico Mattei, oltre alla morte di
Giangiacomo Feltrinelli (in realtà deceduto mentre preparava un
attentato a un traliccio), alcuni aspetti del caso Moro e le bombe
mafiose del 1992-93.
In particolare, secondo alcuni, Michele
Sindona avrebbe finanziato la strategia della tensione dal 1969 al
1974 (il periodo di maggior interesse degli Stati Uniti), mentre tra
i successivi finanziatori, tra gli altri, ci sarebbero stati, in un
doppio gioco internazionale dell'Italia tra NATO e paesi non
allineati, tra CIA e FPLP (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina), lo stesso Mu'ammar Gheddafi (anche
azionista di minoranza della FIAT per via del petrolio e forse
coinvolto in un traffico d'armi tra la Libia e la penisola di cui
faceva parte anche l'organizzazione anticomunista "Gladio", la
cui ascesa venne favorita di nascosto anche dai servizi segreti
italiani) ma anche il citato Licio Gelli. Il raìs libico avrebbe
anche, con Gelli, finanziato indirettamente le varie "leghe"
indipendentiste e alcuni movimenti di estrema destra dal tono
apparentemente anti-imperialista (come Ordine Nuovo e Avanguardia
Nazionale, i principali gruppi coinvolti, con i NAR, nelle bombe
stragiste dirette dai servizi deviati), presso cui godeva di grande
rispetto, così come aveva fatto anche con l'IRA e Settembre Nero.
Alex Boschetti e Anna Ciammitti nel
loro libro "La strage di Bologna" che analizza la strage del 2 agosto
1980 e tutti i riscontri delle indagini, compresi i depistaggi
attuati da Licio Gelli, considerano i NAR un punto di snodo nella
strategia della tensione insieme con la P2 e la CIA per attuare uno
spostamento dell'Italia verso destra con un golpe strisciante aiutato
da gran parte dei rappresentanti di governo e servizi segreti (in
buona parte iscritti alla loggia coperta P2).
Vito Miceli |
Fu ipotizzato il coinvolgimento della
P2 nella Strage dell'Italicus. Alla detta loggia viene inoltre
attribuita impronta "atlantica". Destabilizzare per
stabilizzare, quindi una presa violenta del Paese così come era
teorizzato dal manuale trovato nella valigetta di Gelli "Field
Manual" di provenienza CIA che forse finanziò e favorì tale
situazione per non permettere l'accesso al governo dei comunisti in
Italia, sarebbe stato cioè un coinvolgimento dei servizi segreti
italiani, uno dei cui direttori, Vito Miceli, fu arrestato nel 1974.
Secondo il cosiddetto "Memoriale
Moro", scritto dall'On. Aldo Moro durante la sua prigionia
presso le Brigate Rosse: « La cosiddetta strategia della
tensione ebbe la finalità, anche se fortunatamente non conseguì il
suo obiettivo, di rimettere l'Italia nei binari della "normalità"
dopo le vicende del '68 ed il cosiddetto Autunno caldo. Si può
presumere che Paesi associati a vario titolo alla nostra politica e
quindi interessati a un certo indirizzo vi fossero in qualche modo
impegnati attraverso i loro servizi d'informazioni. Su significative
presenze della Grecia e della Spagna fascista non può esservi dubbio
e lo stesso servizio italiano per avvenimenti venuti poi largamente
in luce e per altri precedenti [...] può essere considerato uno di
quegli apparati italiani sui quali grava maggiormente il sospetto di
complicità, del resto accennato in una sentenza incidentale del
Processo di Catanzaro ed in via di accertamento, finalmente serio, a
Catanzaro stessa ed a Milano. Fautori ne erano in generale coloro che
nella nostra storia si trovano periodicamente, e cioè ad ogni buona
occasione che si presenti, dalla parte di [chi] respinge le novità
scomode e vorrebbe tornare all'antico.
Tra essi erano anche elettori e
simpatizzanti della D.C.[...] non soli, ma certo con altri,
lamentavano l'insostenibilità economica dell'autunno caldo, la
necessità di arretrare nella via delle riforme e magari di dare un
giro di vite anche sul terreno politico. » (Memoriale Moro)
Licio Gelli |
Tina Anselmi |
Francesco Pazienza |
Roberto Calvi |
L'agente massone Francesco Pazienza, subentrato a Licio Gelli a capo della P2, racconterà che durante la detenzione di Calvi venne mandato da
monsignor Marcinkus a Nassau per convincere il figlio del banchiere,
Carlo, a desistere dal creare problemi al Vaticano inviando
continuamente telex e fax per parlare con il papa o col card.
Silvestrini. Marcinkus non era contrario a prestare aiuto a Calvi.
Intervenne anche monsignor Cheli da New York che raccomandò al
figlio di Calvi di convincere il padre a non rivelare segreti di
sorta.
Francesco Pazienza, già stretto collaboratore di Calvi, era
diventato nel 1981 un tramite tra Gelli, i servizi segreti italiani e
quelli statunitensi.
I "segreti vaticani" che
Calvi doveva tacere ai magistrati italiani erano legati, in
particolare, a varie società-fantasma (Astolfine Sa, Bellatrix Sa,
Belrosa Sa, Erin Sa, Laramie Inc, Starfield Sa), tutte domiciliate
nel paradiso fiscale di Panama, e possedute da tre holding: la Utc
(United Trading Corporation, proprietà dello IOR e domiciliata a
Panama), la Manie e la Zitropo (con sede in Lussemburgo, entrambe
partecipate dallo IOR). Le otto società-paravento erano i terminali
dei traffici di Calvi e Marcinkus, ultima spiaggia della banca
vaticana che sfruttava il Banco Ambrosiano Overseas di Nassau, alle
Bahamas, quale "ponte" per ingarbugliare le tracce dei
capitali succhiati dalle casseforti del Banco Ambrosiano di Milano e
dispersi nel mar dei Caraibi (una parte dei quali rientrava in Europa
per finanziare il sindacato polacco Solidarnosc). Era stato proprio
su designazione di Calvi che Marcinkus era entrato a far parte del
consiglio di amministrazione della consociata estera dell'Ambrosiano
alle Bahamas, l'Overseas di Nassau.
