Piergiorgio Odifreddi |
...Il voltafaccia rispetto ai supposti
valori evangelici di carità e povertà innescato dall’Editto di
Costantino e Licinio, e proseguito con la sempre maggiore
identificazione fra gli interessi spirituali e temporali della
Chiesa, fu talmente profondo da essere poi variamente chiamato svolta
costantiniana, cesaropapismo, grandeapostasia e, più apertamente da
Dante, puttaneggiar coi regi, nell'Inferno,
XIX, 108 e 112-117:
Fatto v’avete Dio d’oro
e d’argento;
e che altro è da voi a
l’idolatre,
se non ch’elli uno, e
voi ne orate cento?
Ahi, Costantin, di quanto
mal fu matre,
non la tua conversion, ma
quella dote
che da te prese il primo
ricco patre!
La spartizione dei poteri fra Stati e
Chiesa, fu sancita dal Concordato di Worms del 1122, ratificato
l’anno dopo dal Primo Concilio Lateranense, che divenne il primo
dei tanti concordati che la Chiesa in seguito stipulò coi potenti
della terra: ad esempio, nel 1801 con Napoleone in Francia, nel 1855
con Francesco Giuseppe in Austria, nel 1929 con Benito Mussolini in
Italia, nel 1933 con Adolf Hitler in Germania, nel 1940 con Antonio
Salazar in Portogallo, e nel 1953 con Francisco Franco in Spagna.
Da tutta questa bella gente la Chiesa
ha ottenuto diritti e favori, in cambio di un sostegno più o meno
tacito o espresso ai loro regimi. Tanto per fare l’esempio che ci
tocca più da vicino, i Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929
fruttarono alla Chiesa un Trattato, una Convenzione finanziaria e un
Concordato. Il Trattato riconobbe la sovranità della Santa Sede e
l’indipendenza dello Stato della Città del Vaticano, e la
Convenzione finanziaria elargì una ricompensa per i “danni
ingenti” subiti dopo la conquista di Roma nel 1870 da parte dello
Stato italiano.
Prima del 1929, infatti, i rapporti con
la Santa Sede erano regolati dalla cosiddetta Legge delle Guarentigie
(o Garanzie, n.d.r.)del 1871, che non le concedeva alcun
diritto territoriale: soltanto la disponibilità dei palazzi del
Vaticano e del Laterano, e della residenza estiva di Castel Gandolfo.
La legge istituì comunque unilateralmente una serie di privilegi per
il papa e il clero, trai quali una donazione annuale di 3.225.000
lire dell’epoca (pari ad una decina di milioni di euro di oggi,
tabella di rivalutazione della lira dal 1861 al 2004, basata sui dati
dell'Istat).
La Santa Sede non rinunciò formalmente
alla somma, ma non la incassò mai per non accettare informalmente lo
status quo stabilito dalla legge. Nel 1929 il debito dello Stato
italiano ammontava dunque, con gli interessi, a 3.160.501.113 lire
(oggi circa dieci miliardi di euro). La Convenzione finanziaria,
«apprezzando i paterni sentimenti del Sommo Pontefice», acconsentì
a pagarne più o meno la metà: «750 milioni in contanti e un
miliardo in consolidato 5 per cento al portatore».
Il Concordato vero e proprio, infine,
stabilì che le candidature vescovili dovevano essere sottoposte
all’approvazione del Governo italiano, e che i vescovi nominati
dovevano giurare fedeltà al regime: l’unica eccezione era il
Cardinale Vicario di Roma, come rappresentante del papa. Quanto ai
preti, essi non potevano far politica, ma venivano esentati dal
servizio militare e ricevevano una prebenda statale chiamata
“congrua”.
Da parte sua, lo Stato acconsentì a
rendere le leggi matrimoniali conformi ai pregiudizi della Chiesa
Cattolica: in particolare, a proibire il divorzio, con disposizioni
che rimasero anacronisticamente in vigore fino al 1970. Quanto al
Cattolicesimo, esso diventava religione di Stato e doveva essere
insegnato in tutte le scuole: un insegnamento che rimane in vigore
anche oggi, benché il Cattolicesimo abbia cessato di essere
religione di Stato nel 1984 (con governo Craxi).