Erano in pratica gli strumenti di
operazioni finanziarie occulte. Come appureranno i liquidatori
dell'Ambrosiano dopo il crac, le varie società-paravento del duo
Marcinkus-Calvi al 17 giugno 1982 avevano drenato dal gruppo bancario
milanese un miliardo e 188 milioni dì dollari, più 202 milioni di
franchi svizzeri, senza che se ne potesse appurare la destinazione
finale: una parte certo utilizzata da Calvi e dalla P2, ma un'altra
parte - con altrettanta certezza - utilizzata dal banchiere di papa
Wojtyla.
Monsignor Marcinkus voleva svincolare
al più presto le finanze vaticane dal pericolante partner
catto-massone, e recidere ogni legame fra la banca papale e
l'Ambrosiano mantenendo segreti i rapporti pregressi. Calvi, da parte
sua, contava sul soccorso della banca papale per evitare la
bancarotta.
Il dirigente del settore estero del
Banco Ambrosiano, Giacomo Botta, dichiarerà ai magistrati milanesi
che il dominio dello IOR sul Gruppo del Banco Ambrosiano era reso
palese da:
- la fulminea carriera di Alessandro Mennini [figlio
dell'amministratore delegato dello IOR, Luigi], entrato
inopinatamente in banca con il grado di vicedirettore;
- il
trasferimento dallo IOR al Gruppo Ambrosiano della Banca Cattolica
del Veneto, cui non era seguito cambiamento alcuno nella direzione e
nell'organo di amministrazione;
- il finanziamento cospicuo dello IOR
(150 milioni di dollari) che aveva aiutato la neonata società
Cisalpine [poi Baol-Banco Ambrosiano Overseas Limited] ad affermarsi
come banca;
- la presenza di monsignor Marcinkus nel consiglio di
amministrazione della stessa banca di Nassau;
- la gelosia con la quale
Calvi custodiva e gestiva il proprio esclusivo rapporto con lo IOR;
- l'appartenenza allo IOR di Ulricor e Rekofinanz, azioniste del Banco
Ambrosiano, nonché di quattro società titolari dei pacchetti di
azioni del Banco Ambrosiano che la Rizzoli aveva costituito in pegno
per un finanziamento ottenuto da Baol. Il Vaticano era in sostanza il padrone
del Banco Ambrosiano, praticamente dalla fine degli anni '70.
Flavio Carboni |
Flavio Carboni, un piccolo imprenditore sardo legato ad ambienti politici della sinistra Dc, amico di Armando Corona, repubblicano e Gran Maestro della Massoneria, socio del Gruppo editoriale l'Espresso, era bene introdotto in alcuni uffici vaticani e rappresentò il ponte tra Roberto Calvi, Vaticano e politica. Carboni conobbe Calvi in Sardegna nel 1981 e riuscì presto a conquistare la fiducia del banchiere, mettendogli a disposizione le sue preziose conoscenze al governo, con in testa un sottosegretario, democristiano e anche lui sardo, Giuseppe Pisanu.
L'interlocutore del banchiere massone fu il cardinale Pietro
Palazzini, prefetto della Congregazione per le cause dei santi e
caposaldo curiale della fazione opusiana.
Anche la Loggia P2 - in dissenso dalla
fazione massonico-curiale, a maggioranza fautrice dell'Ostpolitik -
approvava i finanziamenti "anticomunisti" a Solidarnosc, al
punto che persino una parte dei 7 milioni di dollari fatti affluire
nel biennio 1980-81 dalla P2 - tramite l'Ambrosiano - sul conto
svizzero "Protezione" a beneficio del politico italiano
Bettino Craxi, venne utilizzata per aiuti a Solidarnosc.
Nel dicembre 1981 il finanziere Carlo
De Benedetti, da pochi giorni vicepresidente e azionista
dell'Ambrosiano (il 18 novembre aveva acquistato per 50 miliardi il 2
per cento del Banco), tentò di appurare con precisione quali
rapporti legassero la banca di Calvi e la P2 alla banca del Papa, ma
non ottenendo da Calvi alcuna risposta, pretese d'incontrare a Roma,
per chiarimenti definitivi, monsignor Achille Silvestrini della
Segreteria di Stato vaticana. Il successivo 22 gennaio 1982 De
Benedetti, sottoposto a pressioni e minacce, lascia il Banco
Ambrosiano cedendo la propria quota del 2 per cento allo stesso
Calvi, per una somma che procurerà al finanziere l'accusa di
concorso in bancarotta fraudolenta e una vicenda giudiziaria lunga e
tortuosa conclusasi con l'assoluzione.
Così Calvi scrisse a papa Wojtyla il 5
giugno 1982: “Santità sono stato io ad addossarmi il pesante
fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e
precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di
Sindona…; sono stato io che, su preciso incarico dei Suoi
autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in
favore di molti Paesi e associazioni politico-religiose dell’Est e
dell’Ovest…; sono stato io in tutto il Centro-Sudamerica che ho
coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto
allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di
ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e
abbandonato…“ Citato in Ferruccio Pinotti, Poteri forti, Bur,
2005. Calvi si riferiva ai finanziamenti ad alcuni regimi fascisti
(Pinochet, Somoza...) e al fatto che aveva contribuito enormemente a
distruggere la linea dell'Ostpolitik dell'ala massonico-curiale di Casaroli.
Wojtyla, il 6 giugno 1982, s'incontra invece
con Reagan per stabilire ulteriori aiuti al sindacato Solidarnosc, i
cui leader erano in carcere. Monsignor Marcinkus si occupa di
convogliare al sindacato clandestino anche i finanziamenti Usa, che
si appaiavano ai fondi IOR-Ambrosiano. Dell'accordo Wojtyla-Reagan
vennero tenuti all'oscuro sia la Segreteria di Stato vaticana, sia il
Dipartimento di Stato americano.
Il 20 luglio 1981 il Tribunale di
Milano dichiara Calvi colpevole di frode valutaria, e lo condanna a
4 anni di prigione e a 15 miliardi di lire di multa. Il banchiere
catto-massone ottiene la libertà provvisoria in attesa del processo
d'appello.
Calvi tornò ai vertici del Banco e
cercò, insieme al faccendiere Flavio Carboni, l'aiuto dello IOR.
Poche settimane dopo si recò in Vaticano, da monsignor
Marcinkus, nella sede dello IOR, ove firmò un documento che liberava
la banca del Papa e Marcinkus da ogni responsabilità per
l'indebitamento delle società panamensi verso il Gruppo Ambrosiano;
in cambio, ottenne dallo IOR lettere a garanzia della situazione
debitoria di quelle stesse società, con scadenza 30 giugno 1982.
Attraverso le lettere di patronage della banca del Papa e entro
quella data, Calvi avrebbe dovuto trovare gli ingenti capitali
necessari al salvataggio del suo impero finanziario. Calvi non voleva perdere la
preziosissima partnership della banca vaticana, anzi intendeva
renderla organica e ufficiale. Ed essendo ormai bruciati i rapporti
con la fazione massonico-curiale, decise di rivolgersi a quella
avversa, con l'obiettivo di arrivare a coinvolgere l'Opus Dei.
Pietro Palazzini |
Cardinale di Curia dal 1973, da sempre
vicinissimo all'Opus Dei, Pietro Palazzini era amico di Camillo
Cruciani, alto dirigente della Finmeccanica, fuggito in Messico in
seguito allo scandalo Lockheed nel 1976.
Proprio nel periodo della convalescenza
di papa Wojtyla, le due opposte fazioni curiali si misero d'accordo
per commissariare la Compagnia di Gesù, verso la quale nutrivano
entrambe una forte ostilità.
Pochi giorni prima che Wojtyla tornasse
in Vaticano, il 29 settembre 1981, la Santa Sede dirama una notizia
stupefacente: il presidente della banca vaticana, monsignor
Marcinkus, era stato nominato, dal Papa convalescente, anche
propresidente della Pontificia commissione per lo Stato della
Città del Vaticano; il capo dello IOR e neo-governatore dello Stato
vaticano, inoltre, era stato promosso al rango di arcivescovo, in
attesa di ricevere la porpora.
La notizia della nuova carica cumulata
da Marcinkus (il quale in pratica era divenuto il capo assoluto di
tutte le finanze vaticane) suscitò sconcerto nella stessa Curia,
soprattutto nel Segretario di Stato il cardinale Casaroli, da tempo
ai ferri corti con Marcinkus.
A causa di Solidarnosc Wojtyla non
poteva fare a meno di Marcinkus: in particolare si dovevano
assicurare ingenti finanziamenti alla leadership moderata di Walesa.
Walesa, leader di Solidarnosc |
La fazione opusiana appoggiava
fortemente il sostegno papale a Solidarnosc: per questo accettava che
le finanze vaticane restassero nelle mani di monsignor Marcinkus, e
che l'arcivescovo americano si facesse carico dei rischiosi
finanziamenti segreti a Walesa. Da notare che l'entourage più
stretto di Wojtyla era convinto che l'attentato fosse collegato alla
sua decisione di elevare l'Opus Dei a Prelatura personale. Tanto che
egli accettò una "speciale protezione" opusiana, nella
persona del capitano della Guardia svizzera Alois Estermann, nuova
guardia del corpo del Pontefice.
Wojciech Jaruzelski |
Quando in Polonia il governo comunista
di Jaruzelski impose lo stato d'assedio per scongiurare l'invasione
sovietica e la guerra civile, in Vaticano il cardinale Casaroli,
insieme a molti curiali, riteneva il Sommo Pontefice corresponsabile
della tragedia polacca, gravida di incognite ben più sanguinose. Si
temeva, sopra ogni altra cosa, che emergessero i finanziamenti
vaticani a Solidarnosc, e che il sindacato-partito cattolico voluto e
sostenuto da Giovanni Paolo II a quel punto sfuggisse al controllo
politico papale imboccando la strada dell'insurrezione.
Bettino Craxi |
Carlo De Benedetti |
Con il divenire dello scandalo
IOR-Calvi-Ambrosiano, la figura di Marcinkus si faceva sempre più
ingombrante per la fazione massonico-curiale, proprio mentre il
potere del presidente della banca papale, nominato anche governatore
dello Stato vaticano, era aumentato a dismisura. Il cardinale
Casaroli intendeva recidere i legami IOR-Ambrosiano mediante una
trattativa diplomatica e una transazione finanziaria; monsignor
Marcinkus era assolutamente contrario a una simile eventualità,
ritenendo che la Santa Sede dovesse limitarsi a negare qualunque
responsabilità dello IOR nell'imminente bancarotta dell'Ambrosiano.
Gli echi del contrasto
Casaroli-Marcinkus finiranno nelle memorie del massone Francesco
Pazienza. L'agente-collaboratore del servizio segreto militare
italiano racconterà di essere stato mandato in Vaticano dal capo del
Sismi, il generale massone della P2 Giuseppe Santovito, su richiesta
della Segreteria di Stato vaticana, per incontrare il braccio destro
del cardinale Casaroli, monsignor Pier Luigi Celata, il quale
pretendeva la rimozione di Marcinkus dallo IOR, anche per attenuare
il potere politico dello stesso Wojtyla sulla curia vaticana.
Wojtyla, fin dalle sue prime mosse, dal punto di vista "politico"
aveva lasciato intuire, contro la linea diplomatica di Casaroli, che
il Vaticano sarebbe andato nella direzione di una linea dura, di
scontro frontale con Mosca e i Paesi satelliti.
Quando Pazienza lascia il Sismi per
diventare consulente personale di Calvi, su richiesta di
quest'ultimo, il motivo di questa collaborazione era il tentativo di
coinvolgere l'Opus Dei nell'azionariato del Banco Ambrosiano, facendo
pervenire al cardinale Palazzini proposte, documenti e "confidenze"
sulle connessioni segrete fra lo IOR e l'Ambrosiano. In pratica,
Calvi proponeva alla fazione opusiana di estromettere monsignor
Marcinkus dalla presidenza dello IOR, di affidare la banca papale a
un fiduciario dell'Opus Dei, e di far rilevare dallo IOR una quota
societaria del 10 per cento del Banco Ambrosiano per 1.200 milioni di
dollari.
A febbraio del 1982 il cardinale Palazzini dà una risposta negativa. Il cardinale Casaroli, da parte sua, vorrebbe impedire che l'Opus Dei, così ostile ai sovietici e tanto amica dei polacchi di Solidarnosc, mettesse le mani sullo IOR-Banco Ambrosiano. Il Papa la pensava come il cardinale
Palazzini, però non voleva problemi con il suo segretario di Stato e
men che meno con la fazione massonico-curiale.