Il soddisfatto Pio XI iniziò fin da
subito a pagare il suo debito nei confronti del fascismo e già il 14
febbraio 1929, in un discorso all’Università del Sacro Cuore,
rilasciò a Mussolini la famosa patente di “uomo della
Provvidenza”: Forse ci voleva anche un uomo come quello che la
Provvidenza ci ha fatto incontrare; un uomo che non avesse le
preoccupazioni della scuola liberale, per gli uomini della quale
tutte quelle leggi, diciamo, e tutti quei regolamenti erano
altrettanti feticci e, proprio come i feticci, tanto più intangibili
e venerandi quanto più brutti e deformi. Quanto a Mussolini, nel suo
discorso alla Camera del 5 maggio 1929 spiegò candidamente i motivi
per cui un politico si allea col papa, ieri come oggi: Le idee
religiose hanno ancora molto impero, più di quanto non si creda da
taluni filosofi. Esse possono rendere grande servizio all’umanità.
Essendo d’accordo col papa si domina ancora la coscienza di 100
milioni [oggi un miliardo] di uomini.
Nel 1947 i Patti Lateranensi, lungi
dall’essere abrogati dopo la caduta del fascismo, furono annessi
alla Costituzione repubblicana tramite il famigerato articolo 7,
grazie al tradimento di Palmiro Togliatti. I comunisti votarono
infatti a favore, insieme a democristiani e qualunquisti, mentre
socialisti, repubblicani e azionisti votarono contro, e i liberali si
divisero fra i due schieramenti: fu il primo caso, anche se purtroppo
non l’ultimo, degli sciagurati compromessi antistorici che una
sinistra “sinistra” ha più volte regalato ai clericali, per il
loro interesse e la sua vergogna. Come degno ringraziamento a
Togliatti, un decreto del Sant’Uffizio del 1° luglio1949 vietava ai
cattolici, pena la scomunica, di aderire a (o anche solo collaborare
con) partiti o movimenti di ispirazione comunista.
L’assurda situazione venutasi a
creare con l’inserimento di un patto catto-fascista, stipulato «in
nome della Santissima Trinità» e aperto da un richiamo allo Statuto
Albertino del 1848, in una Costituzione repubblicana che all’articolo
9 proclama l’uguaglianza di tutte le confessioni di fronte alla
legge, è stata oggetto di esame nel 1971 da parte della Corte
costituzionale. Essa ha stabilito che i Patti Lateranensi sono fonti
atipiche dell’Ordinamento italiano, nel senso che hanno meno forza
delle disposizioni costituzionali, ma più forza delle leggi
ordinarie: sono infatti modificabili col mutuo consenso di Stato e
Chiesa, ma non sono sottoponibili al sindacato di costituzionalità e
non sono abrogabili per volontà popolare, né in maniera
referendaria, né attraverso una proposta di legge.
Dopo sette tentativi falliti, tra il
1967 e il 1983, il Concordato del 1929 è stato finalmente riveduto
nel 1984 dal governo Craxi. È ovviamente caduto l’obbligo per i
vescovi di giurare fedeltà allo Stato, e anche quello di far
politica per i preti. Il matrimonio civile è stato svincolato da
quello religioso, benché quest’ultimo continui a mantenere
validità civile anche senza una doppia cerimonia. Il Cattolicesimo
ha cessato di essere religione di Stato, ma ciò nonostante
l’articolo 9 stabilisce: La Repubblica italiana, riconoscendo il
valore della cultura religiosa e tenendo conto che i princìpi del Cattolicesimo fanno
parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad
assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento
della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di
ogni ordine e grado.
Agli insegnanti di religione delle
proprie scuole lo Stato richiede un certificato di idoneità da parte
dell’ordinario diocesano, ma non una laurea: basta anche un diploma
di magistero in scienze religiose rilasciato da un istituto approvato
dalla Santa Sede (Intesa tra il ministro della Pubblica Istruzione e
il presidente della Commissione Episcopale Italiana, resa esecutiva
con Decreto del presidente della Repubblica n. 751 del 1985). Ciò
nonostante, il governo Berlusconi ha creato nel 2003 un organico di
15.507 posti che li immette in massa in ruolo, e permette loro un
successivo passaggio ad altre cattedre (Legge n.