Il 30 maggio1982 Roberto Calvi rivolge un
estremo appello al cardinale Palazzini perché lo si facesse uscire
da una situazione che lo portava alla bancarotta, chiedendo di poter
parlare con Wojtyla.
Somoza |
Pinochet |
Wojtyla con Reagan |
Il 12 giugno 1982 Roberto Calvi lascia l'Italia. Quarantotto ore dopo monsignor Marcinkus firma una
lettera di dimissioni dal Consiglio di amministrazione del Banco
Ambrosiano Overseas di Nassau.
Il 16 giugno 1982, il direttore generale
dell'Ambrosiano, Roberto Rosone, si reca in Vaticano, presso la sede
dello IOR, avendo saputo che il Banco Ambrosiano Andino aveva
elargito grossi finanziamenti allo IOR, ovvero a società ad esso
facenti capo e che erano stati garantiti con una serie di pacchetti
azionari di ottima immagine, tra cui il 10 per cento circa di azioni
del Banco Ambrosiano (circa 5 milioni e 300 mila azioni). Il credito
complessivo del Banco Andino si aggirava su un miliardo e 300 milioni
circa di dollari Usa.
Calvi era convinto di aver trovato finalmente
un aiuto concreto. I responsabili dello IOR erano
favorevoli a fare una sorta di transazione, ossia a restituire il
puro capitale, senza interesse alcuno.
Ma il 17 giugno le autorità
monetarie italiane deliberano la liquidazione coatta del Banco
Ambrosiano, che crolla in borsa. Calvi intanto riceve una lettera da
Licio Gelli, il capo della P2, che gli conferma che Finetti e
Seigenthaler, indicati come cassieri romani dell'Opus Dei, si stavano
occupando per salvare l'Ambrosiano dalla bancarotta.
Calvi si reca a Londra per
ottenere un pacchetto finanziario di salvataggio proveniente
dall'Opus Dei (che proprio in quella città aveva il suo quartier
generale), ma l'Opus Dei, in cambio dell'aiuto, chiede precisi
poteri politici in Vaticano, ad esempio nella determinazione della
strategia verso i Paesi comunisti e del Terzo mondo. La fazione
massonico-curiale di Casaroli, appoggiata da Andreotti, è però contraria.
Calvi viene trovato impiccato il 18
giugno 1982 sotto il ponte dei Frati Neri sul Tamigi, in una zona di
Londra la cui polizia dipendeva dal duca di Kent, capo della
massoneria mondiale. Successivamente il pentito della mafia
siculo-americana, F. Marino Mannoia, dirà che a strangolare Calvi fu
Di Carlo, su ordine di Pippo Calò. Verrà uccisa anche la sua
segretaria personale.
Il 27 novembre 1982, cioè tre mesi dopo
l’annuncio della decisione papale, la Congregazione per i vescovi
ufficializza la erezione dell'Opus Dei a Prelatura personale del
pontefice, la prima nella storia della Chiesa di Roma. Secondo i calcoli fatti dall'allora
ministro del Tesoro Beniamino Andreatta (la cui denuncia sulle
collusioni tra IOR e finanza deviata gli costarono un lungo
"purgatorio" politico), il Vaticano fu coinvolto nello
scandalo per una somma di 1.159 milioni di dollari: era il credito di
alcune affiliate estere del Banco verso due società dello IOR, con
sede in America Latina. Il Vaticano rimborsò anni dopo, al Nuovo
Banco Ambrosiano, solo una parte (250 milioni di dollari) della cifra
con cui Calvi si era indebitato.
Il 15 ottobre 2003 due pm di Roma - Luca Tescaroli e Maria Monteleone - hanno chiesto il rinvio a
giudizio di quattro persone, con l'accusa dell'omicidio di Calvi: Giuseppe Calò,
Ernesto Diotallevi, Flavio Carboni e Manuela Kleinszig. Nei giorni in cui Roberto Calvi era a
Londra vennero segnalate nella capitale diverse presenze interessanti: quella di
Flavio Carboni e di alcuni camorristi, fra cui Vincenzo Casillo,
luogotenente di Raffaele Cutolo, in contatto con i servizi deviati e
in particolare col faccendiere Francesco Pazienza, succeduto a Gelli nella P2. Casillo verrà poi
ucciso a Roma in un'auto imbottita di tritolo. Un altro pentito di mafia, Vincenzo
Calcara, per l'omicidio Calvi ha tirato in ballo Giulio Andreotti,
elementi deviati dello Stato e dei servizi segreti, massoneria e ambienti
vaticani.
Il 10 agosto 1983, Licio Gelli evade dal carcere di Ginevra.
Il 10 agosto 1983, Licio Gelli evade dal carcere di Ginevra.
Nel 1984, il governo Craxi rinnova il Concordato,
dopo sette tentativi andati a vuoto tra il ’67 e l’83, togliendo
il divieto ai preti di fare politica e il giuramento di fedeltà dei
vescovi allo Stato italiano. Il matrimonio è stato svincolato solo
in parte dalla tutela ecclesiastica. La “congrua” mensile per i
preti è stata sostituita con il finanziamento volontario dell’8
per mille sul gettito totale delle tasse da noi pagate con l’Irpef,
novità che comporta per il Vaticano un incasso pari a un miliardo di
euro l’anno.
Solo il 20% dell’8 per mille regalato
volontariamente con l’Irpef viene speso in opere di carità. Per il
resto, il 34% va per il sostentamento del clero e ben il 46% alle non
meglio specificate “esigenze di culto”. Il cattolicesimo ha
cessato di essere religione di Stato, ma ciò nonostante l’articolo
9 stabilisce: "La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della
cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del Cattolicesimo
fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà
ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola,
l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non
universitarie di ogni ordine e grado. Agli insegnanti di religione
delle proprie scuole lo Stato richiede un certificato di idoneità da
parte dell’ordinario diocesano, ma non una laurea: basta anche un
diploma di magistero in scienze religiose rilasciato da un istituto
approvato dalla Santa Sede" (Intesa tra il ministro della Pubblica
Istruzione e il presidente della Commissione Episcopale Italiana,
resa esecutiva con Decreto del presidente della Repubblica n. 751 del
1985).
Nel 1986, Michele Sindona muore nel
supercarcere di Voghera, avvelenato da un caffé al cianuro.
Nel febbraio 1987 il giudice istruttore del tribunale di Milano, Renato Bricchetti, emette un mandato di cattura contro Paul Marcinkus, Luigi Mennini e Pellegrino de Strobel, i vertici dello IOR, individuando gravi responsabilità della Banca Vaticana nel crac del Banco Ambrosiano, ma la Cassazione non convalida il provvedimento, a causa dell'art. 11 dei Patti Lateranensi, che recita: "gli enti centrali della Chiesa sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano". Lo IOR subì un vero e proprio terremoto e il
cardinale Markinkus riuscì a farla franca solo appellandosi
all'immunità diplomatica.
Nel 1987, Licio Gelli si presenta al palazzo di
Giustizia di Ginevra e nel 1988 viene estradato in Italia. Rimane in
carcere per due mesi, poi viene rilasciato per motivi di salute.
Quando nel 1988 viene emessa la
sentenza sulla strage della stazione di Bologna, Gelli viene
condannato a 10 anni per calunnia aggravata. Ha poi donato all’archivio di
Stato pistoiese la parte “presentabile” dei suoi documenti
storici e si è orientato verso posizioni di centro-sinistra. Ha
chiesto il ritiro di tutte le basi americane dall'Italia, il ritiro
di tutti i nostri soldati dalle cosiddette "missioni di pace" e la rinuncia del voto agli italiani all'estero.
« Giulio Andreotti sarebbe stato il
vero “padrone” della Loggia P2? Per carità… io avevo la P2,
Cossiga la Gladio e Andreotti l'Anello. » (Licio Gelli durante un'intervista al
settimanale "Oggi", Roma, 15 febbraio 2011)
- La Propaganda due (meglio nota
come P2) era una loggia massonica aderente al Grande Oriente
d'Italia (GOI). Fondata nel 1877 con il nome di Propaganda massonica,
assunse forme deviate rispetto agli statuti della massoneria ed
eversive nei confronti dell'ordinamento giuridico italiano, nel
periodo della sua conduzione da parte dell'imprenditore Licio Gelli.
La P2 fu sospesa dal GOI il 26 luglio 1976; successivamente, la
Commissione parlamentare d'inchiesta Anselmi ha concluso il caso P2
denunciando la loggia come una vera e propria "organizzazione
criminale" ed "eversiva". Essa fu sciolta con
un'apposita legge, la n. 17 del 25 gennaio 1982.
Sin dalla fondazione, la caratteristica
principale della loggia "Propaganda massonica" fu quella di garantire
un'adeguata copertura e segretezza agli iniziati di maggior
importanza, sia all'interno che al di fuori dell'organizzazione
massonica. L'originale loggia operò fino al 1925, quando furono
temporaneamente sciolte tutte le logge massoniche, su impulso del
regime fascista.
Dopo la caduta del regime fascista, le
attività delle logge massoniche ripresero e la loggia, ribattezzata
“Propaganda due”, nel secondo dopoguerra, tornò ad essere alle
dipendenze dirette del Gran maestro dell'Ordine sino all'avvento di
Licio Gelli. Quest'ultimo venne prima delegato dal Gran maestro Lino
Salvini a rappresentarlo in tutte le funzioni all'interno della
loggia (dal 1970), poi ne fu nominato Maestro venerabile, cioè “capo”
a tutti gli effetti (nel 1975).
In base a due appunti del Sismi e del
Sisde scoperti dal P.M. Vincenzo Calia nella sua inchiesta sulla
morte di Enrico Mattei, la Loggia P2 sarebbe stata fondata da Eugenio
Cefis, che l'avrebbe diretta sino a quando fu presidente della
Montedison; poi tra il 1982 e il 1983, dopo lo scandalo petroli,
sarebbe subentrato il duo Umberto Ortolani-Licio Gelli. Secondo altre testimonianze il capo
occulto della Loggia P2 sarebbe stato l'onorevole democristiano
Giulio Andreotti.
- L'organizzazione Gladio era
un'organizzazione paramilitare clandestina italiana di tipo
stay-behind ("stare dietro", "stare in retroscena")
promossa dalla NATO nell'ambito Operazione Gladio, organizzata dalla
Central Intelligence Agency per contrastare una ipotetica invasione
dell'Europa occidentale da parte dell'Unione Sovietica e dei paesi
aderenti al Patto di Varsavia, attraverso atti di sabotaggio, guerra
psicologica e guerriglia dietro le linee nemiche, con la
collaborazione dei servizi segreti e di altre strutture. Malgrado in
Italia Gladio sia propriamente utilizzato in riferimento solo alla
stay-behind italiana (o, secondo alcuni, la principale e più
duratura tra diverse stay-behind che operarono in Italia), il termine
è stato applicato dalla stampa anche ad altre operazioni di tipo
stay-behind, in quanto parte dell'Operazione Gladio. Durante la
guerra fredda, quasi tutti i paesi dell'Europa occidentale
organizzarono reti stay-behind sotto controllo NATO.
L'esistenza di Gladio, sospettata fin
dalle rivelazioni rese nel 1984 dall'ex membro del gruppo neofascista
Ordine Nuovo Vincenzo Vinciguerra durante il suo processo, fu
riconosciuta dal presidente del Consiglio italiano Giulio Andreotti
il 24 ottobre 1990, che parlò di una "struttura di
informazione, risposta e salvaguardia".
Francesco Cossiga, che ebbe, durante il
periodo in cui era sottosegretario alla difesa, la delega alla
sovrintendenza di Gladio, e che spesso è stato indicato come uno dei
fondatori, affermò nel 2008 che «i padri di Gladio sono stati Aldo
Moro, Paolo Emilio Taviani, Gaetano Martino e i generali Musco e De
Lorenzo, capi del SIFAR. Io ero un piccolo amministratore». Affermò
altresì che «gli uomini di Gladio erano ex partigiani. Era vietato
arruolare monarchici, fascisti o anche solo parenti di fascisti: un
ufficiale di complemento fu cacciato dopo il suo matrimonio con la
figlia di un dirigente Msi. Quasi tutti erano azionisti, socialisti,
lamalfiani».