186 del 2003): 9.222 sono stati assunti nel 2005 e 3.077 nel 2006,
mentre gli altri precari (regolarmente laureati) della scuola
attendono da anni l’assunzione a tempo indeterminato.
Per quanto riguarda il clero, la
revisione del Concordato sostituisce la congrua di sostentamento col
finanziamento “volontario” dell’8 per mille sul gettito totale
dell’IRPEF. L’ammontare della cifra intascata annualmente dal
Vaticano è di circa un miliardo di euro (2.000 miliardi di vecchie
lire): una somma che non è affatto destinata a opere di carità,
come la pubblicità clericale cerca di far credere ogni primavera,
nel periodo della dichiarazione dei redditi. Piuttosto, come
ammettono le cifre ufficiali della CEI relative al
triennio 2002-2004, in media i fondi vengono destinati a interventi
caritativi soltanto per il 20 per cento, mentre al sostentamento del
clero va il 34 percento e alle “esigenze di culto” il 46 per
cento. Tra l’altro, il meccanismo del finanziamento è
furbescamente truffaldino. Solo un terzo degli italiani sceglie
infatti a chi devolvere l’8 per mille del proprio reddito: se allo
Stato, alla Chiesa Cattolica o ad altre confessioni religiose (non
sono contemplate organizzazioni umanitarie o scientifiche). Ma
l’articolo 37 della legge di attuazione Legge n. 222 del 1985
recita: «In caso di scelte non espresse da parte dei contribuenti,
la destinazione si stabilisce in proporzione alle scelte espresse».
E poiché, nella minoranza che sceglie, la maggioranza opta a favore della
Chiesa Cattolica, questa ottiene la maggioranza (circa l’85 per
cento) dell’intero gettito.
Al miliardo di euro dell’8 per mille
dei contribuenti, va aggiunta ogni anno una cifra dello stesso ordine
di grandezza sborsata dal solo Stato (senza contare regioni, province
e comuni) nei modi più disparati: nel 2004 (Secondo Rapporto sulla
Laicità, in Critica Liberale, vol. XIII, nn. 123-124,
gennaio-febbraio 2006, pp. 31-33), ad esempio, sono stati elargiti
478 milioni di euro per gli stipendi degli insegnanti di religione,
258 milioni per i finanziamenti alle scuole cattoliche, 44 milioni
per le cinque università cattoliche, 25 milioni per la fornitura dei
servizi idrici alla Città del Vaticano [sic], 20 milioni per
l’Università Campus Biomedico dell’Opus Dei, 19 milioni per
l’assunzione in ruolo
degli insegnanti di religione, 18
milioni per i buoni scuola degli studenti delle scuole Cattoliche, 9
milioni per il fondo di sicurezza sociale dei dipendenti vaticani e
dei loro familiari, 9 milioni per la ristrutturazione di edifici
religiosi, 8 milioni per gli stipendi dei cappellani militari, 7
milioni per il fondo di previdenza del clero, 5 milioni per
l’Ospedale di Padre Pio a San GiovanniRotondo, 2 milioni e mezzo
per il finanziamento degli oratori, 2 milioni per la costruzione di
edifici di culto, e così via.
Aggiungendo a tutto ciò una buona
fetta del miliardo e mezzo di finanziamenti pubblici alla sanità,
molta della quale è gestita da istituzioni cattoliche, si arriva
facilmente ad una cifra complessiva annua di almeno tre miliardi di
euro, cioè 6 mila miliardi di vecchie lire. Ma non è finita, perché
a queste riuscite uscite vanno naturalmente aggiunte le mancate
entrate per lo Stato dovute ad esenzioni fiscali di ogni genere alla
Chiesa, valutate attorno ad altri sei miliardi di euro, cioè 12 mila
miliardi di vecchie lire (Enti ecclesiastici: le cifre dell'evasione
fiscale, Ares, Agenzia di Ricerca Economica e Sociale, rapporto del 7
settembre 2006).
Gli enti ecclesiastici sono infatti
circa 59 mila e posseggono circa 90 mila immobili, adibiti agli scopi
più vari: parrocchie, oratori, conventi, seminari, case generalizie,
missioni, scuole, collegi, istituti, case di cura, ospedali, ospizi,
e così sia.