- Il Noto servizio o Anello è
stata un'organizzazione segreta italiana composta da ex ufficiali
della Repubblica di Salò, imprenditori, industriali, soggetti del
mondo politico ed economico, della malavita e della criminalità
organizzata, fondato verso la fine della seconda guerra mondiale e
sopravvissuto, con varie trasformazioni, fino agli inizi degli anni
novanta.
Una sorta di servizio segreto
parallelo, che fungeva da elemento di congiunzione tra gerarchie
politiche e civili e gerarchie militari unite nella lotta al
comunismo.
Dopo le vicende legate al banco
Ambrosiano, al crac e al cardinale Marcinkus, nel 1990 papa Giovanni
Paolo II ha riformato lo IOR, affidandone la gestione a persone laiche ma
di credenze cattoliche; lo presiedeva infatti, Angelo Caloia,
professore dell'università Cattolica di Milano, ex presidente del
Medio Credito Lombardo e capo di due società di Banca
Intesa. Ai prelati è stata riservata solo una funzione di vigilanza. Nei nuovi statuti dello IOR, tra le figure di garanzia, quella di un prelato che garantisca l'eticità degli investimenti dell'Istituto, carica che ricoprirà mons. Donato De Bonis, già braccio destro di Marcinkus.
Marcinkus si è ritirato in una parrocchia dell'Illinois e poi presso la diocesi di Phoenix, dove è morto a 84 anni nella città di Sun City (in Arizona, dove risiedeva e curava la parrocchia di San Clemente),
La fine della Guerra Fredda in campo internazionale (1989-1991) e gli avvenimenti di Tangentopoli (1992) mutano in pochi anni il panorama politico italiano.
La stessa Democrazia Cristiana è sciolta nel 1993: viene così meno il punto di riferimento dei cattolici nella vita politica italiana. Negli anni successivi, pertanto, il Clero avvia un atteggiamento di dialogo con partiti politici sia conservatori sia progressisti, influenzando significativamente entrambi gli schieramenti. Secondo gli osservatori più critici, tale atteggiamento ha assunto talvolta modi vicini a quelli propri dei gruppi di pressione.
La stessa Democrazia Cristiana è sciolta nel 1993: viene così meno il punto di riferimento dei cattolici nella vita politica italiana. Negli anni successivi, pertanto, il Clero avvia un atteggiamento di dialogo con partiti politici sia conservatori sia progressisti, influenzando significativamente entrambi gli schieramenti. Secondo gli osservatori più critici, tale atteggiamento ha assunto talvolta modi vicini a quelli propri dei gruppi di pressione.
Nei primi anni del 2000 lo IOR amministrava un patrimonio
stimato in 5 miliardi di euro e funziona come un fondo chiuso. In
pratica ha rendimenti da hedge fund, visto che ai suoi clienti
(dipendenti del Vaticano, membri della Santa Sede, ordini religiosi,
benefattori) garantisce interessi medi annui superiori al 12%, anche
per depositi di lieve consistenza.
Secondo un rapporto del giugno 2002 del
Dipartimento del Tesoro americano, basato su stime della Fed, solo in
titoli Usa il Vaticano ha 298 milioni di dollari: 195 in azioni, 102
in obbligazioni a lungo termine (49 milioni in bond societari, 36
milioni in emissioni delle agenzie governative e 17 milioni in titoli
governativi) più un milione di euro in obbligazioni a breve del
Tesoro. E l’advisor inglese The Guthrie Group nei suoi tabulati
segnala una joint venture da 273,6 milioni di euro tra IOR e partner
Usa.
I segreti finanziari del Vaticano
vengono conservati nelle Isole Cayman, il paradiso fiscale
caraibico, spiritualmente guidato dal cardinale Adam Joseph Maida
che, tra l’altro, siede nel collegio di vigilanza dello IOR. Le
Cayman sono state sottratte al controllo della diocesi giamaicana di
Kingston per essere proclamate Missio sui iuris, alle
dipendenze dirette del Vaticano.
In Italia i diritti di voto dei 45
milioni di quote di Banca Intesa (per un valore in Borsa di circa 130
milioni di euro) sono stati concessi alla Mittel di Giovanni Bazoli
in cambio di un dividendo maggiorato rispetto a quello di competenza.
E quando la Borsa tira, gli affari si moltiplicano. Nel 1998 p. es.
non sfuggì a molti l’ottimo investimento (100 miliardi di lire)
deciso dallo IOR nelle azioni della Banca popolare di Brescia: in
meno di 12 mesi il capitale si quadruplicò, naturalmente molto prima
del crollo del titolo Bipop.
Ma il patrimonio dello IOR non è solo
mobile. Dell’Istituto si parla anche in relazione alle beghe con
gli inquilini di quattro condomini di Roma e Frascati che lo IOR, a
cavallo fra il 2002 e il 2003, ha venduto alla società Marine
Investimenti Sud, all’epoca di proprietà al 90% della Finnat
Fiduciaria di Giampietro Nattino, uno dei laici della Prefettura
degli affari economici della Santa Sede, e oggi in mano alla
lussemburghese Longueville.
Gli inquilini, però, affermano di
sentirsi chiedere il pagamento del canone di locazione ancora dallo
IOR, che nei documenti ufficiali compare anche come Ocrot: Officia
pro caritatis religionisque operibus tutandis, con il codice fiscale
italiano dell’istituto: 80206390587.
Per il 25esimo anniversario di
pontificato, Giovanni Paolo II il 25 ottobre 2003 ha ricevuto un
assegno da 2,5 milioni di dollari, la rendita di un fondo
d’investimento americano da 20 milioni di dollari dedicato a lui,
il Vicarius Christi Fund.
Il denaro è gestito dall’ordine
cavalleresco cattolico più grande del mondo, nato 122 anni fa nel
Connecticut: The Knights of Columbus (I Cavalieri di Colombo), che
conta 1,6 milioni di membri tra Stati Uniti, Canada, Messico, Porto
Rico, Repubblica Dominicana, Filippine, Bahamas, Guatemala, Guam,
Saipan e Isole Vergini.
Il suo cavaliere supremo, Virgil
Dechant, è uno dei 9 consiglieri dello Stato Città del Vaticano e
anche vicepresidente dello IOR. Con i 2,5 milioni di dollari regalati
a Karol Wojtyla il 9 ottobre 2003, il totale delle donazioni
dell’ordine cavalleresco al vicario di Cristo ha superato i 35
milioni di dollari. Nulla, in confronto ai 47 miliardi di dollari del
fondo assicurativo sulla vita gestito dai Cavalieri di Colombo, al
quale Standard & Poor’s assegna da anni il rating più elevato.
L’ordine investe nei corporate bond
emessi da più di 740 società statunitensi e canadesi e solo nel
2002, piazzando polizze sulla vita e servizi di assistenza
domiciliare ai suoi iscritti attraverso 1.400 agenti, ha incassato
4,5 miliardi di dollari (il 3,4% in più rispetto al 2001). Una parte
delle entrate, 128,5 milioni di dollari, è stata girata a diocesi,
ordini religiosi, seminari, scuole cattoliche e, ovviamente, al
Vaticano che nel 2002, tra la rendita del fondo del Papa, gli assegni
alle nunziature apostoliche di Usa e Jugoslavia, il contributo alla
Santa Sede nella sua missione di osservatore permanente all’Onu e
quello per il restauro della basilica di san Pietro, ha ricevuto dai
Cavalieri di Colombo 1,98 milioni di dollari.
Nel 2003, il governo Berlusconi ha
creato un organico di 15.507 posti di insegnanti (senza laurea) di
religione (di fatto solo cattolica), fatti diventare in massa di
ruolo scavalcando anche i diritti pregressi degli insegnati delle
altre materie, ben più importanti per il progresso del Paese e
permette loro un successivo passaggio ad altre cattedre (Legge n. 186
del 2003): 9.222 sono stati assunti nel 2005 e 3.077 nel 2006, mentre
gli altri precari (regolarmente laureati) della scuola attendono per
anni l’assunzione a tempo indeterminato. Da notare che gli
insegnanti di religione li nomina e li può licenziare solo il
vescovo locale e non il ministero della Pubblica istruzione, che però
li paga.
Nel 2004 lo Stato ha contribuito con
mille miliardi di lire per la Chiesa: dai 470 milioni per stipendi
agli insegnanti di religione ai 258 per le scuole cattoliche, 25
milioni per l’acqua consumata dal Vaticano, 20 milioni per una
Università dell’Opus Dei e altri 44 per le cinque Università
cattoliche, ecc., ecc. Più la gran parte del miliardo e mezzo di
euro per la sanità privata, quasi tutta in mano a istituzioni
cattoliche (specie nella Lombardia governata dal ciellino Roberto
Formigoni).
Papa Ratzinger |
Nel 2006, la Chiesa incassa l’89,16 %
dell’8 per mille che arriva dall’Irpef, nonostante solo un terzo
dei contribuenti scelga di devolverlo allo Stato, alla Chiesa o ad
altre religioni (le organizzazioni umanitarie o scientifiche hanno
fatto la lorocomparsa solo negli ultimissimi tempi). La legge
infatti, grazie all’articolo 37 assegna alla maggioranza della
minoranza che devolve l’8 per mille il potere di stabilire di fatto
a chi dare il resto del ricco gruzzolo che il contribuente non indica
a chi versare. E poiché la maggioranza (nel 2006 il 35,24%) di
questa minoranza assegna l’obolo alla Chiesa, questa diventa l’asso
piglia tutto: piglia cioè l’89,16%, pari a un miliardo di euro
l’anno. Da notare che soli i valdesi, che ricevono appena l’1,30
della torta Irpef, presentano un rendiconto molto particolareggiato e
danno tutto in opere assistenziali. La comunità ebraica riceve lo
0,39 %, i luterano lo 0,27 e via con gli altri spiccioli per gli
altri questuanti.
Altri 6 miliardi di euro la Chiesa se
li tiene grazie alla rinuncia dello Stato italiano a riscuotere le
tasse. Per lo stesso motivo i Comuni italiani perdono circa 2
miliardi e 250 milioni di euro l’anno. Arriviamo così al totale di
oltre 10 miliardi di euro: una intera manovra finanziaria di
proporzioni niente affatto trascurabili che dalle nostre tasche, cioè
anche dalle tasche delle famose famiglie che la Chiesa dice di voler
proteggere, finiscono ogni anno direttamente nelle sue casse.
Ogni dieci anni, si arriva a oltre 100
miliardi di euro dati a questa Chiesa, che poi accusa questo stesso
Stato di sperpero delle nostre tasse per parassitismo e privilegio
dei partiti, la stessa Chiesa che, da noi pagata, attacca sempre più
a testa bassa la laicità delle nostre istituzioni e quindi le basi
della nostra libertà e coesistenza sociale. Siamo di fronte a quanto
di più assurdo e imbarazzante, se non vergognoso, si possa
immaginare.
L'11 febbraio 2013, durante il
concistoro ordinario, papa Benedetto
XVI, annuncia la sua rinuncia «al ministero di vescovo
di Roma, successore di san Pietro», con decorrenza della sede
vacante dalle ore 20.00 del 28 dello stesso mese: da quel momento il
suo titolo diventa romano pontefice emerito o papa emerito
mentre il suo trattamento rimane quello di Sua Santità. È l'8º
pontefice a rinunciare al ministero petrino, se si considerano
unicamente i casi dei papi Clemente I, Ponziano, Silverio, Benedetto
IX, Gregorio VI, Celestino V e Gregorio XII, di cui si hanno fonti
storiche certe o molto attendibili.
Papa Bergoglio |
Il centro dei suoi interventi è la solidarietà e l'accoglienza e con il suo papato si è sviluppato esponenzialmente il mercato dell'accoglienza agli immigrati da parte delle strutture del clero, che rende mediamente 35 € al giorno pro-capite. Numerosi esercizi e attività affittuari negli immobili del clero, sono stati sfrattati per far posto ai migranti, perlopiù giovani uomini.
Il 4 marzo 2017, la linea difensiva di Tiziano Renzi e
del suo avvocato Federico Bagattini a proposito dell'inchiesta sugli
appalti della Consip, è smontare tutte le affermazioni inverosimili
di Luigi Marroni, amministratore delegato della Consip e grande
accusatore del padre di Matteo Renzi e del faccendiere Carlo Russo.