Il loro valore ammonta ad almeno 30
miliardi di euro, ma essi sono esenti dalle imposte sui fabbricati,
sui terreni, sul reddito delle persone giuridiche, sulle
compravendite e sul valore aggiunto (IVA).
Per capire l’entità di questa enorme
cifra complessiva di nove miliardi di euro, cioè 18 mila miliardi di
vecchie lire, basta notare che si tratta del 45 per cento della
manovra economica per la Finanziaria del 2006, che è stata di 20
miliardi: ovvero, senza la Chiesa, o almeno senza i suoi privilegi
economici, lo Stato potrebbe praticamente dimezzare le tasse a tutti
i suoi cittadini!
Come se non bastasse, alle esenzioni
fiscali statali si aggiungono anche quelle comunali: ad esempio
dall’ICI (“Imposta Comunale sugli Immobili”), in quanto gli
enti ecclesiastici si autocertificano come “non commerciali”. Una
sentenza della Corte di Cassazione, depositata l’8 marzo 2004, ha
però stabilito che un centro di assistenza per bambini e anziani
gestito dalle suore del Sacro Cuore dell’Aquila non poteva essere
esentato dall’imposta, avendo fatto pagare rette regolari ai suoi
ospiti: le suore dovevano dunque al Comune 70 mila euro di imposte
arretrate. Poiché il precedente esponeva la Chiesa a simili rischi
dovunque, i governi Berlusconi e Prodi sono corsi ai ripari: il primo
allegando un temporaneo provvedimento alla Finanziaria per il 2006, e
il secondo approvando un definitivo provvedimento (Legge n. 248 del
2006) che garantisce furbescamente l’esenzione dall’ICI
agli enti «non esclusivamente commerciali».
Ovvero, a tutte le imprese commerciali
che siano dotate di una cappella, nella quale pregare Dio per
l’animaccia balorda dei Cattolici e dei loro fiancheggiatori laici
che siedono in parlamento, a destra o a “sinistra”.
In tal modo i comuni italiani perdono
un gettito valutato intorno ai 2 miliardi e 250 milioni di euro
annui. La Santa Sede possiede infatti un enorme patrimonio
immobiliare anche fuori della Città del Vaticano, in parte
specificato dal Trattato del 1929: dal palazzo del Sant’Uffizio a
piazza San Pietro a quello di Propaganda Fide a piazza di Spagna,
dall’Università Gregoriana al Collegio Lombardo, dalla basilica di
San Francesco ad Assisi a quella di Sant’Antonio a Padova, da Villa
Barberini a Castel Gandolfo, all’area di Santa
Maria di Galeria che ospitala Radio Vaticana, e che da sola è più estesa del territorio
dell’intero Stato (44 ettari).
Ma questi non sono che i gioielli della
corona di una multinazionale che, secondo una stima recente (Secondo
Rapporto sulla Laicità, in Critica Liberale, vol. XIII, nn. 123-124,
gennaio-febbraio 2006, pp. 52-57), nel 2003 disponeva nella sola
Italia di 504 seminari e 8.779 scuole, suddivise in 6.228 materne,
1.280 elementari, 1.136 secondarie e 135 universitarie o
parauniversitarie. Oltre a 6.105 centri di assistenza, suddivisi in
1.853 case di cura, 1.669 centri di “difesa della vita e della
famiglia”, 729 orfanotrofi, 534 consultori familiari, 399 nidi
d’infanzia, 136 ambulatori e dispensari e 111 ospedali, più 674 di
altro genere.
E' naturalmente ironico, oltre che
illustrativo della citata “svolta costantiniana”, che a possedere
un tale tesoro, che si può globalmente valutare ad alcune centinaia
di miliardi di euro, e a non pagarci neppure sopra le tasse, siano
proprio coloro che dicono di ispirarsi agli insegnamenti di qualcuno
che predicava: «Beati i poveri» e «Date a Cesare quel che è di
Cesare» (Matteo, XVII, 24-27) facendo letterali miracoli pur di
permettere ai suoi apostoli di pagare anche una sola moneta di
tributo.
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