"Abbiamo spiegato ai magistrati - dice il suo legale al Corriere
della Sera - che è il classico caso in cui si è abusato di un
cognome". In sostanza, sostiene il padre dell'ex premier,
indagato per traffico illecito di influenze, non solo non c'è stata
alcuna pressione indebita sull'amministratore delegato di Consip per
favorire Alfredo Romeo, ma l'intera costruzione dei fatti sarebbe
falsa. Renzi ammette l'incontro con Luigi Marroni, in piazza Santo
Spirito, nel 2016: "Si parlò di dove installare una statua
della Madonna di Medjugorje che apparteneva a un ospedale".
Ancora una volta, puzzo misto di politica-corruzione-sagrestie-massoneria.
Tiziano Renzi da: http://www.libero quotidiano.it/news/italia/12321141/ tiziano-renzi-incontrato-luigi-mar roni-madonna-medjugorje-.html |
Ancora una volta, puzzo misto di politica-corruzione-sagrestie-massoneria.
Ma ora, dopo questa breve e sommaria
rivisitazione degli eventi noti della nostra Repubblica, considerando
che fin da Washington, i presidenti degli USA sono stati
manifestamente massoni, rosacruciani o appartenenti al Council of
Foreign Relations e che nel PCI si è passati via via dai
salotti buoni di Mosca ad una progressiva attenzione alle masse
cattoliche con una continuità nei DS:
quali e quanti, fra i Presidenti del
Consiglio dal '48 in poi, potremmo giurare che non appartenessero ad
ambienti massonico-clericali?
Elezioni politiche del 18 aprile 1948 -
I Legislatura (8 maggio 1948 - 4 aprile 1953)
Governo De Gasperi V
Governo De Gasperi VI
Governo De Gasperi VII
Elezioni politiche del 7 giugno 1953 -
II Legislatura (25 giugno 1953 - 14 marzo 1958)
Governo De Gasperi VIII
Governo Pella
Governo Fanfani
Governo Scelba
Governo Segni
Governo Zoli
Elezioni politiche del 25 maggio 1958 -
III Legislatura (12 giugno 1958 - 18 febbraio 1963)
Governo Fanfani II
Governo Segni II
Governo Tambroni
Governo Fanfani III
Governo Fanfani IV
Elezioni politiche del 28 aprile 1963 -
IV Legislatura (16 maggio 1963 - 11 marzo 1968)
Governo Leone
Governo Moro
Governo Moro II
Governo Moro III
Elezioni politiche del 19 maggio 1968 -
V Legislatura (5 giugno 1968 - 28 febbraio 1972)
Governo Leone II
Governo Rumor
Governo Rumor II
Governo Rumor III
Governo Colombo
Governo Andreotti
Elezioni politiche del 7-8 maggio 1972
- VI Legislatura (25 maggio 1972 - 1 maggio 1976)
Governo Andreotti II
Governo Rumor IV
Governo Rumor V
Governo Moro IV
Governo Moro V
Elezioni politiche del 20-21 giugno
1976 - VII Legislatura (5 luglio 1976 - 2 aprile 1979)
Governo Andreotti III
Governo Andreotti IV
Governo Andreotti V
Elezioni politiche del 3 giugno 1979 -
VIII Legislatura (20 giugno 1979 - 4 maggio 1983)
Governo Cossiga
Governo Cossiga II
Governo Forlani
Governo Spadolini
Governo Spadolini II
Governo Fanfani V
Elezioni politiche del 26 giugno 1983 -
IX Legislatura (12 luglio 1983 - 28 aprile 1987)
Governo Craxi
Governo Craxi II
Governo Fanfani VI
Elezioni politiche del 14 giugno 1987 -
X Legislatura (2 luglio 1987 - 2 febbraio 1992)
Governo Goria
Governo De Mita
Governo Andreotti VI
Governo Andreotti VII
Elezioni politiche del 4 aprile 1992 -
XI Legislatura (23 aprile 1992 - 16 gennaio 1994)
Governo Amato
Governo Ciampi
Elezioni politiche del 27 marzo 1994 -
XII Legislatura (15 aprile 1994 - 16 febbraio 1996)
Governo Berlusconi
Governo Dini
Elezioni politiche del 21 aprile 1996 -
XIII Legislatura (9 maggio 1996 - 9 marzo 2001)
Governo Prodi
Governo D'Alema
Governo D'Alema II
Governo Amato II
Elezioni politiche del 13 maggio 2001 -
XIV Legislatura (30 maggio 2001 - 27 aprile 2006)
Governo Berlusconi II (dall'11 giugno
2001 al 23 aprile 2005)
Governo Berlusconi III (dal 23 aprile
2005 al 17 maggio 2006)
Elezioni politiche del 9 e 10 aprile
2006 - XV Legislatura (28 aprile 2006 - 6 febbraio 2008)
Governo Prodi II (dal 17 maggio 2006 al
6 maggio 2008)
Elezioni politiche del 13 e 14 aprile
2008 - XVI Legislatura (dal 29 aprile 2008 al 23 dicembre 2012)
Governo Berlusconi IV (dall'8 maggio
2008 al 16 novembre 2011)
Governo Monti (dal 16 novembre 2011 al
27 aprile 2013)
Elezioni politiche del 24 e 25 febbraio
2013 - XVII Legislatura (dal 15 marzo 2013)
Governo Letta (dal 28 aprile 2013 al 21
febbraio 2014)
Governo Renzi (dal 22 febbraio 2014 al
12 dicembre 2016)
Governo Gentiloni (dal 12 dicembre
2016)
Le Fonti di questo post: http://www.veritaoltreilsistema.com/2011/01/il-potere-del-vaticano-tra-ricchezze-e.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Clericalismo
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/05/06/andreotti-potere-e-misteri1-sponsor-vaticani-portano-giovane-giulio-in-alto/584922/
https://it.wikipedia.org/wiki/Partito_Socialista_Democratico_Italiano#La_scissione_di_palazzo
_Barberini
https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_Portella_della_Ginestra
http://www.misteriditalia.it/servizisegreti/gladio/letteraandreotti/GLADIO
(relazioneAndreotti).pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Citt%C3%A0_del_Vaticano
https://it.wikipedia.org/wiki/Clericalismo
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_Barberini
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